standard italiani per la cura del diabete mellito - Changing Diabetes ...
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72 Standard <strong>italiani</strong> <strong>per</strong> <strong>la</strong> <strong>cura</strong> <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> <strong>mellito</strong> 2009-2010<br />
1. Valutazione <strong>del</strong> rischio cardiovasco<strong>la</strong>re<br />
globale<br />
raccomandazioni<br />
I pazienti diabetici con evidenza clinica o strumentale<br />
di complicanze cardiovasco<strong>la</strong>ri sono da considerarsi<br />
a rischio cardiovasco<strong>la</strong>re elevato. (Livello <strong>del</strong><strong>la</strong><br />
prova I, Forza <strong>del</strong><strong>la</strong> raccomandazione A)<br />
I pazienti diabetici senza evidenza clinica o strumentale<br />
di complicanze cardiovasco<strong>la</strong>ri sono da considerarsi<br />
a rischio cardiovasco<strong>la</strong>re elevato in base<br />
all’età (� 40 anni) e al<strong>la</strong> presenza di uno o più fattori<br />
di rischio cardiovasco<strong>la</strong>re. (Livello <strong>del</strong><strong>la</strong> prova<br />
III, Forza <strong>del</strong><strong>la</strong> raccomandazione B)<br />
I diabetici senza fattori di rischio aggiuntivi né evidenza<br />
clinica o strumentale di complicanze cardiovasco<strong>la</strong>ri<br />
possono essere considerati a rischio<br />
cardiovasco<strong>la</strong>re moderato. (Livello <strong>del</strong><strong>la</strong> prova III,<br />
Forza <strong>del</strong><strong>la</strong> raccomandazione B)<br />
◆◆COMMENTO Il <strong>diabete</strong>, almeno quello di tipo 2, è considerato da molti un<br />
equivalente cardiovasco<strong>la</strong>re anche se non vi è totale accordo su<br />
questo argomento. Alcuni studi indicano infatti che tale equivalenza<br />
è modu<strong>la</strong>ta dall’età, dal sesso (maggiore rischio nelle donne<br />
diabetiche), dal<strong>la</strong> durata di ma<strong>la</strong>ttia e dal<strong>la</strong> contemporanea presenza<br />
di altri fattori di rischio cardiovasco<strong>la</strong>re (1). A tal proposito,<br />
le linee-guida italiane <strong>del</strong> 2002 <strong>per</strong> <strong>la</strong> prevenzione cardiovasco<strong>la</strong>re<br />
nel paziente diabetico, redatte da un Comitato di Es<strong>per</strong>ti,<br />
rappresentativo <strong>del</strong>le società scientifiche italiane in ambito diabetologico<br />
(AMD, SID), cardiologico (SIIA, FIC, Forum <strong>per</strong> <strong>la</strong><br />
prevenzione <strong>del</strong>le ma<strong>la</strong>ttie cardiovasco<strong>la</strong>ri) e lipidologico (SISA),<br />
<strong>del</strong><strong>la</strong> SIMG, <strong>del</strong> Gruppo Cochrane Col<strong>la</strong>boration Italia e <strong>del</strong><strong>la</strong><br />
FAND (2) sottolineano, in accordo con quanto raccomandato da<br />
altre linee-guida (3-7), l’importanza <strong>del</strong><strong>la</strong> valutazione <strong>del</strong> rischio<br />
cardiovasco<strong>la</strong>re globale (età, sesso, familiarità <strong>per</strong> coronaropatia<br />
o morte improvvisa, attività fisica, fumo, peso corporeo e distribuzione<br />
<strong>del</strong> grasso corporeo, durata <strong>del</strong><strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia diabetica, controllo<br />
glicemico, pressione arteriosa, microalbuminuria, lipidi<br />
p<strong>la</strong>smatici), nonché <strong>del</strong><strong>la</strong> stratificazione <strong>del</strong> rischio mediante<br />
l’utilizzo di algoritmi. Il documento – che identifica fattori di<br />
rischio e re<strong>la</strong>tivi cut-off come risultato di una consensus conference<br />
– rileva come gli algoritmi disponibili non siano ottimali,<br />
da un <strong>la</strong>to <strong>per</strong>ché considerano il <strong>diabete</strong> come una variabile dicotomica,<br />
senza prendere in considerazione <strong>la</strong> durata di ma<strong>la</strong>ttia e<br />
il grado di compenso metabolico dall’altro <strong>per</strong>ché disegnati <strong>per</strong><br />
popo<strong>la</strong>zioni a più elevato rischio cardiovasco<strong>la</strong>re rispetto al<strong>la</strong><br />
popo<strong>la</strong>zione italiana. Analoghe considerazioni vengono avanzate<br />
nelle linee-guida neoze<strong>la</strong>ndesi che, riferendosi all’algoritmo di<br />
Framingham, ne sottolineano <strong>la</strong> non applicabilità a tutti i gruppi<br />
etnici, ai diabetici con durata di ma<strong>la</strong>ttia su<strong>per</strong>iore a 10 anni o<br />
con HbA1c � 8%, alle <strong>per</strong>sone con sindrome metabolica e ai<br />
diabetici con microalbuminuria (5).<br />
All’inizio <strong>del</strong> 2004 sono state presentate al<strong>la</strong> comunità scientifica<br />
e pubblicate sul sito <strong>del</strong>l’Istituto Su<strong>per</strong>iore di Sanità le<br />
carte <strong>del</strong> rischio cardio- e cerebrovasco<strong>la</strong>re italiane, basate su<br />
