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<strong>Azione</strong> Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2012 • N. 43Politica e Economia Rubriche41Il Mercato e la Piazza di Angelo RossiSpagna: lottando contro la disgregazione«Vieni a Cadice nel 2012» dicono icartelli e le pubblicità luminose che ilMunicipio di questa bella città andalusaha distribuito un po’ dappertuttonella città vecchia come nei quartieripiù moderni. A parte che chi leggel’invito a Cadice già si trova, perchébisognerebbe visitare il porto da doveColombo iniziò i suoi viaggi verso leAmeriche? Perché quest’anno ricorreil 200esimo anniversario della «costituzione»di Cadice. La «Pepa», comela chiamano affettuosamente i gaditani,è stata la prima costituzione spagnola.Sarebbe troppo lungo farel’istoriato di questo documento. Bastidire che lo stesso, per la prima volta inSpagna, attribuiva la sovranità non alre, ma alla nazione e il potere legislativoalle Cortes, deputazioni regionaliche venivano anche dalle colonie delcentro e del Sudamerica. Come oggi,anche allora, il momento non era facileperché la maggior parte del paeseera occupata dalle truppe francesi.Oggi le difficoltà sono di altra natura,ma sicuramente non di portata minore.L’economia spagnola è in recessionee lo Stato deve affrontare ilproblema del finanziamento di un debitopubblico crescente. Con il gettitofiscale in diminuzione, il governocentrale, sottoposto a pressione daparte dell’Unione Europea, non hatrovato finora altri rimedi che quellodi varare, in continuità, piani di risparmioche restringono la capacitàdi spesa non solo dei privati, maanche delle comunità autonome,ossia delle regioni che compongonola fragile struttura del federalismospagnolo. Sono già tre o quattro le regioniche non sono più in grado difare fronte ai propri impegni finanziarie chiedono allo Stato aiuti straordinari.Nel medesimo tempo ilgoverno nazionale ha in preparazioneil preventivo per il 2013 che prevedenuove pesanti misure di risparmio.Questo documento è la goccia che stafacendo traboccare il vaso dei nazionalismiregionali. Da un paio di settimanei giornali spagnoli seguono ilconflitto che si è aperto tra il governodella Catalogna e il governo centrale.Il governo catalano vuole promuovereun referendum per staccarsidalla Spagna e creare una nazione indipendenteperché, tra l’altro, è sicuroche ai catalani andrebbe moltomeglio se non fossero obbligati a travasareuna parte dei loro redditi al governocentrale. Madrid nonconcepisce invece che una regionecosì importante come la Catalogna,centro economico e culturale delpaese, si stacchi dal resto della Spagna.Le cose si complicano anche perchénei Paesi Baschi, che andrannoalle urne tra poco, rischia di affermarsiun partito nazionalista che seguiràdi sicuro la strada dei catalani.Né queste risse politiche nazionalregionali,né le difficoltà finanziarienelle quali si dibatte il governo, interessanoperò molto all’uomo dellastrada. Nonostante le celebrazioniper il duecentesimo della «Pepa», aCadice, non si parla del futuro dellacostituzione spagnola o delle finanzedel governo centrale. La gente comuneha altre preoccupazioni. Anchese, a prima vista, la vita sembrerebbescorrere come sempre all’insegnadella gaiezza che è propria del popoloandaluso, i segni delle difficoltà economichesono apparenti. Non sitratta solo dei mendicanti che si incontranoall’uscita delle chiese o deisupermercati con i loro cartelli cheraccontano di lavoro perso, famiglieda mantenere o, ancora, in modo piùmanifesto, della fame che li perseguitada giorni. Si tratta per esempiodel pullulare di negozi che compranooro e argento o, addirittura, fannopubblicità nelle riviste di lusso percomprare orologi di grande marca. Sitratta delle numerose iniziative diquartiere per venire in aiuto ai piùpoveri. Raccolte di indumenti, di giocattoli,ma soprattutto di beni alimentari.Quest’anno, per esempio,per la festa della Madonna del Rosario,patrona di Cadice, alla Madonnanon sono stati portati fiori, ma bottigliedi olio d’oliva e altri beni alimentari.Si tratta poi delle centinaia diproposte di servizi e lavori fatte suimuri, sui pali della luce, all’entratadei negozi e ristoranti e dappertuttodove si può incollare un cartello conun numero telefonico. Infine si puòaddirittura trattare, caso puntualmentecostatato da chi scrive, di uncartello che ha del tragicomico. Eraappeso sulla autopompa nuova fiammantedei pompieri e diceva: «In vendita,non abbiamo i soldi perpagarla!»Affari Esteri di Paola PeduzziFacili illusioniLe macellerie di Teheran si sono svuotate,il pollo e l’agnello che sono allabase della cucina iraniana costanotroppo. Anzi, peggio: hanno unprezzo