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la libertà Di scelta Del paziente con Disturbi mentali gravi - Personal ...

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a l l e a n z a t e r a P e u t i c a , t e o r i a d e l l ’ a t t a c c a m e n t o e m e n t a l i z z a z i o n e<br />

danni iatrogeni, se proposta in termini rigidi che non<br />

tengono <strong>con</strong>to del<strong>la</strong> capacità del <strong>paziente</strong> di utilizzar<strong>la</strong>,<br />

in quanto rischia di causare un’iperattivazione dei<br />

sistemi di attaccamento dei pazienti <strong>con</strong> grave disturbo<br />

borderline, che avverrebbe a detrimento ulteriore delle<br />

già compromesse capacità di <strong>mentali</strong>zzazione (Fonagy<br />

& Bateman, 2006). Insomma nei casi più <strong>gravi</strong> occorre<br />

avere <strong>la</strong> realistica modestia di individuare il setting o<br />

il <strong>con</strong>testo interpersonale più semplice da proporre,<br />

per esempio un rapporto di cura <strong>con</strong> uno psichiatra,<br />

evitando premature spiegazioni <strong>con</strong>sce o in<strong>con</strong>sce<br />

del problema. Risuona anche in questo caso <strong>la</strong> frase<br />

di Winnicott, “nel <strong>la</strong>voro ambu<strong>la</strong>toriale cerco di fare<br />

il minimo che è necessario”, che in questo <strong>con</strong>testo<br />

diviene un monito <strong>con</strong>tro proposte dettate più dal<br />

desiderio del terapeuta che non dall’effettivo bisogno<br />

del <strong>paziente</strong>.<br />

Per quanto riguarda le modalità <strong>con</strong> cui porgere le<br />

ipotesi interpretative, intendo qui sottolineare l’importanza<br />

del tono colloquiale <strong>con</strong> cui vengono espresse,<br />

dell’aspetto terminologico prossimo il più possibile al<br />

vocabo<strong>la</strong>rio del <strong>paziente</strong> e <strong>la</strong> possibilità che tali ipotesi<br />

siano proposte a mezza via tra terapeuta e <strong>paziente</strong>,<br />

come qualcosa che può essere non solo accettato o<br />

rifiutato, ma anche ampliato, digerito in un se<strong>con</strong>do<br />

tempo o fatto proprio. Anche una certa enfasi affermativa<br />

in tutti gli interventi ordinari del terapeuta, volti a<br />

<strong>con</strong>fermare <strong>la</strong> sicurezza del<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione e a valorizzare <strong>la</strong><br />

significatività del senso di sé e del<strong>la</strong> propria esperienza<br />

intima, può costituire per il <strong>paziente</strong> una prova del suo<br />

essere compreso.<br />

Molte altre possono essere le dotazioni necessarie<br />

per affrontare questi inizi difficili, ma rimando al ben<br />

più ampio <strong>la</strong>voro del 2000. Vorrei solo soffermarmi sul<br />

fatto che da un <strong>la</strong>to, nel<strong>la</strong> dinamica transfert-<strong>con</strong>trotransfert,<br />

è spesso inevitabile trovarci ad agire insieme<br />

al <strong>paziente</strong> ciò che egli non è in grado di esprimere<br />

altrimenti e che dall’altro occorre <strong>la</strong>sciarsi coinvolgere<br />

in una qualche forma di responsività di ruolo, amma<strong>la</strong>rsi<br />

parzialmente del<strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia del <strong>paziente</strong>, per poterne<br />

riemergere poi riflessivamente e riprendere una funzione<br />

di pensiero. È una grossa illusione infatti quel<strong>la</strong> di<br />

mantenere sotto <strong>con</strong>trollo in tempo reale nel corso del<strong>la</strong><br />

