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<strong>Azione</strong> Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 22 ottobre 2012 • N. 4337Politica e EconomiaLa«Primaveraaccademica»Polemiche Accademici di tutto il mondo sono in rivolta contro il prezzo delle riviste scientifiche,e decidono di non pubblicare presso gli editori più esosiDaniele BesomiSoprattutto i matematici ne parlavanogià da tempo, ma più che altro borbottando.Tutto è esploso sul blog di TimGowers, un matematico dell’Universitàdi Cambridge (non uno qualunque: unvincitore della Fields medal, l’equivalentedel premio Nobel). Gowers ha osservatoche i governi finanziano la ricerca,gli accademici la eseguono, altri accademiciverificano, a titolo gratuito,che i ricercatori abbiano fatto bene il lorolavoro, mentre gli editori delle rivistescientifiche si appropriano gratuitamentedei risultati di queste ricerche edesercitano su di essi un diritto di monopolio,rivendendole a caro prezzo. Achi? Alle biblioteche universitarie, cioèin ultima analisi alle università e ai governiche le finanziano. Le università,dunque, pagano due volte per la ricerca,al momento di produrla e a quello diriacquistarla. Gowers ha così dichiaratoche non avrebbe più pubblicato nullaper Elsevier, un editore olandese chepubblica molte riviste matematiche e dialtri campi. Il blog è stato letto da migliaiadi accademici, centinaia dei qualihanno lasciato commenti favorevoli.Sei ore dopo, un collega ha colto un suggerimentodi Gowers e messo onlineuna pagina web in cui si può sottoscriverela rinuncia a pubblicare per quell’editore.Vi hanno già aderito 12’500universitari. È seguito il sostegno indirettoanche delle principali bibliotecheuniversitarie, strozzate dagli esosi abbonamentidelle riviste.Vediamo come funziona il meccanismo.La parte ovvia è quella del finanziamentooriginario della ricerca. Ingran parte la ricerca, soprattutto quelladi base, avviene all’interno delle università.Essa è un compito primario deiprofessori e soprattutto dei giovaniaspiranti professori. Questo punto èimportante in questa storia. L’importanzadella ricerca non è solo quella, piùovvia, di contribuire all’avanzamentogenerale della conoscenza. La ricerca èanche il criterio principale in base alquale si decide la carriera dei giovani ricercatori.È sempre stato così, ma negliultimi anni questo criterio si è fatto piùstringente. In ossequio alla tendenza dimisurare la produttività dei ricercatori,si ricorre ormai ovunque, nelle scienzenaturali e sociali come nelle disciplineumanistiche, a criteri bibliometrici: valea dire, il prodotto della ricerca si misurain pagine pubblicate, con un peso diversoa seconda del prestigio della rivista incui si pubblica. Per ragioni che hanno ache fare con diversi motivi anche al di làdel rigore disciplinare, le riviste piùquotate — dunque quelle che danno piùpunti al ricercatore— tendono ad essereanglosassoni (anche in discipline comel’italianistica…), e sono spesso pubblicateda grandi editori internazionali.Una manciata di questi editori (la maggiorparte dei quali privati, cui i aggiungequalche casa editrice universitaria,legata alle istituzioni più prestigiose: abbiamodunque la Cambridge UniversityPress, la Oxford University Press, laPrinceton University Press, e così via)controlla una fetta enorme del mercatodelle pubblicazioni scientifiche più «rilevanti».Evidentemente le riviste più prestigiosesono anche le più ambite. Vi èdunque una grande concorrenza peravere un proprio articolo su una di esse.Le riviste, pertanto, hanno un’ampiascelta di articoli: tanto maggiore il prestigiodella rivista, tanto più alta la qualitàdegli articoli che potranno selezionaretra tutti quelli inviati. Va