La rivolta dei senza niente
Numero 32 - Scuola di Giornalismo - Università degli Studi di Salerno
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Se proviamo a ragionare: le autostrade<br />
che hanno reso impermeabile<br />
alla pioggia un terzo della<br />
superficie dello Stivale (all’origine di<br />
disastri alluvionali) hanno favorito o no<br />
lo sviluppo dell’industria torinese dell’automobile?<br />
Quella industria che<br />
chiude Termini Imerese, fa vivere giorni<br />
d’angoscia ai lavoratori di Pomigliano<br />
d’Arco?<br />
Pensate se i Borbone avessero realizzato<br />
il Ponte di Messina. Se ne<br />
parla dai tempi di Annibale che voleva<br />
farvi passare i suoi elefanti e di<br />
un ingegnere tedesco che nel 1848<br />
presentò un progetto persuasivo.<br />
Se l’idea di oggi è quella di costruire<br />
quel ponte sullo Stretto (di sicure<br />
potenzialità criminogene in territori<br />
di mafia e ‘ndrangheta, oltre<br />
al disastro ambientale) come megamonumento<br />
a perenne memoria<br />
di un dinamico imprenditore milanese<br />
riuscito in politica, i Borbone<br />
allora quell’idea la snobbarono; che<br />
fossero insensibili al progresso<br />
della comunicazione è escluso; firmarono<br />
la prima ferrovia d’Italia.<br />
Avevano già costruito per la gloria<br />
la reggia di Caserta che sarà stata<br />
casa loro ma oggi è un monumento<br />
dell’Umanità sotto lo scudo<br />
dell’Unesco. Meglio l’Impregilo,<br />
impresa del nord o Vanvitelli?<br />
Il 19 maggio del 1770 il viaggiatore<br />
inglese Patrick Brydone sbarcò a<br />
Messina con il postale prove<strong>niente</strong><br />
da Napoli. Il Gran Tour non si era<br />
ancora spinto sino alla Sicilia;<br />
infatti si trattava del viaggio di erudizione<br />
del giovane lord Fullarton<br />
di cui Brydone, uno degli spiriti<br />
più inclini ad assimilare il Sud<br />
d’Italia metaforico e reale alla cultura<br />
europea, era il precettore.<br />
Cento anni prima di Sonnino e<br />
Franchetti (gli inventori di quel<br />
festival cartaceo delle incomprensioni<br />
sociali ed antropologiche che<br />
è giunto fino a noi come <strong>La</strong><br />
Questione Meridionale) Brydone<br />
percepì quel curioso divario tra<br />
spirito di impresa e fatalismo rassegnato<br />
al peggio che caratterizzerebbe<br />
tuttora lo sviluppo del meridione<br />
d’Italia. Ma l’analisi che tornato<br />
in patria consegnò ad un<br />
libro, A tour trough Sicily and<br />
Malta. In Letters of P. Brydone ,<br />
F.R.S. è tutt’altro che pessimistica.<br />
“…Le falde <strong>dei</strong> monti sono fittamente<br />
coltivate: il frumento, la<br />
vite, l’olivo, il gelso sono commisti<br />
insieme in una grande abbondanza…Nelle<br />
forre dell’Etna si trovano<br />
in grande quantità alberi che producono<br />
pepe e cannella spezie così<br />
ben lavorate che in forma di merci<br />
pregiate vengono esportate in tutta<br />
Europa. Paese bello ed operoso,<br />
con un industre futuro.”<br />
Infatti nel 1925, l’esportazione<br />
delle sole arance della Sicilia (coltura<br />
esente da qualsiasi sovvenzione<br />
da parte dello Stato) avrebbe<br />
reso esattamente il doppio del ricavato<br />
dall’esportazione delle automobili.<br />
Il viaggiatore inglese era giunto a<br />
queste opinioni così favorevoli alle<br />
potenzialità di quella parte di Meridione<br />
d’Italia, venendo giù dalla<br />
cima dell’Etna alla ubertosa plaga<br />
degli aranceti e <strong>dei</strong> limoneti della<br />
costa, passando per Zafferana. Ossia<br />
prima ancora di acquisire dati<br />
sulle tonnare della costa punica o<br />
di quella orientale, da Trapani a<br />
Siracusa, sulle miniere d’oro, d’argento,<br />
di allume, di pirite, delle scisti<br />
di asfalto che centocinquanta<br />
