dall'espansione allo sviluppo. una storia economica dell'europa 1 ...
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Dall’espansione <strong>allo</strong> <strong>sviluppo</strong>.<br />
Grazie agli apporti della rivoluzione agricola, industriale e dei trasporti, l’Europa si liberava dai<br />
vincoli imposti dalla demografia e dalle limitate risorse del suolo. Il passaggio da fonti energetiche<br />
animate ad inanimate permise <strong>una</strong> crescita inimmaginabile nei secoli precedenti.<br />
L’800 è il primo secolo ad essere solamente in positivo, con crescita media annua del 2% del PIL. La<br />
crescita <strong>economica</strong> moderna viene rapportata alla quantità di beni prodotta da un Paese. Si calcola in<br />
termini di valore aggiunto, differenza tra il valore del prodotto finito ed il valore dei prodotti<br />
intermedi utilizzati, è la somma dei fattori di produzione impiegati: la produzione totale è<br />
approssimativamente uguale al reddito.<br />
Il PIL misura il valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese al lordo degli<br />
ammortamenti, sia dai cittadini che dagli stranieri (il PNL conta solo residenti). Per confrontare Paesi<br />
diversi non basta usare il cambio monetario, ma si usa un tasso di cambio speciale, il PPP (purchasing<br />
power parity), che tiene conto dei diversi livelli di prezzo.<br />
I dati sulla contabilità nazionale sono utili ma non tengono conto delle performance delle regionipilota<br />
dello <strong>sviluppo</strong> e sono per questo poco utili a comprendere le origini e le dinamiche interne dei<br />
processi di crescita. In tutte le nazioni si determinano differenze regionali nei tassi di crescita del<br />
reddito: in Italia per esempio, nel triangolo industriale (Piemonte, Lombardia, Liguria) il reddito era<br />
nel 1911 di un terzo superiore alla media nazionale. Differenze sono presenti anche all’interno dei<br />
diversi settori: è quindi necessario un approccio insieme macro e micro-analitico.<br />
I CAMBIAMENTI STRUTTURALI<br />
Con il passaggio da società rurale e agricola a civiltà industriale, il cambiamento strutturale più<br />
accentuato si coglie nei tassi di attività (rapporto tra popolazione attiva e passiva, e distribuzione nei<br />
vari settori): tutti i Paesi mostrano un incremento del tasso di attività femminile, con passaggio<br />
dall’attività di casalinga a lavoratrice a domicilio o occupata a tempo pieno fuori dalla famiglia.<br />
La struttura professionale della popolazione vede <strong>una</strong> diminuzione assoluta e relativa del settore<br />
primario (agricoltura, caccia e pesca), espansione del secondario (industrie e manifatture) e del<br />
terziario (P.A, banche, professioni). Processo più accentuato in alcuni paesi come la Germania, e meno<br />
in altri come in Italia, dove nel primario dal 1881 al 1911 si scese solo dal 61,8% al 59,1% e nel<br />
secondario si crebbe dal 20,5% al 23,6%. Il declino dell’agricoltura fu tanto più veloce quanto più<br />
precoce era stata la crescita.<br />
L’incremento del reddito pro-capite s’accompagnò ad un calo della fertilità e del tasso di natalità e<br />
mortalità infantile, e ad <strong>una</strong> crescita dei tassi di urbanizzazione, alfabetismo e scolarizazione.<br />
Crebbero anche le percentuali di risparmio, investimenti ed aumentò il grado di apertura al<br />
commercio internazionale.<br />
Gli effetti della crescita sulla distribuzione del reddito sono così ipotizzati da Kuznets: in <strong>una</strong><br />
primissima fase i pochi addetti ai settori moderni guadagnano molto di più ma ad un certo punto il<br />
trend si inverte a causa della crescita della percentuale degli addetti ai nuovi settori ed il divario di<br />
produttività intersettoriale diminuisce.<br />
Schumpter ed i cicli di <strong>sviluppo</strong><br />
La crescita non è mai stata lineare ma contraddistinta da variazioni e fluttuazioni che costituiscono la<br />
congiuntura di strutture diverse. Gli storici hanno da sempre cercato di individuare la regolarità nelle<br />
fluttuazioni che permettesse di prevedere gli andamenti futuri.<br />
Una Storia Economica dell’Europa pag. 12