La rivolta dei senza niente
Numero 32 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno
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12 Domenica 7 marzo 2010 SPECIALE<br />
L’EMERGENZA<br />
Il territorio epicentro di un terremoto produttivo: <strong>senza</strong> il Lingotto muore l’intera regione<br />
Campania, la fine di un MiTo<br />
L’allarme degli operai dell’indotto: «Se si sposta lo stabilimento all’estero sarà un’ecatombe occupazionale»<br />
Sedotta e abbandonata. Protagonista<br />
alla fine degli anni Ottanta<br />
del boom nel settore automobilistico,<br />
la Campania assiste oggi all’emigrazione<br />
della Fiat verso l’Europa<br />
dell’est e il mercato statunitense.<br />
Più di undicimila persone le<br />
vittime di questa fuga. Sono i dipendenti<br />
dello stabilimento di Pomigliano<br />
d’Arco, simbolo del marchio<br />
Alfa Romeo, ma anche i lavoratori<br />
dell’indotto: l’insieme di piccole<br />
e medie imprese che producono<br />
parti necessarie alle grandi industrie<br />
per il prodotto finito.<br />
Donne e uomini, quindi, impiegati<br />
in aziende collegate direttamente o<br />
indirettamente al Lingotto.<br />
Ogni vettura, infatti, è composta<br />
da quasi trenta milioni di pezzi e le<br />
grandi fabbriche come Pomigliano<br />
si limitano a montarli per completare<br />
il puzzle. I singoli tasselli di<br />
questo mosaico arrivano da centinaia<br />
di imprese: dalle multinazionali<br />
fino alle aziende a conduzione<br />
familiare. In Campania sono centocinque<br />
e dalle loro linee escono<br />
pezzi d’acciaio, guarnizioni di<br />
gomma, vetro, tessuti, plastiche,<br />
circuiti elettronici e parti meccaniche<br />
di precisione. In pratica un’auto<br />
comprende tutti i materiali nati<br />
in un’industria di base. Poi ci sono<br />
i servizi e le attività di supporto logistico:<br />
dai trasporti all’elettricità.<br />
Il blocco della produzione in provincia<br />
di Napoli crea un effetto<br />
domino, con un indefinibile impatto<br />
sociale: <strong>senza</strong> un’industria<br />
automobilistica una regione è più<br />
povera. Il paradosso della Fiat è<br />
quello di essere un grande marchio<br />
con poche auto prodotte: appena<br />
settecentomila lo scorso anno. Gli<br />
altri veicoli venduti in Italia, duemilioni,<br />
sono importati. E il “metadone”<br />
degli ecoincentivi non ha<br />
permesso alla Real Casa del<br />
Lingotto di trasformarsi in un<br />
gigante del mercato, rimanendo un<br />
nano nel settore. Per questo<br />
Marchionne, l’amministratore delegato<br />
dell’azienda torinese, ha<br />
optato per la grande fuga: lo spostamento<br />
della produzione nei<br />
Paesi dove il lavoro costa meno.<br />
Un processo inverso rispetto a<br />
venti anni fa, quando la Fiat decise<br />
di emigrare verso sud, percorrendo<br />
il tragitto opposto a quello degli<br />
operai che negli anni Cinquanta<br />
guardavano al nord. Un viaggio<br />
verso il Mezzogiorno che consentì<br />
la nascita di stabilimenti come<br />
l’Fma di Pratola Serra (Avellino),<br />
con i circa duemila dipendenti,<br />
che producono i motori<br />
montati sulle auto assemblate<br />
a Pomigliano. Nella<br />
città dell’Alfa, prima<br />
era un corteo di<br />
tute blu e l’ essere<br />
operaio era un<br />
vanto.<br />
Oggi, invece,<br />
le strade sono<br />
invase da un<br />
esercito di<br />
cassintegrati.<br />
Gli ammortizzatori<br />
sociali, però,<br />
durano solo<br />
52 settimane e<br />
se la produzione<br />
non riprende con<br />
regolarità (per ora si<br />
lavora solo tre giorni a<br />
settimana) ci saranno<br />
ancora disoccupati.<br />
Marchionne però non chiuderà<br />
uno stabilimento composto da giovani<br />
lavoratori perché non vuole<br />
gestire una bomba sociale dagli<br />
