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le persone diventa un piacere. In questo
mi è stato maestro Marco Pesaresi,
che mi ha insegnato un approccio sempre
sorridente e sereno. Il fotografo non
deve creare, ma osservare attentamente
quello che accade come in un teatro
vivente, uscendo dalle abitudini visive
che inibiscono la capacità di vedere
le cose sotto una nuova luce. Essere
più naturale possibile contribuirà a non
dare nell’occhio, rendendo quindi possibile
avvicinarsi a chi si ha di fronte,
mettendolo a proprio agio. La macchina
fotografica sempre al collo e la scoperta
di star bene con l’ambiente vanno di
pari passo con il lavoro svolto.
Nella serie Il cielo in una stanza hai
dimostrato cosa significhi guardare
la realtà in maniera nuova. Come nasce
questo progetto?
L’idea iniziale non era un progetto ma
lo è diventato in seguito. Ho cercato di
raccontare il cielo nella maniera più originale
possibile, ritagliando l’azzurro e
lavorando per astrazione. Allo spettatore
ho lasciato il compito e il piacere di
fantasticare su questi dettagli trovandovi
qualunque cosa l’immaginazione sia
in grado di suggerire. Un lavoro che ha
richiesto curiosità e grande costanza.
Quanto è importante sovvertire le regole
per essere liberi nella fotografia?
La fotografia è comunicazione ma anche
libertà. Per questo motivo occorre
prima conoscere e approfondire
la tecnica per poi evolvere nella conoscenza
di questo linguaggio attraverso
lo studio dei grandi fotografi.
Bisogna allenare l’occhio per cambiare
il proprio modo di guardare le cose.
Ho visto tante persone lasciarsi
affascinare dalla fotografia e perdere
poco a poco l’entusiasmo solo perché
non arrivavano a risultati immediati.
La fotografia ha bisogno di tempo
per essere studiata e metabolizzata, e
questo contrasta con un’epoca come
la nostra dove tutto cambia e si evolve
troppo velocemente.
Secondo te, i social influenzano la
fotografia? E quanto invece la fotografia
influenza le nostre vite?
I canali social sono un’arma potente
per far conoscere il proprio lavoro ed
entrare in relazione con molte persone.
Ogni giorno veicolano una straordinaria
quantità di immagini che
influenzano la nostra vita a più livelli.
Dobbiamo quindi imparare ad usarli
in maniera consapevole, distinguendo
le buone fotografie da quelle che
invece non meritano attenzione. Le
immagini devono trasmettere un’emozione,
catturare l’attimo, cogliere
il senso di una storia più di mille parole,
ma devono soprattutto suscitare
in chi le osserva domande utili ad
aumentare senso critico e consapevolezza.
Cosa pensi dell’utilizzo di Photoshop
nella street photography?
La foto di strada non ha necessità di
grandi interventi di postproduzione ma
di una semplice messa a punto. Grandi
autori del passato come Garry Winogrand
o William Klein sostengono che
il mondo è imperfetto e va fotografato
per quello che è. L’importante è sempre
essere onesti con se stessi e con
gli altri.
Da alcuni anni organizzi, con Alex Liverani
e Francesco Sembolini, l’Italian
Street Photo Festival. Quali sono
le finalità di questa iniziativa?
L’idea di realizzare un festival italiano
di street photography è nata a Francesco
Sembolini, e dal momento che siamo
tutt’e tre esperti in questo genere
di fotografia, abbiamo creato una squadra
unendo le nostre esperienze e competenze.
Quella di quest’anno è la terza
edizione nella sede delle Officine Fotografiche
a Roma. Un’avventura che
ci sta regalando grandi soddisfazioni,
consentendoci di organizzare giornate
d’incontro sulla fotografia alla presenza
anche di maestri di fama internazionale.
www.stefanomirabella.com
STEFANO MIRABELLA
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