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torna strategica la - Confindustria

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Scenari industriali n. 3, Giugno 2012Centro Studi ConfinduStria• La Cina si muove con determinazione sullo scacchiere globale proprio per garantirsi l’approvvigionamentodelle commodity di cui ha bisogno. Agisce con gli investimenti diretti all’estero (309miliardi di dol<strong>la</strong>ri nel 2005-2011), direttamente (74,8%) o indirettamente riconducibili a questofine, e con contratti (per il 54,2% riguardanti esplicitamente le materie prime).• I paesi emergenti hanno raggiunto anche un’alta incidenza sul commercio internazionale di merci,grazie anche all’aumento degli scambi intra-regionali, intra-settoriali e perfino intra-firm: <strong>la</strong>loro quota è salita dal 10,0% nel 1980 al 37,0% nel 2011, anno in cui <strong>la</strong> Cina (con il 10,7%) haconfermato di essere il primo esportatore mondiale, seguita da USA (8,3%) e Germania (7,8%),che ha perso due posizioni dal 2008. L’Italia è al 2,9% (3,6% nel 2007). Il blocco delle forniturecausato dai disastri naturali (Giappone, Filippine) sta facendo in parte ripensare le supply chainglobali.• L’Italia è fanalino di coda nel<strong>la</strong> competitività misurata sia sui prezzi al<strong>la</strong> produzione (aggiustati perl’andamento dei cambi) sia sul CLUP. Ma il suo saldo manifatturiero normalizzato è nettamente migliorato(anche per l’anemico assorbimento interno) e il Trade Performance Index, che consideraun complesso di variabili oltre ai costi re<strong>la</strong>tivi, illustra una sostanziale tenuta dell’Italia tra 2006 e2010: l’Italia è prima in tre settori (tessile, abbigliamento, cuoio-pelletteria-calzature) e seconda dietroal<strong>la</strong> Germania in altri tre (meccanica non elettronica, manufatti di base, prodotti diversi).• La ricaduta del Paese in recessione è arrivata quando il fatturato e l’attività in molti settori delmanifatturiero erano ancora a livelli di molto inferiori (30-40% e oltre) ai picchi pre-crisi toccatiquattro anni fa. La violenta stretta del credito è tra le principali cause del nuovo arretramento efa mancare alle imprese l’ossigeno necessario a resistere, in presenza di una redditività media cheha raggiunto ulteriori minimi.• L’analisi nei paesi europei dimostra che c’è corre<strong>la</strong>zione tra sofferenza dell’industria e flessionedel<strong>la</strong> domanda interna. In Italia <strong>la</strong> penetrazione delle importazioni è aumentata, ma non ha spiazzatoi prodotti del Paese; può essere spiegata dal maggior export che attiva più domanda di semi<strong>la</strong>voratiesteri.• La specializzazione merceologica del made in Italy cambia. I beni legati al<strong>la</strong> moda sono passati dal21,5% dell’export nel 1991 al 13,9% nel 2011; i prodotti con maggior intensità tecnologica ed economiedi sca<strong>la</strong> sono saliti dal 60,8% al 66,9%. Il rinnovamento passa molto anche all’interno deisettori e delle imprese: perciò è poco visibile nelle statistiche aggregate. Inoltre, c’è stato un riposizionamentosui mercati di sbocco esteri: l’UE è scesa dal 61,4% dell’export italiano nel 2000 al55,6% nel 2011; i paesi emergenti non-UE sono saliti dal 21,3% al 29,3%. L’internazionalizzazioneresta tuttavia ancora inadeguata a cogliere le migliori opportunità nei nuovi mercati.• Le imprese italiane rispondono alle sfide puntando su più integrazione verticale, sca<strong>la</strong> dimensionalee multinazionalizzazione. La crisi ha accentuato l’espulsione netta di aziende.10

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