notatoche l’autore dell’articolo non viene pagato;anzi, talvolta gli si chiede di contribuirefinanziariamente, per esempioobbligandolo a sottoscrivere un abbonamentoannuo. Ma chi decide dellaDopo Tim Gowers, anche l’Università di Harvard si è mossa: la biblioteca si è lanciata contro le grosse riviste scientifiche. (AFP)qualità degli articoli? Evidentementenon l’editore in persona. Le riviste hannoun comitato editoriale, con un direttoreresponsabile. Il quale, per quantosia un accademico, non ha piena expertisesu tutti i sottorami della propria disciplina.Il compito è dunque demandatoad altri accademici che operano nelsettore specifico: ogni articolo è letto daalmeno due «giudici», che valutano metodologia,esposizione, risultati, li commentanoe formulano suggerimenti, ealla fine raccomandano al direttore l’accettazione(solitamente subordinata adalcune modifiche) o meno dell’articolo.Anche in questo caso, i «giudici» nonsono pagati per il loro lavoro: il tacitoaccordo è che si mette a disposizione ilproprio tempo (e spesso ce ne vuole parecchio)per commentare i lavori altruisapendo che altri fanno altrettanto perquelli del «giudice» quando a sua voltainvierà un lavoro ad una rivista.I governi finanziano lericerche, gli accademicile eseguono, altri leverificano, le riviste lerivendono a caro prezzoSe accettato, l’articolo entra in coda, edopo un periodo più o meno lungo(spesso più è prestigiosa la rivista più èlungo il tempo di attesa) è pubblicatosulla rivista. Al prossimo concorso universitario,il nostro ricercatore potràvantare i punti aggiuntivi. La rilevanzadella ricerca, però, non dipende solodalla pubblicazione, ma anche dal fattoche altri ricercatori trovino utili i risultati.Questa utilità si misura anch’essa informa cartacea: i lavori significativi sonoinfatti citati da altri ricercatori nelcampo, e basta dunque contare (e premiarecon altri punti) il numero di citazioniper migliorare le classifiche.Apparentemente è un buon sistema:una volta che una rivista è giudicatabuona, riceverà e pubblicherà articoli diqualità migliore, confermando così diessere buona. Le regole del mercato applicateall’accademia, insomma. Naturalmentevi sono a volte delle distorsioninotevoli: linguistiche, per esempio,perché come detto le riviste anglosassonisono giudicate più rilevanti di altre,non fosse che per il semplice fatto che lalingua franca dell’accademia è l’inglese.Ma ciò non è neutrale: significa che gliapprocci disciplinari prevalenti negliStati Uniti si impongono sugli altri nonnecessariamente perché migliori, magrazie a questo meccanismo selettivo.Certe sottodiscipline sono così penalizzateperché non sono di interesse dei direttoridelle riviste principali.Ciò ha delle conseguenze sull’interosistema universitario. Il metodo bibliometricoè usato non solo per promuoverei ricercatori, ma anche comechiave di riparto per i fondi di ricerca.L’idea, di nuovo adattata dai mercati, èdi premiare maggiormente i dipartimentipiù produttivi di buoni risultati:cioè dei risultati pubblicati sulle rivistedi cui sopra, con le distorsioni del caso.Infine, si pone il problema della distribuzionedella ricerca. Una volta chele riviste si sono accaparrate i risultatimigliori ad un costo pressoché nullo, listampano e li vendono. A chi? Alle bibliotecheuniversitarie (e, più raramente,a qualche laboratorio specializzato oa qualche ricercatore), sia in forma cartacea– dunque con dei costi di stampae di spedizione – che in forma elettronica– dunque a costi nulli. La maggiorparte degli utenti (tutti accademici) accedeormai alle riviste in formato elettronico.Il che significa che le bibliotechesono obbligate ad acquistare sia lacopia cartacea che quella elettronica. Eil