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MICROBIOLOGIA prof. Antonio Farris - AgrariaFree

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<strong>MICROBIOLOGIA</strong> <strong>prof</strong>. <strong>Antonio</strong> <strong>Farris</strong><br />

Alessandro Bellotto<br />

Renato Sedda<br />

CAP. 1 Microrganismi e microbiologia<br />

La microbiologia odierna è una scienza dinamica, con ramificazioni di fatto in tutte le scienza della<br />

vita. La microbiologia è lo studio dei microrganismi: numeroso gruppo di microscopici<br />

organismi tra loro diversi che possono esistere come singola cellula o come raggruppamenti di<br />

cellule. Essa studia anche i virus, microscopici ma non cellulari.<br />

Le cellule microbiche si distinguono da quelle animali e vegetali, che sono incapaci di vivere da<br />

sole in natura e possono esistere solo come parti di un organismo pluricellulare. Al contrario del<br />

macrorganismo, i microrganismi sono generalmente in grado di effettuare tutti i processi legati alle<br />

funzioni vitali di crescita, di generazione dell’energia e di riproduzione indipendentemente dalle<br />

altre cellule.<br />

La microbiologia studia i microrganismi ed è considerata una scienza di base e una scienza<br />

applicata.<br />

Come scienza biologica di base, essa offre alcuni importanti strumenti per capire i meccanismi dei<br />

processi vitali; le cellule microbiche condividono molte proprietà biochimiche con quelli degli<br />

organismi pluricellulari; questo aspetto, unito al fatto che i microrganismi possono crescere in<br />

colture di laboratorio ad alta densità cellulare, per effettuare studi di biochimica e genetica, li rende<br />

un modello di studio eccellente per la conoscenza delle funzioni cellulari negli organismi superiori.<br />

La cellula del lievito è utilizzata come modello di riferimento nella descrizione della cellula<br />

eucariotica.<br />

Come scienza applicata, la microbiologia si occupa di problemi pratici di grande importanza in<br />

medicina, agricoltura (per esempio la fertilità dei suoli e l’humus) e industria (soprattutto nella<br />

trasformazione). (fermentazione alcolica lieviti; fermentazione lattica batteri).<br />

Biosfera: spazio dove è possibile la vita, con T e P idonee.<br />

Le due condizioni fondamentali perché la vita sia possibile sono le sostanze nutritive e l’energia.<br />

La biosfera è un sistema aperto: arriva tutta l’energia necessaria senza che si preoccupi di<br />

riutilizzarla, perché la fonte, il sole, continua ad inviarla.<br />

L’energia, che viene captata dalle piante e trasformata in energia chimica, attraverso i livelli trofici<br />

viene trasformata in energia non più utilizzabile (calore).<br />

Per quanto riguarda le sostanze nutritive, la materia è sempre la stessa ed è presente in forme<br />

diverse. Le piante (autotrofe) necessitano di sostanze inorganiche, mentre gli eterotrofi di sostanza<br />

organica. La degradazione della sostanza organica, nel ciclo della materia, produce H2O, CO2 e sali<br />

minerali.<br />

I microrganismi fanno parte dell’anello che unisce la sostanza organica a quella inorganica. Altri<br />

organismi (mesofauna) fanno parte di tale anello: per esempio il lombrico (anche 14 quintali per<br />

ettaro di terreno) fa passare il terreno nel suo corpo degradandone il 25% e sminuzzandone il 75% .<br />

Tutti i microrganismi sono ecologicamente utili perché fanno parte del sistema vita; ma per<br />

l’interesse dell’uomo possono risultare utili (per es. i batteri acetici nella produzione dell’aceto) o<br />

dannosi (per es. i batteri che acidificano il vino e i patogeni).<br />

I microrganismi (per lo più eterotrofi) hanno un ruolo centrale nei confronti delle attività umane e di<br />

tutti gli aspetti che riguardano la vita sulla terra; in loro assenza nessuna forma vivente avrebbe<br />

potuto apparire o potrebbe oggi essere presente; basti pensare che l’ossigeno che respiriamo è il<br />

risultato dell’attività microbica (i cianobatteri o alghe azzurre sono i primi organismi aerobi<br />

comparsi sulla Terra e sono azoto fissatori che liberano ossigeno).<br />

1


La cellula è l’unità fondamentale della vita.<br />

La membrana cellulare è la barriera che separa il compartimento interno dall’esterno e inoltre<br />

regola il flusso delle sostanze attraverso essa.<br />

Una struttura chiave è il nucleo (presente solo negli eucarioti, con membrana e più cromosomi)<br />

oppure il nucleoide (presente nei procarioti, senza membrana e un solo cromosoma circolare), dove<br />

sono localizzate le informazioni genetiche (DNA), e il citoplasma, dove sono presenti tutte le<br />

strutture deputate alla crescita e al funzionamento cellulare.<br />

Tutte le cellule sono costituite da almeno 4 componenti chimici: PROTEINE, ACIDI NUCLEICI,<br />

LIPIDI E POLISACCARIDI.<br />

La cellula è un sistema aperto che si relaziona con l’ambiente; in condizioni non idonee è in<br />

grado di rallentare o di bloccare il metabolismo, inoltre ci sono cellule che in condizioni sfavorevoli<br />

creano una struttura di resistenza: la spora.<br />

Una volta comparsa la prima cellula (circa 4 miliardi di anni fa) sono seguiti eventi come lo<br />

sviluppo e la divisione per formare popolazioni di cellule da cui l’evoluzione ha potuto operare<br />

selezioni per migliorare e diversificare, quindi è sorta l’enorme diversità di tipi cellulari tuttora<br />

esistenti. Dal momento che le cellule sono costituite dalle 4 classi di macromolecole e condividono<br />

aspetti comuni, si può ipotizzare che tutte le cellule discendano da un comune antenato.<br />

I microrganismi ricavano Energia e trasmettono i caratteri alla progenie.<br />

2


Caratteristiche dei sistemi viventi<br />

3


Le cellule vivono in natura in associazione con altre cellule in una sorta di agglomerato chiamato<br />

popolazione. Le popolazioni sono quindi composte da gruppi di cellule correlate, generalmente<br />

derivate da una singola cellula per successive divisioni cellulari. Il luogo dove la popolazione<br />

microbica vive si chiama habitat.<br />

In natura raramente le popolazioni vivono isolate, eccetto in alcuni casi particolari, come nella<br />

fermentazione alcolica del mosto; esse convivono e interagiscono con altre popolazioni cellulari<br />

assemblate nelle comunità microbiche, consistenti di cellule plantoniche in ambienti acquatici, ma<br />

molto più spesso adese a formare biofilm su superfici viventi e non viventi.<br />

L’efficienza di una comunità microbica in un dato habitat è determinata in gran parte dalle<br />

caratteristiche fisico-chimiche dell’ambiente. L’ecosistema è l’insieme degli organismi viventi e<br />

delle caratteristiche chimico-fisiche del loro ambiente. Le proprietà di un ecosistema sono spesso<br />

sotto il controllo di attività microbiche.<br />

Nelle comunità microbiche le diverse specie di microrganismi sono responsabili di molti fenomeni,<br />

come per esempio le trasformazioni.<br />

Solo alcune trasformazioni sono specifiche, cioè operate da gruppi puri di microrganismi della<br />

stessa specie, come la nitrificazione (da ammonio ad N nitrico NO3, utilizzabile dagli organismi<br />

autotrofi). (Solo il riso riesce a utilizzare, in piccola parte, anche sali di ammonio NH4 + ).<br />

Gli ecosistemi naturali sono regolati dall’attività dei microrganismi e per esempio nei pascoli la<br />

fertilità è garantita da essi (gli azoto-fissatori possono apportare anche 300 Kg N anno/ha).<br />

La mineralizzazione si ottiene anche con gli incendi, con la grossa differenza che si salta<br />

l’importante fase intermedia della formazione dell’humus, che è in grado di trattenere l’umidità e le<br />

sostanze nutritive, e che determina la struttura e la fertilità del suolo stesso. L’incenerimento, anche<br />

dei rifiuti, è il peggiore metodo di degradazione e smaltimento.<br />

Le cellule microbiche sono troppo piccole per essere viste a occhio nudo (può distinguere fino ad<br />

1/10 di mm) ed è necessario l’uso del microscopio.<br />

In un cm quadrato di pelle ci sono 100mila microrganismi e nella testa sono presenti in maggiore<br />

numero. Il numero totale delle cellule microbiche sulla Terra, specificatamente dei procarioti<br />

(detti anche batteri), è dell’ordine di 5 x 10 30 cellule.<br />

Le cellule procariotiche, nella loro infinitesima dimensione, costituiscono la maggior quota di<br />

biomassa presente sulla Terra e una fondamentale riserva di nutrienti essenziali per la vita.<br />

In un grammo di terra ci possono essere anche 10 12 microrganismi.<br />

In un ml di mosto in fermentazione, ci sono un miliardo di lieviti.<br />

4


Impatto dei microrganismi sulle attività dell’uomo<br />

I MICRORGANISMI COME AGENTI DI MALATTIA<br />

All’inizio dell’ XX secolo la principale causa di mortalità era rappresentata dalle malattie infettive<br />

(influenza, polmonite, tubercolosi e gastroenterite), che attualmente rappresentano un problema di<br />

importanza minore. Il controllo delle malattie infettive è stato il risultato di una completa<br />

comprensione del processo infettivo e dell’utilizzo degli agenti antimicrobici.<br />

Pur vivendo oggi in un epoca in cui i microrganismi patogeni sono tenuti sotto controllo, essi<br />

possono rivelarsi una grave minaccia alla sopravvivenza degli individui in particolari situazioni<br />

patologiche (affetti da AIDS o da microrganismi multiresistenti agli antibiotici).<br />

Tuttavia la maggior parte dei microrganismi non sono dannosi per l’uomo bensì benefici, essendo<br />

responsabili di processi di grande valore per le società umane.<br />

Consideriamo qualche esempio:<br />

5


- I MICRORGANISMI E L’AGRICOLTURA<br />

Tutto il nostro sistema dell’agricoltura dipende in gran parte dalle attività microbiche; le<br />

leguminose sono piante che vivono in stretta associazione con una specie batterica che forma alle<br />

loro radici strutture chiamate noduli; in questi ultimi l’N2 atmosferico è convertito in un composto<br />

azotato fissato che può essere usato dalle piante nel loro sviluppo. Tali piante sono in grado di dare<br />

al suolo 200-300 Kg N anno/ha.<br />

Altri gruppi microbici di fondamentale importanza in agricoltura sono quelli che intervengono nel<br />

processo digestivo dei ruminanti.<br />

I microrganismi svolgono inoltre un ruolo chiave nel riciclaggio di importanti nutrienti per la<br />

nutrizione delle piante, in particolare C, N, S, rendendoli accessibili alle piante.<br />

Tuttavia i microrganismi possono essere anche dannosi per piante e animali provocando infezioni.<br />

- I MICRORGANISMI E GLI ALIMENTI<br />

I microrganismi ricoprono una funzione fondamentale nell’industria alimentare.<br />

Il deterioramento delle derrate alimentari si riflette ogni anno in un danno economico enorme.<br />

L’industria alimentare (inscatolamento, congelamento e liofilizzazione) prepara gli alimenti in<br />

modo che non vengano danneggiati dai microrganismi.<br />

Tuttavia, non tutti i microrganismi sono dannosi per gli alimenti o per coloro che se ne nutrono, per<br />

esempio i prodotti lattiero caseari (formaggio, yogurt e burro) vengono lavorati, almeno in parte,<br />

dalle attività di alcuni microrganismi.<br />

Allo stesso modo crauti, sottaceti, salumi e insaccati devono il loro grado di maturazione all’attività<br />

microbica.<br />

I prodotti da forno e le bevande alcoliche sono il risultato dell’azione dei lieviti.<br />

I microrganismi sono utili nella conservazione della frutta, per esempio sono spruzzati sulla buccia<br />

delle arance per evitare lo sviluppo di muffe.<br />

Si è sviluppata una branca della microbiologia che studia e seleziona microrganismi detti “starter”<br />

per determinate finalità.<br />

- MICRORGANISMI, ENERGIA E AMBIENTE<br />

Gran parte del gas naturale (metano) è prodotto dall’attività microbica da parte dei batteri<br />

metanogeni.<br />

I microrganismi fototrofi utilizzano energia luminosa per produrre biomassa (energia conservata in<br />

organismi viventi). La biomassa microbica e molti dei prodotti di scarto (domestici, agricoli e di<br />

origine animale) possono essere convertiti in “biogas” come metano ed etanolo dall’attività di<br />

specifici microrganismi.<br />

I microrganismi possono essere utilizzati nel trattamento di composti inquinanti prodotti dalle<br />

attività umane (biorisanamento). Ne sono stati isolati molti in grado di degradare petrolio, solventi,<br />

pesticidi e altri composti tossici .<br />

- MICRORGANISMI E FUTURO<br />

Le biotecnologie si riferiscono all’uso di microrganismi (per lo più OGM) in processi industriali di<br />

larga scala.<br />

Le biotecnologie sono fortemente dipendenti dall’ingegneria genetica, disciplina che si occupa della<br />

manipolazione artificiale dei geni e dei loro prodotti.<br />

L’insulina umana (un ormone sintetizzato a bassissimo livello nei pazienti diabetici) può essere<br />

prodotto microbiologicamente inserendo il gene umano dell’insulina ingegnerizzato in un<br />

microrganismo. Quindi è evidente come i microrganismi esercitino una <strong>prof</strong>onda influenza sulle<br />

società umane; PASTEUR affermò: “il ruolo dell’infinitamente piccolo, in natura, è<br />

infinitamente grande”.<br />

6


LE RADICI STORICHE DELLA <strong>MICROBIOLOGIA</strong><br />

La scoperta dei microrganismi è legata all’invenzione del microscopio.<br />

Hooke descrisse solo i corpi fruttiferi delle muffe nel 1664 (osservate con l’impiego di uno<br />

strumento con l’obiettivo collocato alla fine di un soffietto regolabile), ma la prima persona che<br />

vide i microrganismi in dettaglio fu l’olandese Anthony Van Leeuwenhoek, estraneo agli ambienti<br />

scientifici, che nel 1684 (20 anni dopo) costruì il primo rudimentale microscopio (la lente era<br />

montata nella piastrina di ottone adiacente alla punta della vite regolabile del fuoco e permetteva di<br />

ingrandire fino a 400 volte); egli riuscì a vedere i batteri e riportò le sue osservazioni in una serie di<br />

lettere indirizzate alla Royal Society di Londra; le sue osservazioni furono in seguito confermate da<br />

altri scienziati ma la comprensione della natura e dell’importanza dei microrganismi procedevano<br />

lentamente.<br />

Solo nel secolo XIX entrò in uso e si diffuse rapidamente un microscopio più efficiente.<br />

Ciò consentì una più accurata osservazione della cellula batterica e quindi la microbiologia si<br />

sviluppò come scienza.<br />

Un botanico tedesco Cohen cominciò a interessarsi all’uso del microscopio verso il 1850 per<br />

studiare lo sviluppo e la divisione di cellule vegetali e successivamente dei cianobatteri; inoltre si<br />

appassionò allo studio delle forme batteriche resistenti al calore, che lo portò alla scoperta del<br />

genere Bacillus e al processo di formazione delle spore.<br />

Egli introdusse inoltre l’uso del cotone per chiudere tubi e fiasche per evitare la contaminazione dei<br />

terreni di coltura sterili.<br />

Nel secolo XIX una delle controversie maggiori sorse rispetto alla teoria della generazione<br />

spontanea asserita da alcuni scienziati che affermavano che i batteri si generavano spontaneamente<br />

da materiale non vivente (es. cibo lasciato all’aria andava in putrefazione).<br />

Uno degli oppositori a tale teoria fu il chimico francese Luis Pasteur che dimostrò che i<br />

microrganismi trovati nel materiale in putrefazione derivavano dalle cellule microbiche presenti<br />

nell’aria e che queste erano presenti su tutti gli oggetti.<br />

Pasteur dedusse che trattando l’alimento in modo da distruggere ogni organismo vivente si sarebbe<br />

potuto ovviare alla putrefazione.<br />

Un semplice esperimento di Pasteur con la fiasca a collo di cigno fu risolutore della controversia<br />

intorno alla generazione spontanea. L’eliminazione dei batteri o di altri microrganismi presenti in o<br />

su un oggetto è un processo detto sterilizzazione.<br />

Koch mise a punto una serie di metodi per ottenere microrganismi in coltura pura in modo da<br />

isolare solo un tipo di microrganismi per poterlo studiare.<br />

Koch osservò che sulla fetta di patata esposta all’aria e successivamente incubata si sviluppavano<br />

colonie batteriche con forme e colori caratteristici; ipotizzò che ogni colonia derivasse da una<br />

singola cellula batterica che aveva trovato le condizioni nutrizionali per crescere e moltiplicarsi;<br />

ogni colonia rappresentava quindi una colonia pura.<br />

Nei substrati liquidi non è possibile evidenziare le singole popolazioni ed è necessario utilizzare un<br />

substrato solido; Koch fece crescere i microrganismi su terreni di coltura solidi e impiegò come<br />

agente solidificante la gelatina addizionata di nutrienti; la gelatina ha diversi svantaggi primo tra<br />

tutti diventa liquida con T maggiore di 22 o C.<br />

Walter Hesse identificò un’agente solidificante più versatile grazie al suggerimento della moglie<br />

che utilizzava l’agar nella preparazione delle confetture di frutta; l’agar è un polisaccaride derivato<br />

dalle alghe rosse e rimane solido fino a 48 o C.<br />

7


Nel 1887 Petri inventò la piastra doppia; le due parti potevano essere sterilizzate separatamente<br />

dal terreno e, in seguito all’aggiunta di terreno fuso in una piastra, quella più grande poteva fungere<br />

da coperchio; le colonie che si formavano sulla superficie dell’agar rimanevano esposte all’aria e<br />

potevano essere sottoposte a manipolazioni successive.<br />

Oggi la piastra di Petri è di vetro sterilizzabile al calore o di plastica monouso.<br />

Beijerinch ha formulato il concetto di coltura di arricchimento: propose un metodo selettivo di<br />

isolamento, in cui venivano favoriti gruppi microbici specifici rispetto ad altri, solo agendo sulle<br />

condizioni colturali e di incubazioni. Egli isolò in coltura pura dei microrganismi del suolo.<br />

Sergej Vinogradskij era molto interessato alla microbiologia del suolo e scoprì i microrganismi<br />

chemio-autotrofi: isolò i batteri nitrificanti in coltura pura, dimostrando che il processo di<br />

nitrificazione (l’ossidazione dell’ NH3 a nitrati) era il risultato del metabolismo batterico e che i<br />

microrganismi utilizzavano per vivere l’energia sprigionata dalle reazioni di ossido-riduzione.<br />

La coltura di arricchimento in un tubo di vetro, chiuso da un tappo di gomma ad una estremità e<br />

all’altra con un tappo di cotone, fa si che nell’ambiente anossico si sviluppano batteri sporigeni<br />

come i clostridi, mentre all’altra estremità si sviluppano microrganismi aerobi (azotobacter).<br />

8


CAP.2 La struttura della cellula e la diversità microbica<br />

Tutte le cellule hanno una barriera che divide l’esterno dall’interno, detta membrana citoplasmatica,<br />

attraverso la quale entrano i nutrienti e le altre sostanze necessarie per la cellula e fuoriescono i<br />

prodotti di scarto.<br />

All’interno vi è il citoplasma (complessa miscela di sostanze e strutture).<br />

La parete cellulare (presente nelle cellule vegetali e nella maggior parte dei microrganismi; assente<br />

nelle cellule animali) conferisce la forza strutturale alla cellula ed è localizzata all’esterno della<br />

membrana citoplasmatica.<br />

Ci sono 2 tipi di cellule: procariotiche ed eucariotiche.<br />

Le cellule eucariotiche sono di dimensioni maggiori e strutturalmente più complesse di quelle<br />

procariotiche. Una delle loro caratteristiche più importanti (assente nelle cellule procariotiche) è la<br />

presenza del nucleo,dei mitocondri e dei cloroplasti (presenti solo nelle cellule fotosintetiche).<br />

I microrganismi eucariotici includono le alghe, i funghi, i protozoi e tutti i metazoi (piante e<br />

animali).<br />

Le cellule procariotiche hanno una struttura cellulare semplice e ai procarioti appartengono sia<br />

batteri (sono sempre apolidi) sia gli archea.<br />

In generale le cellule microbiche sono di dimensioni molto ridotte e, per esempio, un batterio<br />

bastoncellare è generalmente lungo da 1 a 5 mm e largo circa 1.<br />

9


I virus sono una classe molto numerosa di microrganismi non cellulari; una particella virale è una<br />

struttura statica, abbastanza stabile e incapace di cambiare o sostituire i suoi componenti.<br />

Solo quando infettano una cellula i virus riescono a riprodursi.<br />

I virus hanno dimensioni di molto inferiori a quelle cellulari ( 60-80nm).<br />

OPZIONI METABOLICHE PER OTTENERE ENERGIA<br />

10


I processi vitali delle cellule sono governati dal loro genoma ; un gene è un segmento di DNA che<br />

codifica una proteina .<br />

Nelle cellule procariotiche il DNA è presente sottoforma di grande molecola a doppio filamento<br />

chiamata cromosoma batterico, aggregato a formare una massa densa definita nucleoide.<br />

Il DNA è circolare in molti procarioti e la maggior parte di essi ha un cromosoma singolo (per tale<br />

motivo sono geneticamente aploidi).<br />

Molti procarioti possiedono inoltre del DNA extracromosomico organizzato in molecole circolari<br />

dette plasmidi .<br />

Nelle cellule eucariotiche il DNA è presente come molecola lineare all’interno del nucleo,<br />

impacchettato a formare i cromosomi.<br />

Gli eucarioti hanno 2 copie di ogni gene e quindi sono geneticamente diploidi.<br />

Alcune specie di procarioti prosperano in condizioni ambientali estreme: ipertermofili (alta T),<br />

psicrofili (bassa T), acidofili (basso pH), alcalofili (alto pH), Barofili (alte pressioni fondali<br />

oceanici) e alofili (alte concentrazioni di sale).<br />

CAP.4 Struttura e funzioni cellulari<br />

11


L’esame microscopico dei microrganismi si basa sull’uso del microscopio ottico(nelle applicazioni<br />

di routine) e di quello elettronico (per studi più dettagliati).<br />

Oltre all’ ingrandimento è importante la risoluzione, cioè la capacità di mostrare due punti<br />

adiacenti come distinti.<br />

Sebbene l’ingrandimento possa essere aumentato a piacere, la risoluzione è invece limitata e<br />

dipende dalle caratteristiche fisiche della luce.<br />

La risoluzione del microscopio ottico è circa 0.2mm, invece il microscopio elettronico ha una<br />

risoluzione di circa 1000 volte superiore.<br />

Si utilizzano vari tipi di microscopi ottici: in campo chiaro, a contrasto di fase, in campo scuro e a<br />

fluorescenza.<br />

Il microscopio in campo chiaro consiste di 2 serie di lenti (obiettivo e oculare) che lavorano<br />

insieme per definire l’immagine; la visualizzazione dei campioni avviene grazie alle differenze di<br />

contrasto esistenti tra gli stessi e il mezzo circostante e dovute alla capacità delle cellule di assorbire<br />

o disperdere in varia misura la luce.<br />

L’ingrandimento di un preparato microscopico è dato dal prodotto degli ingrandimenti<br />

dell’obbiettivo e dell’oculare.<br />

Il valore massimo di ingrandimento ottenibile con un microscopio ottico è di 1500 volte e mi<br />

permette di osservare i mm 1/1000 del mm, mentre con un microscopio elettronico è<br />

possibile ottenere ingrandimenti di 1000 volte maggiori (distinguo i nm . un milionesimo del<br />

mm).<br />

Per aumentare il limite di risoluzione di preparati ad elevato ingrandimento è consigliato l’uso<br />

di olio per lenti a immersione da interporre tra l’obiettivo e il preparato, che aumenta la capacità di<br />

raccolta della luce da parte di una lente.<br />

Uno dei limiti della microscopia in campo chiaro è certamente il contrasto.<br />

