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NN. 69/70 LUGLIO-AGOSTO/SETTEMBRE-OTTOBRE 2009

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imane felicemente saldi all’interno della magica aura<br />

che il periodo del neo-classicismo sa conferire.<br />

Non poteva bastare la semplice imitazione degli antichi,<br />

ovviamente. Si trattava, invece, di riappropriarsi del<br />

significato più completo della parola classico, che da<br />

sempre identifica concetti di purezza, di misura, di<br />

stabilità, di ordine interiore che diano luogo ad<br />

espressioni formali in grado di sfidare l’usura del tempo<br />

e la contingenza delle mode. Il punto non era, quindi,<br />

quello di riavvolgere su se stesso il tempo e di tornare<br />

alla stagione aurea dei greci e dei romani, bensì di<br />

appropriarsi dei segreti che erano alla base della loro<br />

spiritualità e di tentare di dare loro una nuova vita con<br />

la creazione artistica. Il ‘miracolo’ di Canova dovette<br />

scuotere profondamente i suoi contemporanei, se già<br />

nel 1816 Stendhal poteva asserire che lo scultore di<br />

Possagno aveva “avuto il coraggio di non copiare i greci<br />

e di inventare una bellezza, come avevano fatto i<br />

greci”. Dove sta, allora, la grandezza di Canova, che ha<br />

saputo rinnovare i fasti della classicità? Il saggio di<br />

Paolucci termina con queste parole: “La pura forma<br />

classica obbliga i corpi al luminoso dominio della idea,<br />

ma sotto quel levigato splendore noi avvertiamo la<br />

seduzione della carne, la pulsione del desiderio. Per<br />

Canova l’Amore è il momento estatico che sospende il<br />

tempo, annulla la storia e rende immortali. In questo<br />

senso è un ineffabile mistero”. Canova, dunque, seppe<br />

immaginare una vita vera per le sue sculture. Riuscì ad<br />

infondere un alito al marmo e, pur esaltandone la<br />

purezza, lo colorò di un vigore e di un’anima dai tratti<br />

più diversificati. Principalmente quello dell’Amore, senza<br />

dubbio, e la mostra di Forlì consente agli appassionati<br />

di farsi rapire dal magistrale equilibrio con cui Canova<br />

espresse il sentimento cardine dell’uomo, sospeso fra la<br />

dolcezza terrena e l’idealità divina: Amore e Psiche che<br />

si abbracciano, Amore e Psiche stanti, Adone e Venere.<br />

Ma anche il senso della forza e del movimento che<br />

seppe infondere in maniera straordinariamente<br />

convincente nelle due statue dei lottatori Creugante e<br />

Damosseno o nella leggiadra Ebe, di cui alla mostra si<br />

possono ammirare sia la versione dell’Ermitage di<br />

Pietroburgo, sia quella della Pinacoteca civica di Forlì,<br />

esposte nella stessa stanza insieme, fra le altre, al<br />

Mercurio volante del Giambologna: un vero tripudio di<br />

aeree sospensioni che l’ottimo allestimento ha saputo<br />

valorizzare al più alto grado. Questa sorta di sfida alla e<br />

per l’antichità classica vide come principale avversario<br />

di Canova Bertel Thorvaldsen, scultore danese dotato di<br />

grandi qualità tecniche, più propenso a immergersi<br />

nella severa concezione greco-latina e a riproporla<br />

fedelmente - quasi un fantasma che riappare nostalgico<br />

e senza dimora – che non a rielaborare la materia<br />

mosso dal demone della creatività.<br />

Nel saggio successivo, Canova: l’ideale classico tra<br />

scultura e pittura, da cui trae il nome la mostra,<br />

Fernando Mazzocca, analizzando le opere di storici e<br />

biografi del Canova, quali Francesco Milizia, Faustino<br />

Tadini, Melchiorre Missirini, concorda con essi quando<br />

sostengono che la qualità della poetica canoviana sta<br />

nell’ “esprimer le forme del corpo e unirvi il sentimento”<br />

o, con riferimento alle statue in gesso dello scultore di<br />

Possagno, che “questa parte della scultura è la prova<br />

men equivoca della sua analogia con la pittura. Tranne<br />