seduta ciò che il <strong>paziente</strong> ci comunica ed è più spesso<br />

<strong>con</strong> il senno di poi che possiamo comprendere queste<br />

situazioni, riuscendo a rie<strong>la</strong>borare ciò che avviene in<br />

seduta solo quando il <strong>paziente</strong> ne è uscito. Tutto questo<br />

rende ragione delle difficoltà che possiamo in<strong>con</strong>trare,<br />

del tempo che è necessario, del<strong>la</strong> costanza di cercare<br />

105<br />

di svolgere <strong>la</strong> nostra funzione anche nelle fasi di maggiore<br />

tempesta emotiva del <strong>paziente</strong> e nostra e del<strong>la</strong><br />

ragionevole speranza che possiamo <strong>con</strong>tinuare a coltivare<br />

realisticamente dentro di noi, nonostante tutto. Un<br />

altro rischio che è facile mettere in moto in questi casi<br />

è rappresentato dal<strong>la</strong> sequenza Persecutore-Vittima-Salvatore<br />

(Barale, 2006), che può permeare potentemente<br />

e insidiosamente <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione terapeutica non solo <strong>con</strong> i<br />

curanti più giovani e inesperti, inducendo riaccensioni<br />

sintomatologiche e regressioni in<strong>con</strong>trol<strong>la</strong>bili.<br />

Va da sé che, se uno dei compiti terapeutici è quello<br />

di “fare sicurezza” al <strong>paziente</strong>, il terapeuta deve mettersi<br />

egli stesso nel<strong>la</strong> <strong>con</strong>dizione di essere “in sicurezza”<br />

a opera di un terzo. Quando le cose vanno bene questa<br />

terzietà può essere rappresentata dal<strong>la</strong> formazione<br />

individuale e dalle teorie che sono al<strong>la</strong> base del nostro<br />

operare, ma in situazioni di crisi un’analisi personale,<br />

una supervisione <strong>con</strong> qualcuno più esperto, il gruppo<br />

dei colleghi o il gruppo di <strong>la</strong>voro nelle situazioni istituzionali<br />

possono costituire situazioni che ci mettono in<br />

“sicurezza” e che ci <strong>con</strong>sentono di riprendere a pensare,<br />

cercando di recuperare quel<strong>la</strong> corda che noi, magari<br />

senza accorgerci, avevamo tagliato. In alcuni pochi casi<br />

però “tagliare <strong>la</strong> corda”, in situazioni pericolose per il<br />

<strong>paziente</strong> e perciò impraticabili in quel<strong>la</strong> fase sul piano<br />

psicoterapeutico, comporta molta riflessione, coraggio<br />

e dolore, ma a volte è l’unica cosa da fare e non è detto<br />

che abbia <strong>con</strong>seguenze negative.<br />

■ bibliografia<br />

Bacal H.A. (1998). Optimal responsiveness. Jason Aronson: Northvale,<br />

New Jersey and London.<br />

Barale F. (2006). Il fondo instabile dell’esperienza: riflessioni su trauma<br />

e <strong>con</strong>dizione borderline. Seminario per operatori psichiatrici presso<br />

Centro Psicoanalitico di Bologna, febbraio 2006.<br />

Bateman A. & Fonagy P. (2004). Il trattamento basato sul<strong>la</strong> <strong>mentali</strong>zzazione.<br />

Raffaello Cortina Editore: Mi<strong>la</strong>no, 2006.<br />

Bion W.R. (1962). Apprendere dall’esperienza. Armando: Roma,<br />

1972.<br />

B<strong>la</strong>ck D.M. (2004). Sympathy re<strong>con</strong>figured: some reflections on<br />

sympathy, empathy and the discovery of values. International Journal<br />

of Psychoanalysis 85, 579-596.<br />

Bolognini S. & Borghi L. (1989). Empatia. Rivista di Psicoanalisi<br />

35,1077-1099.<br />

Correale A. (2006). Area traumatica e campo istituzionale. Bor<strong>la</strong>:<br />

Roma.<br />

Fonagy P. & Bateman A. (2006). Progress in the treatment<br />

of borderline personality disorder. British Journal of Psychiatry<br />

188,1-3.<br />

Psich Com v6n2 2007.indd 105 21-06-2007 12:07:38

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