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intervista su - Snowdonia.it

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Kurstin che, dopo aver incantato i presenti con<br />

le <strong>su</strong>e tecniche di stratificazione estemporanea mediante<br />

l’utilizzo del theremin in combinazione con<br />

dei delay , non ha fatto altro per tutto il concerto,<br />

diluendo smi<strong>su</strong>ratamente le ottime idee di partenza.<br />

Il caldo ha fatto la <strong>su</strong>a parte, rendendo difficoltosa<br />

all’ascolto anche una performance divertente come<br />

quella di Vincenzo Vasi, virtuoso “attore” della<br />

voce, che ha rivis<strong>it</strong>ato in maniera del tutto particolare,<br />

una serie di canzoni <strong>it</strong>aliane (dagli Stormy<br />

Six a Battiato, da Mina a Bruno Lauzi) accompagnato<br />

dall’eclettico tastierista Giorgio Pacoring.<br />

Nes<strong>su</strong>n rimpianto per esserci persi Andrea Rebaudengo<br />

(che abbiamo avuto modo di apprezzare<br />

in varie occasioni) Ab Baars (una vecchia conoscenza<br />

di Angelica) Alfonso Alberti e Sven<br />

Johansson. Ma che pena aver dovuto rinunciare al<br />

ventesimo anniversario degli Ex, arrivati a Bologna<br />

insieme all’etiope Getatchew Mekuria! Quando<br />

ci si mette il destino, c’è poco da fare..<br />

dAniele follero<br />

BlAck dice<br />

clu b : in i t , ro m a (29 a p r i l e )<br />

Si rinuncia ad una poesia – quella della semifinale<br />

tutta br<strong>it</strong>ish di Champions League tra lo Un<strong>it</strong>ed e<br />

i gunners – per un’altra poesia, aspra e contorta:<br />

quella di tre nerd americani che hanno e stanno riscrivendo<br />

il prim<strong>it</strong>ivismo dig<strong>it</strong>ale negli anni 00. Poesia<br />

fisicamente dolorosa, urticante come i livelli del<br />

<strong>su</strong>ono di un live che è un flusso unico di macerie<br />

post-urbane, accumulo apparentemente free-form<br />

di detr<strong>it</strong>i musicali post-industriali.<br />

Salgono <strong>su</strong>l palco senza troppe cerimonie Aaron<br />

Warren e i fratelli Copeland; e senza altrettanti<br />

convenevoli attaccano con loop vertiginosi di synth<br />

a manetta. L’apparato è scarno: una ch<strong>it</strong>arra giusto<br />

per ricordare le origini; due percussioni maltrattate<br />

in modal<strong>it</strong>à tribale ogni tanto; qualche video collage<br />

a far da contorno. Su tutto però ampli al massimo<br />

del potenziale e ondate di <strong>su</strong>ono che va e viene.<br />

Dal muro di <strong>su</strong>ono che fuoriesce dalle casse del locale<br />

è chiaro da <strong>su</strong>b<strong>it</strong>o che i tre sono decisi a non<br />

fare prigionieri e se ne fottono assai se tra i presenti<br />

si riproporrà, al sol<strong>it</strong>o, la più netta delle divisioni:<br />

tra quelli che saranno rap<strong>it</strong>i dal flusso montante<br />

di scorie radioattive e quelli cui il concentrato di<br />

noise psicotropo scivolerà addosso senza lasciare<br />

apparenti segni. Ormai è risaputo: è una questione<br />

di loop, l’assistere ad un live di Black Dice. Anzi,<br />

BlAck dice<br />

di entrarci nel loop. Se scatta – e per chi scrive,<br />

è scattato – allora si parteciperà ad un sabba psych<br />

instancabile e sfiancante che porterà al lim<strong>it</strong>e<br />

dell’alterazione di coscienza. Altrimenti non resterà<br />

che assistere inebet<strong>it</strong>i alla prova di forza dei tre per<br />

una quant<strong>it</strong>à variabile di tempo, prima di allontanarsi<br />

se non indifferenti (non si può essere indifferenti ai<br />

BD) per lo meno poco partecipi.<br />

Che dire se non che questi tre drop out bianchi<br />

hanno il groove – seppur sepolto sotto strati e strati<br />

di rumore – e la capac<strong>it</strong>à, intransigente, di andare<br />

dr<strong>it</strong>ti per la loro strada?<br />

StefAno pifferi<br />

JoSephine foSter/mAriSSA nAdler<br />

clu b : in i t , ro m a (14 m a G G i o )<br />

Assistere ad una serata come questa è un piccolo<br />

evento per chi ama il folk: la posa cantautorale della<br />

Nadler e quella antica di Josephine Foster ben<br />

rappresentano l’ampio spettro di possibil<strong>it</strong>à che il<br />

genere può offrire, soprattutto nella variante psychrock.<br />

Iniziamo <strong>su</strong>b<strong>it</strong>o con un curioso aneddoto <strong>su</strong> Josephine:<br />