effetti imprevedibili. <strong>La</strong> fabbrica<br />
sarà rilanciata con la Panda; stop<br />
quindi alle Alfa 159 e 147, quest’ultima<br />
destinata a uscire dal mercato<br />
nel breve periodo. E Pratola Serra?<br />
Per ora il numero uno del marchio<br />
di Torino ha risposto picche. I<br />
motori arriveranno dalla Polonia.<br />
Così, però, l’Fma rischia di chiudere<br />
i battenti. Davanti ai cancelli<br />
dello stabilimento avellinese (dove<br />
nascono i quattro cilindri da 1,6<br />
litri e il 1.900 multijet), le tute blu<br />
chiedono di produrre il piccolo<br />
1.300 diesel dell’utilitaria. Almeno<br />
per continuare a sopravvivere, perché<br />
a regime la fabbrica sforna<br />
quasi cinquecentomila motori l’anno,<br />
mentre la Panda nelle classifiche<br />
di vendita si ferma a quota<br />
240mila<br />
unità nel 2009. Per questo motivo,<br />
i lavoratori Fma sono stati in presidio<br />
permanente fino a domenica<br />
21 febbraio insieme a quelli della<br />
Logicservice.<br />
A Benevento, invece, gli addetti<br />
della Ficomirrors (che produce<br />
specchietti retrovisori) sperano<br />
ancora, così come i dipendenti della<br />
Magneti Marelli di Pomigliano.<br />
<strong>La</strong> Cablauto di Avellino, invece, ha<br />
rischiato la chiusura nel 2008, ma<br />
si è salvata grazie alla cassa integrazione,<br />
che però sta per terminare.<br />
<strong>La</strong> crisi colpisce l’indotto auto e<br />
le imprese della subfornitura non<br />
riescono a sopravvivere solo di ammortizzatori<br />
sociali. <strong>La</strong> sofferenza<br />
economica, infatti, dipende dall’incasso<br />
delle fatture, che per il 48%<br />
sono commesse del marchio di Torino.<br />
Inoltre, ogni posto di lavoro<br />
perso al Lingotto si deve moltiplicare<br />
per quattro nell’indotto:<br />
un’ecatombe occupazionale.<br />
E se la Fiat va all’estero,<br />
l’industria<br />
campana<br />
muore.<br />
<strong>La</strong> distribuzione in percentuale<br />
delle imprese campane<br />
collegate all’indotto della Fiat<br />
e sotto divise per tipologia<br />
(dati pubblicati nel 2008<br />
dall’Università di Salerno)<br />
C’era<br />
una volta<br />
la 159<br />
Erano gli anni 70: l’Alfa (Anonima<br />
Lombarda Fabbrica Automobili)<br />
costruisce il suo stabilimento<br />
a Pomigliano d’Arco,<br />
che da allora viene battezzato<br />
come il suo primo modello:<br />
l’AlfaSud.<br />
Ma erano altri tempi, l’Alfa e-<br />
ra un’industria indipendente<br />
del gruppo Iri a forte partecipazione<br />
statale. Poi i tempi<br />
cambiano, tra alterne vicende<br />
la Fiat compra lo stabilimento.<br />
Così Pomigliano rafforza il<br />
suo legame con il marchio del<br />
biscione, sfornando la 33, la<br />
145 e la 155 prima; la 156 e la<br />
146 poi. Modelli di successo<br />
che rilanciano l’Alfa sui mercati<br />
e la riappropriano del segmento<br />
sportivo dell’auto italiana.<br />
Ma il successo arriva<br />
con gli ultimi la 159 e la 147:<br />
due modelli che rivoluzionano<br />
il mercato del segmento C<br />
e D, prima sostanzialmente<br />
dominato dall’auto tedesca.<br />
Pomigliano diventa lo stabilimento<br />
di punta di Fiat in Italia.<br />
Ma poi arriva la MiTo, la<br />
prima Alfa “piccola”, il prodotto<br />
per salvare il marchio durante<br />
la crisi. Un modello che<br />
è stato progettato a Milano e<br />
costruito a Torino.<br />
Da allora Pomigliano perde il<br />
rosso Alfa. E parte la cassa<br />
integrazione.<br />
<strong>La</strong> dipendenza totale dal marchio di Torino si traduce in rischio economico<br />
Cassa integrazione a raffica<br />
Dei 19.000 lavoratori il 63% costretto a vivere di ammortizzatori sociali<br />
Due consorzi per salvare le tute blu<br />
Contro la crisi<br />
Allargare la propria azione<br />
