intervista su - Snowdonia.it
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(GI)Ant Steps #28<br />
Mahavishnu Orchestra (The)<br />
the inner mountinG flAme (columBiA recordS,<br />
AGoSto 1971)<br />
“La fiamma che monta dentro” è quella del Mahavishnu<br />
(“magnanim<strong>it</strong>à divina”) John McLaughlin,<br />
il predestinato. Basta dire che è lui a <strong>su</strong>onare la ch<strong>it</strong>arra<br />
in In A Silent Way, B<strong>it</strong>ches Brew, On the Corner<br />
e che fu lo stesso Miles Davis a consigliargli di<br />
intraprendere la strada da solista. Inner Mounting<br />
Flame è un must delle musica contaminata, teoria<br />
e pratica della quale saranno sempre ossessione<br />
di McLaughlin, nelle varie travagliate incarnazioni<br />
dell’Orchestra, e poi con Shakti, Santana, Di<br />
Meola-de Lucia. Questo disco ha però la freschezza<br />
dell’opera prima e, nonostante gli intrichi<br />
della musica, una leggerezza irripetibile.<br />
La ch<strong>it</strong>arra di McLaughlin, autore di tutti i pezzi, è in<br />
primo piano, il violino di Jerry Goodman, poi sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o<br />
da Jean-Luc Ponty, la doppia nell’esposizione<br />
dei temi e contrappunta negli slanci solistici;<br />
l’ambidestro Billy Cobham, anche lui in session<br />
per il Davis elettrico, espone un batterismo spumeggiante<br />
e che farà scuola. E’ la prima compiuta ste<strong>su</strong>ra<br />
della grammatica jazz-rock-fusion, una progressiv<strong>it</strong>à<br />
che contamina modi e <strong>su</strong>oni rock con tocco e divagazioni<br />
jazzistiche, grande attenzione per giochi di<br />
accenti e controtempi, un occhio puntato anche <strong>su</strong><br />
certe forme della musica colta.<br />
Meeting of The Spir<strong>it</strong>s si basa <strong>su</strong> un arpeggio ostinato<br />
che anticipa i King Crimson più scuri e cerebrali,<br />
e così pure il <strong>su</strong>o solismo ch<strong>it</strong>arristico lo Zappa<br />
anni Settanta. Dawn è un’alba che profuma di<br />
tramonto, inizia in punta di piedi per esplodere poi<br />
solare. The Noonward Race è un prog-funk hendrixiano<br />
col cuore in gola, con stop&go tagliati col<br />
bisturi. A Lotus On Irish Streams è un gioiellino di<br />
composizione, un pezzo quasi cameristico, un idillio<br />
bucolico-fluviale dove emerge prepotentemente la<br />
filosofia mistico-panteistica di McLaughlin. V<strong>it</strong>al Transformation<br />
è un ultra-funk grassissimo con ch<strong>it</strong>arra e<br />
violino a sost<strong>it</strong>uire i fiati. The Dance of Maya comincia<br />
anche qui con memorie future dei King Crimson<br />
più inquietati, con un incedere sinistro e sottilmente<br />
tribale, per diventare poi un atipico rock-blues. You<br />
Know , You Know espone un tema che è un capolavoro<br />
di intens<strong>it</strong>à melancolica, campionato non a caso<br />
da Mos Def per quel <strong>su</strong>o capolavoro urban-soul<br />
che è Kalifornia (i Massive Attack ne useranno<br />
invece i ricami di tastiera e violino per la loro One<br />
Love). Awakening è un frenetico prog-jazz-funk, praticamente<br />
Hiromi Uehara trent’anni prima.<br />
GABriele mArino<br />
classic album rev<br />
Jethro Tull<br />
thick AS A Brick (chrySAliS, mArzo 1972)<br />
Quando nel 1971 fu pubblicato Aqualung, molti, sia<br />
tra i cr<strong>it</strong>ici che tra i fan, lo interpretarono come un<br />
concept album, nonostante Ian Anderson ed il resto<br />
della band si affannassero a dichiarare il contrario.<br />
L’inizio degli anni ’70 è, del resto, un periodo cardine<br />
per l’evoluzione del rock, durante il quale questa<br />
nuova forma di organizzazione del disco comincia<br />
a manifestarsi chiaramente nelle intenzioni degli autori.<br />
Ed è forse proprio questo il motivo principale<br />
che ha spinto il pubblico a considerare tale un album<br />
come Aqualung, contro lo stesso parere del<br />
<strong>su</strong>o autore principale.<br />
A sfatare ogni dubbio ci pensa la band stessa l’anno<br />