il colorito, il bassorilievo è un quadro”. O ancora come<br />

lo scultore avesse osato sfidare la pittura (…)<br />

“travagliandosi per ottenere il chiaro oscuro de’<br />

dipintori, anzi l’effetto de’ colori della tavolozza”. A<br />

corollario di questi tentativi critici dei contemporanei di<br />

trovare un appiglio che riesca a definire lo sforzo<br />

creativo di Canova per accostarsi alle bellezze dei colori<br />

riportati sulle tele, noi uomini d’oggi potremmo servirci<br />

di un’espressione in uso nel linguaggio cinematografico<br />

e paragonare le sue sculture ad immagini<br />

tridimensionali. Anche in questo caso, la mostra guida il<br />

visitatore con accostamenti appropriati e convincenti:<br />

fra i numerosi oli su tela di Francesco Hayez citiamo<br />

l’Ajace d’Oileo, con cui l’allievo di Canova si raffrontò<br />

con una statua omonima del maestro ora presente nel<br />

palazzo Treves a Venezia, ma che nella sua possente<br />

esposizione anatomica può bene ricordare anche<br />

Creugante e Damosseno. Oppure alcuni ritratti di papa<br />

Pio VII accostati al busto in marmo eseguito dal Canova<br />

fra il 1803 ed il 1806. E fu proprio papa Chiaramonti a<br />

voler sancire la fama dello scultore di Possagno,<br />

nominandolo Ispettore generale delle Antichità e delle<br />

Belle Arti del Vaticano, analogamente a quanto Leone X<br />

aveva fatto con Raffaello: una doppia consacrazione<br />

che la mostra ratifica accostando, al suo termine, gli<br />

autoritratti dei due artisti accomunati in un destino<br />

d’idealità classica.<br />

Enzo Vignoli<br />

- Conselice (Ra) -<br />

RENZO VESPIGNANI TRA DUE GUERRE<br />

Fino al 14 giugno è stato possibile visitare nelle sedi<br />

della Chiesa del Pio Suffragio e del museo Civico delle<br />

Cappuccine a Bagnacavallo (Ra) una mostra che, senza<br />

retorica o timori di smentite, è da giudicare unica. Le<br />

ragioni sono presto dette. Tra due guerre è il titolo dato<br />

dallo stesso autore ad un ciclo che abbraccia un periodo<br />

storico che non è il tempo in cui furono materialmente<br />

dipinti i quadri, ma una delle epoche più distruttive<br />

dell’umanità sulla quale Renzo Vespignani esercita, a<br />

posteriori, una riflessione dura e straordinaria.<br />

Nato a Roma nel 1924, l’artista ha in parte vissuto gli<br />

anni che vanno dall’inizio della Grande Guerra alla fine<br />

della Seconda Guerra Mondiale. È, pertanto, importante<br />

capire che cosa l’abbia portato ad esporre la sua<br />

testimonianza di sopravissuto circa trent’anni dopo il<br />

termine di quegli eventi. L’intera serie dei dipinti fu,<br />

infatti, eseguita tra il 1972 ed il 1975 e fatta conoscere<br />

al pubblico alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna in<br />

occasione del trentennale della Resistenza, fra il 18<br />

giugno e il 27 luglio 1975.<br />

Lo stesso Vespignani ne parla come di “una storia per<br />

immagini da Sarajevo a Norimberga”. Ma l’artista non<br />

era uno storico, né, tanto meno, un cronista o un<br />

autore di bozzetti che servissero ad illustrare riviste<br />

specializzate. Lo sguardo di Vespignani si proietta molto<br />

più lontano della pur terribile gravità di quegli anni,<br />

proprio perché scava con implacabile profondità a<br />

ricercare gli elementi di allora che si siano rivelati un<br />

triste lascito ereditato dagli uomini venuti dopo o che,<br />

addirittura, possano essere una tragica componente<br />

della natura umana. È ancora Vespignani che, nello<br />

scritto pubblicato la prima volta nel catalogo della<br />

mostra di Bologna, si serve di espressioni che sembrano<br />

OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove A<strong>NN</strong>O XIII – <strong>NN</strong>. <strong>69</strong>/<strong>70</strong> <strong>LUGLIO</strong>-<strong>AGOSTO</strong>/<strong>SETTEMBRE</strong>-<strong>OTTOBRE</strong> <strong>2009</strong> 81

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