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parte terza - Comune di Pressana

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Storia <strong>di</strong> una comunità e del suo territorio<br />

98<br />

Nel 1866 si svolsero le elezioni amministrative che, sulla base <strong>di</strong> una legge<br />

del 20 marzo 1865, successivamente mo<strong>di</strong>ficata, imposero ai 113 Comuni<br />

sparsi in tutta la provincia, <strong>di</strong> eleggere un numero <strong>di</strong> consiglieri, vario a<br />

seconda della popolazione presente, e cioè: 60 per Verona; 20 per Legnago;<br />

e 15 per gli altri <strong>di</strong>stretti, in base al censimento effettuato nel 1881. Durata<br />

in carica dei consiglieri: 5 anni.<br />

Nonostante l’impegno in campo amministrativo, la presenza <strong>di</strong> briganti<br />

o <strong>di</strong> “persone <strong>di</strong> malaffare” nel territorio del Colognese non venne mai meno:<br />

infatti, all’interno del carcere <strong>di</strong> Cologna si registrarono, nell’arco <strong>di</strong> 5<br />

anni, ben 285 reclusi:<br />

Anno Maschi Femmine<br />

1894 100 21<br />

1895 82 14<br />

1896 28 9<br />

1897 61 8<br />

1898 56 9<br />

Tot. 325 60<br />

Complessivamente le giornate <strong>di</strong> presenza in carcere per i maschi furono<br />

5.945, mentre per le donne 637 (A.S.VR.).<br />

Le lotte agrarie a <strong>Pressana</strong> e nel veronese<br />

Nonostante i segni <strong>di</strong> un’epidemia che non aveva risparmiato nessuno,<br />

<strong>Pressana</strong> era una comunità in costante crescita con una popolazione alquanto<br />

variabile per l’attività economica propria del territorio. Molti lavoratori<br />

erano considerati, infatti, “fluttuanti”, cioè provenienti da altre zone della<br />

provincia o dalle province vicine come Vicenza e Padova e lavoravano per<br />

lo più come avventizi nelle estese “boarie”, nelle risaie e nelle piantagioni <strong>di</strong><br />

tabacco.<br />

La crisi agraria e l’emigrazione a cui si assistette negli ultimi trent’anni del<br />

1800, portarono a gran<strong>di</strong> stravolgimenti nelle estese proprietà. Molte tenute<br />

ap<strong>parte</strong>nenti alla nobiltà veneta, furono cedute a finanzieri, mercanti, industriali<br />

o “nuovi ricchi”. Di riflesso quasi inesistenti erano invece la piccola<br />

proprietà e la mezzadria. Agli inizi del Novecento veniva infatti calcolato<br />

che gli occupati in agricoltura fossero complessivamente 125.000 dei quali<br />

ben 80.000 braccianti o lavoratori giornalieri <strong>di</strong> campagna. Invece, gran <strong>parte</strong><br />

dei conta<strong>di</strong>ni che coltivavano terreni propri si trovavano <strong>di</strong> fronte ad<br />

estensioni <strong>di</strong> esigua <strong>di</strong>mensione e spesso erano costretti a ricorrere a vari lavori<br />

occasionali per sopravvivere (G.ZALIN, 1983).<br />

La maggior <strong>parte</strong> delle aziende era, comunque, gestita dal proprietario attraverso<br />

il fattore e i suoi gastal<strong>di</strong>, che provvedevano ad organizzare i lavori<br />

della stalla, a coor<strong>di</strong>nare le semine con alcuni salariati fissi e a gestire il lavoro<br />

dei campi per mezzo <strong>di</strong> braccianti obbligati o avventizi.<br />

Solo pochi paesi, in tutta la provincia, contavano una mobilità così marcata<br />

nell’arco <strong>di</strong> un anno. A pochi mesi dalla fine della guerra, si erano verificati<br />

scioperi e incen<strong>di</strong>, la proliferazione <strong>di</strong> leghe <strong>di</strong> varie tendenze (socialiste<br />

e cattoliche), la nascita della Federazione Agraria e la stipula <strong>di</strong> nuovi<br />

contratti colonici e <strong>di</strong> nuove tariffe per i braccianti. Insomma, la popolazio-<br />

ne rurale riven<strong>di</strong>cava propri <strong>di</strong>ritti e iniziava a proclamare agitazioni e scioperi<br />

il più delle volte non coor<strong>di</strong>nati e autonomi. Allo stesso tempo i proprietari<br />

erano del tutto impreparati a sostenere una rivolta portata avanti da<br />

decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni e braccianti. Il Veronese, alla fine del 1919, contava<br />

circa 30.000 coloni e braccianti che aderivano all’Ufficio del Lavoro e<br />

25.000 alla Federterra <strong>di</strong> Isola della Scala.<br />

Con la crisi agraria e la riduzione dei costi imposta alle aziende da una situazione<br />

congiunturale molto sfavorevole, si fece sempre meno ricorso alla<br />

manodopera esterna rispetto a quella aziendale, mentre vennero bloccati i salari<br />

giornalieri già <strong>di</strong> per sé molto bassi. A causa <strong>di</strong> tali fattori, la situazione<br />

quasi <strong>di</strong>sperata della popolazione rurale portò i salariati a costituirsi in leghe<br />

<strong>di</strong> braccianti sull’onda <strong>di</strong> varie leghe socialiste dell’Emilia e del Mantovano. I<br />

maggiori sostenitori <strong>di</strong> questi movimenti furono, nel Basso Veronese, Mario Todeschini,<br />

Primo Bonato e Gino Baglioni. Ben presto le leghe cominciarono a<br />

proliferare: da una <strong>parte</strong> si costituirono le “leghe rosse”, dall’altra, con l’aiuto<br />

dei parroci, quelle legate al “movimento cattolico” che portarono, nel 1913, ad<br />

avere una trentina <strong>di</strong> sezioni con 2.000 soci. Qualcosa a favore del mondo agricolo<br />

riuscirono a fare e, dal 1910 al 1915, costrinsero ad ottenere alcuni parziali<br />

miglioramenti salariali specie durante la guerra (P.GASPARI, 1996).<br />

99<br />

L’età moderna: Ottocento e Novecento<br />

La banda citta<strong>di</strong>na, il parroco<br />

e le varie società operaie in posa<br />

per una foto agli inizi del 1900

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