<strong>su</strong>ccessivo: quando viene pubblicato Thick As<br />
A Brick, il cammino dei Jethro Tull appare segnato<br />
nella direzione di una compless<strong>it</strong>à strutturale precedentemente<br />
solo accennata. Che Anderson abbia<br />
segu<strong>it</strong>o le indicazioni del pubblico? Di fatto, il quinto<br />
album della band br<strong>it</strong>annica, può essere considerato<br />
il primo veramente legato alla scena progressive e<br />
un concept album a tutti gli effetti. Questo questo<br />
grazie a elementi inequivocabili che testimoniano<br />
l’adesione ad un genere (il rock progressivo) che,<br />
dopo un fase di gestazione durata qualche anno, si<br />
avviava verso la <strong>su</strong>a codificazione. La forma di <strong>su</strong><strong>it</strong>e,<br />
il cui utilizzo rappresentava una soluzione abbastanza<br />
radicale al <strong>su</strong>peramento della forma canzone, diviene<br />
qui uno dei caratteri più evidenti della scelta<br />
stilistica dei Jethro Tull.<br />
Ma ad andare oltre la semplice raccolta di brani<br />
non è solo la forma, ma anche il contenuto. Basato<br />
<strong>su</strong> una sorta di falso letterario, Thick As A Brick è<br />
presentato, a partire dalle note di copertina (nella<br />
versione originale concep<strong>it</strong>a come un fantomatico<br />
quotidiano, il St. Cleve Chronicle), come un poema<br />
scr<strong>it</strong>to da un bambino prodigio, un certo Gerald Bostock,<br />
premiato per il <strong>su</strong>o talento alla tenera età di<br />
otto anni. Oltre alle notizie <strong>su</strong> Bostock, all’interno<br />
del Chronicle è annunciata l’intenzione, da parte dei<br />
Jethro Tull, di riprendere il poema dell’enfant prodige<br />
per musicarlo. Come si può notare, già prima<br />
dell’ascolto, la costruzione concettuale dell’album è<br />
bella e pronta ad orientare l’ascoltatore verso un<br />
approccio un<strong>it</strong>ario al disco, inv<strong>it</strong>ando implic<strong>it</strong>amente<br />
a far scorrere la puntina del giradischi senza mai<br />
interrompere il “poema”, pena l’impossibil<strong>it</strong>à di coglierne<br />
la coerenza interna.<br />
Dal punto di vista dei testi, il sarcasmo crudo e dissacrante<br />
di Anderson, già sperimentato in brani irriverenti<br />
e “scandalosi” come My God, trova spazio<br />
necessario a costruire una denuncia anti-borghese<br />
attraverso la narrazione di una storia, in parte autobiografica,<br />
in parte rifer<strong>it</strong>a allo pseudo-autore, che<br />
diventa metafora della v<strong>it</strong>a umana nel mondo contemporaneo.<br />
Sul versante, invece, strettamente musicale, il sound<br />
dei Jethro Tull non si discosta molto dalla matrice<br />
folk-rock-blues caratterisica della band sin dagli<br />
esordi, anche se con delle differenze sostanziali,<br />
rispetto ai lavori precedenti. Prima fra tutte l’uso<br />
massiccio dei metri add<strong>it</strong>ivi (meglio conosciuti come<br />
“tempi dispari”), molto diffusi, all’epoca, in amb<strong>it</strong>o<br />
progressive (per fare qualche nome: King Crimson,<br />
Genesis, Yes, Gentle Giant). I cambiamenti<br />
musicali seguono le strofe del testo marcandone<br />
le differenze, spesso introducendo nuovi temi-guida,<br />
usati in alcuni casi, per richiamare s<strong>it</strong>uazioni, soluzioni<br />
poetiche e/o narrative, precedentemente accennate,<br />
come nel caso del celebre arpeggio inziale,<br />
che apre e chiude la <strong>su</strong><strong>it</strong>e.<br />
Una sorta di continu<strong>it</strong>à, dunque, e di corrispondenza<br />
tra il testo e la musica, che conferma, ben al di<br />
là delle premesse (cover, falso letterario, forma di<br />
<strong>su</strong><strong>it</strong>e), l’intenzione di dare v<strong>it</strong>a, intenzionalmente,<br />
ad un lavoro che rispondesse alle nuove esigenze<br />
espressive del rock, ormai abbastanza maturo per<br />
provare a <strong>su</strong>perarsi.<br />
dAniele follero<br />
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