anni dopo avrebbero denunciato la<br />
pre<strong>senza</strong> di petrolio nel Ragusano,<br />
schi con nuances cromatiche come<br />
opere d’arte, di tappezzerie raffinate<br />
e di sete lavorate a pelle d’angelo<br />
sovrani e cortigiani, i ricchi, gli elegantoni,<br />
le dame preciouses e i<br />
primi astri della borghesia emergente<br />
in Europa. Dalla Russia degli<br />
zar e persino dalle Colonie d’Africa<br />
e d’America giungevano ordinazioni.<br />
Gli operai, la gente ai telai ci<br />
metteva il lavoro, l’abilità manuale<br />
e tecnica; la monarchia i soldi per<br />
comprare la materia prima, quanto<br />
occorreva in tinte e strumenti, a<br />
EDITORIALE Domenica 7 marzo 2010<br />
Da Brydone a Croce passando per i Borbone: una storia che continua ancora<br />
(continua dalla prima pagina)<br />
VANNI RONSISVALLE<br />
<strong>La</strong> ricchezzadel Sud:<br />
domande<br />
<strong>senza</strong> risposta<br />
Saraceno: «Trovare chi guida i meridionali<br />
a realizzare tutto quello di cui sono capaci»<br />
Seterie<br />
di San Leucio<br />
a Caserta Vecchia:<br />
un antico telaio<br />
in legno<br />
utilizzato<br />
per realizzare<br />
prodotti tessili<br />
di alta qualità<br />
esportati<br />
in tutto il mondo<br />
Le industrie<br />
arrivano<br />
dal Nord<br />
come<br />
se andassero<br />
in una colonia<br />
sopperire ad ogni necessità di quel<br />
piccolo mondo industriale. I guadagni,<br />
il profitto come si sarebbe<br />
didascalizzato da lì a poco dai<br />
grandi economisti contemporanei,<br />
ripartiti metà e metà, fifty-fifty.<br />
Comunismo non dissimile, ma con<br />
altri protagonisti, del genere che i<br />
gesuiti andavano sperimentando<br />
nelle missioni in Guatemala.<br />
Forme di eccellenza economicosociale<br />
che con quei debutti avrebbero<br />
fatto prevedere un destino<br />
tutt’altro che miserabile. Invece<br />
Una fabbrica<br />
abbandonata:<br />
il segnale<br />
<strong>dei</strong> numerosi<br />
investimenti<br />
sbagliati<br />
da parte<br />
di imprenditori<br />
<strong>senza</strong> scrupoli<br />
venuti<br />
dal Nord<br />
delle zolfare di Floristella. A Napoli<br />
nel frattempo i tanto chiacchierati<br />
infingardi Borbone, da cui il neologismo<br />
borbonico per significare<br />
arretratezza, trucidità politica,<br />
rozzezza culturale, inventavano –<br />
tanto per cominciare - ossia all’inizio<br />
di un elenco di altri primati<br />
futuribili – inventavano quell’esperimento<br />
di comunismo industriale<br />
della Fabbrica di San Leucio, nel<br />
Casertano.<br />
A due passi dalla Reggia si rifornivano<br />
di tessuti pregiati, di damaecco<br />
gli analisti di ieri e di oggi<br />
identificare i veri agenti patogeni:<br />
astenia sociale, mutilazione del<br />
senso dello Stato (se mai vi fosse<br />
stato). Pasquale Saraceno, avveduto<br />
economista si vantava di parafrasare<br />
Waldo Emerson così: si può<br />
affermare che quanto occorre ai<br />
meridionali è trovare chi li guidi a<br />
fare quello di cui sono capaci. Sottintendendo<br />
i politici, i sovrani, i<br />
capipopolo, i Beati Paoli, la mafia,<br />
la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra<br />
corona unita?<br />
A cosa imputare fallimenti e rare<br />
forme di prosperità dinamica? Le<br />
industrie vengono dal Nord come<br />
in colonia; perché nel Meridione<br />
non si insegna a fare impresa, si<br />
asserisce. Le fabbriche fantasma,<br />
quei capannoni diruti e spettrali<br />
nel paesaggio, rigetto di innesti<br />
sbagliati in un tessuto alieno; i villaggi<br />
fantasma – mai abitati o subito<br />
abbandonati – lasciatisi dietro<br />
dalle Riforme Agrarie anch’esse<br />
una volta finanziate dai governi<br />
5<br />
nazionali; oggi è l’Europa ad investire<br />