I coloranti usati per colorare le cellule hanno la funzione di migliorare il contrasto rendendo<br />

visibile al meglio il preparato; i coloranti sono composti organici con affinità per specifici<br />

componenti cellulari e ne sono un esempio il blu di metilene, il cristal violetto e la safranina.<br />

Invece i coloranti differenziali non colorano in maniera uguale tutti i tipi di cellule e tra questi è<br />

ampiamente utilizzata la colorazione di Gram.<br />

I batteri sono suddivisi in Gram + (si presentano colorati in viola) e Gram - (colorati in rosso); la<br />

diversa reazione alla colorazione di Gram è dovuta a differenze strutturali nella parete cellulare,<br />

per cui l’etanolo è in grado di decolorare un batterio Gram - ma non un Gram + .<br />

Per l’identificazione di un batterio sconosciuto è indispensabile stabilire per prima cosa se esso sia<br />

Gram + o Gram - (tramite il microscopio a fluorescenza la procedura sarebbe molto più rapida).<br />

12


Il microscopio a contrasto di fase è stato sviluppato per migliorare le differenze di contrasto tra le<br />

cellule e il mezzo circostante.<br />

Il microscopio in campo scuro è un microscopio ottico in cui il sistema di illuminazione è stato<br />

modificato in modo che raggiunga il preparato solo lateralmente; l’unica luce che raggiunge la lente<br />

è quella dispersa dal campione, quindi esso appare chiaro in campo scuro.<br />

Il microscopio a fluorescenza si utilizza nel caso di campioni che emettono fluorescenza, a causa<br />

della presenza nella cellula di substrati fluorescenti, come la clorofilla, o in seguito a trattamento<br />

con un colorante fluorescente.<br />

Il microscopio elettronico a trasmissione è utile per lo studio della struttura interna; in esso un<br />

fascio di elettroni sostituisce la radiazione luminosa e le lenti sono costituite da elettromagneti.<br />

Il microscopio elettronico a scansione è utile per immagini tridimensionali ma si può visualizzare<br />

solo la superficie di un oggetto; il campione, prima di essere attraversato dal fascio di elettroni,<br />

viene ricoperto da un sottile strato di un metallo pesante, come per esempio l’oro.<br />

MORFOLOGIA E DIMENSIONI DELLE CELLULE BATTERICHE<br />

Alcuni gruppi batterici sono facilmente riconoscibili a causa delle loro forme, ne sono esempi i<br />

cocchi, i bastoncelli, gli spirilli, le spirochete (batteri spiraliformi), i batteri peduncolati (le cui<br />

cellule possiedono estrusioni a forma di lunghi tubi o peduncoli) e i batteri filamentosi (formano<br />

lunghe e sottili cellule o catene di cellule).<br />

13


Le dimensioni delle cellule procariotiche variano da diametri di appena 0.1-0.2 mm a diametri<br />

fino a 50 mm.<br />

I batteri sono circa 10 volte più piccoli dei lieviti.<br />

Le dimensioni medie di un procariote bastoncellare (E.coli) sono di 1x3mm; per fare un<br />

confronto, il diametro delle cellule eucariotiche può variare da 2 a oltre 200mm.<br />

Le ridotte dimensioni cellulari dei Procarioti sono responsabili di numerose proprietà biologiche;<br />

per esempio, la velocità con cui le sostanze nutritive e i prodotti di scarto entrano ed escono dalla<br />

cellula, fattore influenzante la velocità del metabolismo cellulare e quella di crescita , è<br />

inversamente proporzionale alle dimensione della cellula.<br />

Ciò perché la velocità di trasporto è in parte funzione della superficie di membrana disponibile e,<br />

relativamente al volume delle cellula, le cellule piccole hanno una maggiore superficie<br />

disponibile rispetto a quelle grandi.<br />

14


Questo concetto è facilmente esemplificato da una sfera, in cui il volume è funzione del cubo del<br />

raggio (V=4/3pr 3 ), mentre la superficie è funzione del quadrato del raggio (S=4pr 2 ).<br />

Il rapporto superficie/volume di una sfera può essere quindi espresso come 3/r.<br />

Quindi una cellula con r piccolo avrà un rapporto superficie/volume maggiore di una cellula più<br />

grande, e quindi potrà avere scambi più efficienti di sostanze nutritive con l’ ambiente esterno.<br />

Questa differenza nel rapporto S/V si manifesta con un tasso di sviluppo più rapido, con la<br />

formazione di popolazioni microbiche più ampie in cellule più piccole piuttosto che in cellule più<br />

grandi. (il vino invecchia prima nella botte piccola che in quella grande).<br />

Tali parametri influenzano a loro volta l’ecologia microbica (un elevato n ° di cellule con un<br />

metabolismo rapido può portare cambiamenti fisici-chimici fondamentali all’ecosistema anche in un<br />

breve periodo di tempo).<br />

I nanobatteri sono batteri molto piccoli le cui dimensioni sono dell’ordine di 0.1mm.<br />

LA MEMBRANA CELLULARE<br />

La membrana citoplasmatica è una struttura sottile, spessa soltanto 8nm, che circonda<br />

completamente la cellula separandone l’interno (il citoplasma) dall’ambiente.<br />

Essa è anche una barriera altamente selettiva in quanto permette alla cellula di concentrare al suo<br />

interno specifici composti metabolici e di espellere all’esterno sostanze di rifiuto.<br />

La struttura generale delle membrane biologiche è un doppio strato lipidico; i fosfolipidi<br />

contengono sia una componente idrofobica (acidi grassi) sia una componente idrofilica (glicerolo).<br />

15


Nel doppio strato gli acidi grassi sono rivolti all’interno a costituire un ambiente idrofobico e le<br />

porzioni idrofiliche sono esposte verso il mezzo acquoso.<br />

L’unità di membrana consiste di un doppio strato fosfolipidico che ingloba al suo interno<br />

molecole proteiche.<br />

Una delle principali differenze nella composizione chimica tra cellule eucariotiche e procariotiche è<br />

il fatto che le prime possiedono nelle loro membrane steroli, assenti invece nelle membrane di quasi<br />

tutti i procarioti. La presenza degli steroli nella membrana contribuisce a stabilizzarne la struttura e<br />

a renderla meno flessibile.<br />

Molecole simili agli steroli, chiamate opanoidi, sono presenti nella membrana citoplasmatica di<br />

molti batteri e possono svolgere funzione simile a quella degli steroli nelle cellule eucariotiche.<br />

Il diploptene, un opanoide a 30 atomi di C, è quello più diffuso in natura.<br />

La membrana citoplasmatica ha un fondamentale ruolo nelle funzioni cellulari.<br />

In primo luogo rappresenta una barriera di permeabilità.<br />

Inoltre la membrana è la sede di diverse proteine molte delle quali enzimi ,coinvolti nel trasporto<br />

di sostanze dall’esterno verso l’interno e viceversa.<br />

Il plasmalemma è anche sede della conservazione dell’energia cellulare; essa può esistere in<br />

forma energeticamente “attiva” quando attraverso la sua superficie si ha una separazione degli H +<br />

dagli OH - . Lo stato energizzato della membrana, detto forza proton-motrice, è determinante<br />

nell’avanzamento di alcune funzioni cellulari che richiedono energia, comprese alcune forme di<br />

trasporto, la motilità e la biosintesi di ATP .<br />

16


La natura idrofobica della membrana citoplasmatica fa si che solo alcune piccole molecole<br />

idrofobiche possano passare attraverso essa; le molecole d’acque sono sufficientemente piccole per<br />

attraversarla ed il trasporto può essere accelerato da trasportatori specifici (acquaporine).<br />

Le proteine di trasporto permettono l’accumulo di soluti all’interno della cellula contro un<br />

elevato gradiente di concentrazione.<br />

Il trasferimento mediato da trasportatori determina una maggiore concentrazione all’interno della<br />

cellula e mostra un effetto di saturazione, cioè anche a basse concentrazioni di substrato il tasso di<br />

captazione è massimo e la concentrazione del substrato è sufficientemente elevata da saturare il<br />

trasportatore.<br />

Una peculiarità del meccanismo del trasporto mediato è la sua natura altamente specifica.<br />

Inoltre la sintesi delle proteine di trasporto è regolata dalla cellula, cosicché la presenza di<br />

specifici trasportatori sulla membrana è funzione sia dei nutrienti presenti sia della loro<br />

concentrazione nel mezzo.<br />

Nei procarioti ci sono oltre 200 sistemi di trasporto e la traslocazione (trasporto fuori dal<br />

plasmalemma) delle proteine avviene attraverso l’attività di proteine chiamate traslocasi.<br />

Nei batteri l’esportazione delle proteine è un processo molto importante, in quanto molti enzimi<br />

batterici funzionano all’esterno della cellula; per esempio, alcuni enzimi come le amilasi o cellulasi<br />

sono escrete direttamente nell’ambiente dove idrolizzano amido e cellulosa trasformandoli in<br />

glucosio che viene utilizzato dalla cellula come fonte di carbonio e di energia.<br />

Inoltre, molti batteri patogeni secernono nell’ospite, durante il processo infettivo, tossine o altre<br />

proteine dannose.<br />

17


LA PARETE CELLULARE DEI PROCARIOTI<br />

La concentrazione dei soluti all’interno della cellula sviluppa una notevole pressione che in un<br />

batterio come E. coli può raggiungere le 2 atm. I batteri sono provvisti di parete cellulare per<br />

sopportare la pressione, che inoltre conferisce alla cellula forma e rigidità.<br />

La parete cellulare procariotica può essere messa in evidenza in sezioni sottili in un preparato di<br />

microscopia elettronica.<br />

I batteri possono essere divisi in 2 gruppi principali (Gram + e Gram - ) utilizzando la colorazione di<br />

Gram, che li differenzia in relazione alle diversità strutturali della parete cellulare.<br />

Nei Gram - è una struttura complessa e multi-stratificata, mentre nei Gram + consiste di un<br />

singolo tipo di molecola ( il peptidoglicano) ed è molto più spessa.<br />

Nella colorazione di Gram un complesso insolubile di cristal-violetto si forma all’interno della<br />

cellula: esso viene estratto dall’alcol nei Gram - ma non nei Gram + . Questi ultimi, infatti , hanno una<br />

parete cellulare molto spessa che si disidrata in presenza di alcol. Ciò comporta che i pori della<br />

membrana si chiudano, impedendo al complesso insolubile cristal-violetto di fuoriuscire.<br />

Lo strato di peptidoglicano o mureina è il principale responsabile della rigidità della cellula ed<br />

ogni suo strato è una sottile lamina costituita da 2 derivati polisaccaridici, l’ N-acetilglucosamina<br />

e l’acido N-acetilmuramico, e da un piccolo gruppo di aminoacidi (L-alanina, D-alanina; acido<br />

D-glutamico e Lisina o, in alternativa, acido diaminopimelico).<br />

Le catene di glicano (legami b1,4) sono tenute insieme da legami crociati peptidici tra<br />

aminoacidi, che conferiscono la robustezza propria della struttura peptidoglicanica.<br />

La lunghezza delle catene di peptidoglicano e la quantità di legami crociati sono responsabili della<br />

forma caratteristica dei batteri.<br />

Nei batteri Gram + il peptidoglicano rappresenta più del 90% della parete cellulare e molti di<br />

essi ne posseggono più di 25 strati.<br />

Nei Gram - soltanto il 10% circa della parete è costituito da peptidoglicano (1 o pochi strati), la<br />

parte restante è costituita invece dalla membrana esterna.<br />

Il peptidoglicano è presente solo nei batteri: sia l’acido N-acetilmuramico sia l’acido<br />

diaminopimelico sono del tutto assenti nella parete cellulare degli Archea e degli Eucarioti.<br />

Comunque, non tutti i batteri hanno l’acido diaminopimelico nel peptidoglicano; questo aminoacido<br />

è presente in tutti i Gram - e in alcune specie di Gram + ; in queste ultime troviamo perlopiù Lisina o<br />

altri aminoacidi.<br />

Il peptidoglicano può essere distrutto da diversi agenti chimici e uno di questi è l’enzima lisozima,<br />

una proteina che rompe i legami b1,4 tra l’ N-acetilglucosamina e l’acido N-acetilmuranico del<br />

peptidoglicano, indebolendo fortemente la struttura. Quindi l’acqua può entrare nella cellula<br />

facendola rigonfiare e infine scoppiare in un processo detto lisi.<br />

Il lisozima viene naturalmente isolato dalle secrezioni animali, per esempio le lacrime e la saliva;<br />

probabilmente svolge una funzione fondamentale come prima linea difensiva contro le infezioni<br />

batteriche.<br />

18


Il lisozima è impiegato nel settore lattiero-caseario per debellare i Clostridi e altri batteri dannosi.<br />

La lisi cellulare può inoltre essere utile ( per es. nella produzione degli Spumanti Franciacorta)<br />

perché con essa sono rilasciate molte sostanze ed aminoacidi.<br />

Il protoplasto è la cellula osmoticamente protetta (in soluzione isotonica) la cui parete cellulare è<br />

stata rimossa. Lo sferoplasto invece contiene frammenti di parete attaccati alla membrana<br />

citoplasmatica che lo circonda.<br />

La maggior parte dei procarioti non può sopravvivere senza la parete cellulare, tuttavia esistono<br />

delle eccezioni, come i micoplasmi, un gruppo di microrganismi patogeni.<br />

I batteri Gram - possiedono uno strato esterno alla parete, la membrana esterna<br />

lipopolisaccaridica.<br />

Pur essendo un doppio strato lipidico, esso non è costituito soltanto da fosfolipidi ma contiene<br />

anche polisaccaridi e proteine strettamente legati tra loro a formare specifiche strutture<br />

lipopolisaccaridiche. Quindi la membrana esterna viene spesso chiamata strato lipopolisaccaridico.<br />

19


Un importante proprietà biologica della membrana esterna di molti Gram - è la tossicità per<br />

gli animali.<br />

Tra i Gram - patogeni per l’uomo vi sono membri dei generi Salmonella, Shigella e Escherichia.<br />

Le proprietà tossiche dipendono da un composto tossico (endotossina) presente in una porzione<br />

della membrana esterna.<br />

A differenza della membrana citoplasmatica ,la membrana esterna dei batteri Gram - , pur essendo<br />

essenzialmente un doppio strato lipidico, è parzialmente impermeabile a piccole molecole.<br />

Ciò avviene grazie alla presenza di piccole proteine dette porine con funzione di canali attraverso la<br />

membrana esterna , permettendo l’entrata e l’uscita di sostanze idrofiliche a basso peso molecolare.<br />

Una delle funzioni principali della membrana esterna si ritiene sia quella di impedire che alcuni<br />

enzimi, localizzati all’esterno della membrana citoplasmatica in una regione chiamata periplasma,<br />

diffondano al di fuori dalla cellula .<br />

In E.coli il periplasma ha uno spessore di circa 12-15nm e una consistenza gelatinosa.<br />

Il periplasma contiene parecchie proteine, tra cui enzimi idrolitici, e i chemiorecettori, proteine<br />

coinvolte nella risposta chemiotattica.<br />

LA LOCOMOZIONE MICROBICA<br />

Molti procarioti sono dotati di mobilità; questa capacità dipende in genere da una particolare<br />

struttura, il flagello (non è visibile al microscopio ottico).<br />

20


Alcune cellule batteriche si muovono sulle superfici solide tramite lo scivolamento e alcuni<br />

microrganismi acquatici possono controllare la loro posizione in acqua grazie alla presenza di<br />

strutture intracellulari ripiene di gas, dette vescicole gassose.<br />

La maggior parte dei procarioti dotati di motilità si muove comunque grazie ai flagelli .<br />

Potersi spostare in una nuova posizione può offrire alla cellula nuove opportunità e nuove risorse<br />

nutrizionali.<br />

I flagelli batterici sono appendici cellulari lunghe e sottili, libere a una estremità e intimamente<br />

legate alla cellula dall’altra. Essi sono così sottili (circa 20nm) da essere facilmente visibili solo al<br />

microscopio elettronico.<br />

I flagelli sono disposti in modo diverso nei diversi batteri.<br />

Nella distribuzione polare sono attaccati a uno (batterio monotrico) o entrambi i poli della cellula<br />

(batteri anfitrichi).<br />

Talvolta un ciuffo di flagelli può originarsi a una estremità della cellula (batteri loffotrichi).<br />

Nella distribuzione peritrica i flagelli si originano da numerosi punti della superficie della cellula.<br />

Il tipo di disposizione dei flagelli, oltre alla funzione nella motilità batterica, trova utilità nella<br />

classificazione batterica.<br />

I flagelli hanno una struttura elicoidale e presentano, tra due sinuosità adiacenti, una lunghezza<br />

d’onda, che è costante per ogni specie.<br />

Il filamento dei flagelli batterici è costituito da numerose subunità di una proteina detta flagellina.<br />

La regione basale del flagello ha una struttura diversa da quella del filamento.<br />

Essa è costituita da una regione più ampia, detta uncino, formata da un singolo tipo di proteina e<br />

con la funzione di connettere il filamento alla porzione del motore del flagello.<br />

Il motore flagellare, ancorato alla membrana citoplasmatica e alla parete cellulare, è formato da<br />

una piccola regione bastoncellare centrale che passa attraverso un sistema di anelli.<br />

Nei Gram - la coppia esterna di anelli è ancorata allo strato lipopolisaccaridico e al peptidoglicano<br />

della parete cellulare, mentre la coppia più interna è localizzata all’intorno della membrana<br />

citoplasmatica.<br />

Nei batteri Gram + , privi dello strato lipopolisaccaridico esterno, è presente solo la coppia più<br />

interna. Intorno ad essa e ancorate alla membrana citoplasmatica ci sono delle proteine dette Mot,<br />

che controllano il motore, che con una torsione fa ruotare il filamento.<br />

Un altro gruppo di proteine, dette Fli , funge da invertitore, ribaltando la rotazione del flagello in<br />

risposta a segnali intracellulari.<br />

21


Per la sintesi dei flagelli e per il processo di motilità sono necessari numerosi geni: in E.coli ne sono<br />

stati identificati oltre 40. Il flagello non cresce dalla base come nel caso dei peli animali, ma dalla<br />

punta. Le molecole di flagellina sintetizzate nel citoplasma passano attraverso un canale di 3nm<br />

all’interno del filamento e vengono assemblate all’estremità terminale per formare il flagello. Qui si<br />

trova una proteina detta Cap che ha il ruolo di organizzare le molecole di flagellina per formare una<br />

nuova porzione di filamento.<br />

Ogni singolo flagello è una struttura rigida che non si flette ma si muove per rotazione, come<br />

un’ elica.<br />

Il corpo basale impartisce il movimento rotatorio del flagello (il principale è antiorario).<br />

L’energia richiesta per la rotazione del flagello proviene dalla forza-motrice.<br />

La dissipazione del gradiente protonico attraverso la membrana mediata dal complesso Mot fa<br />

ruotare il flagello, ed è stato calcolato che devono essere traslocati circa 1000 H + affinché possa<br />

avvenire un singolo movimento rotatorio. I flagelli non ruotano a velocità costante e la rotazione<br />

flagellare può fare avanzare un batterio in un terreno liquido alla velocità di 60 lunghezze<br />

cellulari/secondo. Benché ciò significhi un avanzamento pari a 0,00017 Km/h, se compariamo<br />

questa velocità con quella di un animale superiore in termini di lunghezze per secondo notiamo che<br />

i batteri sono estremamente veloci. L’animale più veloce del mondo, il ghepardo, si muove alla<br />

velocità massima di 121 Km/h, equivalente a circa 25lunghezze al secondo. I microrganismi<br />

peritrichi in genere si muovono in linea retta, in modo lento e uniforme, mentre i microrganismi<br />

polari procedono più rapidamente, muovendosi qua e la a scatti.<br />

22


Alcuni procarioti si muovono attraverso una superficie solida mediante un processo definito<br />

scivolamento. Tale tipo di movimento è considerevolmente più lento (circa 10 mm/sec) di quello a<br />

propulsione mediato dal flagello.<br />

I batteri che si muovono per scivolamento sono filamentosi o bastoncellari.<br />

Benché non sia stato ancora ben identificato nessun meccanismo di movimento per scivolamento, vi<br />

sono indicazioni che tale fenomeno avvenga secondo modalità diverse.<br />

Nei cianobatteri tale movimento è accompagnato dalla secrezione di una sostanza mucosa (slime) di<br />

natura polisaccaridica; man mano che viene escreto, lo slime aderisce sulla superficie solida e la<br />

cellula viene spinta nel suo avanzamento.<br />

In altri batteri il movimento per scivolamento è indotto da un movimento delle proteine della<br />

superficie cellulare; in questo modello, le proteine specifiche per la motilità sono ancorate nella<br />

membrana citoplasmatica e nella membrana esterna e si ipotizza che sospingano le cellule in avanti<br />

e indietro con un meccanismo a ruota dentata.<br />

Benché la motilità non sia un carattere presente in tutti i procarioti, essa conferisce un vantaggio<br />

selettivo in ambienti particolari.<br />

I procarioti spesso incontrano in natura gradienti chimici e fisici, e l’apparato responsabile della<br />

motilità nella cellula si è evoluto per rispondere in modo positivo o negativo ad essi inducendo la<br />

cellula ad avvicinarsi o ad allontanarsi dalla molecola segnale.<br />

Questi movimenti direzionali sono detti tassie e nelle cellule batteriche se ne conoscono diverse; le<br />

due più studiate sono la chemiotassi, la risposta ad una sostanza chimica, e la fototassi, la risposta<br />

alla luce.<br />

I procarioti sono troppo piccoli per percepire un gradiente attraverso la “lunghezza” del loro corpo.<br />

Muovendosi, essi devono invece comparare lo stato fisico e chimico dell’ambiente che li circonda<br />

con la sensazione registrata pochi secondi prima.<br />

In altre parole, i batteri rispondono a un gradiente temporale anziché spaziale delle molecole<br />

“segnale” che incontrano nuotando.<br />

Le fimbrie e i pili sono simili ai flagelli ma non sono coinvolti nel movimento.<br />

Le fimbrie sono notevolmente più corte dei flagelli e molto più numerose, ma come questi sono di<br />

natura proteica. Le fimbrie consentono al microrganismo di aderire a superfici come tessuti animali<br />

nel caso dei microrganismi patogeni, o di formare pellicole o biofilm sulle superfici.<br />

I pili sono strutture simili alle fimbrie, ma generalmente sono più lunghi e presenti sulla cellula in<br />

una o più copie. E’ noto che sono coinvolti nel processo di coniugazione nei procarioti; sono inoltre<br />

coinvolti nei fenomeni di adesione ai tessuti umani da parte dei microrganismi patogeni.<br />

23


Molti procarioti contengono uno strato superficiale composto da una serie di proteine strutturate<br />

bidimensionalmente; questi strati sono chiamati Strato paracristallino o S-layer o strati S.<br />

La loro funzione principale è sconosciuta ma è probabile che funzionino almeno come una barriera<br />

esterna di permeabilità.<br />

Il glicocalice è un materiale ricco in polisaccaridi deposto all’esterno della cellula.<br />

Esso varia nei diversi organismi, e a seconda della composizione chimica in uno specifico<br />

microrganismo può essere spesso o sottile, rigido o flessibile.<br />

Gli strati rigidi sono organizzati come una fitta matrice che non permette il passaggio di particelle e<br />

che protegge il microrganismo; questo tipo di struttura è definito capsula.<br />