si è vociferato di un soundcheck lunghissimo<br />

e di cuffie antirumore indossate in una sala completamente<br />

deserta. Prima che scatti l’immaginazione:<br />

pare che la folkster abbia avuto dei reali problemi<br />

d’ud<strong>it</strong>o, aggravatisi nell’ultimo mese.<br />

Ma andiamo con ordine. Ad aprire il concerto è la<br />

più giovane e acerba Marissa, la stessa che, lo scorso<br />

anno, di spalla ai Charalambides, intonava una<br />

timida versione di I’m On Fire. Mìse folk da bancarella<br />

globale e incondizionata devozione al passato<br />

ne ostacolavano già allora l’ascesa all’empireo, ma<br />

di certo non sono bastati a relegarla nelle retrovie.<br />

L’avvenuta maturazione si nota fin da <strong>su</strong>b<strong>it</strong>o: le riesce<br />

facile ipnotizzare il pubblico, forte di una grazia<br />

virginale e di un songwr<strong>it</strong>ing etereo e diretto.<br />

I primi minuti di set sono per sola voce e ch<strong>it</strong>arra<br />

acustica, a riverberare per tutta la sala e ad alzare<br />

il sipario <strong>su</strong> un’Arcadia da cameretta, in un mix di<br />

fotogrammi tra Francesca Woodman e Julia Margaret<br />

Cameron; poi entra la band (in cui spicca la presenza<br />

di Jonas Haskins, un tempo negli Earth,<br />

al basso) e l’approccio cambia: si scivola giù da una<br />

buona metà dei nove cieli del paradiso per assistere<br />

ad un concerto più terreno e tradizionale, tra<br />

Leonard Cohen e Mazzy Star, tra l’America<br />

straconosciuta e quella ancora personale e arcana<br />

della Giunone di Boston.<br />

JoSephine foSter<br />

Pezzi vecchi e nuovi vengono riadattati o stravolti<br />

(Paper Lover), col rischio di smarrire tra le pieghe<br />

del rock la cifra essenziale della musicista del<br />

Massachussets. Il ri<strong>su</strong>ltato complessivo è comunque<br />

pos<strong>it</strong>ivo e l’aggiunta di ch<strong>it</strong>arra elettrica e sezione<br />

r<strong>it</strong>mica amplifica l’appeal di pezzi già di per sè notevoli<br />

(Mexican Summer, Dying Breed). In chiu<strong>su</strong>ra c’è<br />

ancora spazio per una cover di Neil Young (Oh<br />

Lonesome Me) e per un’intensa Mistress strappa applausi.<br />

Dopo una pausa rientriamo in sala in attesa di Josephine,<br />

che arriva in r<strong>it</strong>ardo. Un nutr<strong>it</strong>o gruppo di<br />

persone ha spostato le sedie sotto al palco, qualcuno<br />

se n’è andato e l’età media del pubblico sembra<br />

improvvisamente liev<strong>it</strong>ata. La chanteuse siede al piano<br />

fiera e svagata. Una vena di follia le solca il viso<br />

a metà.<br />

All’improvviso si apre un varco temporale che conduce<br />

dr<strong>it</strong>ti all’abbazia di St. Albans, negli ingranaggi<br />

dell’orologio di Richard di Wallingford: salgono <strong>su</strong>l<br />

palco Alex Neilson (recentemente in tour con i<br />

Current 93) e Victor Herrero, per ricreare il<br />

lus<strong>su</strong>oso tappeto r<strong>it</strong>mico e la contemporane<strong>it</strong>à sen<strong>su</strong>ale<br />

delle ch<strong>it</strong>arre di This Coming Gladness.<br />

Ad attirare l’attenzione è Neilson, genio precoce<br />

dal volto emaciato, che spacca in infin<strong>it</strong>esime parti il<br />

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