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ventilazione meccanica passiva, e dall’azione broncodilatatrice di alcuni dei farmaci più<br />

comunemente utilizzati in anestesia generale.<br />

In pratica per ottenere un livello normale di PaCO2 è solitamente sufficiente una basso<br />

volume minuto, dell’ordine di 80 ml/Kg/min rapportato al peso corporeo ideale. Data la<br />

bassa necessità di ventilazione alveolare, e data la bassa impedenza alla ventilazione da<br />

parte del sistema respiratorio, le scelte sul pattern respiratorio da applicare (volume<br />

corrente, frequenza e rapporto inspirazione-espirazione – I:E) possono basarsi:<br />

su criteri standard, essenzialmente basati sulla taglia del paziente,<br />

e sull’End-Tidal CO2 (ETCO2), un semplice parametro che monitorizza in modo non<br />

invasivo l’adeguatezza della ventilazione alveolare realizzata.<br />

L’unico problema di un qualche rilievo è rappresentato dal fatto che la ventilazione<br />

meccanica passiva, nell’anestesia generale con miorisoluzione, tende a generare<br />

atelettasia nelle zone polmonari dipendenti (cioè posteriori, nel decubito supino). Anche<br />

questo normalmente è un problema abbastanza semplice da affrontare:<br />

per l’estensione limitata del parenchima perso alla ventilazione,<br />

per la semplice possibilità di contrastare gli effetti negativi sull’ossigenazione con un<br />

moderato aumento della frazione inspiratoria di ossigeno (FiO2),<br />

per la possibilità di contrastare o risolvere lo sviluppo di queste atelettasie con una<br />

ventilazione con pressione positiva di fine espirazione (PEEP), con manovre<br />

meccaniche di reclutamento alveolare, ed evitando l’inalazione di ossigeno al 100%,<br />

e infine per il fatto che queste atelettasie normalmente si risolvono con la ripresa<br />

dell’attività respiratoria spontanea, al termine dell’anestesia.<br />

In definitiva, l’approccio ventilatorio nell’anestesia per tipi di chirurgia a basso impatto<br />

intraoperatorio sulla funzione respiratoria è semplice e non richiede apparecchiature<br />

sofisticate né per l’erogazione della ventilazione meccanica, né per il monitoraggio della<br />

funzione respiratoria. Si utilizza una classica ventilazione a volume controllato,<br />

eventualmente con un basso livello di PEEP (dell’ordine di 5 cmH2O), impostando:<br />

un volume corrente di 8-10 ml/Kg,<br />

una frequenza respiratoria adattata in modo da ottenere un valore di ETCO2 attorno ai<br />

35 mmHg<br />

una FiO2 adattata in modo da ottenere un valore soddisfacente, 95%, di saturazione<br />

arteriosa di ossigeno valutata in modo non invasivo con pulsossimetria (SpO2),<br />

e un rapporto I:E “normale”, cioè di 1:2 (o al massimo 2:3).<br />

3.2 Condizioni sfavorevoli determinate dal pneumoperitoneo artificiale a CO2<br />

Il pneumoperitoneo a CO2 si associa a un certo riassorbimento di CO2, che andrà a<br />

sommarsi alla produzione metabolica di CO2. Con l’instaurasi di un pneumoperitoneo a<br />

CO2, pertanto, la PaCO2 andrebbe necessariamente ad aumentare, se non si intervenisse<br />

con un aumento della ventilazione alveolare proporzionale all’aumento della produzione<br />

complessiva di CO2. Solitamente la compensazione necessaria è abbastanza contenuta, e<br />

corrisponde a un aumento di ventilazione del 20-30%. In altri termini, per mantenere una<br />

PaCO2 costante, bisognerebbe passare da una ventilazione minuto di 80 ml/Kg/min a un<br />

valore di 100 ml/Kg/min.<br />

Un tale aumento potrebbe essere senz’altro realizzato con facilità, se non fosse per le<br />

alterazioni meccaniche sfavorevoli determinate dal pneumoperitoneo sul sistema<br />

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