nel Meridione con pagine<br />
nerissime di truffe e di scandali di<br />
cui sono protagoniste le industrie<br />
del Nord, mediante il trucco <strong>dei</strong><br />
subappalti a imprese locali a cui è<br />
affidato il lavoro sporco. Una volta<br />
fu chiesto a Gesualdo Bufalino, lo<br />
scrittore di Comiso, perché tutto<br />
questo? “E’ nel Dna della gente di<br />
qui.” Atavici sensi di colpa? Fine<br />
dell’ideologia, fine del patto tra letteratura<br />
e impegno politico? Il<br />
disincanto, dopo l’euforia degli<br />
Anni Cinquanta/Sessanta quando<br />
comincia? Con l’abbandono della<br />
Italsider di Taranto, con il tourbillon<br />
della Sir di Porto Torres con<br />
seimila operai il cui destino fu<br />
segnato da un processo fiume entrato<br />
nella storia della Prima Repubblica?<br />
Quale è il suo culmine?<br />
Con Pomigliano d’Arco, Termine<br />
Imerese, l’ Italtel, le fabbriche dell’alluminio<br />
nel Sulcis sardo? Tra le<br />
prime a chiudere le zolfare (che al<br />
tempo di Patrick Brydone furono<br />
motivo di scontri bellici ai margini<br />
di una guerra tra Nazioni come<br />
l’Inghilterra e la Francia). E Priolo?<br />
e la Pirelli di Francavilla? Una compensazione<br />
c’è; ma è tutta letteraria.<br />
Pensare che <strong>senza</strong> questi sfaceli<br />
forse non avremmo romanzi,<br />
racconti e drammi di Verga, Capuana,<br />
Borgese, Ma, ed è importante<br />
che lo si ricordi in una Scuola<br />
del Giornalismo nel Mezzogiorno,<br />
sono stati i giornalisti del Sud a<br />
scrivere pagine da antologia; tra<br />
tanti, Giovanni Russo su Nuovo<br />
Mezzogiorno, il saggio magistrale<br />
<strong>La</strong> locomotiva del Sud.<br />
L’ultimo tentativo di modernizzazione<br />
e industrializzazione del<br />
Mezzogiorno d’Italia borbonico si<br />
svolse esattamente in trent’anni.<br />
Ebbe un nome ammiccante, propositivo,<br />
che intendeva radicarsi<br />
nella fattualità collettiva sincera e<br />
fraterna. Le Società Economiche,<br />
nel periodo che va dal 1831 al 1861.<br />
L’ultima data la dice lunga. Certo<br />
erano i lasciti del pensiero illuministico,<br />
la naturale conseguenza<br />
dell’opera delle riforme settecentesche<br />
attuate in Europa e nel nostro<br />
Mezzogiorno dalla legislazione<br />
economica franco-murattiana. Impulsi<br />
economico culturali provenienti<br />
da nuclei di potere e di elaborazione<br />
europei. Ragioni eticoutilitaristiche<br />
entusiasmavano le<br />
Società Economiche nel trasmettere<br />
fiducia nella produzione culturale<br />
di stampo tecnico-scientifico.<br />
Con un dettaglio curioso, la monarchia<br />
che se le era inventate le<br />
controllava severamente temendo<br />
che acquistassero una pericolosa<br />
dimensione politica contro la stessa<br />
dinastia. Tanto ci credeva. C’è in<br />
tutto questo una specie di orgoglio<br />
tonificante che l’irpino De Sanctis<br />
aveva intravisto e Benedetto Croce<br />
fece suo con il seguente enunciato<br />
(che potrebbe provocare subentranti<br />
travasi di bile ai pensatori<br />
della Lega, al rubizzo Calderoli,<br />
vera fucina di idee):<br />
I Giacobini dello stato napoletano<br />
uniti coi loro fratelli di tutta l’Italia<br />
trapiantarono in Italia l’idea<br />
della libertà secondo i tempi<br />
nuovi, come governo della classe<br />
colta e capace, intellettualmente<br />
ed economicamente operosa, abbatterono<br />
le barriere che tenevano<br />
separate le vaste regioni d’Italia<br />
specialmente la meridionale dalla<br />
settentrionale e formarono il<br />
comune sentimento della Nazione<br />
italiana, Benedetto Croce “Storia<br />
del Regno di Napoli”. Secondo<br />
Croce il vero primo impulso<br />
verso l’unità d’Italia.<br />
vannironsisvalle@virgilio.it