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BOLLETTINO 178 - Società Filosofica Italiana

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Carmelo Vigna<br />

(Università di Venezia)<br />

Breve premessa. Sono stato educato al senso della Scuola. Che vuol dire: addestramento<br />

all’uso di un codice speculativo condiviso e coscienza di un patrimonio veritativo<br />

comune, cui ognuno apporta un contributo, specialmente interrogando l’esperienza<br />

del tempo che vive, ma anche meglio formulando o riformulando l’eredità ricevuta.<br />

Per questo sono convinto che solo il confronto coi classici come Maestri di verità, anzi<br />

il corpo a corpo con loro, può dare forma alla mente e quindi metterla in grado di riscattare<br />

il loro lascito, mediante la “presa diretta” sulla cosa stessa. Allora, e solo allora, ci<br />

si può sottrarre alla venerazione feticistica e/o alla furia decostruttiva del passato.<br />

Atteggiamenti entrambi sterili, perché entrambi prigionieri di una sostanziosa sudditanza<br />

edipica. I conti coi padri si fanno togliendone l’assolutezza (eliminando il feticismo),<br />

ma tenendone la parte di verità che loro toccò in sorte (evitando le facili e arroganti<br />

“distruzioni” o “decostruzioni”). In fondo, le pretese “tabulae rasae”, ancora di moda,<br />

sono forme, più o meno mascherate, di rimozione. Ma il ritorno del rimosso, si sa, è<br />

inevitabile. Per questo tante “novità” filosofiche ad un occhio esperto appaiono non di<br />

rado pezzi di passato mal compreso e reso banale, imbellettati con etichette alla moda.<br />

Amarcord. Mi sono formato sui testi di Platone e di Aristotele, di Agostino e di<br />

Tommaso. Soprattutto di Aristotele e Tommaso. Si tratta di una preferenza antropologica,<br />

ma poi anche di una inclinazione metodica. La loro pratica della filosofia, riferita, in<br />

ultima istanza, alla stabilità del sapere (“episteme”, “scientia”), mi affascina oltremodo.<br />

Mi pare ancora oggi assolutamente esemplare. Certo, ho studiato i moderni per lungo<br />

tempo (Cartesio, Kant, Hegel, in particolare), a loro rimandato da Gustavo Bontadini,<br />

mio Maestro di metafisica. Bontadini voleva che noi giovani (allora…!) fossimo in<br />

grado di controllare al meglio le “due logiche”, come egli le chiamava, ossia quella<br />

degli Antichi (“analitica”) e quella dei Moderni (“dialettica”). Per questo mi dedicai,<br />

sempre da giovane, a Giovanni Gentile, il cui Sistema di Logica, strutturato come rapporto<br />

tra logica dell’astratto (analitica) e logica del concreto (dialettica), fu oggetto<br />

della mia dissertazione di laurea. Naturalmente, di Gentile ci parlava spesso Bontadini.<br />

Ma in quegli anni cominciava a insegnare anche Emanuele Severino, l’allievo di genio<br />

del Maestro. Mi affezionai subito a Severino, che scelsi poi come relatore di tesi. Era<br />

quella, allora per me, un’unica “famiglia”, dove agivano nel contempo altre intelligenze<br />

filosofiche di prim’ordine, che mi hanno aiutato a capire un po’ di cose. Virgilio<br />

Melchiorre, anzitutto, per me fonte di interessi antropologici ed etici, sostanzialmente<br />

estranei a Bontadini e a Severino, poi Carlo Arata, che introduceva in Cattolica con<br />

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