NN. 69/70 LUGLIO-AGOSTO/SETTEMBRE-OTTOBRE 2009
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NN. 69/70 LUGLIO-AGOSTO/SETTEMBRE-OTTOBRE 2009
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sono due vie separate e scisse, sono due forze in lotta<br />
fra di loro, non è così nel buddhismo ove il dolore e la<br />
quiete, le due forze opposte, non lottano fra di loro, ma<br />
ognuna delle due, quando c’è, ha un suo percorso, ed<br />
entrambe sono propedeutiche al divenire cosmico e nel<br />
loro moto di perpetua alternanza e di eterno ritorno<br />
danno luogo a quel flusso vitale che prende il nome di<br />
“tantra”.<br />
Anche se difficile e faticoso, giungere al “nirvana” è una<br />
possibilità insita nella natura umana; coltivare la<br />
disciplina interiore è un processo che richiede molto<br />
tempo, ma possiamo realizzare il distacco definitivo<br />
dalle cose solo se prima ne abbiamo carpito l’essenza,<br />
possiamo vincere il dolore solo se prima lo abbiamo<br />
esperito bruciando ogni vanità. Soltanto dalla<br />
disperazione si può giungere alla catarsi, soltanto<br />
avendo toccato il vero punto più basso si può<br />
raggiungere l’apice: il dolore non va riscattato in<br />
qualche fantasmagorico e indimostrato mondo<br />
ultraterreno, il dolore va riscattato in questo mondo<br />
tramite il lavoro interiore di ogni giorno. Il dolore non è<br />
male, il dolore è la via del riscatto.<br />
Bisogna avere coraggio per affrontare i demoni della<br />
nostra anima, bisogna avere coraggio per conoscere le<br />
umane debolezze senza alcun tipo di velleità; Leopardi,<br />
come vedremo, questo coraggio lo ha avuto, capendo<br />
che soffrire è la via stessa di liberazione dal dolore,<br />
proprio come nella filosofia buddhista.<br />
Il primo passo sulla strada che porta al “nirvana” è un<br />
profondo senso di malessere.<br />
Lo stato di malessere che condusse Siddartha a<br />
diventare il “Buddha” nacque dalla scoperta della<br />
malattia: Siddartha era un principe, egli non sapeva<br />
dell’esistenza della malattia, fino a quando un giorno<br />
volle uscire dal palazzo e sconvolto dall’aver scoperto<br />
l’universale sofferenza, concluse che la vita è un male di<br />
cui bisogna liberarsi.<br />
In Leopardi questo stato di malessere fu provocato<br />
dalla consapevolezza del suo difetto fisico.<br />
Questo malessere genera inevitabilmente tensione e<br />
depressione, in Leopardi aggravati dalla perdita<br />
dell’affetto da parte della famiglia, e un sentimento di<br />
solitudine; a loro volta questi stati d’animo producono<br />
un sentimento di conflitto sia con se stessi sia con<br />
l’intero mondo relazionale.<br />
Se questo stato d’animo cresce fino allo spàsimo e<br />
raggiunge il suo apice a tal punto da avvertire ogni ente<br />
esterno, individuale o comunitario, come uno strumento<br />
di lotta contro il proprio principio individuale, a tal<br />
punto da sentirsi del tutto esclusi dalla natura e dalla<br />
vita (come appunto in Leopardi), incomincia il lento<br />
percorso che porta all’accettazione di sè, alle resa che è<br />
la chiave del rilancio.<br />
Successivamente infatti avviene uno “svuotamento<br />
interiore”, cioè una fase in cui lo iato esistenziale<br />
accumulato per anni svanisce e si avverte il “sè”, quel<br />
“se stesso”che non era mai riuscito prima a sfociare<br />
nella coscienza attiva.<br />
Nel buddhismo sono nettamente distindi “l’io” e il “sè”:<br />
“l’io” è la coscienza immediata che lega l’individuo al<br />
divenire delle cose, il “sè” è quell’anima più profonda<br />
che non ha nulla a che fare col mondo esterno. “L’io” è<br />
illusione, solo il “sè” è realtà.<br />
