la libertà Di scelta Del paziente con Disturbi mentali gravi - Personal ...
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g l i i n t e r v e n t i P s i c o e d u c a t i v i F a m i l i a r i P e r l a s c h i z o F r e n i a<br />
nel caso degli interventi unifamiliari, e compliance<br />
all’intervento, più bassa negli interventi multifamiliari.<br />
Negli USA, McFar<strong>la</strong>ne et al. (1993) hanno <strong>con</strong>frontato<br />
interventi unifamiliari e multifamiliari, entrambi aperti<br />
anche ai pazienti, evidenziando solo una lieve superiorità<br />
statistica in termini di diminuzione delle ricadute<br />
in quelli multifamiliari (42% vs 28%).<br />
Indicazioni sulle modalità di <strong>con</strong>duzione degli IPF<br />
vengono anche da uno studio di Linszen et al. (1996),<br />
nel quale non si rilevava un significativo vantaggio<br />
nei pazienti provenienti da famiglie ad alta emotività<br />
espressa (HEE) che ricevevano IPF rispetto a quelli<br />
trattati intensivamente in maniera individuale. Un<br />
risultato interessante di questo studio riguardava l’effetto<br />
del trattamento familiare su pazienti provenienti<br />
da famiglie a bassa emotività espressa (LEE), nei quali<br />
l’IPF incrementava <strong>la</strong> probabilità di ricaduta. In Spagna,<br />
Montero et al. (2001; 2006) hanno <strong>con</strong>frontato<br />
l’effetto di un intervento psicoeducativo di gruppo e<br />
unifamiliare a 2 e 5 anni, non evidenziando differenze<br />
statisticamente significative negli esiti clinici, a fronte<br />
di un più <strong>con</strong>sistente miglioramento del<strong>la</strong> disabilità nel<br />
gruppo che riceveva l’intervento unifamiliare. Come<br />
nello studio di Leff et al. (1989), inoltre, <strong>la</strong> modalità<br />
unifamiliare si caratterizzava per una più alta compliance<br />
dei partecipanti.<br />
Questi studi, benché abbiano comunque un disegno<br />
sperimentale, fornis<strong>con</strong>o alcune evidenze riguardo<br />
all’utilizzo degli IPF in <strong>con</strong>dizioni di routine. Da questi<br />
studi emerge, infatti, che tanto <strong>la</strong> multifamiliare<br />
che l’unifamiliare sono modalità utili per diminuire<br />
le ricadute del<strong>la</strong> schizofrenia, ma <strong>la</strong> prima si associa a<br />
una minore compliance a fronte di costi più <strong>con</strong>tenuti.<br />
Potrebbe essere opportuno in <strong>con</strong>dizioni di routine prevedere,<br />
dunque, un percorso sequenziale che includa<br />
una prima fase di intervento unifamiliare, più utile a<br />
rafforzare il rapporto tra utenti e servizio, e, in seguito,<br />
una fase di gruppo che possa facilitare l’ampliamento<br />
del social network familiare, riducendo l’impegno da<br />
parte del personale.<br />
Questi studi suggeris<strong>con</strong>o anche <strong>la</strong> necessità di<br />
scegliere <strong>con</strong> attenzione le famiglie in cui utilizzare<br />
l’intervento, tenendo presente che <strong>la</strong> discussione di<br />
temi dolorosi, come quelli re<strong>la</strong>tivi al<strong>la</strong> diagnosi e alle<br />
sue <strong>con</strong>seguenze, nonché <strong>la</strong> ridefinizione di equilibri<br />
re<strong>la</strong>zionali, possono rappresentare una fonte di stress<br />
e un intervento inappropriato se il nucleo familiare ha<br />
già un suo equilibrio soddisfacente. Per garantire che<br />
le famiglie più a rischio ricevano interventi strutturati<br />
81<br />
di sostegno, si può <strong>con</strong>siderare una presa in carico familiare<br />
a due fasi: <strong>la</strong> prima, di tipo informativo, rivolta<br />
a un’utenza più vasta e finalizzata ad aumentare <strong>la</strong><br />
compliance del <strong>paziente</strong> alle cure e <strong>la</strong> comprensione<br />
del nucleo familiare per le difficoltà che <strong>la</strong> schizofrenia<br />
può comportare in chi ne è affetto, <strong>la</strong> se<strong>con</strong>da dedicata<br />
alle famiglie “a rischio”, <strong>con</strong> un <strong>la</strong>voro specifico sulle<br />
abilità di comunicazione e di problem solving.<br />
Riguardo al <strong>con</strong>cetto di famiglie “a rischio”, Leff<br />
(2000) suggerisce di restringere questa definizione a<br />
quei nuclei familiari caratterizzati da: a) frequenti litigi;<br />
b) violenti <strong>con</strong>trasti fisici o verbali <strong>con</strong> intervento<br />
delle forze dell’ordine; c) presenza di pazienti che, pur<br />
assumendo rego<strong>la</strong>rmente un’appropriata terapia, hanno<br />
più di una ricaduta all’anno; d) richieste inappropriate<br />
di intervento rivolte agli operatori psichiatrici.<br />
Altri studi hanno <strong>con</strong>siderato <strong>la</strong> possibilità di<br />
trasferire le competenze necessarie a erogare l’intervento<br />
agli operatori dei Servizi (Kavanagh et al., 1993;<br />
McFar<strong>la</strong>ne et al., 1993; Fadden, 1998; Magliano et al.,<br />
2005a, 2005b). Dagli anni Novanta, soprattutto nei<br />
Paesi anglosassoni, sono stati introdotti programmi<br />
di formazione intensivi per <strong>con</strong>sentire a un numero<br />
elevato di operatori di vario ruolo professionale di acquisire<br />
le competenze di base necessarie per il <strong>la</strong>voro<br />
di sostegno familiare. Questi programmi prevedevano<br />
<strong>la</strong> formazione di tutti i componenti di una équipe al<br />
fine di facilitare l’uso su <strong>la</strong>rga sca<strong>la</strong> dell’intervento. I<br />
risultati di questi programmi di formazione, però, sono<br />
stati piuttosto deludenti: il 7-27% dei partecipanti<br />
completava <strong>la</strong> formazione e meno di due famiglie per<br />
operatore ricevevano l’intervento, come riportato da<br />
Fadden (1997). Quello che emerge da questi studi è che<br />
una formazione “a tappeto” risulta troppo dispendiosa,<br />
sia e<strong>con</strong>omicamente che in termini di impegno per il<br />
personale, a fronte di un numero esiguo di famiglie che,<br />
a formazione completata, riceveranno l’intervento.<br />
Più utile può essere una formazione che includa<br />
una fase di sensibilizzazione al metodo aperta a tutta<br />
l’équipe e un periodo più intensivo riservato a un<br />
numero ristretto di operatori, selezionati sul<strong>la</strong> base<br />
del<strong>la</strong> loro motivazione al <strong>la</strong>voro <strong>con</strong> le famiglie, così<br />
da costituire microéquipes specializzate. In un se<strong>con</strong>do<br />
tempo, sul<strong>la</strong> base dell’esperienza pratica, le microéquipes<br />
possono trasmettere le competenze tecniche al resto<br />
del personale, rappresentando cioè una sorta di unità di<br />
formazione interna al servizio. Per realizzare questo tipo<br />
di implementazione a due fasi è fondamentale operare<br />
una selezione degli operatori da formare all’interven-<br />
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