diverso ogni giorno. C’è lacoda dal panettiere, perché grazie aisussidi del governo il pane ha costi piùstabili. Ma fare la spesa è diventato unincubo: il cartone del latte raddoppiail suo prezzo anche nella stessa giornata.Gli iraniani sono arrabbiati,scendono in piazza, ma vengono dispersicon la feroce abilità del governodegli ayatallah alla repressione cheormai conosciamo da trent’anni.La crisi economica della Repubblicaislamica d’Iran, con la svalutazionesolo nel 2012 del 50 per cento della valutairaniana, il real, è una delle conseguenzedell’isolamento internazionaledel Paese. Ali Khamenei, la Guida Supremache tutto decide, soprattuttoper quel che riguarda rapporti con ilmondo e programma nucleare, eMahmoud Ahmadinejad, presidentesempre meno amato e a fine mandato(si vota l’anno prossimo), hanno volutoalzare la posta: hanno travoltocon la violenza l’opposizione interna ehanno fatto del diritto a diventare unapotenza nucleare la loro politicaunica. Con diramazioni di ferociapiuttosto visibili: basta vedere il sostegnoche l’Iran sta dando al regimedella Siria, violenza che si somma aviolenza. Per anni Teheran ha guidatola diplomazia internazionale in ballettie giravolte a suo vantaggio, guadagnandotempo e anche risorse nellaprogettazione dei siti nucleari, ma conquest’estate buona parte del bluff èstato schiacciato da una serie di sanzioniinternazionali davvero pesanti.Se nessuno compra più il petrolio iraniano– e le ultime sanzioni questoprevedono – l’Iran collassa su sestesso. Non oggi, non domani, manon può reggere: il petrolio (anzi sarebbemeglio dire il greggio perché gliayatollah hanno gravi problemi nellaraffinazione) rappresenta quasi il 90per cento delle entrate del paese. Peranni, molte aziende straniere hannotrovato il modo di aggirare le sanzioni,ma ora i controlli sono moltopiù duri. È facile immaginare che glialleati più stretti o i paesi che tendonoa infischiarsene dei patti internazionali– come la Russia, come la Cina –cercheranno di sostenere in variomodo l’economia iraniana. Ma puòdurare?I racconti che filtrano da Teheransull’inflazione visibile, quella per cuise prenoti oggi un pollo lo paghi 50mila real (quasi 4 euro, prima dellacrisi costava la metà), ma domani necosta già 55 mila, ricordano gli ultimimesi dell’Unione Sovietica, quelli conle carriole di banconote portate in giroper le strade per andare a fare la spesa.Come premessa – pur nella sua tragedia– la crisi inflattiva è promettente: ilregime collasserà, può resistere a tantiscossoni, persino a un’Onda Verdesostenuta da tutto il mondo eppureperdente, ma a questo no.Il problema è che con l’Iran è facile illudersi.Lo avevamo fatto nel 2009,con le proteste per i brogli elettorali,ma dopo qualche mese di speranza eviolenza, il sistema si è chiuso su sestesso, e s’è salvato. E noi ci siamo dimenticatidi quei ragazzi scomparsi,di quelli travolti dalle motociclettenere dei bassiji, di quelli che ancorastanno a Evin, la terribile prigionedove finiscono i «terroristi», cioè i dissidenti,e non escono più. C’è già uncapro espiatorio per la crisi economica:è il presidente Ahmadinejad,che ormai è inviso presso gli ayatollahe che in effetti ha trattato le casse pubblichecon grande noncuranza. Così sifornirà alla piazza una «testa», chetanto non vale nulla per i suoi ex sostenitori.Il governo può anche, ed èquel che sta facendo, rivedere i meccanismidi sussidi all’economia, chesono il frutto di una gestione dissennatadelle spese pubbliche, e che contribuisconoall’attuale instabilità.È arrivata una bella botta al regime, all’immagineinternazionale di grandefierezza e solidità che gli ayatollah rivendonoall’estero, ma potrebbe nonessere decisiva. Le sanzioni volutedalla comunità occidentale hannomostrato la loro utilità, ma sonoanche utilizzate dal regime per opprimereancora di più la popolazione: asoffrire e a protestare sarà l’opposizione,mentre il governo tenterà disalvaguardare la sua base di consenso,soprattutto in vista del voto del prossimoanno. Perché il regime davverosia messo in crisi è necessario chequell’opposizione spezzi i legami delpalazzo, imponga una svolta alle logichedi potere esistenti. Ma dopo tantianni in cui si parla di regime change aTeheran, non si vede un piano attuabile,un leader con cui identificarsi e acui dare sostegno. E ancora ci illudiamoche possa farcela un pollo.Cantoni e Spigoli di Orazio MartinettiDue italiani svizzeri: Cattaneo e CaizziOsservare le relazioni italo-svizzere ècome ascoltare le informazioni sultraffico: c’è sempre un intoppo, un ritardo,un guasto da qualche parte. Irapporti sono a immagine dei treni cheprocedono a passo di lumaca o addiritturasi accasciano sui binari, esausti…Molti