In Leopardi questo passaggio che parte da uno stato di<br />
tensione e porta alla resa, che parte da una serie di<br />
illusione che una volta cadute producono uno<br />
svuotamento interiore è ben delineato in “A Silvia”.<br />
In “A Silvia” (1828) la scoperta della morte e la<br />
meditazione sulla stessa interrompe l’attrazione verso le<br />
attività transitorie che ormai sono prive di significato.<br />
Leopardi comprende che la vita si regge su un inganno<br />
di fondo contro cui l’uomo è impotente: è l’illusione<br />
stessa, sotto forma di saggezza derivata dalla<br />
delusione, a distruggere tutte le illusioni. Leopardi<br />
comprende che tutte le speranze e i desideri sono privi<br />
di sè, la vita umana ormai gli appare come qualcosa di<br />
insignificante e tutta la realtà ora è concepita come uno<br />
stato di tensione tra l’individuo e un principio universale<br />
(il quale si identifica con la Natura) che si erge sempre<br />
come l’assioma della nostra sofferenza e causa della<br />
nostra lotta. La sofferenza vera è il frutto di cause che<br />
sono illusorie: questa è la causa dello iato esistanziale<br />
già citato.<br />
Dopo lo svuotamento, dopo lo svanimento dello iato<br />
esistenziale la propria vita è totalmente cambiata: nulla<br />
è più percepito o recepito come prima, la mente rigetta<br />
tutte le precedenti convinzioni e viene sommersa dalle<br />
grandi domande esistenziali, e tenta con tutti i suoi<br />
mezzi di trovare le risposte a queste domande.<br />
Se il desiderio di risposta giunge alla forza necessaria la<br />
mente vive lo stato del “satori”.<br />
Che cos’è il “satori”?<br />
Mentre il “nirvana” è uno stato di illuminazione<br />
spirituale perenne, il “satori” è uno stato di<br />
illuminzazione transitoria. La differenza tra questi due<br />
stati consiste nelle temporaneità o permanenza<br />
dell’illuminazione.<br />
Il “satori” è un periodo di non-mente in cui un uomo<br />
scopre dentro di sè la sua natura superiore e ciò lo<br />
conduce ad agire e pensare in maniera totalmente<br />
rinnovata.<br />
Quando lo stato del “satori” termina e ritorna a<br />
funzionare la mente, torna anche la normale sensazione<br />
delle cose. Se invece la mente cessa definitivamente si<br />
entra nel “nirvana”.<br />
Il “satori” è il distacco silenzioso dal quotidiano, dal<br />
mondo che tutti sperimentiamo.<br />
Il distacco dal mondo è un atteggiamento intimo dello<br />
spirito, che potenzialmente può tradursi in un definitivo<br />
ritiro dal mondo, ma comunque è funzionale alla<br />
meditazione più profonda, a quella lunga preparazione<br />
che può scaturire nel “nirvana”.<br />
Questo distacco diventa una piattaforma di slancio<br />
dell’anima onde proseguire per la conoscenza del “sè”:<br />
si parte da “l’io” per giungere al “sè”, si parte<br />
dall’illusione di se stessi per giungere all’essere libero<br />
dalle ombre, proprio come in Leopardi.<br />
Dopo questa lunga premessa mi sembra doveroso<br />
applicare la ricerca da me svolta all’espressione poetica<br />
Leopardiana, partendo dalla sua lirica giovanile più<br />
famosa: “L’infinito”.<br />
Questo idillio nasce dalla vista di una siepe che non<br />
consente al poeta di vedere cosa c’è oltre e,<br />
metaforicamente, a schiudere il senso ulteriore<br />
dell’esistenza.<br />
Ciò spinge Leopardi a immaginare un mondo lontano,<br />
infinito, e gli eventi atmosferici che si susseguono non<br />
52<br />
OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove A<strong>NN</strong>O XIII – <strong>NN</strong>. <strong>69</strong>/<strong>70</strong> <strong>LUGLIO</strong>-<strong>AGOSTO</strong>/<strong>SETTEMBRE</strong>-<strong>OTTOBRE</strong> <strong>2009</strong>