prezzo a cui sono vendute è moltoelevato.Ma non è tutto. Naturalmente, piùè prestigiosa la rivista, e tanto meno lebiblioteche possono farne a meno. Conquesto meccanismo, il prestigio si confermae si rafforza: poiché il budget dellebiblioteche è limitato, non possonoacquistare tutto. Sono dunque sacrificatele riviste meno prestigiose. I ricercatorinon potranno dunque leggerle, enon citeranno i risultati che esse pubblicano.La conseguenza è che queste rivisteperderanno punti, e quindi scenderannonella graduatoria del prestigio,attireranno lavori meno importanti, ecosì via.Ora, cosa fanno i grossi editori?Poiché pubblicano diverse riviste, alcunedi primo piano e altre meno, rischianodi avere titoli ben venduti a altri menorichiesti. Il che per loro non è certo lasoluzione ideale. Poiché i titoli più prestigiosisono irrinunciabili, gli editoriforzano le biblioteche ad acquistare ancheriviste meno prestigiose vendendoleesclusivamente in «pacchi». Con unduplice risultato: da un lato vendono ipropri «scarti», dall’altro impediscono(sempre grazie al budget limitato dellebiblioteche) a piccoli editori con rivistedecenti ma non eccelse di trovare unosbocco sul mercato.Evidentemente questo sistema,lungi dal rappresentare un buon meccanismodi selezione del migliore, crea emantiene delle distorsioni qualitative, esoprattutto trae i propri profitti unicamenteda una situazione di monopolionella quale le università pagano due voltela propria ricerca, e a volte non riescononeppure a ricomperarsela.Dopo Gowers, l’allarme è stato lanciatodalla biblioteca universitaria diHarvard, certo non la più povera almondo, che già da qualche tempo sostenevale pubblicazioni open access gestitesecondo criteri scientifici (col sistemadei giudici) ma liberamente a disposizionesul web, lo scorso aprile ha esplicitamenteinvitato i propri blasonati accademicia non pubblicare più sulle riviste«vendute a pacchi» e a dimissionaredai loro comitati editoriali. Non èsorprendente: Harvard spende annualmente3.75 milioni di dollari per abbonamentialle riviste, alcune delle qualicostano fino a 40’000 dollari all’anno.Le numerose sottoscrizioni all’invitodi Gowers sembrano aver indotto igoverni europei a reagire. Dopotutto,il loro obiettivo è rendere visibile la ricercache finanziano. E tutto sommatopreferiscono evitare di spendere milioniper acquistare le riviste quando lapubblicazione sul web non costa nullao quasi, milioni che possono profittevolmenteessere ridestinati alla ricerca.La Commissione europea si ponel’obiettivo di garantire l’open access entroil 2020, il Regno Unito entro il2014, ponendo il vincolo che la ricercapagata dai contribuenti sia messa suinternet dopo 6 mesi dalla pubblicazione.Gli editori obiettano che non accetterannomai tale vincolo: ma il risultatosarà semplicemente quello diessere tagliati fuori, perché i ricercatoripubblici dovranno per forza rivolgersiad altre riviste.Una storia a lieto fine? Non ancora:gli Stati Uniti, un grosso attore in questogioco, ancora non si sono mossi, anchese si sa che l’amministrazione Obamaguarda con simpatia al principio.Intanto, comunque, è chiaro che la postain gioco è estremamente alta: forse ilpiù importante sconvolgimento nelmondo scientifico nell’ultimo quarto disecolo.RiferimentiIl blog di Gowers:http://gowers.wordpress.com/2012/01/21/elsevier-my-part-in-its-downfall/Il sito che raccoglie le adesioni allarinuncia a pubblicare con Elsevier:http://thecostofknowledge.com/L’invito di Harvard ai propri docentisi trova qui:http://isites.harvard.edu/icb/icb.do?keyword=k77982&tabgroupid=icb.tabgroup143448Piccola PubblicitàPerdere è ungioco da ragazzi.Chiamaci: 0800 000 330

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