17 studi di coorte effettuati nel nostro paese dagli anni ’80 <strong>del</strong><br />
secolo scorso (www.cuore.iss.it). Queste carte, pur essendo state<br />
disegnate sul<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione italiana, continuano a considerare il<br />
<strong>diabete</strong> come una variabile dicotomica (presenza/assenza), senza<br />
considerare <strong>la</strong> durata di ma<strong>la</strong>ttia e il grado di compenso metabolico:<br />
non rappresentano, <strong>per</strong>tanto, ancora lo strumento ottimale<br />
<strong>per</strong> il calcolo <strong>del</strong> rischio cardiovasco<strong>la</strong>re nel<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione<br />
diabetica italiana.<br />
L’associazione tra rischio cardiovasco<strong>la</strong>re e compenso glicemico<br />
è stata documentata in numerosi studi. Il San Antonio<br />
Heart Study ha evidenziato <strong>la</strong> presenza di un trend positivo tra<br />
valori glicemici e mortalità cardiovasco<strong>la</strong>re. I soggetti nel più alto<br />
quartile di glicemia presentavano un rischio 4,7 volte più elevato<br />
rispetto a quelli nei due quartili più bassi (8). In studi condotti<br />
in Fin<strong>la</strong>ndia è stata documentata una corre<strong>la</strong>zione lineare<br />
tra controllo glicemico e rischio coronarico in diabetici tipo 2<br />
di età compresa tra i 45 e i 74 anni (9-11).<br />
Una metanalisi di 10 studi osservazionali condotti negli ultimi<br />
due decenni, <strong>per</strong> un totale di 7435 soggetti con <strong>diabete</strong> tipo 2,<br />
ha esaminato <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione tra HbA 1c e rischio cardiovasco<strong>la</strong>re: è<br />
emerso che un aumento <strong>del</strong>l’HbA 1c <strong>del</strong>l’1% è associato con un<br />
RR di 1,18 (IC 95% 1,10-1,26). Benché numerosi elementi di<br />
criticità (possibile publication bias, esiguo numero di studi disponibili,<br />
eterogeneità degli studi stessi) suggeriscano <strong>la</strong> necessità di<br />
ulteriori conferme di tali dati (12), è interessante l’osservazione<br />
di un’associazione tra compenso glicemico e macroangiopatia,<br />
meno forte di quel<strong>la</strong> riscontrata con <strong>la</strong> microangiopatia, che conferma<br />
i risultati <strong>del</strong>l’UKPDS. L’associazione tra durata di ma<strong>la</strong>ttia<br />
e rischio cardiovasco<strong>la</strong>re è stata segna<strong>la</strong>ta in numerosi studi,<br />
tra i quali il Nurses’ Health Study (13).<br />
Nel 2001 i ricercatori <strong>del</strong> UKPDS hanno formu<strong>la</strong>to un algoritmo<br />
nel quale vengono presi in considerazione sia <strong>la</strong> durata di<br />
ma<strong>la</strong>ttia sia il valore di HbA 1c (UKPDS RISK ENGINE: http://<br />
www.dtv.ox.ac.uk/index.php?maindoc=/riskengine/). Le lineeguida<br />
neoze<strong>la</strong>ndesi (4) e quelle <strong>del</strong>l’IDF (14), sul<strong>la</strong> base <strong>del</strong>le<br />
considerazioni sopra esposte, considerano questo algoritmo come<br />
il più idoneo <strong>per</strong> <strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione diabetica.<br />
Nell’ambito <strong>del</strong>lo studio DAI, sono state applicate tre funzioni<br />
derivate dal Framingham Heart Study a un campione di<br />
8200 diabetici senza ma<strong>la</strong>ttia vasco<strong>la</strong>re nota, di età compresa tra<br />
40 e 74 anni, seguiti nel 1998-1999 presso 201 strutture diabetologiche<br />
italiane, ed è stato evidenziato come il 65-70% dei diabetici<br />
esaminati sia definibile ad alto rischio, indipendentemente<br />
dal<strong>la</strong> formu<strong>la</strong> utilizzata (15). In Italia i diabetici tipo 2 sembrano<br />
tuttavia esposti a un rischio cardiovasco<strong>la</strong>re inferiore rispetto a<br />
quello di diabetici appartenenti a popo<strong>la</strong>zioni nordeuropee o statunitensi.<br />
Nel Verona <strong>Diabetes</strong> Study – condotto su una coorte di<br />
7168 soggetti con <strong>diabete</strong> <strong>mellito</strong> tipo 2 – gli SMR (Standardized<br />
Mortality Ratios) di ma<strong>la</strong>ttia cardiovasco<strong>la</strong>re e di cardiopatia<br />
ischemica sono risultati pari a 1,34 e 1,41 (16). Risultati analoghi<br />
sono stati riportati nel Casale Monferrato Study (17).<br />
Pertanto, sul<strong>la</strong> base di quanto su esposto, si può convenire<br />
che è giusto effettuare una sia pur minima stratificazione <strong>del</strong><br />
rischio cardiovasco<strong>la</strong>re anche nei pazienti diabetici in base all’età<br />
(� 40 anni) e al<strong>la</strong> presenza di uno o più fattori di rischio. In<br />
alternativa, si potrebbe utilizzare l’UKPDS Engine, che se da una<br />
parte ha il vantaggio di considerare sia <strong>la</strong> durata <strong>del</strong> <strong>diabete</strong> che il<br />
grado di compenso dall’altra presenta lo svantaggio di essere stato<br />
creato sui dati di una popo<strong>la</strong>zione di diabetici non italiana.