Alcuni batteri capsulati sono responsabili di malattie del vino (“vino che fila come l’olio”) e sono<br />

utili nel terreno perché ne migliorano la struttura.<br />

Se invece il glicocalice è di tipo flessibile, non è in grado di impedire il passaggio di particelle e<br />

questo tipo di struttura è definita strato mucoso (funzione per lo più di adesione).<br />

Gli strati polisaccaridici esterni hanno un ruolo importante nell’adesione di alcuni microrganismi<br />

patogeni ai loro ospiti.<br />

LE ENDOSPORE<br />

Alcune specie di batteri producono speciali strutture all’interno delle loro cellule chiamate<br />

endospore durante un processo definito sporulazione.<br />

Le endospore sono cellule differenziate molto resistenti al calore.(nei Lieviti e quindi negli eucarioti<br />

la spora è un gamete prodotto nella meiosi)<br />

Batteri che formano le endospore abitano comunemente il suolo ed i generi Bacillus e Clostridium<br />

sono tra i batteri sporigeni più studiati.<br />

Benché molti altri organismi oltre i batteri formino spore, l’endospora batterica è unica per il suo<br />

elevato grado di resistenza al calore.<br />

Le endospore sono resistenti anche ad altri agenti dannosi, quali disidratazione, radiazioni, acidi e<br />

disinfettanti chimici, e possono restare quiescenti per periodi di tempo estremamente lunghi.<br />

Nel 1995 un gruppo di scienziati ha ottenuto la germinazione di spore batteriche che risalivano a<br />

circa 25-40milioni di anni fa.<br />

Le spore erano conservate nell’intestino di una specie di ape estinta intrappolata in un’ambra<br />

risalente a un era geologicamente nota.<br />

Ancora più spettacolare fu la scoperta di batteri alofili isolati da cristalli di sale risalenti a oltre 250<br />

milioni di anni fa.<br />

Le spore sono impermeabili ai coloranti, proprietà che le evidenzia come regioni incolori in cellule<br />

trattate con coloranti basici come il blu di metilene.<br />

La struttura di una spora è complessa e costituita da numerosi strati di rivestimento.<br />

Lo strato più esterno, detto esosporio, è sottile e delicato.<br />

Più internamente si trova la tunica (o parete della spora) che è composta da uno o più strati proteici.<br />

Al di sotto di questa si trova la corteccia , uno strato di peptidoglicano lasso, all’interno della quale<br />

è situato il core o protoplasto della spora, costituito da strutture convenzionali quali parete<br />

cellulare, membrana citoplasmatica, citoplasma, nucleoide etc.<br />

Quindi, dal punto di vista strutturale, la spora differisce dalla cellula vegetativa principalmente per<br />

gli involucri presenti all’esterno della parete cellulare.<br />

Una sostanza chimica caratteristica delle endospore , assente nelle cellule vegetative, è l’acido<br />

dipicolinico, che è localizzato a livello del core.<br />

Le spore presentano inoltre una elevata concentrazione di ioni calcio, molti dei quali complessati<br />

con l’acido dipicolinico.<br />

24


La resistenza della spora è data da tre fattori fondamentali: gli involucri protettivi, la notevole<br />

riduzione di acqua (fino al 10%) vivendo in stato di criptobiosi, l’elevata % di calcio<br />

complessato con l’acido dipicolinico presente nel core.<br />

La germinazione è un processo, che avviene in condizioni idonee, in cui si ha la formazione della<br />

nuova cellula vegetativa a partire dall’endospora.<br />

Con la formazione dell’endospora, per es. in condizioni di emergenza, una cellula vegetativa viene<br />

convertita in una struttura incapace di crescere e molto resistente al calore.<br />

Il processo di sporulazione coinvolge una complessa serie di eventi di differenziamento cellulare.<br />

La sporulazione batterica non avviene quando le cellule sono in fase esponenziale, ma soltanto<br />

quando la crescita cellulare si blocca a causa dell’esaurimento di sostanze nutritive essenziali.<br />

Numerosi cambiamenti geneticamente determinanti controllano la transizione da sviluppo<br />

vegetativo a sporulazione.<br />

Le proteine codificate da questi geni catalizzano tutta quella serie di processi che determinano la<br />

trasformazione della cellula vegetativa con attività metabolizzante in un endospore disidratata,<br />

metabolicamente inerte ma estremamente resistente.<br />

Tramite la sterilizzazione del latte è possibile eliminare le spore.<br />

Confrontando la spora e la cellula vegetativa è possibile distinguere vari generi:<br />

- genere Clostridium (anaerobio obbligato che in presenza di aria sporifica; nel formaggio<br />

causa il “gonfiore tardivo”) ha la spora con diametro maggiore della cellula vegetativa e si trova in<br />

posizione centrale.<br />

- genere Plectridio ha la spora in posizione polare (deformazione a clava) ed il diametro è<br />

maggiore di quello della cellula vegetativa.<br />

- genere Bactridio ha la spora con diametro inferiore a quello della cellula vegetativa.<br />

LA SPORULAZIONE<br />

25


CAP.10 Genetica dei microrganismi<br />

MUTAZIONE E RICOMBINAZIONE<br />

La mutazione è un cambiamento ereditario della sequenza delle basi dell’acido nucleico del<br />

genoma di un organismo.<br />

La ricombinazione genetica è il processo mediante il quale segmenti genetici contenuti in due<br />

genomi separati vengono messi insieme in un’unica unità.<br />

Mentre generalmente la mutazione induce nella cellula cambiamenti genetici di piccola entità, la<br />

ricombinazione genetica generalmente comporta cambiamenti più significativi. Interi geni, serie di<br />

geni e anche interi cromosomi vengono trasferiti da un organismo all’altro.<br />

Anche se i procarioti, diversamente da molti eucarioti, non si riproducono sessualmente, in essi<br />

esistono meccanismi di scambio genetico che permettono sia il trasferimento di geni che la<br />

ricombinazione.<br />

Per riconoscere lo scambio genetico tra due organismi è necessario impiegare marcatori genetici il<br />

cui trasferimento possa essere identificato.<br />

A questo scopo si usano ceppi mutanti e i cambiamenti sono dovuti a una o più mutazioni del DNA<br />

dell’organismo. Queste possono coinvolgere un cambiamento in una o più paia di basi o anche<br />

l’inserzione o l’eliminazione di interi geni.<br />

Viene detto mutante un organismo il cui genoma è stato oggetto di una mutazione; quindi un<br />

mutante differisce dal ceppo parentale nel genotipo, inoltre, le proprietà osservabili del mutante, il<br />

suo fenotipo, possono essere diverse rispetto al ceppo parentale.<br />

E’ comune riferirsi a un ceppo isolato in natura come a un ceppo di tipo selvatico.<br />

A seconda della mutazione, il mutante può avere fenotipo mutante oppure fenotipo uguale a quello<br />

dei suoi parentali.<br />

Alcune mutazioni sono selezionabili, in quanto conferiscono alcuni vantaggi agli organismi che le<br />

possiedono, mentre altre sono non selezionabili, anche se portano a un <strong>prof</strong>ondo cambiamento del<br />

fenotipo di un organismo.<br />

Un esempio di mutazione non selezionabile è quella della perdita di colore in un organismo<br />

pigmentato. Tali colonie di solito non hanno ne un vantaggio ne uno svantaggio rispetto alle colonie<br />

parentali pigmentate quando crescono in piastre di agar. Si possono identificare queste mutazioni<br />

solamente esaminando un gran numero di colonie e cercando quelle differenti attraverso un<br />

processo detto screening.<br />

Una mutazione selezionabile conferisce al mutante un vantaggio in certe condizioni<br />

ambientali, per cui la progenie della cellula mutante è in grado di crescere in modo tale da<br />

sostituirsi a quella parentale.<br />

Un esempio di mutazione selezionabile è la resistenza ai farmaci: un mutante antibiotico resistente<br />

può crescere in presenza di una concentrazione di antibiotico che inibisce o uccide il parentale.<br />

E’ relativamente facile riconoscere e isolare i mutanti selezionabili scegliendo le appropriate<br />

condizioni ambientali, utilizzando come strumento genetico la selezione.<br />

Per certi tipi di mutazioni sono disponibili metodi di screening per grandi numeri di colonie.<br />

Per esempio possono essere individuati mutanti nutrizionali con la tecnica della “replica<br />

plating” (piastramento per replica).<br />

26


Con l’uso di un velluto sterile o carta da filtro viene ottenuta una stampa delle colonie dalla piastra<br />

madre sulla piastra di agar mancante di alcuni nutrienti.<br />

Le colonie di tipo parentale cresceranno normalmente, ma non quelle dei mutanti.<br />

Quindi, l’incapacità di una colonia a crescere su una piastra replicata la segnala come mutante.<br />

La colonia sulla piastra madre, che corrisponde al punto vuoto nella piastra replicata, può quindi<br />

essere prelevata, purificata e caratterizzata.<br />

Un mutante nutrizionale che richiede un fattore di crescita è detto auxotrofo e il ceppo selvatico<br />

parentale da cui l’auxotrofo deriva è detto prototrofo.<br />

LE BASI MOLECOLARI DELLE MUTAZIONI<br />

27


La mutazione può essere spontanea o indotta; quella spontanea è un evento raro (una mutazione<br />

per miliardo di cellule) e può essere il risultato dell’azione di una radiazione naturale (raggi<br />

cosmici), che altera la struttura delle basi del DNA.<br />

Mutazioni spontanee possono anche avvenire durante la replicazione, come risultato d’errore<br />

nell’appaiamento delle basi, fatto che porta a cambiamenti nel DNA replicato.<br />

Le mutazioni che coinvolgono una o pochissime paia di basi sono definite mutazioni puntiformi;<br />

queste possono risultare per sostituzione di un paio di basi nel DNA o per un’inserzione o delezione<br />

di un paio di basi.<br />

Le mutazioni generalizzate riguardano un frammento più o meno grande del genoma.<br />

SOSTITUZIONI DI PAIA DI BASI<br />

Quando in un gene si verifica una mutazione puntiforme nella regione codificante una proteina, è<br />

quasi certo che avverrà qualche alterazione nel fenotipo della cellula come conseguenza di una<br />

alterazione nella sequenza degli aminoacidi della proteina prodotta.<br />

A causa della degenerazione del codice genetico non tutte le mutazione dei geni determinano un<br />

cambiamento nella proteina stessa.<br />

Per esempio quando il DNA che codifica un singolo codone della tirosina subisce una mutazione:<br />

un cambiamento nell’RNA da UAC a UAU non ha alcun effetto, poichè anche UAU è un codone<br />

della tirosina.<br />

Le mutazioni che inducono tali cambiamenti sono dette mutazioni silenti e tali mutazioni in regioni<br />

codificanti cadono sempre nella terza base del codone.<br />

I cambiamenti nella prima o seconda base della tripletta possono spesso condurre ad alterazioni<br />

nella proteina. Per esempio un cambiamento di base da UAC ad AAC determina un cambiamento<br />

nella proteina da tirosina ad asparagina; questa viene definita mutazione missenso, perché la<br />

sequenza di aminoacidi nella proteina è cambiata, determinando l’inattivazione o una ridotta<br />

attività.<br />

28


Tuttavia, non tutte le mutazioni che determinano una sostituzione di un aminoacido portano a un<br />

mancato funzionamento della proteina e ciò dipenderà da dove avviene la sostituzione nella catene<br />

polipeptidica e dall’effetto sul ripiegamento e sull’attività catalitica.<br />

Un altro possibile risultato della sostituzione di una coppia di basi è la formazione di un codone di<br />

stop che può causare una terminazione prematura della traduzione e conseguentemente una proteina<br />

incompleta e non funzionale; tali sono dette mutazioni nonsenso .<br />

Le mutazioni puntiformi sono reversibili e un revertante è un ceppo in cui il fenotipo selvatico<br />

perso nel mutante viene ripristinato.<br />

I revertanti possono essere di due tipi; nei revertanti dello stesso sito la mutazione che ripristina<br />

l’attività si verifica nel medesimo sito in cui è accaduta la mutazione originale.<br />

Se la retromutazione non solo avviene nello stesso sito ma ripristina anche la sequenza di tipo<br />

selvatico, viene detta revertante vera.<br />

Le delezioni sono mutazioni in cui una regione del DNA viene eliminata.<br />

Le inserzioni si verificano per aggiunta di nuove basi al DNA.<br />

LA MUTAGENESI (mutazioni indotte dall’uomo)<br />

La frequenza con cui avvengono i diversi tipi di mutazione è estremamente variabile; errori nella<br />

replicazione del DNA ricorrono con una frequenza di circa 10 -7 -10 -11 per coppia di basi durante un<br />

singolo ciclo di replicazione.<br />

Mentre la frequenza di mutazioni spontanee è molto bassa, vi sono vari agenti chimici, fisici o<br />

biologici che inducono mutazioni e possono aumentarne la frequenza.<br />

Tali agenti sono detti mutageni .<br />

MUTAGENI CHIMICI<br />

Ne esistono varie classi; gli analoghi delle basi, simili nella struttura alle purine e alle pirimidine<br />

del DNA, si dimostrano difettosi nell’appaiamento.<br />

Quando uno di questi analoghi delle basi viene incorporato nel DNA, il più delle volte la<br />

replicazione può avvenire normalmente, ma occasionalmente può verificarsi un errore, con<br />

l’incorporazione di una base sbagliata nell’elica copiata.<br />

La mutazione si manifesterà durante la successiva segregazione di quest’elica.<br />

Altri mutageni chimici causano cambiamenti chimici nelle basi determinando appaiamenti difettosi<br />

o altri tipi di modificazioni come ad esempio deaminazione di A e C (acido nitroso), agiscono<br />

distruggendo le basi (agenti alchilanti). Tali agenti sono mutageni molto potenti che spesso<br />

inducono mutazioni molto più complete.<br />

Sia gli analoghi delle basi che gli agenti alchilanti inducono sostituzioni di coppie di basi.<br />

Le acridine, un altro gruppo di mutageni chimici che agiscono come agenti intercalanti tendono a<br />

inserirsi tra due paia di basi del DNA separandole inducendo mutazioni da scivolamento dello<br />

schema di lettura.<br />

LE RADIAZIONI<br />

Alcuni tipi di radiazioni sono fortemente mutagene. Possiamo dividerle in due categorie: ionizzanti<br />

e non ionizzanti ( sono quelle più utilizzate nella genetica microbica ).<br />

29


È stato ormai dimostrato come la radiazione UV a 260 nm è l’agente letale più efficiente, agendo<br />

direttamente sul DNA delle cellule colpite.<br />

Le radiazioni ionizzanti sono forme di radiazione più potenti che includono lunghezze d’onda<br />

corte come raggi X, raggi cosmici e raggi g, che causano la ionizzazione dell’acqua e di altre<br />

sostanze determinando effetti mutageni indiretti (formazione di radicali liberi tra cui il più<br />

importante è l’OH - ) che reagiscono e inattivano le macromolecole delle cellule come il DNA, sul<br />

quale si possono avere anche effetti permanenti.<br />

Le radiazioni ionizzanti vengono usate raramente per i microrganismi a causa della loro<br />

pericolosità e della difficile disponibilità.<br />

LA RICOMBINAZIONE GENETICA<br />

La ricombinazione genetica è un processo mediante il quale porzioni o intere molecole di DNA<br />

diversa origine effettuano degli scambi o si uniscono in una singola molecola.<br />

La ricombinazione generale o omologa è quel processo consistente nello scambio genetico tra<br />

sequenze omologhe di DNA di due origini differenti.<br />

Sequenze omologhe di DNA hanno una sequenza nucleotidica simile ed è per questo che si verifica<br />

l’appaiamento di basi in un’ampia regione delle due molecole di DNA; tale tipo di ricombinazione è<br />

coinvolta nel processo crossing over.<br />

Nella ricombinazione c’è sempre un DNA donatore ed un DNA ricevente; la cellula ricevente<br />

in grado di ricevere il DNA è detta competente.<br />

Nei batteri la ricombinazione omologa coinvolge la partecipazione di una proteina specifica, la<br />

proteina RecA, codificata dal gene recA.<br />

Tali proteine sono state identificate in tutti i procarioti, compresi gli archea, così pure nel lievito e<br />

negli eucarioti superiori.<br />

Il processo della ricombinazione omologa comincia con un taglio (nick), generalmente prodotto da<br />

una nucleasi in una delle molecole di DNA.<br />

Il filamento spezzato viene divaricato dall’altro filamento da proteine che hanno attività elicasica<br />

(srotolamento).<br />

30


Una proteina che lega il DNA a singola elica si associa poi al frammento risultante, seguita dalla<br />

proteina RecA, formando un complesso che facilita il riappaiamento con la sequenza<br />

complementare nel duplex adiacente, mentre simultaneamente avviene lo scostamento del filamento<br />

residente (tale processo è detto invasione del filamento).<br />

Dopo l’appaiamento, può avvenire lo scambio di molecole omologhe di DNA, che porta alla<br />

formazione di intermedi di ricombinazione.<br />

Infine le molecole legate vengono rilasciate dalla nucleasi e dalla DNA-ligasi, per formare due<br />

molecole ricombinanti.<br />

Tale meccanismo avviene frequentemente in modo spontaneo all’interno della cellula e la<br />

probabilità di ricombinazione tra due geni è proporzionale alla loro distanza.<br />

Affinché possano emergere nuovi genotipi è essenziale che le due sequenze omologhe siano<br />

geneticamente distinte. Le due molecole distinte sono messe insieme come risultato della<br />

riproduzione sessuale (processo presente nella maggior parte degli eucarioti).<br />

Anche nei procarioti la ricombinazione genetica è molto importante e i frammenti di DNA<br />

omologo vengono trasferiti da un cromosoma di una cellula donatrice a quella di una cellula<br />

ricevente mediante tre processi:<br />

- trasformazione (DNA “nudo” + cellula)<br />

- trasduzione (cellula + cellula e trasferimento tramite fago)<br />

- coniugazione (cellula + cellula e trasferimento tramite plasmide)<br />

Dopo il trasferimento avviene la ricombinazione omologa.<br />

Poiché nei procarioti viene trasferito solo un frammento di cromosoma, se non avviene<br />

ricombinazione, il frammento viene perduto perché non può essere replicato indipendentemente.<br />

31


ORIGINI DELLA GENETICA BATTERICA<br />

La scoperta della trasformazione è stata la più significativa e ha portato a mettere in evidenza che<br />

il DNA è il materiale genetico.<br />

La prima dimostrazione della trasformazione batterica fu ottenuta da Griffith nel 1930.<br />

Egli stava lavorando con lo Streptococcus pneumoniae, un batterio che deve la sua abilità di<br />

invasione in parte alla presenza di una capsula polisaccaridica.<br />

E’ possibile isolare mutanti privi della capsula e quindi incapaci di causare infezioni: i ceppi R,<br />

perché le loro colonie appaiono ruvide in agar, in contrasto con l’apparenza liscia dei ceppi<br />

capsulati S.<br />

Un topo infettato con poche cellule di un ceppo S muore in uno o due giorni di infezione, mentre<br />

non si verifica la morte iniettando molti ceppi R.<br />

Griffith dimostrò che se erano iniettate cellule S uccise dal calore insieme a cellule R vive, si<br />

sviluppava un’infezione letale e i batteri isolati dal topo morto erano di tipo S.<br />

Dal momento che si conoscevano diversi tipi di capsule polisaccaridiche isolate da vari ceppi S, fu<br />

possibile ripetere l’esperimento con cellule S uccise al calore di un ceppo diverso da quello da cui<br />

32


derivavano i ceppi R. Poiché le cellule S viventi che venivano isolate, avevano sempre la capsula<br />

del tipo posseduto dalle cellule S uccise al calore, si concluse che le cellule R erano state<br />

trasformate in un nuovo ceppo durante un evento genetico.<br />

La spiegazione molecolare della trasformazione dei ceppi di streptococcus è stata trovata da Avery<br />

e dai suoi collaboratori all’istituto Rockefeller di New York.<br />

Essi dimostrarono che il processo di trasformazione può avvenire in provetta e che l’estratto privo<br />

di cellule uccise al calore può indurre trasformazione; la frazione attiva di tale strato fu purificata e<br />

si dimostrò che consisteva in DNA.<br />

Nel 1953 Watson e Crick presentarono il loro modello della struttura del DNA.<br />

La ricerca batteriologica e biochimica di Avery , insieme a quella fisico-chimica di Watson e Crick,<br />

consolidarono il concetto che il DNA è il materiale genetico.<br />

Mentre la trasformazione batterica è stata il risultato di una scoperta accidentale, la coniugazione<br />

batterica è stata dimostrata nel 1946 da Lederberg e Tatum con esperimenti per stabilire se un<br />

processo sessuale potesse avvenire nei batteri.<br />

Essi svilupparono un metodo che implicava l’ uso di mutanti nutrizionali di E.coli.<br />

Fortunatamente questi mutanti erano stati isolati da uno dei pochi ceppi selvatici che contengono<br />

naturalmente il plasmide F.<br />

L’idea fu quella di mescolare due ceppi con richieste nutrizionali diverse, e piastrare la miscela su<br />

un terreno privo dei fattori di crescita a loro necessari. Nessun tipo parentale fu in grado di crescere<br />

in questo terreno, mentre era possibile la crescita dei ricombinanti.<br />

Si dimostrò che il processo richiedeva un contatto cellula-cellula .<br />

La trasduzione batterica venne scoperta da Zinder che lavorava sulla ricombinazione genetica in<br />

Salmonella con lo scopo originale del suo lavoro di dimostrare che la coniugazione avveniva in<br />

altri organismi oltre che in E.coli.<br />

LA TRASFORMAZIONE GENETICA<br />

La trasformazione genetica è un processo mediante il quale un DNA libero viene incorporato<br />

in una cellula ricevente e determina un cambiamento genetico.<br />

Il DNA di un procariote è presente nella cellula come una singola grande molecola, che fuoriesce<br />

dalla cellula quando questa è lisata delicatamente.<br />

A causa della sua estrema lunghezza (1700mm in Bacillus), la molecola del DNA può rompersi<br />

con estrema facilità e ridursi in frammenti di circa 15 kb.<br />

Il DNA che corrisponde a un gene medio è di circa 1000 nucleotidi.<br />

Quindi ogni frammento di DNA purificato contiene circa 15 geni.<br />

Una singola cellula incorpora di solito solo uno o pochi frammenti di DNA, per cui solo una<br />

piccola frazione di geni di una cellula può essere trasferita a un’altra durante un singolo evento di<br />

trasformazione. Una cellula in grado di assumere una molecola di DNA e di essere trasformata è<br />

detta competente. Solamente alcuni ceppi sono competenti e tale capacità sembra essere<br />

determinata geneticamente. In una popolazione di batteri solo una cellula su 100 000 è<br />

competente e la competenza dipende da diversi fattori:<br />

- tipo del terreno colturale<br />

- gli ioni calcio aumentano la competenza<br />

- pH<br />

- nella fase logaritmica della curva di crescita si ha molta competenza<br />

- in bacillus circa il 20% delle cellule divengono competenti<br />

- in streptococcus il 100% delle cellule può diventare competente ma solo per pochi minuti<br />

durante il ciclo di crescita.<br />

33


- Il DNA trasformante si lega alla superficie della cellula mediante una proteina (adesina),<br />

dopo di che o penetra l’intero frammento a doppio filamento (ciò avviene nei Gram - ) o una<br />

nucleasi degrada un filamento e l’altro viene acquisito (nei Gram + ).<br />

Il DNA penetrato si associa a una specifica proteina di competenza che probabilmente lo protegge<br />

dall’attacco delle nucleasi fino a che non raggiunge il cromosoma dove la proteina viene sostituita<br />

da RecA.<br />

Il DNA viene poi integrato nel genoma del ricevente mediante un processo di ricombinazione.<br />

