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30Politica e Economia<strong>Azione</strong> Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2012 • N. 43Premiati60annididemocraziaNobel della pace all’Ue Sorprende la decisione del comitato norvegese: per la prima volta il premioviene assegnato a una organizzazione di tipo statuale. È un riconoscimento alla sua storia e un incoraggiamentoa superare la grave crisi economica e sociale in cui l’Europa è sprofondata, mantenendosi a distanzada nazionalismi e populismi pericolosi – Proponiamo l’analisi di Barbara Spinelli, figlia di Altiero, uno dei padrifondatori dell’EuropaKeystoneBarbara Spinelli *Fu una di quelle opere – l’unità fra europeiedificata nel dopoguerra – che gliuomini compiono quando sull’orlo deibaratri decidono di conoscere se stessi:quando vedono i disastri di cui sonostati capaci, esplorano le ragioni d’unafallibilità troppo incallita per esser feconda.Il premio è singolare:è come se nonsuggellasse un progressoma indicasse comerischiamo di perderloE tuttavia non si fanno sopraffare dall’indolenzasmagata che secondo PaulValéry fu la malattia dello spirito europeoall’indomani del ’14-18: la «noia diricominciare il passato», l’inattitudinea riprendersi e ri-apprendere. Il Nobeldella pace è stato dato venerdì a quel ricominciamentodella storia, e alla svoltache fu la riconciliazione tra Francia eGermania, che in soli 70 anni avevanocombattuto tre guerre. Dalla messa incomune di risorse vitali per i due paesi– il carbone e l’acciaio, fonti di ricchezzae morte – nacque l’Unione che abbiamooggi. Mai era apparso così chiaro,nell’attribuzione dei Nobel, il nessofra pace, democrazia, diritto. Come sel’invenzione d’Europa fosse la confermavivente che firmare le tregue non èfare la pace. Che per tenere insieme suscala continentale i tre obiettivi – pace,democrazia, diritto – occorre andareoltre i trattati fra Stati, oltre la non belligeranzafra sovrani che non riconosconopotere alcuno, né legge, sopra di sé.Quando propose e creò la Comunitàdel carbone e dell’acciaio, JeanMonnet spiegò il ragionamento che loaveva ispirato: «Quando si guarda alpassato e si prende coscienza dell’enormedisastro che gli europei hannoprovocato a se stessi negli ultimidue secoli, si rimane letteralmente annichiliti.Il motivo è molto semplice:ciascuno ha cercato di realizzare il suodestino, o quello che credeva essere ilsuo destino, applicando le proprie regole».Fu grazie a questa consapevolezzache l’unità degli europei divenne unmodello, e per gran parte del mondoancora lo è: dalle stragi etniche o razziali,dagli scontri fra culture o religioni,si esce solo se gli Stati nazione smettonol’illusione di bastare a se stessi – laregola della sovranità assoluta – e creanocomuni istituzioni politiche cherealizzino il destino di più paesi associati,non di uno soltanto. In Asia, inMedio Oriente, il metodo comunitarioresta la via aurea per superare i nazionalismi:molto più della solitaria potenzaamericana.Fu una sorta di conversione, quellasperimentata dagli Europei. Al postodello sguardo nazionale, lo sguardocosmopolita; al posto dei trattati fraStati, un’unione sin da principio parzialmentefederale, cui le vecchie sovranitàassolute venivano delegate.L’Europa è un sogno antico, ma è nel’900 che diventa progetto pratico, necessità,dando vita a un’istituzione statuale.Un’istituzione che affianca Statiche si riconoscono non solo fallibili mapericolosi per se stessi, se consegnatialle dismisure nazionaliste. Solo dopola propria guerra dei trent’anni (quellache dal 1914 va al 1945) il Continentescopre che non basta deporre le armima che urge capire perché insorgono iconflitti di sangue. «Insorgono a causadella facilità con cui gli Stati rimettonoin causa il funzionamento delle loroistituzioni», disse ancora Monnet. Benesaperlo fin d’ora: le guerre divoranole democrazie, ma è il degradare delledemocrazie e delle loro istituzioni chegetta popoli senza più nocchieri nelleguerre.Si trattava dunque di cessare iconflitti bellici e al tempo stesso di ridarforza alle istituzioni, di renderlemeno discontinue. L’unità nasce dicendono ai nazionalismi ma anche aquel che li fa impazzire: la povertà, lademocrazia corrosa, il rarefarsi delloStato di diritto prima ancora che deidiritti umani.Conferito in questi giorni, il premioè singolare. Quasi sembra che facciadell’ironia, anche se difficilmenteimmaginiamo una giuria ironica. Ècome se non suggellasse un progresso,ma indicasse come rischiamo di perderlo.Mostra quel che l’Europa ha volutoessere, e non è ancora o non è più.Gli scontri sull’euro, la Grecia trasformatain capro espiatorio, il peso abnormedi un solo Stato (Germania):non è l’unione cui si è aspirato per decenni,ma una costruzione che si decostruiscee arretra invece di completarsi.È come se la giuria ci dicesse, fra lerighe: «Voi europei avete inventatoqualcosa di grande, ma non siete all’altezzadi quel che oggi premiamo. Sieteuna terra promessa, ma voi abitate ancorail deserto come gli ebrei fuggitidall’Egitto». Se l’Europa si compiaceràdel premio vorrà dire che dell’eventoavrà visto solo la superficie celebrativa,non il caos che ribolle sotto la superficie.Un premio così non si riceve soltanto.Lo si medita, lo si interroga, comenella Grecia antica s’interpellaval’oracolo di Delfi. Anche perché il responsonon muta, nei millenni: conoscite stesso, ripeterà. Conosci il tradimentodelle promesse iniziali e il ridicolodelle tue apoteosi. Prova a capirecome mai l’Unione non sveglia piùsperanze ma diffidenza, paura, a volteribrezzo.Rimasta a metà cammino, l’Europanon è ancora l’istituzione sovranazionaleche preserva la democrazia e loStato sociale. Viene identificata conuno dei suoi mezzi – l’euro – come se lamoneta e le misure fin qui congegnatefossero la sua finalità, il suo orizzontedi civiltà. La fissazione sui piani di salvataggiofinanziario e il rifiuto di ognivia alternativa hanno fatto perdere divista la democrazia, e la solidarietà, el’idea di un’Europa che, unita, diventapotenza nel mondo.L’ideale sarebbe se l’Europa nonandasse a prendere il premio, e comunicasseal Comitato Nobel che i propricittadini (non gli Stati, ben poco meritevoli)verranno a ritirarlo quandol’opera sarà davvero voluta, e di conseguenzacompiuta. Quando avremo finalmenteuna Costituzione che – comenella Federazione americana – comincicon le parole «Noi, cittadini…».Quando ci si rimetterà all’opera, e ci sispoglierà della noia di ricominciare lastoria. I sotterfugi tecnici non durano:durano solo le istituzioni. La svolta èpolitica, mentale, e proprio come nel1945, è la massima di Sant’Agostinoche toccherà adottare: Factus eram ipsemihi magna quaestio – Io stesso ero divenutoper me un grosso problema, eun grosso enigma.* © La Repubblica

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