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BOLLETTINO 178 - Società Filosofica Italiana

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Beitz, in un articolo di commento al Il diritto dei popoli 11 , ha denunciato l’assenza, sul<br />

piano internazionale, di un principio distributivo analogo a quello teorizzato sul piano<br />

nazionale. La motivazione per cui Rawls preferisce un principio transitorio e poco esigente<br />

è nella convinzione, contestata come improbabile da Beitz, che una scelta diversa<br />

potrebbe portare a esiti ingiusti per i quali un paese povero potrebbe diventare più ricco<br />

di chi gli ha prestato assistenza. Simili sono le ragioni, cui si è già fatto riferimento, che<br />

portano Buchanan, in un articolo di forte critica al Il diritto dei popoli, a contestare la<br />

debolezza del dovere di assistenza. Un acuto intervento di T. Pogge 12 sui temi della<br />

povertà, dell’ordine economico globale e dell’universalismo morale affronta le proposte<br />

di Rawls sull’argomento, riconoscendogli un ruolo di rilievo e nello stesso tempo individuandone<br />

alcuni importanti limiti. Approcci problematici di questo genere ai difficili<br />

temi di cui deve occuparsi la filosofia politica nel mondo globale, sono inevitabili e<br />

anzi assai utili laddove le risposte della ricerca filosofica riguardano anche la tragica<br />

verità di 18 milioni di morti per fame ogni anno. Il tentativo filosofico che Rawls ha<br />

operato sui temi del diritto internazionale e sul problema della distribuzione, non riferita<br />

unicamente alle risorse naturali, può vantare, nonostante alcune incertezze, di aver<br />

tentato una delle prime sistematizzazioni di argomenti ancora affidati ad un scarso rigore<br />

normativo. Se si vogliono studiare efficaci meccanismi redistributivi occorre, secondo<br />

Pogge, prendere sul serio una prospettiva di universalismo morale e quindi di<br />

responsabilità internazionale. Questo significa, ad esempio, annullare la differenza tra il<br />

causare direttamente povertà e il non agire efficacemente per ridurre tale fenomeno. A<br />

questo riguardo l’artificio rawlsiano del velo d’ignoranza 13 , attraverso cui vengono teorizzati<br />

i principi di giustizia, risulterebbe poco adeguato. Quanto al fatto che la teoria<br />

della giustizia di Rawls ha come oggetto solo la struttura di base della società, Pogge<br />

giustifica tale scelta nel riconoscimento di un contestualismo comunque inevitabile, e<br />

non limitativo ai fini della costruzione di un universale punto di vista morale. Il problema<br />

trascurato da Rawls, e che ha poi ricadute nella trattazione della giustizia, è<br />

piuttosto l’assenza di un’adeguata giustificazione per la separazione del contesto<br />

nazionale da quello internazionale. Questa sola infatti potrebbe spiegare la motivazione<br />

filosofica che ha portato Rawls a rifiutare un principio di differenza per l’ordine<br />

economico globale. Il concetto di decenza con cui Rawls ha giustificato questo rifiuto,<br />

è esso stesso, nella sua vaghezza, a rappresentare un indebolimento della normatività<br />

della originaria teoria della giustizia. La critica di Pogge non vuole negare validità<br />

a tale concetto, quanto pretenderne una legittimazione normativa più forte che, evitando<br />

11 C. Beitz, Rawls’s Law of peoples, «Ethics», 4 (2000), pp. 669-696.<br />

12 T. Pogge, Moral Universalism and Global Economic Justice, Opladen 2001, pp. 31-54.<br />

13 J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 1982, pp. 125-135.<br />

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