La competenza può essere indotta artificialmente tramite variazioni nei terreni di coltura, nelle<br />

temperature e altri fattori.<br />

Tuttavia a tali metodi è preferita la tecnica dell’elettroporazione, che consiste nell’esporre le<br />

cellule a campi elettrici pulsanti in modo da aprire piccoli pori nella membrana, facilitando così il<br />

passaggio di DNA.<br />

34


Negli eucarioti si usa la pistola a particelle: si spara un proiettile portante tratti di DNA sulla<br />

cellula ricevente.<br />

LA TRASDUZIONE<br />

Nella trasduzione il DNA viene trasferito da una cellula a un’altra attraverso l’intervento di<br />

un virus o fago. Tale trasferimento può avvenire in due modi.<br />

Nel primo, detto trasduzione generalizzata, qualunque frammento di DNA derivante dal genoma<br />

dell’ospite può diventare la componente di DNA di un virus maturo, al posto del genoma del virus.<br />

Il secondo, detto trasduzione specializzata, si verifica solo in alcuni virus temperati; il DNA di<br />

una specifica regione cromosomica dell’ospite viene integrato direttamente nel genoma del virus,<br />

sostituendo, di solito, alcuni geni di questo.<br />

La particella virale trasducente risulta difettiva come virus, in entrambe le trasduzioni, poiché i<br />

geni batterici hanno sostituito alcuni geni virali indispensabili.<br />

La trasduzione generalizzata venne scoperta e studiata nel batterio Salmonella enterica.<br />

Quando una popolazione di batteri sensibili viene infettata da un fago, iniziano gli eventi del ciclo<br />

litico del fago.<br />

Talvolta durante questo processo, gli enzimi responsabili dell’impacchettamento del DNA virale<br />

nella testa del fago, impacchettano accidentalmente anche DNA dell’ospite.<br />

La particella che ne risulta è detta particella trasducente.<br />

Al momento della lisi della cellula tali particelle vengono rilasciate assieme ai virioni normali.<br />

Poiché le particelle trasducenti non possono dar luogo a un’infezione virale, (esse non<br />

contengono DNA virale) vengono dette difettive. Quando questo lisato viene usato per infettare<br />

una popolazione di cellule riceventi, la maggior parte risulta infettata da un virus normale e una<br />

piccola aliquota della popolazione riceve particelle trasducenti che iniettano DNA ricevuto dal<br />

precedente batterio ospite. Tale DNA non può replicarsi, ma può subire una ricombinazione<br />

genetica col DNA del nuovo ospite. I fagi che formano particelle trasducente possono essere<br />

virulenti (provocano lisogenia) o temperati (non provocano lisi).<br />

35


La trasduzione specializzata può permettere un trasferimento molto efficiente, a differenza di<br />

quella generalizzata (che avviene a bassa frequenza), e può garantire a una piccola regione del<br />

cromosoma batterico di venir replicata indipendentemente dal resto.<br />

Il primo esempio scoperto di trasduzione specializzata è quella dei geni del galattosio ad opera<br />

del fago temperato l di E.coli.<br />

Quando una cellula viene lisogenizzata dal fago l, il genoma fagico si integra nel DNA dell’ospite<br />

in un sito specifico in una regione adiacente al gruppo di geni dell’ospite che controllano gli enzimi<br />

coinvolti nell’utilizzazione del galattosio (e da quel momento in poi la replicazione del DNA virale<br />

risulta totalmente sotto il controllo della cellula ospite).<br />

In seguito all’induzione (per esempio con radiazioni U.V.) il DNA virale si separa dal DNA<br />

dell’ospite normalmente come una unità. In rare condizioni tuttavia il genoma fagico viene escisso<br />

in modo non corretto e alcuni geni del cromosoma batterico adiacenti al fago l integrato (per<br />

esempio l’operone del galattosio) sono erroneamente escissi insieme al DNA fagico.<br />

36


Con tecniche di ingegneria genetica è stato possibile costruire un fago lambda trasducente<br />

specializzato in grado di contenere geni provenienti da ogni tipo di organismo.<br />

Nella trasduzione specializzata solo i geni vicini al punto di integrazione del virus sono trasdotti,<br />

ma l’efficienza può essere alta.<br />

LA CONIUGAZIONE<br />

La coniugazione batterica è un processo di trasferimento di geni che avviene tramite il<br />

contatto cellula-cellula e coinvolge un plasmide.<br />

Il plasmide è un elemento genetico extracromosomale e l’informazione genetica contenuta in<br />

esso non è essenziale alla funzionalità della cellula in tutte le condizioni, ma in alcune può conferire<br />

un vantaggio selettivo per la crescita: un esempio è la resistenza agli antibiotici.<br />

Il plasmide tipico è una molecola di DNA circolare a doppia elica della dimensione di meno di<br />

1/20 del cromosoma.<br />

La maggior parte del DNA plasmidico isolato dalle cellule ha una configurazione superavvolta.<br />

I plasmidi che codificano la funzione della coniugazione grazie al contatto cellula-cellula sono<br />

detti coniugativi, ma non tutti i plasmidi sono tali.<br />

La trasmissibilità mediante coniugazione viene controllata mediante una serie di geni contenuti nei<br />

plasmidi detta regione tra.<br />

La presenza di questa in un plasmide può avere un’altra importante conseguenza se il plasmide si<br />

integra nel cromosoma (tale plasmide è detto episoma), in tal caso il plasmide può mobilizzare il<br />

trasferimento del DNA cromosomale da una cellula all’altra.<br />

I ceppi batterici che durante la coniugazione trasferiscono una gran quantità di DNA cromosomale<br />

sono detti Hfr (alta frequenza di ricombinazione 1000 volte maggiore rispetto ai ceppi F + ).<br />

La presenza di plasmidi può avere una <strong>prof</strong>onda influenza nel fenotipo cellulare (produzione di<br />

antibiotico, funzioni fisiologiche, resistenza agli antibiotici, virulenza...).<br />

In molti casi i plasmidi codificano proprietà fondamentali per il batterio, come la capacità del<br />

Rhizobium di interagire con le piante.<br />

La costruzione in laboratorio di molti plasmidi artificiali e l’inserimento in essi di geni provenienti<br />

da una grande varietà di organismi ha reso possibile il trasferimento di DNA anche attraverso<br />

barriere di ogni specie.<br />

Un plasmide coniugativo usa la coniugazione per trasferire una copia di se stesso a un nuovo ospite,<br />

tuttavia a volte durante la coniugazione, possono essere mobilizzati altri elementi genetici, ovvero<br />

altri plasmidi o il cromosoma stesso dell’ospite.<br />

La coniugazione venne scoperta proprio grazie al fatto che il plasmide F di E.coli è in grado di<br />

mobilizzare il cromosoma dell’ospite.<br />

La coniugazione coinvolge un donatore, che contiene un particolare tipo di plasmide coniugativo, e<br />

una cellula ricevente, che non lo contiene.<br />

I geni che controllano la coniugazione sono contenuti nella regione tra del plasmide e la maggior<br />

parte di questi hanno a che fare con la sintesi di una struttura superficiale detta pilo sessuale, che<br />

permette l’appaiamento specifico tra la cellula donatrice e quella ricevente.<br />

I pili inducono un contatto specifico con un recettore della cellula ricevente e quindi si ritraggono,<br />

costringendo così le due cellule a unirsi e, probabilmente in seguito alla fusione delle membrane<br />

esterne, il DNA viene trasferito da una cellula all’altra.<br />

37


IL MECCANISMO DI TRASFERIMENTO DEL DNA DURANTE LA CONIUGAZIONE<br />

L’intera serie di eventi scatta con il contatto tra cellula e cellula: in quel momento un filamento del<br />

DNA circolare del plasmide viene tagliato e un filamento parentale viene trasferito.<br />

Non appena inizia il trasferimento di DNA, nel donatore mediante il meccanismo a cerchio rotante<br />

si ha la sintesi del DNA che porterà alla sostituzione del filamento del DNA trasferito.<br />

Un filamento di DNA complementare viene sintetizzato anche nel ricevente.<br />

Perciò, alla fine del processo, sia il donatore che il ricevente possiedono un plasmide intero.<br />

Il processo di trasferimento del DNA plasmidico è altamente efficiente; se i geni del plasmide<br />

possono essere espressi nel ricevente, lo stesso ricevente diviene donatore e può trasferire il<br />

plasmide a un altro ricevente. In tal modo i plasmidi coniugativi possono diffondersi rapidamente<br />

tra popolazioni, comportandosi da agenti infettivi.<br />

38


Il plasmide F di E.coli può mobilizzare il cromosoma e trasferirlo durante il contatto cellulacellula.<br />

Il plasmide F è un episoma, ovvero un plasmide che può integrarsi nel cromosoma<br />

dell’ospite.<br />

Se il plasmide F è integrato nel cromosoma , la coniugazione può dar luogo al trasferimento di una<br />

larga regione del cromosoma ospite che potrà determinare ricombinazione genetica tra ampie<br />

regioni del cromosoma del donatore e del ricevente.<br />

Le cellule che possiedono il plasmide F non integrato sono dette F + e quelle che hanno il plasmide<br />

integrato nel cromosoma sono dette Hfr.<br />

Le cellule senza plasmide F sono dette F - e agiscono da riceventi.<br />

La presenza del plasmide F porta a tre cambiamenti nelle proprietà della cellula:<br />

- capacità di sintetizzare il pilo F<br />

- mobilizzazione del DNA per il trasferimento in un’altra cellula<br />

- alterazione dei recettori di superficie in modo che la cellula non sia più in grado di<br />

comportarsi come un ricevente nella coniugazione<br />

L’integrazione del plasmide F in un cromosoma ospite può avvenire in vari siti specifici, detti IS<br />

(sequenza di inserzione), che costituiscono regioni di omologia tra il cromosoma e il plasmide F.<br />

Di solito, poiché durante il trasferimento si ha facilmente la rottura del pilo, e di conseguenza del<br />

filamento di DNA, solo una parte del cromosoma del donatore viene trasferito, per cui non si può<br />

replicare nella cellula ricevente.<br />

Pertanto i geni presenti sul cromosoma del donatore sono identificabili solo se avviene<br />

ricombinazione tra la porzione del cromosoma del donatore che è entrata e il cromosoma della<br />

cellula ricevente.<br />

Sebbene i ceppi Hfr trasmettono geni cromosomali ad alta frequenza, essi non convertono le cellule<br />

F - in cellule F + in quanto solo raramente viene trasferito l’intero plasmide F.<br />

D’altro lato le cellule F + convertono in modo efficiente F - in F + proprio perché viene trasferito<br />

l’intero plasmide F.<br />

Quindi affinché un ceppo possa diventare F + o HFR deve penetrare tutto il plasmide.<br />

Poiché negli Hfr normalmente l’episoma non entra quasi mai (perché, mentre entra il cromosoma<br />

batterico linearizzato, spesso si spezza il pilo lasciando fuori il plasmide), normalmente si lavora<br />

con plasmidi non integrati e successivamente si fanno integrare artificialmente.<br />

Occasionalmente i plasmidi F integrati possono escindersi dal cromosoma e durante questo<br />

processo essere inseriti dei geni cromosomici all’interno del plasmide F libero, questo fenomeno<br />

può avvenire in quanto il plasmide integrato e il cromosoma contengono un certo numero di<br />

sequenze identiche tra le quali può avvenire la ricombinazione.<br />

I plasmidi F contenenti geni cromosomici sono detti plasmidi F ’ .<br />

I plasmidi sono diventati strumenti indispensabili per la biologia molecolare e per lo studio<br />

genetico dei microrganismi perché:<br />

• Sono molto piccoli ed è conosciuta la loro costituzione genetica. Quindi si sa dove poter inserire<br />

il/i gene/i che vogliamo trasferire. (gli enzimi di restrizione tagliano in determinati siti e le ligasi<br />

si occupano dell’inserimento).<br />

• Sono caratterizzati da facilità di moltiplicazione autonoma, quindi si può amplificare molte volte<br />

il gene che voglio trasferire.<br />

• Sono facili da trasmettere ad un eventuale ospite, dove può avvenire l’amplificazione.<br />

Anche nello studio dei lieviti per avere un gene per un dato carattere, è possibile comprare un<br />

plasmide in cui è inserito il gene che interessa.<br />

Il plasmide è un vettore di clonaggio.<br />

L’E. coli (ospite del plasmide) è importante perché è il batterio più conosciuto (genoma noto) ed è<br />

facilmente coltivabile perché si adatta bene in terreni diversi.<br />

39


Tale batterio ha il difetto che alcuni ceppi sono patogeni intestinali, essendo un microrganismo<br />

Gram - di origine enterica-intestinale.<br />

40


I LIEVITI<br />

Una cellula eucariotica è strutturalmente più complessa di una procariotica; in questa il DNA non è<br />

confinato in un organello specifico, mentre le cellule eucariotiche contengono un nucleo circondato<br />

da membrana (in esso il DNA è sotto forma di cromosomi) ed è spesso visibile una struttura detta<br />

nucleolo, sede della sintesi dell’ RNA ribosomale.<br />

Differenze tra lieviti e batteri :<br />

• I batteri sono procarioti , i lieviti sono eucarioti eterotrofi .<br />

• I batteri hanno un cromosoma circolare, i lieviti hanno più cromosomi dentro il nucleo<br />

• I batteri hanno una moltiplicazione agamica per scissione binaria (schizomiceti), i lieviti per<br />

gemmazione (blastomiceti), infatti si formano piccole gemme che si ingrandiscono e si<br />

separano dalla cellula madre.<br />

• Nella moltiplicazione gamica nei batteri abbiamo i tre sistemi (trasformazione, trasduzione<br />

e coniugazione), mentre nei lieviti si ha una riproduzione tramite gameti aploidi (ascospore<br />

in grado di coniugare, diverse dalle spore durevoli dei batteri che sono strutture di<br />

resistenza diploidi).<br />

I lieviti li dividiamo in tre gruppi: aplonti, diplonti, aplodiplonti.<br />

• Ciclo aplonte<br />

La maggior parte del ciclo vitale è nella fase aploide (n).<br />

I lieviti, in certe condizioni di crescita, cessano la gemmazione e la cellula vegetativa si trasforma<br />

in un asco che contiene quattro spore (con sessualità diversa: + e - oppure a e a).<br />

Ogni spora da luogo a n generazioni di cellule vegetative aploidi e con la coniugazione a due a due<br />

si formano individui diploidi.<br />

Le cellule diploidi (zigoti) sono la generazione breve e vanno subito in meiosi riformando i gameti<br />

(spore n ).<br />

• Ciclo diplonte<br />

La maggior parte del ciclo vitale è nella fase diploide (2n).<br />

Appena si formano le spore non si hanno generazioni ed esse coniugano subito formando zigoti 2n<br />

che danno luogo a n generazioni diploidi; successivamente si ha meiosi e si riformano le quattro<br />

spore.<br />

• Ciclo aplodiplonte<br />

Nel ciclo si ha l’alternarsi di generazioni aploidi e diploidi quindi sia lo zigote 2n che le spore n<br />

danno origine alle rispettive generazioni.<br />

Tale ciclo è tipico dei lieviti Saccaromyces .<br />

I lieviti hanno due diverse forme di cellule aploidi, chiamati tipi sessuali, che possono essere<br />

considerate l’analogo dei gameti maschili e femminili.<br />

Dall’accoppiamento di due tipi sessuali opposti si forma una cellula diploide da cui si ha la<br />

formazione di una struttura contenente quattro gameti, due per tipo sessuale, detta asco.<br />

E’ possibile trovare aschi con meno di quattro spore , ciò perché alcune sono morte; per meiosi si<br />

formano sempre quattro spore.<br />

41


I lieviti sono funghi unicellulari (la maggior parte di essi è classificata negli Ascomiceti) che si<br />

riproducono agamicamente per gemmazione (eccetto il lievito Schizosaccaromyces che usa la<br />

scissione come i batteri).<br />

Sono ubiquitari e li troviamo nel suolo, nelle acque, negli apparati e tessuti animali, sulla frutta e<br />

sulle piante.<br />

Hanno diverse funzioni e quella più importante è di fungere da biodegradatori di composti<br />

complessi in composti più semplici.<br />

In presenza di O2 ossidano e trasformano i composti organici in H2O e CO2; in fase anossica<br />

producono prevalentemente alcol e CO2.<br />

Quindi ci sono lieviti strettamente aerobi e anaerobi facoltativi (vivono sia in anossia che in<br />

presenza di O2).<br />

I responsabili delle fermentazioni sono i lieviti.<br />

Esistono però anche lieviti patogeni, non quanto i batteri, sia per le piante (marciume acido<br />

dell’uva) che per uomini e animali (Candida albicans e Criptococcus neoformans che causa<br />

meningite).<br />

Sebbene la maggior parte dei lieviti si riproduca e esista come singola cellula, in certe condizioni<br />

alcuni possono formare filamenti; in queste specie la forma filamentosa è essenziale per<br />

l’espressione della patogenicità (Candida albicans causa infezioni vaginali, orali e polmonari).<br />

Tutti i lieviti che producono un velo biancastro sulle superfici liquide sono candide non<br />

patogeniche.<br />

42


I funghi sono caratterizzati dalla presenza di una parete cellulare e dalla produzione di spore.<br />

Tre sono i gruppi di maggiore importanza: le muffe , i lieviti e funghi fruttiferi.<br />

I funghi mancano di pigmenti fotosintetici e possono essere sia unicellulari (lieviti) sia filamentosi<br />

(muffe).<br />

Essi sono i maggiori biodegradatori conosciuti in natura e i maggiori riciclatori di sostanza<br />

organica nel suolo e in altri ecosistemi.<br />

Le muffe producono aflatossine dannose mentre i lieviti ostacolano la formazione di esse.<br />

I funghi hanno habitat diversificati e la maggior parte di essi ha habitat terrestre, nel suolo o su<br />

materiale vegetale in decomposizione.<br />

Molti funghi sono parassiti di piante e sono responsabili della maggior parte delle malattie in esse;<br />

alcuni sono anche parasiti di animali sebbene costituiscano agenti patogeni meno importanti dei<br />

batteri e dei virus.<br />

MORFOLOGIA DELLE SPORE DEI LIEVITI<br />

Forme :<br />

• A elmetto<br />

• Aghiformi (genere Metschnikowia importante nel vino )<br />

• A noce<br />

• A saturno<br />

• A cappello<br />

• Sferoidale<br />

Le più conosciute nel Saccaromyces<br />

• Ovoidale<br />

• Reniforme<br />

MORFOLOGIA DELLE CELLULE DEI LIEVITI<br />

• Cellule sferiche (Saccaromyces cerevisae di cui è conosciuto tutto il genoma)<br />

• A forma di limone (dà una gemmazione bipolare tipica di lieviti apiculati, quelli che<br />

iniziano la fermentazione alcolica)<br />

• Ellittiche o a pera<br />

• Ovali allungate<br />

• Rotonde con globuli di grasso (Pulcherrima)<br />

• Grandi e allungate, formanti un rudimentale pseudomicelio (Schizosaccaromyces)<br />

• Forma allungata stretta in catena ramificata (Candida)<br />

L’ ifa è il filamento di una singola cellula e l’aggregazione di più ife forma il micelio.<br />

I lieviti non formano mai vere ife, ma possono formare pseudoife, quando la gemma che si forma<br />

non si stacca dalla cellula madre e a sua volta crea un’altra gemma figlia e così via, determinando<br />

strutture ramificate (sulla superficie delle salamoie si formano veli biancastri dovuti a lieviti del<br />

genere Candida, Pichia e Hansenula che formano pseudoife).<br />

43


LIEVITI DI INTERESSE IN <strong>MICROBIOLOGIA</strong> ALIMENTARE<br />

Phylum ASCOMYCOTA (la cellula si trasforma in asco che contiene le ascospore)<br />

Classe EMYASCOMICETES (aschi liberi) e EUASCOMYCETES (aschi in corpi fruttiferi)<br />

Ordine SCHIZOSACCHAROMYCETALES<br />

Appartengono famiglie di interesse agro-alimentare (trasformazione prodotti)<br />

e alcuni prettamente di interesse enologico<br />

• Famiglia Schizosaccharomicetaceae<br />

Unica famiglia di lieviti che si riproduce per scissione, come nei batteri<br />

Genere e specie Schizosaccharomyces pombe<br />

Schizosaccharomyces octosporus (forma otto spore)<br />

Li troviamo negli alimenti molto zuccherini (miele e succhi di frutta) perché hanno una<br />

elevata osmotolleranza. Inoltre nel vino sono presenti nella trasformazione malo-alcolica<br />

Classe EMYASCOMYCETES<br />

Ordine SACCHAROMYCETALES (o endomicetales perché le spore sono interne)<br />

Tale ordine ha molte famiglie:<br />

• Famiglia Metschnikowiaceae<br />

Hanno cellule sferiche e spore aghiformi<br />

Genere Metschnikowia<br />

Facilmente distinguibile dagli altri lieviti perché all’interno la cellula ha dei<br />

granuli di lipidi rifrangenti visibili al microscopio ottico. A livello colturale<br />

produce culchermina (un pigmento carotenoide) presente intorno alla colonia come<br />

alone rosso mattone (specie “bella a vedersi”). E’ un lievito negativo nel mosto,<br />

dove si trova all’inizio della fermentazione, perché produce poco alcol e molto<br />

acido acetico.<br />

• Famiglia Lipomycetaceae<br />

Genere Lipomyces<br />

È presente nel suolo ed è uno dei pochi lieviti che forma capsula che aiuta a<br />

formare nicchie nel terreno in grado di migliorarne la struttura. La capsula attrae<br />

sostanze dannose ed adsorbe fitofarmaci e metalli pesanti, migliorando la qualità<br />

del terreno. E’ un lievito usato nella biorimediaton (disinquinamento tramite<br />

microrganismi).<br />

• Famiglia Saccharomycetaceae<br />

è la più importante nel settore alimentare<br />

genere Saccharomyces<br />

è uno dei primi lieviti descritti dai ricercatori (1838 da Meyen); il nome significa<br />

“fungo dello zucchero” e partecipa alla sua fermentazione. E’ il lievito per<br />

eccellenza coinvolto in tutte le fermentazioni agro-alimentari (vino, birra, pane)<br />

dove ci sono zuccheri da fermentare. La specie Saccharomyces cerevisae è di<br />

interesse elevatissimo, ha forma ellittica-rotonda, è sporigeno, ha un elevato<br />

interesse biotecnologico, si utilizza come starter e conclude la fermentazione nei<br />

vini perché ha il più alto potere fermentativo (percentuale di alcol che un lievito<br />

riesce a produrre e può arrivare anche al 18%)<br />

genere Debariomyces<br />

è simile al Saccaromyces (gemmazione multilaterale, cellule sferiche, sporigeno)<br />

ma si distingue per la superficie delle spore rugosa. Biochimicamente non fermenta<br />

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come il saccaromyces; lo ritroviamo nei formaggi perché in grado di attaccare i<br />

grassi (lievito lipolitico)<br />

specie Debariomyces hansemi<br />

è lipolitico ed è importante nella maturazione degli insaccati, infatti insieme ad<br />

alcune muffe si sviluppa all’esterno del budello e partecipa alla maturazione della<br />

carne (fermentazione lattica interna)<br />

genere Decchera<br />

è dannoso nel settore alimentare perché si può sviluppare nei prodotti fermentati in<br />

bottiglia (momento più delicato); il genere Decchera che è la forma perfetta<br />

(produce spore), insieme al genere Bretanomyces che è la forma imperfetta (non<br />

produce spore e usa solo via agamica), alterano le bevande alcoliche in bottiglia<br />

