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Massimo Bonfantini<br />
l’amico e<strong>di</strong>tore Roberto Cicala, che ha comunicato la prossima uscita, per<br />
«Interlinea», <strong>di</strong> una nuova e<strong>di</strong>zione del Salto nel buio, <strong>il</strong> romanzo<br />
autobiografico <strong>di</strong> mio padre (pubblicato la prima volta da Feltrinelli nel<br />
1959), che racconta del suo «salto», appunto, del suo gettarsi, <strong>il</strong> 22 giugno<br />
1944, dal treno in corsa, dal vagone piombato che lo deportava in Germania.<br />
Il momento culminante del Salto l’avevo letto al mattino <strong>di</strong> questa<br />
giornata, <strong>di</strong>co del 20 novembre 2004, ai ragazzi dell’Istituto tecnico<br />
Mossotti.<br />
«Così, è deciso. La mano destra ben tesa in fuori: <strong>il</strong> corpo ed <strong>il</strong> busto<br />
all’in<strong>di</strong>etro; <strong>il</strong> piede destro lì, steso in avanti, come su un punto <strong>di</strong> mira.<br />
Adesso, basta aprire le <strong>di</strong>ta <strong>della</strong> sinistra mollando la presa, e dandosi al<br />
contempo una piccola spinta sul predellino col piede sinistro, ma non<br />
troppo forte. Uno, due, tre. E m’abbandonai».<br />
La mattinata era infatti de<strong>di</strong>cata, secondo quanto recitava <strong>il</strong> programmainvito,<br />
alla «Lettura e commenti dei racconti sull’Ossola e sulla Resistenza<br />
<strong>di</strong> Mario Bonfantini».<br />
Naturalmente, in queste letture, affiancato dai commenti e dalle<br />
spiegazioni, chiare e sapienti, <strong>di</strong> carattere storico generale <strong>di</strong> Mauro Begozzi,<br />
ero partito dallo scritto che mi piace <strong>di</strong> più <strong>di</strong> mio padre sull’Ossola,<br />
l’articolo pubblicato da «M<strong>il</strong>ano Sera», <strong>di</strong> cui mio padre era <strong>di</strong>rettore, <strong>il</strong> 10<br />
settembre 1945 e intitolato: L’epopea dell’Ossola nel ricordo <strong>di</strong> un testimone.<br />
L’occhiello spiega: «10 settembre 1944: Domo liberata».<br />
«Nella stanchezza <strong>della</strong> luce grigia, mi attraversano la mente vaghi ricor<strong>di</strong><br />
garibal<strong>di</strong>ni: la lettura infant<strong>il</strong>e dell’Abba, quella più recente <strong>di</strong> una lettera <strong>di</strong><br />
Nievo sulla sua entrata in Palermo; i racconti che a me fanciullo <strong>di</strong>panava<br />
paziente mio nonno, che era stato alla presa <strong>di</strong> M<strong>il</strong>azzo. Non bisogna<br />
esagerare, va bene, siamo modesti; ma c’è pure un’analogia, dopo tutto...<br />
Il controllo è finito. Entriamo finalmente in città. Guardo<br />
Domodossola. Sono come stor<strong>di</strong>to, incredulo, e mi accorgo dalla faccia dei<br />
miei ragazzi che deve essere così anche per loro. Anche gli abitanti, che ci<br />
buttano i fiori sacramentali e che ci si stringono addosso, sono felici, sì,<br />
commossi, ma sembrano attoniti. Ma pian piano si svegliano: la loro gioia<br />
erompe, e arriva <strong>il</strong> momento del vero tripu<strong>di</strong>o. Sono stanco, e mi ricordo che<br />
ho subito altro da fare. Ma non riesco a tirarmi via <strong>di</strong> lì, a staccarmi da questi<br />
ragazzi, compagni <strong>di</strong> queste poche giornate. Soltanto un’ora dopo mi decido<br />
a inf<strong>il</strong>armi sotto <strong>il</strong> portico, in un caffè. Or<strong>di</strong>no un bitter, appoggio <strong>il</strong> gomito<br />
al banco, e mi volto a guardar fuori la squadra allineata: non ci ritroveremo<br />
mai più così».<br />
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