standard italiani per la cura del diabete mellito - Changing Diabetes ...
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<strong>cura</strong> <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> 35<br />
◆◆cOMMeNtO Il controllo glicemico è di fondamentale importanza nel<strong>la</strong><br />
gestione <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> <strong>mellito</strong>. Studi clinici randomizzati control‑<br />
<strong>la</strong>ti come il DCCT (1), condotto in soggetti con <strong>diabete</strong> tipo 1,<br />
e gli studi Kumamoto (2) e UKPDS (3,4), condotti in soggetti<br />
con <strong>diabete</strong> tipo 2, hanno dimostrato come il miglioramento<br />
<strong>del</strong> compenso glicemico (valori medi di HbA1c pari o legger‑<br />
mente su<strong>per</strong>iori a 7%, 1% circa al di sopra <strong>del</strong> range di norma‑<br />
lità) sia associato al<strong>la</strong> riduzione <strong>del</strong>l’incidenza di complicanze<br />
microangiopatiche (retinopatia, nefropatia e neuropatia). Lo<br />
studio DCCT‑EDIC (<strong>Diabetes</strong> Control and Complications Trial/<br />
Epidemiology of <strong>Diabetes</strong> Interventions and Complications) (studio<br />
osservazionale dei pazienti reclutati nel DCCT) ha dimostrato,<br />
inoltre, come gli effetti protettivi <strong>del</strong> trattamento intensivo sul<br />
rischio di ma<strong>la</strong>ttia microvasco<strong>la</strong>re <strong>per</strong>sistano nei diabetici tipo 1<br />
anche a 4 anni di distanza dal termine <strong>del</strong> trial malgrado il<br />
controllo glicemico nel gruppo in trattamento intensivo fosse<br />
equivalente a quello in trattamento <strong>standard</strong> durante i 4 anni<br />
di follow‑up (5). Analogamente a quanto osservato nello stu‑<br />
dio DCCT‑EDIC, il follow‑up a distanza di 10 anni dal<strong>la</strong> con‑<br />
clusione <strong>del</strong>lo studio UKPDS ha confermato i benefici sulle<br />
complicanze microvasco<strong>la</strong>ri osservati nel gruppo in trattamento<br />
intensivo durante <strong>la</strong> prima fase <strong>del</strong>lo studio sebbene il controllo<br />
glicemico fosse equivalente a quello in trattamento <strong>standard</strong><br />
durante i 10 anni di follow‑up (6).<br />
Analisi epidemiologiche basate sui dati degli studi DCCT e<br />
UKPDS dimostrano una re<strong>la</strong>zione curvilinea tra livelli di HbA1c e complicanze microvasco<strong>la</strong>ri senza evidenziare alcun livello<br />
soglia nei valori di HbA1c (1,7). Queste analisi suggeriscono<br />
che una riduzione dei livelli di HbA1c da 7 a 6% è associata con<br />
un’ulteriore riduzione <strong>del</strong> rischio di complicanze microvasco‑<br />
<strong>la</strong>ri, malgrado <strong>la</strong> riduzione <strong>del</strong> rischio assoluto risulti inferiore.<br />
In considerazione che il raggiungimento di un livello di glicemia<br />
vicino al<strong>la</strong> normalità comporta un rischio maggiore di ipoglice‑<br />
mie, in partico<strong>la</strong>re nei soggetti diabetici di tipo 1 o di tipo 2 in<br />
trattamento insulinico, i potenziali benefici non sembrano giu‑<br />
stificare una intensificazione <strong>del</strong> trattamento <strong>per</strong> raggiungere<br />
obiettivi glicemici più bassi (HbA1c � 6%).<br />
Diversi studi osservazionali prospettici e metanalisi hanno<br />
dimostrato che il rischio di complicanze macrovasco<strong>la</strong>ri nel dia‑<br />
bete <strong>mellito</strong> è corre<strong>la</strong>to con i valori di HbA1c (7‑10) suggerendo<br />