(come il vino ) producendo un sentore di fenolo<br />

genere Issatchenkia<br />

è uno dei pochi lieviti che altera la frutta zuccherina producendo il marciume<br />

acido; le malattie dell’uva sono causate normalmente da muffe, eccetto questo<br />

lievito che penetra nell’acino lacerato e produce acido acetico utilizzando lo<br />

zucchero.<br />

genere Cluiveromyces<br />

è simile al saccharomyces (gemmazione multipolare) ma si distingue perché l’asco<br />

a maturità si rompe facilmente rilasciando delle spore che si agglutinano<br />

(avvicinano). E’ un lievito importante per il settore lattiero-caseario (specie<br />

Cluiveromyces lactis) nei latti fermentati alcolici (kefir)<br />

generi Pichia e Hansenula (perfetti: producono spore) e Candida (imperfetto; la<br />

famiglia delle Candidaceae ha solo lieviti imperfetti )<br />

formano pseudomiceli, hanno metabolismo prevalentemente ossidativo e sono<br />

presenti nel settore agro-alimentare quasi sempre sulla superficie dei liquidi<br />

(perché hanno metabolismo aerobico); ne sono esempi il velo bianco sulle olive in<br />

salamoia, la fioretta del vino che lo porta alla malattia dello spunto.<br />

genere Torulaspora<br />

è simile al saccaromyces ma è più piccolo e produce più gemme multilaterali. Si<br />

trova nel vino ed ha un “metabolismo puro” in quanto produce alcol senza produrre<br />

sostanze negative (come l’acido acetico, dannoso nelle fermentazioni). L’acido<br />

acetico si produce sempre nelle fermentazioni perché è un prodotto secondario ed è<br />

importante scegliere quei lieviti che ne producono di meno o per niente (lieviti<br />

puri). Tale genere, per il suo peculiare metabolismo, in passato si usava nella<br />

spumantizzazione perché ha la capacità di flocculare (riunirsi in fiocchi) creando<br />

vini molto più limpidi.<br />

genere Zigosaccharomices<br />

le cellule sono ovali e si individuano facilmente perché nella fase coniugativa<br />

formano un ponte (immagine a occhiali; cellule tipo “zigo” unione simmetrica).<br />

E’ il lievito più resistente negli ambienti zuccherini (osmofilo) ed è agente<br />

dell’unica malattia del miele (la fermentazione); il miele ha una percentuale di<br />

zucchero tra il 68-72%, quindi una concentrazione quasi impossibile per la vita dei<br />

microrganismi (per conservare le marmellate aumento la concentrazione di<br />

zucchero). Le specie Zigosaccharomyces bailii e rauxii vivono anche a<br />

concentrazioni di zucchero maggiori del 70% quindi riescono a svilupparsi sulla<br />

superficie del miele per poi penetrare all’interno.<br />

Tale genere può alterare anche i succhi di frutta e in enologia formano un velo nei<br />

vini Cherry (malvasia di Bosa) dopo la fermentazione, e formano il velo nella<br />

vernaccia producendo sostanze che danno un <strong>prof</strong>umo particolare al vino (non è la<br />

fioretta che altera negativamente producendo acido acetico).<br />

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• Famiglia Saccharomycodaceae<br />

Sono i lieviti apiculati (forma a limone e gemmazione bipolare) e sono quelli che<br />

danno inizio alla fermentazione alcolica.<br />

Genere Hansenihaspora (forma perfetta) e Kloeckera (forma imperfetta)<br />

Genere Saccharomycodes<br />

Resiste ad elevati stress e ad elevate concentrazioni di anidride solforosa. E’ il<br />

lievito più grosso conosciuto (in rapporto al volume in una cellula più grande<br />

entrano meno sostanze). E’ l’unico lievito che altera i mosti muti (mosti di uve<br />

fresche mutizzato per aggiunta di alcol di origine vinica oppure reso muto tramite<br />

aggiunta di elevate dosi di anidride solforosa).<br />

LA FERMENTAZIONE SPONTANEA<br />

<strong>MICROBIOLOGIA</strong> ENOLOGICA<br />

Analizzando microbiologicamente il mosto appena ottenuto osserviamo che in esso è presente la<br />

medesima composizione microbiologica presente nell’ecosistema dell’uva (terreno, uva, tralci,<br />

attrezzature utilizzate). Quindi troviamo batteri, lieviti e muffe.<br />

Le muffe sono i microrganismi maggiormente rappresentati nell’ecosistema “uva” (peronospora,<br />

oidio, botritis) e con essi anche i batteri.<br />

In un millilitro di mosto appena ottenuto vi è un numero elevato di muffe e batteri (10 7 -10 8 cellule)<br />

mentre è presente un numero limitato di lieviti (10 4 -10 5 cellule).<br />

Tuttavia la fermentazione del mosto esercita un’azione selettiva e alla fine predomineranno i<br />

lieviti.<br />

I fattori che determinano tale azione selettiva sono:<br />

1. l’assenza di O2 determina l’eliminazione delle muffe (che sono strettamente aerobie)<br />

2. il pH, tendenzialmente acido (circa 3-4), elimina quasi tutti i batteri perché la maggior<br />

parte di essi ha un pH ottimale intorno a 7. Gli unici batteri che rimangono illesi sono i<br />

fermenti lattici, che sopravvivono a pH acido<br />

3. la presenza di zuccheri aiuta i lieviti, che li degradano in alcol e CO2.<br />

I lieviti principali che si trovano sulla superficie degli acini sono quelli a metabolismo ossidativo o<br />

quelli che fermentano con basso potere fermentativo; ci sono pochi saccaromyces (provenienti<br />

dall’ambiente “cantina” e con il più alto potere fermentativo) e molti lieviti con basso potere<br />

fermentativo:<br />

1. lieviti apiculati: Hanseniaspora e l’omologo imperfetto Kloeckera<br />

hanno potere fermentativo 4-6% di alcol e pochi 8% .<br />

2. lieviti del genere Metschinkowia<br />

hanno potere fermentativo 2-3% di alcol. In Sardegna sempre presente all’inizio della<br />

fermentazione.<br />

3. lieviti con metabolismo ossidativo a carico dell’alcol etilico: Candida, Pichia, Hansenula<br />

non producono alcol e se resistono fino alla fine della fermentazione formano la patina<br />

bianca e producono acidità rovinando il vino (fioretta in superficie che porta alla malattia<br />

dello spunto).<br />

4. Rhodotorula e Criptococcus<br />

Muoiono subito<br />

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DIFFERENZE FRA LIEVITI APICULATI ED ELLITTICI<br />

I lieviti ellittici sono quelli di maggiori dimensioni e presentano alcune caratteristiche positive non<br />

riscontrabili negli altri lieviti:<br />

1. maggiore resa nella trasformazione dello zucchero in alcol etilico (1.7 g per formare 1<br />

ml di alcol; mentre gli apiculati ne abbisognano 2.1 g ).<br />

2. maggiore resistenza all’alcol etilico (catabolita del lievito e perciò dannoso allo stesso).<br />

3. scarsa produzione di acido acetico che, oltre certi limiti (la legge ne fissa un max),<br />

disturba dal punto di vista organolettico.<br />

4. maggiore resistenza all’anidride solforosa<br />

Il lievito Saccharomyces cerevisiae, di caratteristica forma ellittica, è molto resistente all’alcol<br />

etilico ed è il maggiore responsabile della fermentazione della maggior parte dello zucchero; è<br />

anche molto resistente all’anidride solforosa. Esiste in un numero elevato di ceppi, cioè di<br />

individui derivati (o selezionati) a partire da un’unica cellula.<br />

Il lievito Saccharomyces oviformis è in grado di produrre vini con il 18% di alcol; è molto<br />

resistente all’anidride carbonica, ragion per cui è utile nella produzione di vini spumanti e per<br />

le rifermentazioni in bottiglia.<br />

Nella Vernaccia di Oristano forma un velo detto “fiore” (è il micelio del fungo) sulla superficie<br />

del vino, e per tale motivo il lievito in questo caso è detto lievito filmogeno (Fleur in Francia e Flor<br />

in Spagna).<br />

Ha la caratteristica di ossidare l’acido acetico, diminuendo perciò l’acidità volatile; l’acido<br />

acetico è in parte ossidato completamente con liberazione di H2O e CO2, mentre in parte è ossidato<br />

ad aldeide acetica; in parte è ridotto anche l’alcol ad aldeide acetica: si formano molti acetali che<br />

conferiscono al vino un <strong>prof</strong>umo piacevole.<br />

È bene che i lieviti ellittici non siano i soli a condurre la fermentazione, in quanto si è constatato che<br />

i lieviti apiculati originano prodotti secondari che completano e affinano il <strong>prof</strong>umo del vino.<br />

I lieviti apiculati sono poco alcoligeni, producono molto acido acetico e sono scarsamente<br />

resistenti all’anidride solforosa. Sono comunque attivi nell’iniziare la fermentazione.<br />

L’ambiente dei saccharomyceti è la cantina, ma possono essere presenti anche in vigna; quando<br />

inizia la fermentazione del mosto alcuni saccharomyceti penetrano in esso e iniziano a moltiplicarsi<br />

(fino ad avere un numero di 100 miliardi di cellule per ml); quasi mai iniziano la fermentazione<br />

spontanea perché sono pochi e sono deputati nel portare a termine la fermentazione, utilizzando<br />

lo zucchero disponibile, fino a 13 o -14 o di alcol e alcuni anche fino a 18 o .<br />

Un lievito produce tanto alcol quanto riesce a resisterne; mediamente un lievito produce 0,6 g<br />

di alcol per 1 g di zucchero consumato (rendimento). Ovviamente sono migliori i lieviti che<br />

producono più di 0,6 g perché hanno un maggiore rendimento.<br />

La quantità di zuccheri presenti nel mosto è quindi molto importante poiché il saccharomyces<br />

produce alcol in funzione di essa. Con il 20% di zucchero si produrrà circa il 12% di alcol; con il<br />

30% di zucchero si produrrà circa il 18% di alcol (massimo valore possibile). Per sapere quanto<br />

alcol un lievito può produrre bisogna avere un mosto con almeno il 30% di zucchero.<br />

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FERMENTAZIONE SPONTANEA<br />

DESCRIZIONE DELLA FERMENTAZIONE SPONTANEA<br />

I lieviti apiculati, essendo dotati di maggiore velocità di moltiplicazione, sono in breve tempo<br />

prevalenti. Bastano due ore affinché sia raddoppiata per moltiplicazione la popolazione di lieviti<br />

che, a questo punto, prevalgono sugli altri microrganismi. Essi sono poco resistenti all’alcol, per cui<br />

in presenza del 4-6% di alcol sono inibiti e il loro metabolismo si arresta.<br />

È questo un tipo di selezione naturale che favorisce i lieviti ellittici i quali, a questo punto, iniziano<br />

a prendere il sopravvento e portano a termine la fermentazione, esaurendo, o quasi, tutti gli zuccheri<br />

presenti nel mosto.<br />

Terminata la fermentazione il lievito si deposita sul fondo del recipiente insieme all’altro materiale<br />

solido (feccia) e sarà poi separato dal vino mediante un travaso.<br />

La fermentazione spontanea non si utilizza più nella maggior parte delle cantine; invece si<br />

utilizzano lieviti Saccharomyces selezionati (scelti, isolati e moltiplicati in laboratorio) per<br />

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alcuni caratteri, che vengono inoculati fin da subito nel mosto con una concentrazione di 10 6 cellule<br />

per ml (essendo molto numerosi iniziano velocemente la fermentazione e gli apiculati spariscono<br />

rapidamente).<br />

STORIA DELLA <strong>MICROBIOLOGIA</strong> ENOLOGICA<br />

• 1680 Van Leuvenoek è il commerciante di seta che inventò il primo microscopio semplice<br />

per vedere le fibre della seta; osservandole trovò dei piccoli microrganismi, li descrisse in<br />

una relazione scritta in olandese e la inviò alla reale società scientifica di Londra; qui la<br />

scoperta rimase nell’oblio fino al 1818.<br />

• 1818 Erxleben e Schwan ipotizzarono che i lieviti fossero responsabili della fermentazione<br />

dei vini<br />

• 1830 Kutzing scoprì la presenza di lieviti nel mosto<br />

• 1838 Meyen descrive i lieviti responsabili nella fermentazione del mosto (Saccharomyces)<br />

• 1866 con Pasteur si accetta l’idea che il processo fermentativo è attuato dai lieviti<br />

Saccharomyces; scrisse i primi trattati di microbiologia agraria, di cui ne è fondatore,<br />

occupandosi anche del vino, dimostrando che gli agenti di fermentazione si trovano anche<br />

sulla superficie dell’acino e che durante la maturazione dell’uva raggiungevano una alta<br />

densità di popolazione<br />

• 1870 Rees scopre i saccharomyceti apiculati<br />

• 1872 Pasteur dimostra che i lieviti fermentativi del mosto risiedono sulla superficie degli<br />

acini presenti in ambiente naturale (gli acini protetti non fermentano)<br />

• 1881 Hansen descrive l’associazione dei lieviti apiculati con la superficie dei diversi frutti<br />

• 1890 Hansen isola i lieviti in coltura pura<br />

• 1891 Martinand e Rietsch stabiliscono l’associazione lieviti apiculati-uve mature e la<br />

successione apiculati-ellittici<br />

• 1896 si osserva che gli apiculati predominano nei terreni dei frutteti<br />

• 1908 Hansen utilissa lieviti selezionati nell’industria della birra “sotterrando” la<br />

fermentazione spontanea<br />

• 1912 Guillermond scopre che i lieviti in autunno passano dal terreno alla superficie degli<br />

acini<br />

• 1935 De Rossi a Perugia è il primo a fare isolamenti sistematici dai mosti (87 mosti umbri),<br />

indicando anche i metodi di isolamento<br />

• 1939 con Castelli si dà il via all’isolamento dei mosti delle principali regioni viti-vinicole<br />

d’Italia<br />

• 1964 Augusto Capriotti , allievo del <strong>prof</strong>. Castelli venne in Sardegna creando (attivo da 40<br />

anni) l’istituto di microbiologia di Sassari; isolò dei lieviti dalla Vernaccia (oggi si<br />

conoscono i lieviti di tutti i vini della Sardegna)<br />

• 1970 Kunkee e Amerine in California elencarono lieviti trovati sulle uve di varie parti del<br />

mondo<br />

Tutti questi studi sono serviti per potere selezionare lieviti da usare nelle diverse produzioni e oggi<br />

ogni cantina usa lieviti selezionati per ottenere un prodotto desiderato .<br />

Fra i parametri più importanti da considerare nella scelta del lievito vi è l’attività fermentativa<br />

(produzione di alcol nell’unità di tempo)<br />

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Considerando 3 ceppi e la loro produzione di alcol giornaliera osserviamo che il ceppo 1 risulta<br />

troppo vigoroso con liberazione di troppa energia (da 1 mole di glucosio si producono 40 Kcal, di<br />

cui 14 Kcal sono usate dal lievito e 26 Kcal sono liberate, con conseguente aumento della T che<br />

favorisce l’insorgere di batteri termofili e di alcune malattie del vino).<br />

I LIEVITI SELEZIONATI<br />

I lieviti selezionati sono colture pure di specie ecologicamente idonee con caratteristiche tali<br />

da consentire il conseguimento di risultati programmati.<br />

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La risposta che può dare un processo in cui si utilizzano microrganismi non è sempre prevedibile;<br />

infatti grazie alla variabilità biologica è possibile ottenere risposte diverse.<br />

Quindi si è pensato all’utilizzo di colture pure in grado di garantire un determinato risultato finale.<br />

Selezionare vuol dire prendere all’interno della popolazione un certo numero di individui e<br />

selezionarli per i caratteri che a noi interessano per poi utilizzarli nel modo più opportuno.<br />

Ci sono industrie che preparano gli starter sotto forma liquida (la prima che si è sviluppata)<br />

Oggi si utilizzano le colture LSA (lievito secco attivo), perché ,applicato al momento della<br />

vendemmia, quello liquido può dare dei problemi.<br />

Lo starter sotto forma secca è un lievito in pasta che viene essiccato con aria tiepida in lamiere<br />

oscillanti finchè si ha la formazione di palline o filini.<br />

Il lievito perde acqua ma mantiene la vitalità e può essere conservato per molti mesi.<br />

Il lievito secco al momento dell’utilizzo viene sciolto in acqua tiepida e versato nel recipiente da<br />

fermentare (20g/hl).<br />

Ci sono così 10 9 cellule per grammo cioè una quantità superiore a quella che si forma in una<br />

fermentazione spontanea.<br />

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Il lievito viene selezionato in base a:<br />

1. caratteri tecnologici<br />

2. caratteri di qualità<br />

1.CARATTERI TECNOLOGICI<br />

• Vigore fermentativo<br />

Capacità del lievito di prendere subito il sopravvento all’inizio della fermentazione; quindi è un<br />

lievito con una fase di adattamento molto breve.<br />

• Resistenza alla SO2<br />

gli starter devono essere resistenti perché siamo obbligati ad usarla (180-200 mg/l)<br />

• Potere fermentativo<br />

deve essere il più alto possibile<br />

• Modalità di sviluppo nei mezzi liquidi<br />

- in fase dispersa (la cellula figlia si libera dalla cellula madre)<br />

- in aggregati (la cellula figlia non si stacca dalla madre)<br />

- sviluppo in flocculi o in glomeruli: le cellule si riuniscono fra loro per attrazione reciproca<br />

grazie alle cariche presenti sulle pareti cellulari; (importante per facilitare la chiarificazione<br />

degli spumanti in bottiglia)<br />

• Potere schiumogeno<br />

la fermentazione alcolica produce alcol e CO 2 , che si libera in forma di bollicine confinate da<br />

liquido (mosto), la cui persistenza è legata alle cellule di lievito che si sviluppano sulla superficie<br />

della bollicina.<br />

Sono preferiti i lieviti che formano meno schiuma possibile (produrre molta schiuma significa<br />

aumentare il numero di recipienti da utilizzare, con ripercussioni di tipo economiche e non di<br />

qualità)<br />

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• Resistenza ai fitofarmaci<br />

I fitofarmaci dalla vigna possono arrivare al mosto e i lieviti possono resistere o soccombere, in<br />

funzione della quantità residua.<br />

E’ bene usare lieviti che resistono bene ai fitofarmaci; in certi casi riescono anche a degradarli (è<br />

pericoloso perché non si sa quale potrebbe essere il prodotto di degradazione) o ad assorbirli (il<br />

fitofarmaco viene trascinato sul fondo quando il lievito muore)<br />

• Carattere “flor”<br />

film superficiale di alcuni lieviti che maturano particolari vini (florizzati) come lo Sherry spagnolo<br />

(il più importante nel mondo), la Malvasia e la Vernaccia. Per ottenere tali vini il ceppo starter deve<br />

avere il carattere “flor”.<br />

• Fattore “killer”<br />

Il lievito può uccidere o inibire altre cellule attraverso la secrezione di una glicoproteina, scoperta<br />

nel 1966. Tale fattore è importante e agisce a pH maggiore di 4,8 (anche nel vino, che ha un pH<br />

minore, la glicoproteina viene secreta).<br />

I lieviti N (neutri) non hanno la tossina killer e non sono inibiti dai lieviti killer.<br />

I lieviti K (killer) hanno la proteina killer.<br />

I lieviti S (sensibili) non hanno proteine killer e sono inibiti dai lieviti killer.<br />

In Sardegna solo lo 0,17% de lieviti ha il fattore killer; tale fattore non è importante in enologia<br />

perché non agisce su tutti i lieviti, per esempio sulla Metschinkowia e sugli Apiculati; agisce invece<br />

sui Saccharomyces. E’ necessario che il lievito killer sia presente al 70 % rispetto al lievito da<br />

inibire per espletare la funzione killer, ma in tali condizioni anche un ceppo normale riesce ad avere<br />

il sopravvento.<br />

• Temperatura di fermentazione<br />

I lieviti sono mesofili cioè vivono bene con temperature intorno ai 25-35 o C; si cercano ceppi starter<br />

resistenti alle basse temperature, come quelle delle cantine (16-18 o C) .<br />

2.CARATTERI DI QUALITA’<br />

• azione sull’acido malico: se in eccesso bisogna eliminarlo tramite la fermentazione malolattica<br />

o quella malo-alcolica.<br />

• E’ possibile usare ceppi di Saccharomyces che riescono a degradare l’acido malico durante<br />

la fermentazione. Ci sono anche lieviti che producono acido malico a partire dall’acido<br />

piruvico e sono utili se voglio mantenere o aumentare la quantità di acido malico nel vino;<br />

successivamente bisogna sterilizzare il vino per evitare che i batteri degradino l’acido<br />

malico prodotto<br />

• produzione di composti solforati: lo zolfo è preso dai solfati derivanti dalla concimazione<br />

o dalla SO2.<br />

La solforosa prodotta dal lievito è sempre combinata con i composti accettori di solforosa<br />

quindi non utile poiché priva di azione antisettica.<br />

SO4 - (solfati) HSO3 - (ione metasolfito) H2S (idrogeno solforato)<br />

L’idrogeno solforato H2S conferisce al vino odore di uova marce (nei vini freschi posso<br />

evitarlo facendo dei travasi). E’ meglio che il lievito non produca composti solforati.<br />

• produzione di accettori di solforosa : i lieviti starter ne devono produrre il meno possibile<br />

.<br />

• purezza fermentativa: capacità del lievito di produrre solo certi composti; il lievito non<br />

deve mai produrre acido acetico e deve produrre quantità discrete di glicerolo (12-15 g/l)<br />

che nei vini rossi dà morbidezza.<br />

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IMPIEGO DELL’ANIDRIDE SOLFOROSA<br />

L’anidride solforosa è un gas dal caratteristico odore di fiammifero acceso che si forma dalla<br />

combustione dello zolfo.<br />

La solforosa non è solo esogena ma viene prodotta nel vino stesso. Il suo uso in enologia è<br />

antichissimo ed ancora oggi non si è trovato un valido sostituto (ai tempi di Omero lo zolfo<br />

veniva usato per la conservazione degli alimenti nonchè per fini salutistici per esempio le acque<br />

sulfuree), alla fine dell’800 fu introdotto nella pratica enologica ed è l’unico antisettico<br />

consentito per legge.<br />

L’SO2 ha però alcuni effetti collaterali : è irritante , ha sapore sgradevole ,può causare mal di<br />

testa e altri disturbi, di conseguenza la legge ne consente un uso limitato. La quantità di<br />

solforosa totale non è tutta utile ai fini enologici, quella utile per i nostri scopi è la solforosa<br />

libera ( SOLFOROSA LIBERA + SOLFOROSA COMBINATA =SOLFOROSA TOTALE) .<br />

Nei mosti e nei vini l’SO2 si ritrova :<br />

• In forma libera : in soluzione acquosa o idroalcolica ( come è il vino ) forma vari idrati che<br />

si dissociano liberando ioni H + .La solforosa libera , cioè non legata ad alcun composto,è un<br />

importante antisettico ,questa la possiamo trovare come solforosa molecolare(SO2, che è<br />

anche la forma più attiva ), sia come solforosa indissociata (sotto forma di ione bisolfito<br />

HSO3 - , ugualmente attiva ma meno rispetto alla molecolare). In genere si tende a far<br />

prevalere la forma molecolare agendo sul pH (più è acido e maggiore sarà la componente<br />

SO2) e sulla temperatura (più è alta e maggiore sarà la frazione di solforosa molecolare),<br />

purtroppo questi due parametri si trovano in contrasto perché la scienza enologica prevede<br />

un pH acido (3.2) ma con temperature che non superino certi livelli per i vini bianchi e pH<br />

più alti (3.6) e temperature alte (circa 28°C ) per vini rossi ; un altro fattore che determina la<br />

quantità finale di solforosa è la quantità di acido piruvico che si trasforma in alcol etilico<br />

