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40%, passando da 163 a 94 casi per 100.000 abitanti all’anno.<br />
È invece raddoppiata nei Paesi a reddito medio o basso,<br />
arrivando a toccare i 117 casi all’anno ogni 100.000 abitanti.<br />
Nello stesso arco di tempo, invece, la mortalità precoce per<br />
ictus è diminuita in maniera trasversale. Dato, quest’ultimo,<br />
che, tuttavia, rivela l’altra faccia della medaglia: l’incremento<br />
della patologia in termini di disabilità e perdita di produttività,<br />
soprattutto nella fascia di popolazione più giovane, con conseguente<br />
ricaduta sociale 2 .<br />
In Italia l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta negli<br />
ultimi venti anni da 293 a 143 casi per 100.000 abitanti ogni<br />
anno, con una maggiore incidenza tra le donne (147 casi) 3<br />
e con un incremento dal 35,7% al 47,8% negli ultraottantenni.<br />
La mortalità è del 20-30% a 30 giorni<br />
dall’evento e aumenta a 40-50% a distanza<br />
di un anno. L’attacco ischemico transitorio<br />
(TIA) ha, invece, un’incidenza<br />
pari a 35 casi per 100.000 abitanti<br />
all’anno con il 10% circa di recidive<br />
a 5 anni 4 .<br />
La lettura incrociata di<br />
questi dati mostra un’apparente<br />
contraddizione.<br />
Ci si aspetterebbe che<br />
all’aumento dell’età media<br />
della popolazione,<br />
soprattutto nei paesi<br />
più sviluppati, corrispondesse<br />
statisticamente<br />
un aumento<br />
dell’incidenza dell’ictus.<br />
Ma il ruolo chiave giocato<br />
dall’efficace controllo di<br />
alcuni fattori di rischio ha<br />
determinato un andamento<br />
diverso della tendenza.<br />
Da questo ragionamento restano<br />
esclusi i casi di premorienza<br />
rispetto alla possibile insorgenza<br />
dell’ictus cerebrale per altre patologie<br />
competitive fatali, quali le neoplasie, le sepsi e<br />
la broncopneumopatia cronica ostruttiva 5 .<br />
Per quanto riguarda l’età evolutiva, il Registro Italiano<br />
Trombosi Infantili (RITI) dal 2007 al 2012 ha registrato 79 casi<br />
(di cui 49 maschi e 30 femmine) di ictus cerebrale ischemico<br />
in bambini di età media di 4,5 anni, e 91 casi (di cui 65 maschi<br />
e 26 femmine) di trombosi <strong>dei</strong> seni venosi cerebrali in bambini<br />
con un’età media pari a 7,1 anni 6 .<br />
Se, dunque, l’ictus cerebrale è una patologia il cui peso<br />
sociale sta diminuendo, lo si deve da un lato all’identificazione<br />
- e al relativo trattamento - <strong>dei</strong> fattori di rischio, dall’altro<br />
alle terapie sempre più mirate ed efficaci sui diversi target.<br />
Lo studio pubblicato dall’Alleanza Italiana per le malattie<br />
cardio-cerebrovascolari utilizza proprio questo schema, incrociando<br />
caratteristiche dell’individuo e fattori di rischio a<br />
cui lo stesso è sottoposto.<br />
Tra i fattori di rischio non modificabili, subito vanno individuati<br />
quello genetico (la familiarità dunque con le patologie<br />
cardio-cerebrovascolari) e l’età, la quale, quando si somma ai<br />
SCIENZE<br />
fattori di rischio modificabili, ne accresce il ruolo 7 . L’età è, del<br />
resto, il fattore di rischio più importante riconosciuto da tutti<br />
gli algoritmi impiegati per la previsione del rischio cardiovascolare<br />
globale.<br />
Tra i fattori modificabili, quelli su cui è possibile agire<br />
nella quotidianità, ci sono la scarsa attività fisica (dall’indagine<br />
multiscopo dell’ISTAT è emerso che in Italia nel 2017<br />
il 38,1% della popolazione dai 3 anni in su non ha praticato<br />
sport né attività fisica), il fumo (sia l’abitudine al fumo sia,<br />
seppur in misura minore, quello passivo), l’uso di droghe,<br />
l’eccessivo consumo di alcol (le linee guida SPREAD segnalano<br />
che l’assunzione giornaliera di 60 grammi di alcol è correlata<br />
a un aumento significativo del rischio di emorragia<br />
cerebrale 8 ), un’alimentazione eccessivamente<br />
ricca di grassi saturi e sodio, un contesto<br />
di stress psicosociale.<br />
L’intero elenco di fattori di rischio<br />
modificabili è disponibile<br />
nel report pubblicato dal<br />
Ministero della Salute e ne<br />
costituisce un’importante<br />
premessa. Ma è sulle strategie<br />
di prevenzione che<br />
si dipana gran parte del<br />
lavoro, che mette in relazione<br />
alcune specifiche<br />
tipologie di individuo<br />
(focalizzandosi su genere,<br />
età, abitudini) e le<br />
azioni da mettere in pratica.<br />
Ne deriva, dunque,<br />
un ventaglio di possibili<br />
azioni, più o meno accessibili<br />
e praticabili da tutti,<br />
molto vasto.<br />
È soprattutto su bambini<br />
e adolescenti che è importante<br />
disegnare alcune strategie di prevenzione<br />
particolarmente efficaci nel<br />
© Tefi/www.shutterstock.com<br />
contrastare gli effetti di cattive abitudini.<br />
Secondo un’indagine del 2016 dell’OMS, circa<br />
41 milioni di bambini in età prescolare e 124 milioni<br />
di bambini con più di 5 anni e adolescenti sono sovrappeso<br />
o obesi. Attività fisica quasi nulla (secondo la rilevazione<br />
2016 di “Okkio alla salute” del programma “COSI” dell’OMS, il<br />
23,5% <strong>dei</strong> bambini fa giochi di movimento non più di una volta<br />
settimana), eccessivo consumo di bevande zuccherate, poca<br />
frutta e verdura, merende troppo abbondanti, molto tempo<br />
trascorso tra schermi di smartphone e TV (quasi il 41% gioca<br />
con i videogiochi per più di due ore al giorno).<br />
Preoccupanti sono i dati sui comportamenti degli adolescenti<br />
rispetto al consumo di tabacco. Secondo alcune<br />
rilevazioni 9 della HBSC (Health Behaviour in School-aged<br />
Children) e della GYTS (Global Youth Tobacco Survey) la<br />
percentuale degli studenti 15enni che dichiara di aver fumato<br />
almeno una volta nella vita è pari al 42,1% tra i maschi e<br />
sfiora il 50% tra le femmine.<br />
Ai fini preventivi, nella fascia di età compresa tra i 19 e i<br />
29 anni l’eziologia da considerare è particolarmente specifi-<br />
<strong>Il</strong> <strong>Giornale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Biologi</strong> | Febbraio 2020<br />
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