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Sentieri della Ricerca 4.indb - Centro di Documentazione Del Boca ...

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Marina Ad<strong>di</strong>s Sabaun solo sorrisetto poteva rendere sporca e colpevole la loro vicenda <strong>di</strong> lottae <strong>di</strong> consapevolezza, così esse smisero <strong>di</strong> raccontare, o forse non raccontaronomai, nemmeno in famiglia, ciò che avevano fatto come resistenti:un esempio per tutte è Il silenzio dei vivi (1997), libro <strong>di</strong> memoria in cuila viennese Elisa Springer, sposata ad un italiano e vissuta a Manduria, raccontala sua storia <strong>di</strong> ragazza ebrea reduce dai campi <strong>di</strong> concentramentosolo dopo la morte <strong>di</strong> suo marito, che le aveva imposto un silenzio assoluto,persino con suo figlio.Ma le partigiane non tacquero per una imposizione, tacquero anche,come i prigionieri reduci dai campi, perché nessuno aveva più voglia <strong>di</strong>sentire racconti <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> paura, e in particolare mariti, padri, fidanzati,figli avevano una ragione <strong>di</strong> genere in più.Non solo i familiari, ma anche le istituzioni, associazioni partigianeo istituti <strong>della</strong> Resistenza o singoli stu<strong>di</strong>osi non sollecitarono la memoriastorica delle donne, anche perché Anpi e altre associazioni erano compostesoltanto da partigiani e non si <strong>di</strong>mentichi che le commissioni per riconoscereil «titolo» <strong>di</strong> partigiani o patrioti erano soltanto maschili e la regolaera <strong>di</strong> avere partecipato almeno a tre scontri a fuoco! Le donne resistentinon andarono nemmeno a richiedere quel riconoscimento, tanto assurdedovettero apparire loro le <strong>di</strong>sposizioni.Il silenzio dunque fu la regola e pesò sulla memoria storica, non ci fuuna esclusione voluta, ma l’abitu<strong>di</strong>ne alla <strong>di</strong>mensione privata delle donne,che era stata rotta durante gli eventi drammatici ed era tornata nel dopoguerracostume e regola del mondo al maschile, che le donne stesse avevanointroiettato. Vennero i movimenti femministi degli anni settanta ele giovani femministe, nella loro riflessione sulla soggezione secolare delledonne, fatta tra <strong>di</strong> loro in gruppi <strong>di</strong> autocoscienza, tagliarono i fili col passatoe ripu<strong>di</strong>arono le madri, partigiane, costituenti, fondatrici <strong>della</strong> nostrarepubblica, e affermarono, con grande stoltezza storica, che prima <strong>di</strong> loroil femminismo era stato emancipazionista, cioè volto a «penetrare nellacitta<strong>della</strong> maschile», e solo il loro era femminismo <strong>della</strong> liberazione, cheera soprattutto del corpo e <strong>della</strong> sessualità femminile e per la valorizzazione<strong>della</strong> <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> genere.Anna Kuliscioff, tre volte cancellata, come <strong>di</strong>mostro nella mia biografia(Mondatori 1993), dal fascismo prima, dal comunismo nel dopoguerra inquanto socialdemocratica e infine dalle neofemministe degli anni settanta,aveva già affermato, alla fine del XIX secolo, che le donne «con tutte le lo-226

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