(con cui l’SO2 non si combina); il passaggio acido piruvico alcol etilico è<br />

regolato da enzimi come la piruvato decarbossilasi .Ogni enzima per funzionare ha<br />

bisogno di un coenzima( in questo caso la tiamin-pirofosfato detta anche CO-<br />

CARBOSSILASI) . Il punto debole della solforosa è la TIAMINA o vitamina B1 che risulta<br />

particolarmente sensibile alla solforosa ( distruggendo la tiamina si disattiva il co-enzima<br />

con conseguente accumulo di acido piruvico e aumento della quantità di solforosa<br />

combinata ) ;la legge consente un aggiunta di tiamina fino ad un massimo di 0,6 mg/l.<br />

L’acido solforoso che probabilmente si forma non è però mai stato isolato :<br />

SO2(gas) SO2 acquosa<br />

SO2 acquosa + H2O HSO3 - (bisolfito )+ H +<br />

HSO3 - + HSO3 - S2O5 2- (metabisolfito o pirosolfito)+ H2O<br />

HSO3 - H + + SO3 - (solfito)<br />

Si ottengono quindi bisolfiti , metabisolfiti e , quando il pH è superiore a 5 , anche solfiti .<br />

• In forma legata (combinata ) : l’ SO2 e i suoi derivati si combinano con molecole che<br />

presentano funzioni carbonilica, aldeidica e chetonica , come l’aldeide acetica , gli zuccheri,<br />

l’acido piruvico ma anche con proteine e polifenoli. La quantità di solforosa combinata è<br />

molto inferiore a quella totale .La combinazione dell’anidride solforosa con l’aldeide acetica<br />

risulta stabile e definitiva ( irreversibile ) a differenza con gli altri composti formati con le<br />

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altre sostanze , instabili e reversibili .Secondo alcuni autori la SO2 combinata ( la forma<br />

prevalente ) presenta attività antibatterica seppure inferiore a quella libera .<br />

1. acido piruvico , composto secondario della fermentazione ,<br />

2. acido a-chetoglutarico, deriva dal metabolismo proteico,<br />

3. aldeide acetica o etanale ,anch’essa prodotto secondario della fermentazione quindi<br />

sempre presente nel vino (se il vino ne contiene più di 10 mg/l saprà di vecchio e<br />

verrà detto “vino ossidato”), un vino giovane non deve contenere molta acetaldeide,<br />

mentre nei vini invecchiati ne troviamo oltre i 200 mg/l (moscati, cherry). Bisogna<br />

anche tenere presente che 70 mg di acetaldeide possono combinare fino a 100 mg di<br />

solforosa e che 140 mg/l di acetaldeide combinano la quantità massima di solforosa<br />

consentita per legge . Come si è visto la solforosa combinata con CHO è una<br />

molecola stabile e irreversibile (costante di dissociazione bassa ) mentre quella<br />

combinata all’acido piruvico si può dissociare nuovamente (costante di dissociazione<br />

più alta). Proprio da questa propensione a formare composti stabili è importante<br />

scegliere il momento adatto di somministrazione per evitare di farla combinare.<br />

La SO2 svolge principalmente azione antisettica selettiva nei confronti dei microrganismi<br />

presenti nel mosto ; se usata a basse concentrazioni ( 5-30g/hl) uccide numerosi microrganismi<br />

indesiderati senza danneggiare i saccaromiceti . Dosi superiori (130-180g/hl ) rendono invece il<br />

mosto infermentescibile (mosto muto). L’efficacia dell’SO2 dipende, oltre che dalla sua<br />

concentrazione e dal tipo di microrganismo (i lieviti sono più resistenti dei batteri e tra questi<br />

ultimi i bacilli risultano meno sensibili dei cocchi ) , anche dalla loro quantità e dalla fase in cui<br />

si trovano ( più i microrganismi sono inerti e più efficace sarà l’azione dell’SO2 ). Anche la<br />

temperatura ambiente , l’acidità e la composizione del mosto possono influenzare l’attività<br />

dell’antisettico .<br />

55


La SO2 ha numerosi altri effetti:<br />

1. azione solubilizzante nei confronti delle sostanze coloranti e dei polifenoli in genere .<br />

L’aumento dell’acidità del mosto e del vino determina una maggiore solubilità dei pigmenti<br />

e accresce l’intensità e la vivacità del colore (azione chiarificante con la precipitazione di<br />

mucillagine). I vini rossi solfitati hanno quindi un colore più marcato e brillante , dosi<br />

eccessive hanno invece azione decolorante .<br />

2. azione acidificante diretta dovuta alla caratteristica acidità delle soluzioni di SO2 e indiretta<br />

in quanto , inibendo i batteri lattici , riduce la fermentazione malolattica ( l’acido lattico è<br />

meno forte del malico ) .<br />

3. azione defecante l’aumento dell’acidità facilita la flocculazione dei colloidi caricati<br />

negativamente .<br />

4. azione antiossidante per le proprietà riducenti della solforosa ( che tende facilmente a<br />

ossidarsi a solfato ) , soprattutto nei confronti dei perossidi formatisi dai polifenoli . Inoltre<br />

distrugge e inattiva le ossidasi responsabili di un intorbidamento del vino detto “casse<br />

ossidasica” (lasciato all’aria il vino inscurisce rapidamente ,con l’aggiunta di SO2 si<br />

previene questo difetto. Minore è invece l’effetto nei confronti dei metalli presenti ( Fe,Cu).<br />

5. regola l’andamento della fermentazione può infatti avere un effetto batteriostatico o<br />

fungistatico, aumentandone la concentrazione diventa battericida e fungicida , così da inibire<br />

lo sviluppo degli apiculati favorendo quello degli ellittici (più è piccolo il microrganismo e<br />

maggiore è la superficie di contatto; nel caso dei lieviti ellittici hanno superficie minore<br />

quindi tollerano meglio la solforosa ). Ad alte temperature ,inoltre, si fermenta in modo<br />

troppo vigoroso e l’aggiunta della solforosa rallenta la fermentazione senza dover<br />

raffreddare.<br />

6. fermentazioni più rapide<br />

7. stabilità del colore, poiché la solforosa è riducente quindi capta l’ossigeno prima delle<br />

sostanze fenoliche<br />

8. maggiore stabilità del vino all’aria<br />

Svantaggi della SO2<br />

1. odore e sapore di idrogeno solforato (odore di uova marce) facile da eliminare con un<br />

travaso immediato altrimenti si arriva ai mercaptani (sostanza presente nelle fialette<br />

puzzolenti), sostanze stabili e difficili da eliminare.<br />

2. difficoltà di invecchiamento<br />

3. azione farmacologica dell’HSO3 - che agisce sui mitocondri.<br />

La SO2 può essere usata in vari modi :<br />

1. allo stato gassoso,<br />

2. allo stato liquido( in bombole; metodo più usato nelle grosse cantine e anche la più<br />

controllabile per la facilità di dosaggio nella somministrazione),<br />

3. allo stato solido ossia come sali ( solfito di sodio, bisolfito i sodio , metabisolfito di sodio e<br />

potassio ) che rappresenta la forma preferita dai piccoli produttori. Sotto questa forma la si<br />

usa anche in polvere ( poiché ha una resa del 58% in anidride bisogna raddoppiare circa la<br />

quantità da somministrare ).<br />

In enologia la solforosa può essere impiegata dalla conservazione dei vasi vinari , al trattamento<br />

delle uve , dalla solfitazione del mosto a quella del vino .Lo stadio miglior rimare comunque<br />

l’ammostatura o quello successivo, prima cioè che inizi il processo fermentativo. In linea<br />

56


generale la SO2 viene impiegata a dosi più elevate quando le uve sono alterate , la<br />

concentrazione zuccherina alta , il pH basso , la vinificazione in bianco: in quest’ultimo caso<br />

infatti la SO2 ostacola anche la fermentazione malo-lattica (la permanenza dell’acido malico<br />

mantiene al vino il gusto acidulo) e l’imbrunimento . Per l’Italia i limiti legali di SO2 sono di<br />

160 mg/l per i vini rossi e di 200 mg/l per i bianchi e i rosati. Prima della direttiva europea il<br />

limite massimo era fissato a 200 mg/l equivalente a 200 ppm = 20 g/hl per ogni tipo di vino..<br />

L’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha stabilito che la dose massima che un uomo<br />

può sopportare è di 0,7 g/kg di peso corporeo .E’ ammesso anche l’acido ascorbico (150 mg/l )<br />

per l’azione antiossidante più immediata a carico dei metalli ( Fe, Cu ) e per creare un ambiente<br />

riducente , che favorisce la formazione dell’aroma , meglio se usato prima dell’imbottigliamento<br />

e sempre abbinato all’SO2 . Nonostante i numerosi tentativi effettuati sia in campo fisico<br />

(radiazioni UV , ultrasuoni, refrigerazione e pastorizzazione) e chimico ( idrogeno solfato ,<br />

pirocarbonato di etile ecc..) non sono state trovate alternative valide all’SO2 che resta tuttora il<br />

miglior additivo in enologia.<br />

QUANTITA’ DI SOLFOROSA DA SOMMINISTRARE<br />

Uve sane 5-10 g/hl<br />

Molto zuccherine 10-15 g/hl<br />

Uve alterate 20-30 g/hl<br />

Uve troppo calde 15-20 g/hl<br />

Uve fredde 3-5 g/hl<br />

Uve poco acide 10-15 g/hl<br />

Uve acide<br />

Uve per vini colorati 20-40 g/hl che favorisce l’estrazione del colore<br />

dalle bucce<br />

TEMPI DI SOMMINISTRAZIONE<br />

1. direttamente sull’uva<br />

2. subito nel mosto in relazione ai dati precedentemente visti riguardanti la quantità<br />

(allontanando il rischio di legame con l’acetaldeide e l’acido piruvico, più probabile a<br />

metà fermentazione), oltre la quale si renderebbe meno efficace l’SO2.<br />

3. aggiunta di SO2 alla fine della fermentazione o prima dell’imbottigliamento, in relazione<br />

al destino del vino (solo nei vini da invecchiare, mentre per i novelli non si aggiunge).<br />

57


QUANTITA’ TOTALI DI SOLFOROSA NEI VINI<br />

Vini rossi questi vini contengono tannini che son già di per sé antisettici<br />

(venivano utilizzati anche nella concia delle pelli ) quindi se<br />

ne usano quantità inferiori<br />

vini rossi dolci (225 mg/l)<br />

Vini bianchi secchi (225 mg/l)<br />

Vini rossi secchi hanno pochi zuccheri quindi anche in questo caso se ne usa<br />

meno (175 mg/l)<br />

Vini dolci bianchi si usa più solforosa (275 mg/l)<br />

LA VINIFICAZIONE<br />

58


Fermentazione alcolica<br />

La trasformazione del mosto in vino consiste essenzialmente nella trasformazione degli zuccheri<br />

(glucosio e fruttosio) in alcol etilico. Tale trasformazione avviene ad opera dei lieviti e l’equazione<br />

generale della fermentazione alcolica è:<br />

C6H12O6 2C2H5OH + 2CO2 + 24 Kcal (calore medio sviluppato per mole di zucchero)<br />

I lieviti attaccano lo zucchero trasformandolo prima in acido piruvico (gliolisi), che subisce una<br />

decarbossilazione con formazione di aldeide acetica, la quale è ridotta ad alcol etilico.<br />

L’alcol può essere facilmente ossidato dai batteri con formazione di acido acetico.<br />

Il grado alcolico è la percentuale in volume di alcol etilico determinata a 20°C.<br />

59


Fermentazione malolattica ( o fermentazione secondaria)<br />

Un batterio lattico è un microrganismo che a partire da qualunque sostanza produce acido lattico.<br />

L’acido malico e quello tartarico sono presenti nel vino e contribuiscono all’acidità fissa, mentre<br />

l’acidità volatile è data dall’acido acetico.<br />

L’acidità fissa non deve superare certi valori: vini rossi 4 o /oo ; vini bianchi 3,4 o /oo<br />

In alcuni casi (in climi freddi o se si anticipa la vendemmia) è possibile riscontrare un eccesso di<br />

acido malico nel mosto. La diminuzione di acido malico si può ottenere tramite i batteri sferici<br />

(cocchi).<br />

I fermenti lattici sono bacilli (non ci interessano) o cocchi, e tra quest’ultimi abbiamo gli<br />

Streptococchi, con il gen. Streptococcus (sia omofermentanti che eterofermentanti), il<br />

gen.Pediococcus (omofermentanti) ed il gen. Leuconostoc (eterofermentanti).<br />

La malolattica è una fermentazione batterica, a carico dell’acido malico, i cui agenti sono i batteri<br />

lattici che sopportano abbastanza bene bassi valori di pH, contrariamente ai batteri che provocano<br />

malattie.<br />

Possiamo distinguere i batteri in:<br />

• batteri omofermentanti appartenenti ai generi Lactobacillus e Pediococcus (batteri<br />

streptococchi: cocchi in catenelle); producono quasi esclusivamente acido lattico ed operano<br />

a pH > 3.4<br />

• batteri eterofermentanti appartenenti al genere Leuconostoc (per la malolattica ci interessa<br />

molto la specie Leuconostoc oenos, che si sviluppa nel vino a pH inferiore o uguale a 3.2)<br />

che oggi è stato diviso in ulteriori due generi: Leuconostoc (batteri solo del latte) e<br />

Oenococcus (batteri del vino). Questi batteri, oltre all’acido lattico, che è il loro prodotto<br />

prevalente, producono anche acido acetico e succinico.<br />

Il principale risultato della fermentazione malolattica è la diminuzione dell’acidità fissa di 0,1-0,2<br />

unità di pH; infatti, l’acido lattico è più debole dell’acido malico, sono demoliti anche i malati di Ca<br />

e di K, per cui questi metalli si rendono liberi e salificano l’acido tartarico che, in parte, precipiterà;<br />

la diminuzione di acidità comporta una maggiore insolubilità dei sali dell’acido tartarico, che<br />

precipitano ulteriormente e provocano incrostazioni nelle botti.<br />

Si constata inoltre un aumento di acidità volatile dovuto al metabolismo dei batteri eterofermentanti<br />

che producono anche acido acetico demolendo acido citrico.<br />

Esigenze dei batteri responsabili della fermentazione malolattica :<br />

usano solo aminoacidi come fonte di N mentre i lieviti usano anche Sali di ammonio (sostanze<br />

inorganiche). Per il C usano anche l’acido malico oltre agli zuccheri. Come fattori di accrescimento<br />

usano vitamine (gli omofermentanti richiedono la Tiamina mentre non è richiesta dagli<br />

eterofermentanti).<br />

Condizioni che favoriscono lo sviluppo della fermentazione malolattica :<br />

• T abbastanza alte 25-45°C (batteri mesofili)<br />

• pH circa 3 (tendenzialmente i batteri vivono a pH 5-7)<br />

• O2 anaerobi o anaerobi facoltativi<br />

• grado alcolico >10°<br />

• resistenza alla SO2 sono meno suscettibili alla SO2 quando il pH=3<br />

I batteri lattici sono importanti nella trasformazione della pasta in pane, del latte in formaggio, nelle<br />

olive e negli insaccati, ma sono anche agenti di malattie nel vino e sono agenti della fermentazione<br />

malolattica nel vino, usando come fonte di energia l’acido malico e utilizzando gli aminoacidi<br />

60


provenienti dalla lisi dei lieviti (perciò i batteri lattici si sviluppano bene alla fine della<br />

fermentazione alcolica).<br />

Per favorire la fermentazione malolattica occorre ritardare i travasi, in modo che i batteri possano<br />

trarre gli alimenti dalla feccia , specialmente gli aminoacidi liberati dai lieviti per autolisi; invece se<br />

si vuole prevenire la fermentazione malolattica è utile anticipare il travaso subito dopo la<br />

fermentazione.<br />

Quando la fermentazione malolattica è completata, conviene effettuare una solfitazione (poiché il<br />

vino, ormai meno acido, risulta più soggetto all’azione dei microrganismi) e un travaso (per<br />

separare il nuovo deposito). Questa fermentazione è desiderata oltre che per i grandi vini rossi ,che<br />

si vogliano poco acidi e morbidi, anche nei climi freddi, dove si ha abbondanza di acido malico.<br />

Meccanismo della fermentazione malolattica<br />

1g di acido malico 0,77g di acido lattico e 0,33g di CO2<br />

L’enzima più importante è l’enzima malico che è un complesso di enzimi NADP + -dipendenti<br />

necessita di cationi bivalenti come Mg 2+ , pH=7, temperature intorno a 35°C e tollera condizioni<br />

alcoliche elevate. L’enzima non è costitutivo ma adattativo (si forma in presenza di acido malico).<br />

Prodotti secondari liberati dai batteri:<br />

- acido acetico (aumenta dopo la fermentazione)<br />

- diacetile e acetoino (composti aromatici)<br />

- glicerina (è dolce)<br />

61


Effetti della fermentazione malolattica:<br />

• diminuzione dell’acidità totale<br />

• aumento del pH<br />

• produzione di CO2<br />

• torbidità<br />

• il gusto diventa più gentile (diminuisce l’asprezza)<br />

• liberazione di prodotti secondari (acido acetico, di acetile e acetoino)<br />

• miglioramento o peggioramento della qualità<br />

Un vantaggio della fermentazione malolattica è che quando si ha un eccesso di acido malico posso<br />

eliminarlo. Posso favorire tale fermentazione posticipando il travaso (i batteri lattici hanno così<br />

sostanze nutritive a disposizione), innalzando la T e dando poca SO2; una presenza eccessiva di<br />

tannini ostacola la fermentazione malolattica.<br />

La fermentazione malolattica è utile nei vini rossi (soprattutto nelle zone fredde) perché rende il<br />

vino più maturo e armonico (l’acido malico ha un gusto aspro), mentre va inibita nei vini bianchi,<br />

dove bisogna sempre cercare di mantenere una certa acidità per assicurare la stabilità delle<br />

caratteristiche organolettiche relative al colore e alla fragranza di sapore.<br />

Quindi nei vini bianchi si opta per dei travasi veloci, basse T, maggiore dose di SO2, presenza di<br />

lieviti e filtrazione con pori minori di 0,2 mm.<br />

Se si vuole ottenere la fermentazione malolattica si può inoculare il vino con del vino preso in fase<br />

di fermentazione malolattica, oppure oggi si può indurre anche con batteri lattici selezionati che<br />

vivono bene a pH 3.2 e con T basse, resistenti all’alcol, alla SO2 e all’antagonismo con alcuni<br />

lieviti. Il momento migliore per fare avvenire la fermentazione malolattica è in funzione del vino<br />

che si vuole ottenere; alcuni vini non sono commerciabili se non avviene tale fermentazione. I vini<br />

novelli non subiscono la malolattica perché devono esprimere il <strong>prof</strong>umo dell’uva<br />

MALATTIE DEI VINI<br />

I difetti dei vini sono alterazioni di carattere chimico-fisico che interessano le caratteristiche<br />

organolettiche, in particolare l’odore e il sapore.<br />

Le malattie dei vini sono alterazioni di natura microbiologica; per evitare le malattie è bene<br />

effettuare una attenta pulizia dei locali e degli attrezzi, inoltre bisogna tenere il vino in un ambiente<br />

fresco, non al contatto con l’aria.<br />

Le malattie possono essere causate da lieviti (fioretta spunto) oppure da batteri (tutte le altre<br />

malattie).I vini più soggetti a malattie sono quelli poveri in alcol, in acidità fissa e in tannino e<br />

ricchi in N e zucchero. Le malattie possono essere distinte in funzione dell’O2 in:<br />

- aerobiche: dovute a microrganismi di superficie a contatto con l’aria (fioretta, spuntoacescenza)<br />

- anaerobiche: dovute a microrganismi presenti nella massa interna del vino (filante,<br />

agrodolce, girato e amaro)<br />

Le malattie possono essere distinte in funzione del composto attaccato:<br />

zucchero agrodolce e filante<br />

acido tartarico girato<br />

glicerina amaro<br />

alcol etilico fioretta e spunto-acescenza<br />

62


• Fioretta<br />

Causata da lieviti aerobi o in fase aerobica, del genere Candida (non sporigeno), Pichia (sporigeno)<br />

e Hansemula (sporigeno).<br />

Il fattore predisponente la malattia è l’O2.<br />

Se lascio la botte scolma, i lieviti agenti della malattia attaccano l’alcol etilico (producendo H2O e<br />

CO2) e formano in superficie una massa bianca a forma di fiorellini. Il colore del vino assume<br />

riflessi giallognoli.<br />

Per prevenire la fioretta, che rende il vino non commerciabile, bisogna usare il tappo colmatore ed<br />

evitare il contatto con l’aria. Dopo la fioretta, di solito, avviene l’acescenza tramite l’Acetobacter e<br />

il Gluconobacter che utilizzano l’alcol etilico e producono acido acetico.<br />

• Spunto-acescenza<br />

Causata da batteri aerobi (Acetobacter e Gluconobacter) che attaccano l’alcol etilico producendo<br />

acido acetico; nel vino si osserva un velo superficiale iridescente e viscido, inoltre si ha uno<br />

sgradevole odore di aceto.<br />

Per prevenire tale malattia bisogna evitare il contatto con l’aria e utilizzare il tappo colmatore.<br />

• Agrodolce o fermentazione lattico-mannitica<br />

Non colpisce i vini già ottenuti ma si può verificare durante la fermentazione o in un vino rimasto<br />

dolce. Tale malattia è causata da batteri lattici (anaerobi) ed è causata da un’alta temperatura di<br />

fermentazione (che causa una limitata attività dei lieviti, favorendo i batteri lattici termofili) o dalla<br />

rifermentazione con temperature maggiori di 37 o C ; quindi la temperatura è il fattore predisponente<br />

ed è bene mantenerla bassa per evitare tale malattia.<br />

I composti attaccati dalla malattia sono gli zuccheri e si formano mannite ( è un polialcol dolce che<br />

deriva dal fruttosio), acido acetico, acido lattico (dal glucosio) e CO2 .<br />

Agro(acido acetico)-dolce(mannite).<br />

• Girato o sobbollimento o cerchione<br />

Colpisce i vini rossi, viene attaccato dai batteri anaerobi l’acido tartarico e si forma acido acetico,<br />

acido propionico, acido lattico e CO2 . Nel vino rosso si nota uno scolorimento mentre nel vino<br />

bianco un incupimento; sulla superficie si forma un velo iridescente che forma un cerchione e si<br />

formano all’interno del vino nubecole sericee che precipitano sul fondo trasportando le sostanze<br />

coloranti, quindi il liquido diventa opalescente.<br />

I vini molto colpiti da tale malattia sono quelli poco alcolici e poco acidi, quindi l’alcol è il fattore<br />

predisponente. Per prevenire effettuare travasi tempestivi.<br />

• Amaro<br />

I batteri anaerobi attaccano la glicerina trasformandola in aldeide acrilica (responsabile del sapore<br />

amaro della frittura) che si condensa con le sostanze coloranti del vino e precipita. Quindi si ha uno<br />

scolorimento, gusto amaro, odore di burro e putrido.<br />

Il fattore predisponente è la glicerina e i vini deboli (poco alcolici 10-11% e pH alto > 3,6).<br />

Per prevenire bisogna tenere sotto controllo il vino con la solforosa ed effettuare travasi tempestivi.<br />

• Filante<br />

Tale malattia colpisce per lo più i vini bianchi e si manifesta con una viscosità accentuata e il vino<br />

quando viene versato “fila” come l’olio. Inoltre si può avere un retrogusto acre e rancido e un<br />

intorbidamento. Gli agenti sono i batteri lattici in catenelle che hanno la capsula (catenelle +<br />

mucosa = viscosità). Tale malattia si verifica in vini in cui si ha presenza di zuccheri residui e molto<br />

