Quaderno di cultura popolare, Numero monografico - Comune di ...
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Verso la fine del 1400 si estende la coltivazione: i pomi non sono<br />
più soltanto un “cibo <strong>di</strong> elite”, ma si <strong>di</strong>ffondono in tutte le fasce sociali. Si<br />
può dedurre il loro valore da documenti riguardanti le multe per furto:<br />
•pari a pere, ciliegie e prugne;<br />
•inferiore a quello <strong>di</strong> castagne e mandorle (più facilmente conservabili);<br />
•superiore a quello <strong>di</strong> pesche e fichi (probabilmente più abbondanti e <strong>di</strong>ffusi).<br />
Il <strong>di</strong>ffondersi della stampa nel Rinascimento favorisce la circolazione<br />
dei primi trattati <strong>di</strong> agricoltura. Si assiste ad un forte sviluppo della<br />
frutticoltura, principalmente in Toscana alla Corte Me<strong>di</strong>cea e presso le Ville<br />
Ducali: sorgono frutteti con varietà selezionate <strong>di</strong> pregio e condotti con<br />
tecniche innovative<br />
Il pittore Bartolomeo Bimbi, operante presso la corte <strong>di</strong> Cosimo III de<br />
Me<strong>di</strong>ci ritrae tutta la frutta presente nel Granducato, tra cui 53 varietà <strong>di</strong><br />
mela.<br />
È soprattutto la Francia ad influenzare le corti italiane. Tra il 1650<br />
ed il 1789 i frati della Chartreuse de Paris moltiplicano più <strong>di</strong> un milione<br />
<strong>di</strong> piante. Questa attività costituisce il principale introito della Certosa.<br />
Dal XIII al XVII secolo in Piemonte l’interesse per le nuove varietà<br />
sembra limitato ai poderi sabau<strong>di</strong>: il Valentino, Mirafiori, Regio Parco… sorti<br />
in prossimità <strong>di</strong> Torino per volere <strong>di</strong> Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele<br />
I. Qui si coltivano le migliori varietà <strong>di</strong> fruttiferi per l’approvvigionamento<br />
delle mense reali.<br />
La frutticoltura piemontese nasce solo sul finire del 1700. Attraverso<br />
i Savoia vengono introdotti i modelli colturali e le varietà <strong>di</strong> fruttiferi presenti<br />
già da tempo in Francia.<br />
STORIA DELLA FRUTTICOLTURA PINEROLESE<br />
Tra le aree ad alta vocazione frutticola in Piemonte, quella pinerolese<br />
è sempre stata una delle principali, se non quella che in assoluto può vantare<br />
una lunga tra<strong>di</strong>zione storica, ampiamente consolidata e supportata da<br />
numerose testimonianze. Bisogna però innanzitutto definire i suoi limiti<br />
territoriali, che vanno al <strong>di</strong> là degli attuali confini rappresentati dalle Province<br />
e dalle Comunità Montane. Pertanto, ogni volta che si farà riferimento al<br />
“Pinerolese frutticolo”, si prenderà in considerazione un’ampia fascia <strong>di</strong><br />
pianura – fondovalle – territorio pedemontano, che, nel tempo, ha visto<br />
variazioni <strong>di</strong> colture e <strong>di</strong> tecniche colturali, con una maggiore concentrazione<br />
in alcune aree a scapito <strong>di</strong> altre.<br />
Come si potrà osservare nelle testimonianze storiche raccolte,<br />
quest’area non è limitata ai <strong>di</strong>ntorni della citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Pinerolo, ma ha le sue<br />
estremità nella provincia <strong>di</strong> Cuneo con la bassa Valle Po, Barge e Bagnolo,<br />
in pianura comprende i Comuni intorno a Cavour (Gemerello, Babano,<br />
Garzigliana, Osasco), con Bibiana e Luserna entra nella Val Pellice, continuando<br />
poi per Bricherasio, Prarostino e San Secondo verso Pinerolo e proseguendo<br />
lungo la pedemontana fino a Cumiana, passando per San Pietro Val Lemina,<br />
Roletto, Frossasco e Cantalupa.