economica: questo l’obiettivo<br />
di Cosvin e Irpinia<br />
Automotive, due consorzi<br />
che operano per<br />
contrastare, in Campania,<br />
gli effetti della crisi<br />
causata dal blocco della<br />
produzione nello stabilimento<br />
di Pomigliano. Il<br />
Consorzio per lo sviluppo<br />
industriale (Cosvin)<br />
nasce grazie alla Tess Costa<br />
del Vesuvio e raggruppa<br />
otto imprese manifatturiere.<br />
Due le direzioni in cui si<br />
muove per recuperare<br />
margini di efficienza economica:<br />
supporto alla diversificazione<br />
settoriale e<br />
ristrutturazione <strong>dei</strong> processi<br />
produttivi.<br />
L’Irpinia Automotive nasce<br />
dalla spinta propulsiva<br />
della Confindustria di<br />
Avellino. È un’iniziativa<br />
che si propone di valorizzare<br />
la produzione locale<br />
di auto, con azioni di sviluppo<br />
e coordinamento<br />
tra venti imprese. Esperienze<br />
che nascono dalla<br />
necessità di ridurre la<br />
dipendenza dal Lingotto;<br />
con la voglia di essere<br />
protagonisti all’estero, soprattutto<br />
nei mercati e-<br />
mergenti. Idee giovani<br />
che rappresentano la voglia<br />
di reagire nella terra<br />
abbandonata dalla Fiat.<br />
Centocinque imprese locali: ecco gli attori<br />
del settore automobilistico in<br />
Campania. Secondo uno studio condotto<br />
da docenti universitari del gruppo<br />
Isiam (Innovazione sviluppo dell’industria<br />
auto nel Mezzogiorno), le a-<br />
ziende dell’indotto Fiat sono distribuite<br />
in tutta la regione. A rileggere i dati<br />
pubblicati nel 2008, il 52% delle imprese<br />
è localizzato nella provincia di Napoli,<br />
il 30% in quella di Avellino; poi a<br />
Salerno, Caserta e Benevento, rispettivamente<br />
con l’8, il 7 e 3%. Una fetta<br />
molto importante per il mercato della<br />
regione, con un tetto di occupati vicino<br />
a quota diciannovemila unità. In totale,<br />
il 6% <strong>dei</strong> lavoratori campani è legato in<br />
modo diretto o meno alla Fiat.<br />
<strong>La</strong> recessione economica ha provocato<br />
però un terremoto che vede il suo epicentro<br />
nello stabilimento di Pomigliano<br />
d’Arco. Da una ristrutturazione<br />
della fabbrica, che si traduce con il<br />
blocco della produzione dell’Alfa Romeo<br />
147 e 159, il rischio licenziamenti<br />
diventa realtà.<br />
Sono poco più di seimila i lavoratori<br />
che vivono con questa<br />
spada di Damocle. Quasi<br />
dodicimila, per ora, quelli<br />
che sopravvivono con la<br />
cassa integrazione: 800<br />
euro al mese, di cui l’80%<br />
erogato dall’Inps, con un<br />
prelievo sui fondi creati<br />
dagli stessi operai. L’ipotesi<br />
Panda potrebbe salvare<br />
Pomigliano, ma condannare<br />
gli altri. Francesco Pirone,<br />
ricercatore all’Università<br />
di Salerno, sottoli-<br />
nea alcuni elementi di criticità, a partire<br />
«da una bassa incidenza delle forniture<br />
campane sul totale di quelle<br />
ricevute dalla Fiat».<br />
Nel caso dell’assemblaggio «le componenti<br />
<strong>dei</strong> veicoli provenienti dall’indotto<br />
coprono l’11% del totale –<br />
aggiunge Pirone – e nel caso dell’Fma<br />
di Pratola Serra, la produzione <strong>dei</strong><br />
motori si attesta sul 10%». Percentuali<br />
analoghe si registrano per l’Irisbus di<br />
Valle Ufita. Due le aree a specializzazione<br />
produttiva: nella provincia di<br />
Salerno ci sono aziende che operano<br />
nel settore gom-ma-plastica; nella<br />
zona tra Napoli e A-vellino, invece, si<br />
concentrano gli stabilimenti che si<br />
occupano di lavorazioni meccaniche.<br />
<strong>La</strong> colpa delle im-prese locali, per<br />
Pirone, è quella di lavorare e produrre<br />
per un solo cliente: la Fiat. Una dipendenza<br />
rischiosa.