N disponibile (i batteri lo utilizzano per formare la capsula); il filante colpisce i vini della pianura<br />

(ricchi di sostanza organica e quindi di N), mentre i vini ottenuti da terreni in collina ( più poveri di<br />

63


sostanza organica) sono migliori, perché la produzione di sostanze aromatiche è una risposta allo<br />

stress. Il filante si cura rompendo le catenelle mediante sbattimento e filtrazione.<br />

MALATTIE DEI VINI<br />

(Schema generale)<br />

DIFETTI MALATTIE<br />

( di carattere chimico-fisico<br />

come la rottura di colore ) (alterazioni microbiologiche)<br />

DEI PRODOTTI ATTACCATI DA LIEVITI DA BATTERI da<br />

(fioretta ,spunto) (tutte le altre ) microrganismi<br />

aerobi e anaerobi<br />

zucchero alcol ac. tartarico glicerina fioretta acescenza tutte<br />

le altre<br />

agrodolce filante fioretta acescenza girato amaro<br />

64


<strong>MICROBIOLOGIA</strong> DEL TERRENO<br />

Ciclo dell’azoto<br />

L’azoto entra a far parte degli aminoacidi e degli acidi nucleici. Generalmente le piante assumono<br />

l’N dal suolo o dall’acqua sotto forma ionica, mentre quello atmosferico è sotto forma biatomica<br />

(N2) in cui i due atomi di azoto sono tenuti insieme da un triplo legame che richiede molta energia<br />

per essere scisso (molto stabile), per cui le piante non sono in grado di assorbire l’azoto<br />

direttamente dall’atmosfera ma serve un processo che trasformi l’azoto biatomico in azoto ionico *<br />

detto biofissazione (il ciclo dell’azoto è una continua serie di processi naturali con i quali l’azoto<br />

passa dall’aria al suolo, ai vegetali e in ultimo agli animali e quindi torna all’aria o al suolo<br />

attraverso i processi di demolizione della sostanza organica e/o della denitrificazione).<br />

• Nitrificazione : i batteri nitrificanti possono essere compresi in due gruppi:<br />

1. quelli appartenenti al genere Nitrosomonas che ossidano l’ammoniaca a nitrito<br />

(NO2 - ) secondo la reazione NH4 + +1/2 O2 H2O+NO2 - + 2H3O + con<br />

liberazione di 273,9 kj mol -1<br />

2. quelli appartenenti al genere Nitrobacter che ossidano nitrito a nitrato secondo la<br />

reazione : NO2 - +1/2 O2 NO3 - con liberazione di 76,7 kj mol -1<br />

• Denitrificazione : esistono ben determinate specie batteriche che possono operare un<br />

processo di respirazione anaerobica nel quale invece dell’ossigeno utilizzano il nitrato come<br />

accettare finale di elettroni. Tale processo viene definito come riduzione disassimilativa<br />

del nitrato durante la quale i batteri riducono il nitrato a nitrito ma non oltre. Altri batteri<br />

invece possono ridurre il nitrato a protossidido d’azoto (ed infine ad azoto molecolare che<br />

infine si libera nell’atmosfera). La denitrificazione mette in grado i batteri denitrificanti di<br />

ottenere una completa ossidazione del substrato organico e quindi un rendimento di crescita<br />

ottimale anche in assenza di ossigeno. La denitrificazione, infatti, è un processo respiratorio<br />

a tutti gli effetti; tuttavia essendo qui il nitrato, e non l’ossigeno, l’accettore finale di<br />

elettroni, è un processo di respirazione anaerobica.<br />

65


• Azoto fissazione L’aria contiene l’80% di azoto ed è considerata la grande “riserva” oltre<br />

che valvola di sicurezza del sistema. L’azoto dell’aria, per effetto delle scariche elettriche,<br />

può essere scisso per combinarsi immediatamente con l’ossigeno a formare ossidi di azoto<br />

che, sciogliendosi nell’acqua durante le piogge, arrivano nel suolo sotto forma di nitrati.<br />

Direttamente dall’aria l’azoto può essere fissato, con un determinato dispendio energetico,<br />

da determinati batteri e alghe azzurre; i primi lo possono fare da soli ( fissazione libera<br />

operata da batteri quali quelli appartenenti al genere Azotobacter, che vivono in suoli<br />

neutri; il genere Beijerinckia, che si adatta bene anche a suoli acidi, tant’è che si è isolato in<br />

foreste equatoriali insieme al genere Derxia; il genere Pseudomonas, tutti aerobici, e il<br />

genere Clostridium, anaerobici),vivendo nel suolo da soli o in simbiosi come nel caso del<br />

genere Rhizobium che vive nelle radici delle leguminose formando dei noduli radicali.<br />

Relativamente di recente si è scoperto che anche dei funghi Attinomiceti sono in grado di<br />

formare noduli radicali negli ontani (genere Alnus) e di fissare azoto atmosferico ( finora<br />

sono state individuate circa 160 specie di dicotiledoni appartenenti a vari generi con noduli<br />

di Attinomiceti e la maggior parte di esse vivono in terreni poveri dove l’azoto inorganico<br />

disponibile è molto scarso. Queste alghe dispongono di cellule particolari dove avviene il<br />

processo di fissazione chiamate eterocisti . Dette cellule hanno bassi contenuti di ossigeno<br />

per favorire l’azione di un enzima particolare, la nitrogenasi, che catalizza la reazione.<br />

Questo enzima per funzionare correttamente necessita che sussista:<br />

1. la presenza di tracce di Fe e Mo per la sintesi dell’enzima<br />

2. presenza di processi metabolici che liberano elettroni per la riduzione dell’azoto e di<br />

ATP per il fabbisogno energetico<br />

3. presenza di ioni magnesio<br />

4. temperature compatibili con la crescita di batteri mesofili<br />

5. assenza di ossigeno,che inattiva irreversibilmente l’enzima<br />

La fissazione biologica è alquanto costosa in termini energetici; bisogna infatti rompere il triplo<br />

legame della molecola biatomica dell’azoto per formare, con l’aggiunta dell’idrogeno dell’acqua,<br />

due molecole di ammoniaca (NH3) .<br />

Le leguminose nei noduli radicali devono fornire un minimo di 10g di glucosio (pari a circa 40<br />

Kcal) perché i batteri o gli Attinomiceti fissino 1g di azoto con una resa del 10% . A questo<br />

proposito gli organismi liberi hanno rese inferiori necessitando talvolta di 100g di glucosio per 1g di<br />

azoto con una efficienza dell’1%.<br />

Piante e Cianobatteri fissano il 60% dell’azoto totale fissato per anno sulla terra ; il 15% deriva dai<br />

lampi e dalle radiazioni UV ed il rimanente 25% deriva dai processi industriali.<br />

In sintesi il diverso stato di ossidazione che l’azoto può assumere, e quindi il suo diverso ruolo per i<br />

microrganismi, fa si che continuamente esso possa essere trasformato da una forma ad un’altra<br />

mediante reazioni catalizzate che, nel loro insieme, formano un processo ciclico :<br />

• la riduzione assimilativa del nitrato operata dagli organismi azoto autotrofi trasforma<br />

(riduce) nitrato(+5) in ammoniaca (+3); così come la fissazione biologica dell’azoto operata<br />

dai procarioti trasforma (riduce) l’azoto molecolare in ammoniaca;<br />

• l’ammoniaca così prodotta , o assorbita dall’esterno come tale, viene incorporata senza<br />

cambiamento dello stato di ossidazione , nei composti organici per la sintesi di materiale<br />

cellulare azotato;<br />

• la degradazione della materia organica azotata ad opera dei decompositori trasforma l’azoto<br />

organico in ammoniaca<br />

• la nitrificazione operata dai batteri nitrificanti trasforma ( ossida ) l’ammoniaca (-3) in<br />

nitrito (+3) , ed il nitrito in nitrato (+5);<br />

66


• la denitrificazione , operata dai batteri denitrificanti , trasforma (riduce) il nitrato (+5) in<br />

nitrito (+3) prima, ed in azoto molecolare poi.<br />

67


Ciclo del carbonio<br />

Più semplice, rispetto a quello dell’azoto, perché alla fine del ciclo tutto si trasforma in CO2 e H2O.<br />

La cellulosa e l’amido sono le sostanze prodotte in maggiore quantità durante l’anno. La prima è un<br />

polimero del glucosio formato da molecole legate da ponti b: i cellulosolitici degradano le lunghe<br />

molecole di cellulosa interessando dapprima i legami idrogeno che legano le catene laterali per poi<br />

spezzare le catene di glucosio fino all’idrolisi completa (glucosio singolo). Tra questi<br />

microrganismi ne possiamo elencare di obbligati aerobi:<br />

Ordine MYXOBATTERIALES<br />

genere Citophaga<br />

genere Sporocitofaga<br />

genere Solangium<br />

e microrganismi non obbligati:<br />

Ordine PSEUDOMONALES<br />

genere Pseudomonas<br />

Ordine<br />

genere Celvibio<br />

genere Celfacicula<br />

Tra gli anaerobi troviamo anche microrganismi del genere Clostridium. La cellulosa ha un ruolo<br />

importante anche nell’azoto fissazione (è infatti un consiglio quello di sotterrare sempre le stoppie<br />

piuttosto che bruciarle); la cellulosa,infatti ,va a costituire l’HUMUS prima di essere degradata,<br />

questo ha grosse capacità di trattenere acqua e sostanze nutritive, tutte prerogative di un buon<br />

terreno e che è impossibile avere in mancanza di sostanza organica.<br />

La quantità di carbonio fissata sulla terra attraverso la fotosintesi è impressionante: le stime variano<br />

da circa 70 a 120 miliardi di tonnellate l’anno; attualmente l’atmosfera ne contiene soltanto circa un<br />

68


millesimo dell’1% del totale; ogni anno più del 13% del carbonio contenuto nell’atmosfera è<br />

utilizzato nella fotosintesi e circa la stessa quantità è scambiata con la CO2 disciolta negli oceani.<br />

La quantità di CO2 presente nell’aria è rimasta abbastanza stabile a circa 280 ppm per la maggior<br />

parte degli ultimi mille anni, a partire dal 1850 circa la quantità di CO2 nell’atmosfera è aumentata<br />

esponenzialmente fino a circa 352 ppm nel 1990. La ragione principale di questo aumento è<br />

attribuito alla combustione dei prodotti fossili (si consideri che quando si brucia 1 litro di petrolio è<br />

come se si bruciassero 23,5 tonnellate di sostanza organica; all’aumento avrebbe però anche<br />

contribuito il disboscamento ed in particolare gli incendi delle foreste tropicali. Gli ecosistemi<br />

stabili, come le foreste pluviali tropicali, introducono nell’atmosfera, attraverso la respirazione e la<br />

decomposizione, una quantità di CO2 quasi uguale a quella che sottraggono quando sono disboscati<br />

ed incendiati trasferendo dalla biosfera all’atmosfera il carbonio accumulato nella loro biomassa. In<br />

questo discorso è da considerare una grossa aggravante l’effetto serra che ha effetto a livello<br />

globale sulla biosfera; viene infatti postulato che, per effetto dell’emissione della CO2 nell’aria, si<br />

verifichi una diminuzione dell’entità dell’emissione calorica della terra verso lo spazio e di<br />

conseguenza la temperatura terrestre aumenterebbe.<br />

69


Ciclo dello zolfo<br />

Lo zolfo è un costituente dei due aminoacidi solforati cisteina e metionina e di numerosi altri<br />

composti cellulari quali coenzimi e prodotti secondari delle piante. La maggior parte dello zolfo<br />

funzionale è presente nelle cellule in forma ridotta come gruppo solfuro (S 2- ) e disolfuro (-S-S-). Lo<br />

zolfo è coinvolto poi in numerosi enzimi e metallo proteine (come le ferro-solfo proteine e le rameproteine).<br />

La carenza di zolfo è un evento raro in natura, dato che la maggior parte dei suoli sono ricchi di<br />

solfato (SO4) che rappresenta la forma chimica sotto cui lo zolfo viene assorbito dalle piante.<br />

Comunque la mancanza di zolfo impedisce la formazione degli aminoacidi solforati provocando un<br />

arresto della sintesi proteica.<br />

Anche per lo zolfo esiste un ciclo in natura per descrivere il quale si possono fare le stesse premesse<br />

fatte per il ciclo dell’azoto:<br />

lo zolfo può esistere in numerosi stati di ossidazione che vanno da -2, come nel solfuro S 2- , a +6<br />

come nel solfato SO4 - , ognuna delle quali può essere utilizzata per scopi fisiologici a volte diversi<br />

dagli organismi viventi; infatti:<br />

• il solfato rappresenta la principale fonte di zolfo per le piante, batteri e funghi che lo<br />

riducono a solfuro incamerandolo nella materia organica come gruppo sulfidrilico;<br />

• mediante un processo di degradazione anaerobica e di mineralizzazione della materia<br />

organica, definita come desulfuricazione, i gruppi mercapto dei composti organici solforati,<br />

tipo metionina e cisteina, vengono spezzati dalle sulfurasi con formazione di idrogeno<br />

solforato;<br />

• il solfato può essere inoltre utilizzato dai batteri solfato riduttori quali Desulfovibrio<br />

desulfuricans che lo utilizzano come accettare ultimo di idrogeno in un processo di<br />

respirazione anaerobica riducendolo a idrogeno solforato;<br />

• i batteri fototropici anaerobici, quali Chromatium e Chlorobium, ossidano l’idrogeno<br />

solforato prodotto nei sedimenti anossici a zolfo elementare e a solfato. Se però l’idrogeno<br />

solforato si forma in condizioni di aerobiosi, esso viene ossidato abioticamente a zolfo<br />

mediante reazione con l’ossigeno presente;<br />

• lo zolfo verrà ossidato dai solfobatteri chemiosintetici aerobi del genere Thiobacillus a<br />

solfato.<br />

70


<strong>MICROBIOLOGIA</strong> DEL LATTE<br />

Il latte costituisce un ottimo terreno di crescita per i microrganismi poiché racchiude in se sostanze<br />

sia semplici che complesse e proprio in base a questa capacità di dare “vitto e alloggio” persino ad<br />

agenti patogeni sono state varate leggi atte a tutelare i consumatori di latte prevedendo tecniche di<br />

pastorizzazione in grado al contempo di eliminare gran parte di questi microrganismi e di lasciare<br />

pressoché inalterate le qualità organolettiche dell’alimento.<br />

Le sostanze che si sono trovate e studiate nel latte sono:<br />

• Vitamine del gruppo B<br />

• Acido lattico<br />

• Acido citrico<br />

• Sostanze azotate solubili quali urea e aminoacidi liberi<br />

• Sostanze in sospensione colloidale:<br />

1. caseina b<br />

2. caseina g<br />

3. caseina a<br />

4. enzimi:<br />

o fosfatasi alcalina usata come test per l’avvenuta caseificazione del latte<br />

o proteasi<br />

o lipasi<br />

o perossidasi: utile per verificare il maltrattamento del latte; si possono infatti<br />

trovare valori alti di perossidasi in latti contenuti nelle cisterne per il trasporto se<br />

riempite a metà, quando cioè queste tendono a scuotere il latte favorendone l’urto<br />

con le pareti del recipiente.<br />

• Immunoglobuline<br />

• Componenti in emulsione: come grassi a catena lunga o corta<br />

• Leucociti o cellule somatiche; presenti in quantità cospicue quando l’animale è malato<br />

o ha turbe<br />

• Grassi; 3% per latte di vacca, 2.8-3.5% per latte di pezzata nera<br />

• Lattosio; quantità simili nelle tre specie<br />

• Proteine; 3-5% per latte bovino<br />

5-6% per latte ovino<br />

4% per latte caprino<br />

71


Fattori che influenzano la produzione e la composizione del latte<br />

Fattori fisiologici<br />

o periodo di lattazione<br />

o ciclo di lattazione<br />

o produzione di colostro<br />

o latti anomali (lenti)<br />

o periodo secco<br />

Fattori alimentari<br />

o livello alimentare<br />

o composizione della razione: alimentazione con fieno o pascolo asciutto fa produrre latti<br />

ricchi in proteine ma con grassi a catena corta; alimentazione con fieno di alta qualità fa<br />

produrre latti con gusto più persistente nel tempo,<br />

o azioni specifiche<br />

Fattori climatici<br />

o stagione<br />

o temperatura<br />

o illuminazione<br />

o condizioni metereologiche: con vento e grandine si è notato un aumento della<br />

concentrazione lipidica nel latte<br />

Fattori genetici<br />

o razza<br />

o soggetto<br />

o selezione<br />

o ereditarietà<br />

Fattori zootecnici diversi<br />

o animale<br />

o mungitura (manuale o meccanica)<br />

o stabulazione<br />

o condizioni di raccolta del latte<br />

Fattori sanitari<br />

o stato di salute dell’animale<br />

o stato di salute della mammella: bisogna garantire la salubrità del latte e di conseguenza<br />

dell’animale che lo produce; lo stesso latte è definito come il prodotto di una mungitura<br />

completa di un animale in buone salute e con un buon stato di alimentazione.<br />

72


Microrganismi del latte<br />

Studiando il latte dal punto di vista microbiologico si è notata l’assenza di archeabatteri mentre è<br />

molto facile la proliferazione di certi generi di lieviti e muffe (eubatteri). Tra questi quelli molto<br />

studiati e conosciuti appartengono ai generi Lactobacillus, Streptococcus, Staphilococchi ,<br />

Enterobatteri ecc.<br />

Le principali vie di contatto dei microrganismi con il latte è<br />

1. la contaminazione mammaria:<br />

endogena: direttamente tramite il sangue, l’animale malato trasmette così il patogeno<br />

direttamente nel latte che sta producendo. Tra questo tipo di microrganismi troviamo l’agente<br />

della difterite, di cui l’animale è portatore sano;l’agente della brucellosi che per via ematica si<br />

trasmette al latte (genere Brucella abartus nei bovini, Brucella helitensis negli ovini, Brucella<br />

suis nei caprini);l’agente della tubercolosi (Microbacterium tubercolosis bovis);l’agente della<br />

gastroenterite (enterobatteri quali Salmonella, prolens, E.coli ); certi stafilococchi (come<br />

Staphilococcus aurens che convive col mungitore che fa da vettore di trasmissione attraverso la<br />

mungitura manuale trasferendo il patogeno all’animale); l’agente del carbonchio (Bacillus<br />

anthracis); l’agente del vaiolo e del tifo; le mastiti (in genere più latte un animale produce e più<br />

è suscettibile all’insorgenza di mastiti; inoltre anche errori nella mungitura meccanica ,come<br />

quello di adoperare mungitrici per bovini su ovini, possono creare disfunzioni nel tessuto<br />

mammario dovute ad esempio da Staphilococcus aurens che si manifesta con l’insorgenza di<br />

pustole localizzate anche esteramente);<br />

esogena: Staphilococchi e Enterobatteri penetrano nella mammella in modo ascendente<br />

partendo dalla cute e risalendo attraverso l’orifizio del capezzolo proliferano come colonie di<br />

batteri sa<strong>prof</strong>iti patogeni.<br />

2. contaminazione esterna alla mammella :<br />

Clostridi butirrici (conferiscono il tipico gonfiore ai formaggi) trasmessi attraverso gli insilati, i<br />

pellettati ne contengono un quantitativo notevole, per questo è necessario migliorare la qualità<br />

sanitaria degli insilati in genere; si pensi che per la produzione del Parmigiano reggiano le<br />

vacche non vengono alimentate con insilati per evitare in alcun modo il gonfiore tardivo.<br />

Qualità batteriologica del latte<br />

1. allevamento: attenzioni particolari direttamente in sala di mungitura;<br />

2. l’animale: il suo stato di salute, di nutrizione e d’igiene;<br />

3. mungitura: lavaggio della mammella, eliminazione dei primi getti di latte, cura dell’igiene<br />

del mungitore, pulizia dei materiali impiegati nella mungitura; secondo la legge n°46 del<br />

1992 si obbliga la presenza della sala di mungitura per chi vuole commercializzare latte<br />

(naturalmente se lo produce anche), inoltre obbliga la presenza in essa di un lavandino che<br />

eroghi acqua potabile;<br />

4. raccolta e del latte: filtrazione, pulizia dei contenitori e raffreddamento;<br />

5. trasporto del latte: raccolta, raffreddamento e durata del viaggio;<br />

73


Igiene dell’animale<br />

I fattori che influenzano la contaminazione microbica del latte legati alla mungitura sono:<br />

1. condizioni igieniche della sala di mungitura: la mungitura meccanica migliora la qualità del<br />

latte solo se gestita bene altrimenti si rischia un netto peggioramento qualitativo (come nel<br />

caso in cui si usino acque non potabili per il lavaggio della macchina di mungitura o una non<br />

perfetta pulizia della stessa con presenza di residui e incrostazioni );<br />

2. condizioni igieniche dell’animale:pulito se latte con carica batterica = 8 000 germi/ml, non<br />

pulito se latte con carica batterica = 17 000 germi/ml<br />

3. condizioni igieniche della mammella: parametro molto importante; lavata se latte con carica<br />

batterica = 40 000 germi/ml; non lavata se latte con carica batterica = 1 900 000 germi/ml<br />

(lavando la mammella prima dell’operazione di mungitura si può ridurre la carica batterica<br />

nel latte fino al 97,9%);<br />

4. igiene mani del mungitore: in una mano non perfettamente pulita si possono trovare in<br />

media 45 000 000 di germi;<br />

5. influenza tecnica di mungitura: nei primi getti si possono trovare fino a 2 000 000 germi/ml<br />

di latte; tolti i primi getti si riduce a 100 000 germi/ml, con una riduzione del 62% della<br />

carica microbica; questo se accompagnato alla pulizia della mammella si può tradurre in un<br />

latte la cui carica non supera i 10 000 germi/ml; oltretutto con l’eliminazione dei primi getti<br />

è anche possibile individuare la presenza di mastiti (grumi di caseina se mastiti subcriniche,<br />

oppure grumi di sangue se mastiti croniche);<br />

6. recipienti sporchi: si rischia un incremento da 200 000 a 1 000 000 germi/ml;<br />

Classificazione dei microrganismi del latte<br />

Lactobacillus<br />

Streptococcus<br />

Leuconostoc<br />

Pediococcus<br />

Propioniobacterium<br />

Micrococus<br />

Brevibacterium<br />

Staphylococcus<br />

Bacillus (anthracis)-----------------------viene inattivato a 55°C, a 110°C si inattivano le sue spore<br />

Clostridium<br />

Enterobacteriaceae<br />

Pseudomonas<br />

Corynebacterium<br />

Bifidobacterium<br />

Lieviti<br />

Muffe e batteriofagi<br />

74


Caratteristiche del latte al momento della raccolta o dell’ammissione allo stabilimento<br />