che <strong>la</strong> normalizzazione dei livelli glicemici possa prevenire l’insor‑<br />
genza di eventi cardiovasco<strong>la</strong>ri. Questa ipotesi ha ritrovato finora<br />
solo parziale supporto negli studi clinici di intervento.<br />
Nello studio DCCT, è stata osservata una tendenza verso<br />
<strong>la</strong> riduzione degli eventi cardiovasco<strong>la</strong>ri nel gruppo in tratta‑<br />
mento intensivo rispetto al gruppo in trattamento <strong>standard</strong><br />
(41% riduzione <strong>del</strong> rischio, IC 95% 10‑68%) (1). Tuttavia, lo<br />
studio DCCT‑EDIC ha dimostrato che gli effetti protettivi <strong>del</strong><br />
trattamento intensivo sul rischio di ma<strong>la</strong>ttia cardiovasco<strong>la</strong>re nei<br />
diabetici tipo 1 diventano significativi a 11 anni di distanza dal<br />
termine <strong>del</strong> trial (11). Infatti, i soggetti randomizzati al tratta‑<br />
mento intensivo mostravano una riduzione <strong>del</strong> 42% degli eventi<br />
cardiovasco<strong>la</strong>ri (IC 95% 9‑63%; p � 0,02) e una riduzione <strong>del</strong><br />
57% <strong>del</strong> rischio di infarto <strong>del</strong> miocardio non fatale, ictus o morte<br />
cardiovasco<strong>la</strong>re (IC 95% 12‑79%; p � 0,02) (11).<br />
Per quanto riguarda il <strong>diabete</strong> tipo 2, lo studio UKPDS ha<br />
dimostrato che <strong>la</strong> riduzione a 7% <strong>del</strong> valore medio di HbA1c ottenuto nel gruppo in trattamento intensivo, rispetto al valore<br />
di 7,9% ottenuto nel gruppo in terapia convenzionale (7,0%<br />
vs. 7,9%, p � 0,001), ha indotto, nel corso di 10 anni di<br />
osser vazione, una riduzione <strong>del</strong> 16% di significato borderline<br />
(p � 0,052), <strong>del</strong> rischio di infarto <strong>del</strong> miocardio fatale e non<br />
fatale e <strong>del</strong><strong>la</strong> morte improvvisa (3). Lo stesso studio ha anche<br />
messo a confronto un gruppo di 342 soggetti con <strong>diabete</strong> tipo 2<br />
obesi o in sovrappeso trattati con metformina con un altro<br />
gruppo in trattamento convenzionale e con un gruppo in trat‑<br />
tamento intensivo con sulfoniluree o insulina (4). Il trattamento<br />
con metformina ha indotto una maggiore riduzione dei valori<br />
di HbA 1c rispetto al braccio in terapia convenzionale (7,4% vs.<br />
8,0%, rispettivamente) che è stato accompagnato da una ridu‑<br />
zione <strong>del</strong> 36% <strong>del</strong><strong>la</strong> mortalità totale (p � 0,01) e <strong>del</strong> 39% <strong>del</strong><br />
rischio di infarto <strong>del</strong> miocardio (p � 0,01) rispetto al tratta‑<br />
mento convenzionale, così come a una riduzione <strong>del</strong> 41% <strong>del</strong><br />
rischio di ictus rispetto al trattamento intensivo con sulfoniluree<br />
o insulina (p � 0,03). La riduzione <strong>del</strong> rischio cardiovasco<strong>la</strong>re<br />
non raggiungeva <strong>la</strong> significatività nei soggetti trattati con insulina<br />
o con sulfonilurea, a parità di controllo glicemico raggiunto.<br />
I differenti effetti <strong>del</strong><strong>la</strong> terapia intensiva sulle complicanze<br />
micro‑ e macrovasco<strong>la</strong>ri osservati nello studio UKPDS sono<br />
stati attribuiti, almeno in parte, al maggiore ruolo patogenetico<br />
<strong>del</strong>l’i<strong>per</strong>glicemia nei confronti <strong>del</strong><strong>la</strong> microangiopatia. Infatti,<br />
nel<strong>la</strong> genesi <strong>del</strong>le complicanze macrovasco<strong>la</strong>ri intervengono,<br />