sostengono, non a torto, chesiamo tornati indietro agli anni Sessantao Settanta, quando la frontieraera veramente sinonimo di barriera, eChiasso una stazione di fine corsa (ofinis terrae, a seconda degli umori delmomento).Ma allora gli ostacoli, nell’era delle comunicazionie della mobilità elevata anorma di vita, aumentano anziché diminuire?L’impressione, a prima vista,è proprio questa: di un cammino a ritrosonel tempo. Le strade sono semprepiù ingombre di detriti, anchequelle che, idealmente, dovrebbero esserelibere e scorrevoli: le strade intellettualie culturali. Esempio:sfogliando il programma per ricordarela figura di Carlo Cattaneo, allestito dal«Centro internazionale insubricoCarlo Cattaneo e Giulio Preti» annessoall’Università dell’Insubria (Varese),colpisce l’assenza, sulla lista dei relatori,di studiosi svizzero-italiani. Vi figuranotutte le autorità possibili –presidenti, rettori, sindaci, assessori,direttori –, ma non uno svizzero. Eppureil direttore del Centro, Fabio Minazzi,conosce bene sia l’odissea diCattaneo (esule a Castagnola dal 1848al 1869, anno della morte), sia ilmondo mediatico e accademico elvetico.Dove sta dunque il collo di bottigliain questa neo-autarchiaprovinciale? Ci piacerebbe saperlo.Cattaneo, com’è ampiamente noto, rimasefino al termine dei suoi giorni unfervente cultore del repubblicanesimoelvetico. Recentemente l’editore Donzellidi Roma ha ripubblicato un’antologiadi scritti curata e prefata daNorberto Bobbio, uscita per la primavolta dall’editore Chiantore di Torinonel 1945: «Quando i mazziniani fannoevviva all’unità bisogna rispondere facendoevviva alli Stati Uniti d’Italia. Inquesta formula, la sola che sia compatibilecolla libertà e coll’Italia, vi è lateoria e vi è la pratica: tutte le questionipossibili vi stanno già sciolte come ungigantesco esempio, di cui la Svizzeraoffre il compendio ad uso interno diqualsiasi provincia italiana che vogliaavere in seno la pace e la libertà». L’illustreesule, nel suo volontario soggiornoluganese, non fece mancare allacollettività il suo contributo di energiee intelligenza. Si fece docente, consigliere,analista delle questioni che piùassillavano l’ancor giovane cantone,come la riforma della scuola, la bonificadel Piano di Magadino, la scelta deitracciati ferroviari. Oggi possiamo annoveraretranquillamente questo «italiano-svizzero»tra i padri nobili delTicino, uno dei (rari) intellettuali chesapeva coniugare teoria e pratica, riflessionee azione, studio e imprenditoria.Un uomo, tra l’altro, di fermeconvinzioni morali che nemmeno oggiavrebbe accettato di rimettere piede inLombardia, in «questa» Lombardia.Un altro personaggio paragonabile aCattaneo per tempra, rigore e dedizioneallo studio è stato Bruno Caizzi:emiliano-romagnolo, nato a Forlì nel1909, sotto il fascismo decise di lasciareil Regno per trasferirsi a Bellinzona,dove fu insegnante alla Scuola dicommercio fino al 1969. Il suo campodi ricerche prediletto fu la storia economica:l’industria serica nel Comasco,la nascita e lo sviluppo dei servizipostali, le vie di comunicazione, i commerci,la questione meridionale; a questitemi dedicò numerosi saggi, alcunidei quali ponderosi, come la Storia dell’industriaitaliana (1965) e Il commercio(1975), pubblicati da UTET. Perl’insegnamento predispose un Corso distoria politica e sociale in tre volumi,edito dal Dipartimento della pubblicaeducazione.A Caizzi, nel ventennale della morte(1992), un altro istituto attivo nellarete universitaria lombarda, il «Centrointerdipartimentale di storia dellaSvizzera» affiliato alla Statale di Milano,ha dedicato lo scorso 17 ottobreall’USI una giornata di studio in cuisono intervenuti storici ed economistidi entrambe le nazionalità, italiana esvizzera. Una cooperazione transfrontalierabenvenuta, nel solco di Caizzi,ma anche un’occasione per mettere aconfronto approcci e metodi diversi,frutto di scuole maturate in contestidifferenti.Di Bruno Caizzi, del suo magistero, siricorderanno ancora in molti. Dellasua indole non sapremmo dire, se nonper interposta persona. Un paio disaggi ci sentiamo però di consigliare achi volesse approfondire alcune vicendenostre, come l’epopea ferroviariaottocentesca o la faticosa conquistadi un dignitoso grado di benessere:Suez e San Gottardo (ora riedito daGiampiero Casagrande) e lo splendido«Profilo di una storia sociale», raccoltonel volume Aspetti e problemi del Ticino(1964).Due intellettuali, Cattaneo e Caizzi,due perseguitati dall’Italia non ancoralibera e democratica che nel Ticinotrovarono rifugio ma anche il modo dionorare l’ospitalità con opere e consulenzedi alto valore scientifico.

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