Valori da attribuire al latte vaccino:<br />

• punto crioscopico: -0.520°C<br />

• peso specifico a 20°C > 1.028g/l<br />

• contenuto proteico > 28g/l<br />

• estratto secco magro > 8.50%<br />

produzione latte alimentare:<br />

• carica batterica totale a 30°C < 100 000 germi per ml<br />

• contenuto in cellule somatiche sempre per ml < 400 000<br />

produzione di prodotti a base di latte:<br />

• carica batterica totale a 30°C < 400 000 germi per ml<br />

• contenuto di cellule somatiche per ml < 500 000<br />

• formaggi da latte crudo CBT < 400 000<br />

I microrganismi presenti nel latte sono divisibili in due gruppi: microrganismi sa<strong>prof</strong>iti non<br />

patogeni (Lattobacilli, streptococchi, Escherichia coli, Pseudomonas, Clostridi) e microrganismi<br />

patogeni (agenti del tifo, della difterite, del colera, della brucellosi). Il latte contiene persino<br />

sostanze ad attività antibatterica, quali lattenine, ma il loro potere battericida si esaurisce nel giro di<br />

poche ore lasciando così spazio alla proliferazione batterica.<br />

La contaminazione del latte può avvenire attraverso due vie: una contaminazione endogena che<br />

si ha quando un animale malato trasmette i propri germi patogeni al latte che produce ; quando<br />

l’affezione è semplicemente locale (a livello della mammella) i microrganismi possono contaminare<br />

il latte durante il suo passaggio nel canale del capezzolo . persino l’animale sano può possedere una<br />

microflora di tipo sa<strong>prof</strong>itico a livello della mammella (Micrococcus e Corynebacterium); una<br />

contaminazione esogena provocata dal contatto del latte con la pelle dell’animale, i recipienti e gli<br />

strumenti di raccolta del latte (mungitura), l’ambiente, il foraggio, il personale addetto e gli<br />

strumenti usati per la refrigerazione e il trasporto. La refrigerazione provoca una selezione della<br />

popolazione microbica: a temperatura ambiente si moltiplicano più rapidamente i batteri acidificanti<br />

e i lieviti (nel giro di poche ore). A 4°C, temperatura di refrigerazione, si sviluppano microrganismi<br />

psicrofili ad attività lipolitico e proteolitica ma il loro sviluppo è evidente solo dopo 24 ore dalla<br />

mungitura.<br />

BATTERI DEL LATTE<br />

I batteri che interessano le trasformazioni lattiero-casearie sono i batteri lattici<br />

75


I batteri possono essere Gram + , in grado di fermentare i carboidrati ad acido lattico, non possiedono<br />

citocromi, sono anaerobi ma tollerano la presenza di ossigeno, sono immobili e asporigeni.<br />

Streptococchi e Leuconostoc hanno forma sferica (tipica dei cocchi) mentre i lattobacilli hanno<br />

forma bastoncellare. Gli Streptococchi sono omofermentanti perché la loro fermentazione è di tipo<br />

omolattica (trasformazione del lattosio in acido lattico al 90%). Tra gli Streptococchi quelli lattici<br />

sono i più comuni sono:<br />

• Streptococcus lactis e Streptococcus cremonis: entrambi responsabili dell’acidificazione<br />

spontanea del latte<br />

• Streptococcus diacetylactis : consente anche la fermentazione dell’acido citrico a<br />

diacetile, caratteristica sostanza aromatica del burro<br />

• Streptococcus thermophilus : importante per la maturazione dei formaggi a pasta cotta<br />

I Lattobacilli si dividono in omofermentanti (termofili e mesofili e producono maggiori quantità di<br />

acido lattico rispetto agli Streptococchi ed hanno una lieve ma più spiccata attività proteolitica) ed<br />

eterofermentanti (responsabili della fermentazione eterolattica producendo acido lattico solo per il<br />

50% e per il restante 50% etanolo, CO2 ed altre sostanze aromatizzanti , come l’acido acetico). L’<br />

attività proteolitica è sfruttata nella maturazione del formaggi :<br />

• Lactobacillus helveticus e Lactobacillus lactis : importanti per la maturazione dei<br />

formaggi a pasta cotta, sono termofili (temperature massime di sviluppo rispettivamente a<br />

48°C e 52°C)<br />

• Lactobacillus casei e Lactobacillus plantarum : importanti nella maturazione dei<br />

formaggi a pasta dura non cotta<br />

• Lactobacillus bulgaricus: termofilo, la sua attività fortemente acidificante viene sfruttata<br />

nella produzione dello yogurt<br />

• Leuconostoc citrovorum: eterofermentante responsabile della fermentazione della crema<br />

con produzione di diacetile.<br />

Oltre a quelli lattici troviamo batteri che favoriscono la maturazione dei formaggi e, al contrario,<br />

batteri che ne possono essere causa di alterazioni:<br />

• Escherichia coli e Coli aerogenes: batteri enterici coliformi di origine fecale che<br />

fermentano lattosio ad acido lattico, acido acetico e gas quali CO2 e idrogeno (questi ultimi<br />

sono conosciuti come la causa di una caratteristica alterazione dei formaggi molli detta<br />

“gonfiore precoce”dovuta ad una fermentazione acido mista);<br />

• Batteri propionici : di origine fecale, fermentano latte ad acido lattico tramite<br />

fermentazione propionica con produzione di acido propionico, acido acetico, CO2; questa<br />

fermentazione gasogena è causa del “gonfiore tardivo” nei formaggi a pasta cotta ,<br />

alterazione che si manifesta durante la salatura e la maturazione che provoca la formazione<br />

di un’occhiatura anomala o di grosse cavità saltuarie (nell’Emmental questa fermentazione è<br />

invece molto ricercata).<br />

• Clostridium: batteri anaerobi presenti nei foraggi e insilati, responsabili infatti della<br />

contaminazione del latte prodotto in inverno, cioè quando il bestiame viene alimentato solo<br />

con foraggi; sono responsabili delle fermentazioni di lattosio e lattati ad acido butirrico,CO2<br />

e H2 causando l’alterazione tipica di formaggi a pasta cotta dette “gonfiori<br />

tardivi”(fermentazione butirrica).<br />

• Micrococcus luteus: esempio di batterio proteolitico, favorisce la maturazione dei formaggi<br />

perché attaccano la caseina, idrolizzandola, e gli zuccheri acidificando il latte con<br />

formazione di acido lattico<br />

76


• Clostridium lentoputrescens: batterio proteolitico responsabile della produzione di odore e<br />

aroma sgradevoli<br />

• Bacillus subtilis: batterio proteolitico aerobico, sporigeno e molto resistente alle<br />

temperature (difficile sterilizzazione del latte che li contiene).<br />

• Pseudomonas aeruginosa e Escherichia coli: non sporigeni, si sviluppano bene alle<br />

temperature di refrigerazione, hanno la capacità di prendere il sopravvento sui batteri lattici.<br />

• Pseudomonas fluorescens: il più comune batterio lipolitico (idrolizza trigliceridi).<br />

Lieviti e muffe appartengono al regno dei protisti superiori quindi sono eucarioti; la loro<br />

contaminazione nel latte non è quasi mai rilevante dal punto di vista quantitativo (nonostante il latte<br />

rappresenti per loro un ottimo terreno di coltura).<br />

• Saccharomyces fragilis , Saccharomyces lactis, Morula kephyr, Candida<br />

pseudotropicalis (varietà lactosa): sono tutti lieviti capaci di dare origine a<br />

fermentazione alcolica utilizzando come substrato il lattosio, largamente utilizzati per i<br />

latti fermentati<br />

• Lieviti a fermentazione gasogena: che inquinano con facilità formaggi molli e yogurt<br />

(gonfiore precoce, causato questo anche da coliformi).<br />

• Oospora lactis, Cladosporium butyri, Scopulariopsis brevicaule: muffe responsabili<br />

dell’irrancidimento del burro (provengono da soffitti e pareti degli ambienti in cui si<br />

lavora il burro);<br />

• Penicillium: si evidenzia con la formazione di tipiche chiazze verdi su burro<br />

conservato per tempi lunghi o impastato in maniera non razionale;<br />

• Alternaria e Cladosporium: formano chiazze scure nel burro;<br />

• Oospora: forma chiazze arancioni sempre nel burro;<br />

• Penicillium roqueforti: in formaggi a muffa verde intera (come Gorgonzola e<br />

Roquefort), muffa proteolitica che causa un rapido innalzamento del coefficiente di<br />

maturazione(CM);<br />

• Penicilliun camemberti: formaggi a muffa bianca esterna.<br />

Processi di risanamento e conservazione del latte<br />

Il Latte per essere messo in commercio subisce dopo la raccolta un insieme di processi :<br />

• Filtrazione: per eliminare le particelle più grossolane o centrifugazione che permette una<br />

migliore separazione dello sporco in sospensione;<br />

• Standardizzazione del contenuto in grasso: in Italia il latte intero deve avere un contenuto<br />

minimo in grasso pari al 3.2% , quello parzialmente scremato l’1.8%, quello scremato non<br />

più dello 0.5%<br />

• Omogeneizzazione e deodorizzazione: trattamento meccanico effettuato anche dopo il<br />

risanamento termico atta a ridurre le dimensioni dei globuli di grasso diminuendo di<br />

conseguenza la velocità con cui questi affiorano. Consiste nello spingere il latte a forti<br />

pressioni (150-200atm) contro una valvola munita di orifizio molto piccolo che conduce il<br />

latte in una camera a pressione atmosferica (1 atm ) ;<br />

77


• Risanamento: distruggendo i microrganismi patogeni eventualmente presenti .Oggi per<br />

questa operazione si utilizza il calore capace di inattivare enzimi (come le lipasi) e di avere<br />

azione battericida;Tra queste tecniche è diffusa la pastorizzazione e la sterilizzazione:<br />

o Pastorizzazione : condotta a temperatura inferiore a quella di ebollizione, in grado ugualmente di<br />

distruggere tutti i microrganismi patogeni come Mycobacterium tubercolosis, Brucella abortus e<br />

le loro tossine (sopravvivono alla pastorizzazione spore e microrganismi termoresistenti).<br />

Naturalmente l’efficacia della pastorizzazione dipende anche dalla carica batterica iniziale e dalla<br />

durata del trattamento termico o meglio dal rapporto tempo/temperatura ( 25’ a 62°C, 15’’ a 72°C,<br />

6’’ a 74°C )<br />

o Pastorizzazione bassa o lenta: in vasche a doppia parete con agitatori, per evitare la salita della<br />

schiuma, il latte raggiunge la temperatura di 65°C per 30’.<br />

o Pastorizzazione rapida: si porta il latte a temperature comprese tra i 72-85°C per tempi inferiori al<br />

minuto grazie ad apparecchi in cui il latte scorre per strati sottilissimi dell’ordine del millimetro<br />

(l’ideatore di questo metodo oggi molto in uso nelle centrale è stato l’italiano Stassano negli anni ’20<br />

da cui il nome del processo di stassanizzazione). In genere un buon latte pastorizzato ha una carica di<br />

sa<strong>prof</strong>iti mesofili non superiore alle 30 000 colonie/ml. Per essere poi sicuri che il latte non sia stato<br />

sottoposto a maltrattamenti termici si ricercano tracce di perossidasi che in un latte ben pastorizzato<br />

dovrebbe essere attiva.<br />

o Sterilizzazione: oggi consiste nel metodo U.H.T. (Ultra-High Temperature), consta in trattamenti<br />

continui con capacità lavorativa di 20 000 litri/ora, prevedendo temperature di 140-150°C per pochi<br />

secondi ;<br />

Trattamenti alternativi al riscaldamento<br />

• Battofugazione: sottoponendo il latte a centrifugazione (8000-10 000 giri/minuto)<br />

consentendo l’eliminazione fisica del 99.9% dei microrganismi presenti;<br />

• Attinizzazione: utilizza radiazioni U.V. per la loro azione battericida ; offre anche il<br />

vantaggio della trasformazione di composti stereoidei in tiamina (vitamina D), però porta al<br />

rancidimento della frazione lipidica ed è infine un metodo troppo costoso;<br />

• Antisettici: la legge italiana vieta l’uso di qualunque tipo di antisettico (l’acqua ossigenata è<br />

usata in modo indiretto per sterilizzare le confezioni, nel latte però è presente una<br />

perossidasi attiva che la degrada);<br />

• Freddo: tramite refrigerazione, mantenendo il latte a temperatura di 4°C,e congelazione<br />

utilizzando catene del freddo molto ben organizzate;<br />

• Ultrafiltrazione: utilizza membrane filtranti con pori del diametro di qualche Angstrom<br />

(oggi si usano solo per la produzione di formaggi freschi e a pasta molle);<br />

• Osmosi inversa: con la fuoriuscita dell’acqua dalla soluzione più concentrata (dall’alimento)<br />

Preparazione di latti fermentati<br />

Sono prodotti dal latte a cui viene aggiunte colture specifiche, ovviamente prive di germi patogeni,<br />

mantenute vive fino alla vendita del prodotto:<br />

Yogurt<br />

Latte fermentato più diffuso in Italia, si produce a partire da latte fresco dopo una drastica<br />

pastorizzazione (90°C) che, oltre ad abbassare la carica microbica, stabilizza il futuro coagulo che<br />

viene omogeneizzato. Per elevare il residuo secco all’estero si aggiunge quasi sempre latte in<br />

polvere (in Italia questa procedura è vietata); si procede poi all’insemenzamento con Lactobacillus<br />

bulgaricus e Streptococcus thermophilus e si pone nel maturatore a 45°C per 6-8 ore; dopo<br />

l’incubazione subisce una blanda omogeneizzazione (laminazione) che evita la separazione del<br />

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siero e migliora la sua consistenza. Il prodotto così ottenuto viene conservato a 4°C , avrà un grado<br />

di acidità pari a 40 SH, pH=4.6 , contenuto in acido lattico pari all’1%, lattosio al 3.5% , contenuto<br />

di batteri lattici intorno a 10 6 -10 9 /grammo.<br />

Kefir<br />

Bevanda moderatamente alcolica , alcol < 1%, e gassosa (CO2) ottenuta fermentando a 20°C latte di<br />

cammella, di pecora o di capra.<br />

Kumys<br />

Prodotto con latte di giumenta o di asina, ma anche con latte vaccino, che subiscono la<br />

fermentazione acido-alcolica.<br />

Gioddu o mizzuraddu o miciuratu<br />

Prodotto in Sardegna a partire dal latte di pecora . Oggi viene insemenzato con la stessa microflora<br />

dello Yogurt e subisce quindi una fermentazione acida.<br />

CREMA<br />

CREMA E BURRO<br />

Derivato del latte ottenuto tramite centrifugazione o per affioramento in modo da ottenere un<br />

prodotto arricchito in materia grassa pur contenendo gli stessi costituenti del latte (deve contenere<br />

almeno il 10% di grasso).<br />

Affioramento:<br />

sfrutta la legge di Stokes:<br />

Il latte viene lasciato a riposare in vasche di acciaio inossidabile con il fondo concavo , alte almeno<br />

15cm e con capacità di almeno 70 litri mantenendo una temperatura costante di 12-15°C per un<br />

tempo di 12-15 ore (tempo di affioramento). L’affioramento è un processo spontaneo dovuto alla<br />

differenza di densità tra fase grassa e fase acquosa ; la sua velocità è, secondo la legge di Stokes,<br />

direttamente proporzionale alle dimensioni del globulo di grasso ed è facilitato dalla presenza di<br />

agglutinine sulla membrana che possono agglutinare anche i globuli tra loro.<br />

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Centrifugazione<br />

Si ottiene una crema con titolo maggiore di grasso, è più dolce, ha lo stesso pH del latte.<br />

Risanamento<br />

Tramite pastorizzazione e uperizzazione con temperature più alte rispetto a quelle utilizzate per il<br />

latte a causa dell’effetto protettivo che il grasso ha nei confronti dei microrganismi. Il trattamento<br />

consente inoltre l’inattivazione delle lipasi .<br />

BURRO<br />

Prodotto che si ottiene esclusivamente dalla crema di latte dopo zangolatura e sufficiente<br />

separazione del latticello fino all’ottenimento di un contenuto minimo di grasso pari all’82% . Il<br />

termine “burro” da solo spetta al prodotto che si ottiene da crema di latte vaccino .<br />

Tecniche di lavorazione<br />

La crema utilizzata per la produzione di burro si può ottenere per affioramento o per scrematura, per<br />

affioramento la panna è acida e ricca di microrganismi che fermentando producono aromi<br />

diversificati conferendo caratteri organolettici apprezzabili e ricercati; panna ottenuta per<br />

centrifugazione verrà pastorizzata e insemenzata con batteri con funzioni aromatizzanti quali:<br />

Streptococcus diacetilactis, Leuconostoc citrovorum e paracitrovorum, Betacoccus<br />

citrovorum e paracitrovorum. L’acidificazione è consentita dalla fermentazione del lattosio ad<br />

acido lattico, fino ad un pH=4.7-5.0 . L’abbassamento del pH facilita l’azione dei Betacocchi .I<br />

batteri aromatizzanti fermentano il lattosio ad acido citrico consentendo la produzione di sostanze<br />

aromatiche come diacetile e aldeide acetica. La fase di maturazione interessa la formazione delle<br />

sostanze aromatiche ed avviene ad una temperatura di circa 15°C per alcune ore, consentendo anche<br />

il raffreddamento del grasso e la sua parziale cristallizzazione., ma soprattutto questa temperatura<br />

consente l’ attività fermentativa dei microrganismi, limitandone invece quella riproduttiva.<br />

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Difetti del burro<br />

Difetti di carattere organolettico riguardano principalmente fattori di ordine microbiologico o<br />

chimico; come l’irrancidimeto idrolitico dovuto a muffe e batteri , oppure l’irrancidimento<br />

ossidativo dovuto invece alla presenza di ossigeno catalizzato da metalli e favorito dalla luce.<br />

Come conseguenza delle ossidazioni si ha il particolare gusto metallico, di pesce o di cotto.<br />

Sapori sgradevoli potrebbero anche provenire direttamente dal latte (sapore amaro e sapore di<br />

cavolo).<br />

Sapore di formaggio può essere causato dalla degradazione della caseina della crema per la<br />

presenza di Pseudomonas putrefaciens oppure dall’azione di batteri lattici sulla caseina .<br />

Sapore di muffa potrebbe essere indice di una eccessiva proliferazione di muffe che si sviluppano<br />

anche a basse temperature.<br />

Conservazione del burro<br />

Si conserva in involucri di carta vegetale , plastificata o alluminata per proteggerlo dalla<br />

contaminazione esterna microbiologica, dalla luce e dall’ossigeno. In genere la contaminazione<br />

microbiologica trova nel burro un terreno di coltura poco favorevole. Purtroppo anche a basse<br />

temperature si possono avere proliferazioni batteriche psicrofile, solamente al di sotto dei -6°C<br />

l’attività microbica sul burro viene ostacolata mentre le reazioni chimiche sono solo rallentate<br />

IL FORMAGGIO<br />

Nella scelta dei latti da destinare alla produzione di formaggio devono essere tenuti in<br />

considerazione alcuni fattori. Ai batteri lattici compete la funzione acidificante indispensabile per la<br />

formazione della cagliata e per lo spurgo del siero , di conseguenza si deve permettere loro uno<br />

sviluppo ottimale (i batteri lattici sono molto esigenti dal punto di vista nutrizionale come frazioni<br />

azotate, vitamine ed alcuni oligoelementi) . Anche la presenza di eccessiva quantità di ossigeno non<br />

facilita i batteri lattici ed inoltre l’aumento dell’acidità dovuto alla produzione di acido lattico<br />

seleziona solo i batteri meno sensibili ( a pH


Durante la fase di insemenzamento vengono aggiunte al latte colture microbiche specifiche in grado<br />

di acidificare la cagliata attraverso la fermentazione omolattica ed eterolattica e di fornire enzimi<br />

che caratterizzeranno la maturazione.<br />

• Cocchi: hanno azione rapida ma comportano bassi livelli di acidificazione (Streptococcus<br />

thermophilus nella crescenza)<br />

• Bastoncini lattici: Lactobacillus bulgaricus con acidificazione più lenta ma più spinta.<br />

INNESTI SPONTANEI<br />

Sviluppo spontaneo della microflora tipica del latte prodotto in un dato luogo e in una tipica<br />

stagione o dal siero delle precedenti caseificazioni. È quello preferito perché permette di acquisire<br />

uno specifico aroma evitando la standardizzazione del prodotto e perché è resistente all’attacco di<br />

determinati virus capaci altresì di distruggere colture microbiche selezionate.<br />

LATTOINNESCO<br />

Impiegato per la produzione di formaggi a pasta molle nei quali si deve avere una rapida<br />

acidificazione: se viene richiesto molto spurgo, come per la Crescenza o il Bel paese, l’innesco è<br />

costituito prevalentemente da Streptococcus thermophilus.<br />

Se si richiede invece una azione spinta e una certa demineralizzazione , come per il Gorgonzola, si<br />

utilizza anche il Lactobacillus bulgaricus nonché una certa microflora mesofila.<br />

SIEROINNESCO<br />

Impiegato per la produzione di formaggi a pasta cotta come Parmigiano Reggiano e Grana Padano<br />

in cui si richiede una acidificazione lenta e spinta; si usano solitamente colture naturali costituite da<br />

lactobacilli termofili quali Lactobacillus bulgaricus, L.helveticus e L.lactis (importante anche la<br />

loro azione proteolitica). Il siero ha una azione privilegiante i cocchi piuttosto che i bastoncellari.<br />

INNESTI FUNGINI<br />

Muffe del tipo Penicillium roqueforti e camemberti, Aspergillus che vengono aggiunti al<br />

momento di formazione della cagliata come spore che germinano in seguito (durante la fase di<br />

maturazione ). Gli enzimi che si sviluppano sono in grado di svolgere spiccata azione proteolitica e<br />

lipolitico contribuendo alla formazione dell’odore e del sapore caratteristico del Gorgonzola.<br />

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ALTERAZIONI DEI FORMAGGI<br />

• GONFIORE PRECOCE: causato da Coli-aerogenes come Escherichia coli e Aerobacter<br />

aerogenes oppure da lieviti. Presenti in latti molto inquinati non pastorizzati oppure in latti<br />

contenenti antibiotici . Essi fermentano il lattosio producendo acido lattico,CO2 e idrogeno;<br />

questa alterazione in genere compare entro le prime 12 ore dalla formazione della cagliata,<br />

durante la stufatura dei formaggi molli e la salatura dei formaggi duri.<br />

• GONFIORE TARDIVO: fermentazione a carico dell’acido lattico prodotto durante la<br />

maturazione del formaggio (tipico infatti di formaggi a media o lunga stagionatura). I<br />

microrganismi responsabili sono:<br />

o Batteri butirrici fermentano acido lattico in butirrico , acido acetico, anidride<br />

carbonica e idrogeno;<br />

o Batteri propionici producono acido propionico, acido acetico e anidride carbonica,<br />

questi sono batteri responsabili della tipica occhiatura dell’Emmental e del<br />

Gruviera; nel Grana viene aggiunta formaldeide e lisozima per frenarne l’azione<br />

cosa che non è invece consentita nella produzione del Parmigiano Reggiano;<br />

• COLATURA O RAMMOLLIMENTO: causa di spurgo, acidificazione e salatura<br />

insufficienti che consentono quindi lo sviluppo di Oidium lactis con proprietà proteolitiche<br />

con fuoriuscita di pasta alterata dalla crosta;<br />

• AMARO: dovuto ad alcuni streptococchi a rapida azione proteolitica che causano<br />

l’accumulo di peptidi amari in seguito alla demolizione della b-caseina .Come rimedi si<br />

usano pastorizzazioni basse e utilizzo di fermenti selezionati.<br />

• MARCIUME: alterazioni putrefattive proteolitiche operate da Clostridium sporogenes ,<br />

con pH elevati, eccessiva umidità e lavorazioni difettose,<br />

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BIBLIOGRAFIA<br />

Sicheri, G., Tecnologie agrarie volume 2, Hoepli, Milano, 2000<br />

Bastasin, P., Ceresa, L., Industrie agroalimentari, Lucidano, Milano, 1999<br />

Cappelli, P., Vannucci, V., Chimica degli alimenti Conservazione e trasformazioni, Zanichelli,<br />

Bologna, 1998<br />

Madigan, Michael T., Martinko, J., Parker, J., Brock, Biologia dei microrganismi volume1 e 2,<br />

Ambrosiana, Milano, 2003<br />

Sechi Nicola, dispense corso di ecologia, 2005-04-08<br />

<strong>Farris</strong>,A., appunti lezioni a.a. 2004/2005<br />

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