insieme all’i<strong>per</strong>glicemia, altri fattori di rischio, quali <strong>la</strong> disli‑<br />
pidemia, l’i<strong>per</strong>tensione arteriosa e l’obesità. Questo concetto<br />
ha ottenuto conferma dai risultati <strong>del</strong>lo studio Steno‑2, che<br />
ha affrontato il problema <strong>del</strong><strong>la</strong> prevenzione cardiovasco<strong>la</strong>re nel<br />
<strong>diabete</strong> tipo 2 con un approccio multifattoriale (12). Lo studio<br />
ha dimostrato che in pazienti con microalbuminuria e durata<br />
media di ma<strong>la</strong>ttia diabetica di 6 anni, un approccio terapeu‑<br />
tico integrato <strong>per</strong> 8 anni, mirato al controllo <strong>del</strong><strong>la</strong> i<strong>per</strong>glicemia,<br />
<strong>del</strong><strong>la</strong> dislipidemia e <strong>del</strong>l’i<strong>per</strong>tensione, ha consentito una marcata<br />
riduzione <strong>del</strong> rischio re<strong>la</strong>tivo di ma<strong>la</strong>ttia cardiovasco<strong>la</strong>re, pari al<br />
53% (riduzione <strong>del</strong> rischio assoluto <strong>del</strong> 20%), nonché <strong>la</strong> ridu‑<br />
zione <strong>del</strong> 58% <strong>del</strong> rischio re<strong>la</strong>tivo di retinopatia, <strong>del</strong> 61% <strong>del</strong><br />
rischio re<strong>la</strong>tivo di nefropatia e <strong>del</strong> 63% di quello di neuropatia<br />
autonomica. La riduzione degli eventi cardiovasco<strong>la</strong>ri è risultata<br />
più elevata rispetto a quel<strong>la</strong> ottenuta in trial clinici finalizzati al<br />
controllo di un singolo fattore di rischio cardiovasco<strong>la</strong>re. Dopo<br />
un ulteriore follow‑up di 5,5 anni dal<strong>la</strong> conclusione <strong>del</strong>lo stu‑<br />
dio iniziale, i pazienti in trattamento intensivo multifattoriale<br />
mostravano una riduzione <strong>del</strong> 46% <strong>del</strong><strong>la</strong> mortalità totale, <strong>del</strong><br />
57% <strong>del</strong><strong>la</strong> mortalità cardiovasco<strong>la</strong>re e <strong>del</strong> 59% di ogni evento<br />
cardiovasco<strong>la</strong>re (13).<br />
Un recente follow‑up a distanza di 10 anni dal<strong>la</strong> conclu‑<br />
sione <strong>del</strong>lo studio UKPDS, ha confermato i benefici osservati<br />
durante <strong>la</strong> prima fase <strong>del</strong>lo studio. Infatti, nel gruppo che era<br />
stato inizialmente trattato con sulfonilurea o insulina, si è osser‑<br />
vata una riduzione <strong>del</strong> 15% <strong>del</strong> rischio di infarto <strong>del</strong> miocardio<br />
(p � 0,01) e <strong>del</strong> 13% <strong>del</strong> rischio di mortalità (p � 0,007). Nel<br />
gruppo che era stato inizialmente trattato con metformina si è<br />
osservata una riduzione <strong>del</strong> 33% <strong>del</strong> rischio di infarto <strong>del</strong> mio‑<br />
cardio (p � 0,005) e una riduzione <strong>del</strong> 27% <strong>del</strong> rischio di mor‑<br />
talità (p � 0,007) (6). Questi dati confermano il concetto che<br />
l’i<strong>per</strong>glicemia ha nel lungo termine un importante ruolo nel<strong>la</strong><br />
patogenesi <strong>del</strong>le complicanze macrovasco<strong>la</strong>ri.<br />
Negli ultimi anni, sono stati condotti diversi studi clinici volti<br />
a valutare gli effetti di un trattamento intensivo <strong>del</strong><strong>la</strong> glicemia<br />
rispetto a un trattamento <strong>standard</strong> sugli eventi cardiovasco<strong>la</strong>ri<br />
in soggetti con <strong>diabete</strong> tipo 2 ad alto rischio.