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Domenica 10 giugno 2007
PAESI NOSTRI
11
A metà strada tra Velia, patria
della filosofia eleatica, e
Paestum, culla della Magna
Graecia, nel cuore del Parco
Nazionale del Cilento e del
Vallo di Diano, sorge un
borgo di origini Longobarde
che risale ai secoli IX e X e
che oggi conta poco meno
di cinquecento abitanti: Vatolla.
Prendendo la strada che da
Agropoli sale fino a Perdifumo,
inoltrandosi nel verde
delle pendici del Monte
Stella, è possibile intravedere
quattro torri che da anni
richiamano turisti da tutta
Europa, i quali, in cerca, sì,
di aria buona, ma anche di
storia e cultura, a Vatolla
non possono rimanere delusi.
Lì dove finisce la strada
principale che attraversa tutto
il paese, nella piazza dove
ora c’è un bar e un minimarket,
e dove gli anziani
della zona si riuniscono
per la quotidiana
partita a
carte, c’è un
piccolo ma interessante
castello
medioevale
che circa
quattrocento
anni fa, tra il
1686 e il 1695,
ospitò un insigne
personaggio.
“Qui dove dimorò per nove
anni Giambattista Vico, nella
pace e nel silenzio della
solitudine rafforzò le ali del
peregrino intelletto e, sollevandosi
alle più alte speculazioni,
pose le fondamenta
di quella Scienza Nuova che
sarà sempre la più splendida
gloria dell’ingegno italiano,
la deputazione provinciale,
a render perenne la memoria
del fatto, fece porre questa
lapide MDCCCLXXXII”.
Questa la dedica all’illustre
cittadino, incisa sulle mura
del castello che, dopo essere
stato dimora fortificata della
famiglia Vargas Machuca
nel secolo XVI e poi residenza
gentilizia del Marchese
Rocca, dei cui figli Vico
fu appunto precettore,
oggi è sede della Fondazione
Centro Studi G.B. Vico, nata
nel 1999.
Alla fine degli anni ’80 Vincenzo
Pepe, oggi presidente
della Fondazione, arrivò a
Vatolla con Elena Croce, figlia
di Benedetto, e Gerardo
Marotta, fondatore dell’ l’Istituto
Italiano per gli Studi
Filosofici, con l’intento di recuperare
il Palazzo de Vargas
e promuovere e valorizzare
il territorio.
Quella che allora sembrava
un’impresa impossibile, oggi
può essere vista come una
scommessa vinta.
E’ nata la Fondazione che in
10 anni ha aperto due sedi, a
Vatolla e a Capaccio, ed è in
procinto di aprirne una
terza a Napoli presso la
Chiesa S. Gennaro dell’Olmo,
dove fu battezzato
Gianbattista Vico.
Il castello medievale vatollese,
quindi, grazie all’interesse
delle istituzioni e alla
tenacia del presidente della
fondazione, è diventato un
museo dedicato al filosofo
della Scienza Nuova, che
ospita ogni anno mostre,
seminari, convegni filosofici
e spettacoli teatrali.
Oltre alla cultura, la natura
ovviamente. E la Fondazione
Centro Studi G.B. Vico è
stata in prima linea anche
per difendere il patrimonio
paesaggistico del territorio.
L’attualissimo problema dell’emergenze
rifiuti, l’anno
scorso, toccò anche Vatolla.
Una discarica doveva sorgere
proprio sulla
collina di fronte
alla finestra
di quella che
era stata la camera
da letto
del filosofo seicentesco.
Un luogo così
suggestivo
rischiava di essere
sommerso
dai rifiuti e solo
grazie al tenace intervento di
Vincenzo Pepe e di Legambiente
questo pericolo fu
scampato.
Chi si affaccia alle terrazze
naturali che offre il paese,
oltre a tanto verde, può
godersi il blu del mare e
restarne affascinato.
La costa cilentana è vicinissima
e, nelle giornate particolarmente
terse, è possibile
scorgere anche quella sorrentina
e l’isola di Capri.
Certo, la vita di paese può
essere noiosa per chi è ansioso
di conoscere il mondo.
Simone, 23 anni, studente
universitario di lingue e
letterature straniere, lamenta
una mancanza di svaghi:
«C’è solo un campetto di
calcio!» dice.
Ma per tanti altri la noia è
soltanto sinonimo di tranquillità.
La vita scorre lenta
ma pacifica. La città, con
tutti i suoi problemi, è lontana.
Le preoccupazioni sono
altre, piccole ma essenziali :
“Dio t’arrassi dalli mali
passi, dallo malo matino e
dallo malo vicino” (proverbio
vatollese).
A destra
un particolare
del portale
della chiesa e
nelle altre foto
le suggestive
immagini
del paesino
cilentano
Vatolla, il paese dei filosofi
Il piccolo borgo del Cilento dove dimorò il padre della “Scienza Nuova”
Nel castello
medievale
de Vargas
oggi c’è
la Fondazione
e il Museo
vichiano
Pagina a cura di
GIUSY FERRANTE
FIORELLA LOFFREDO
I numeri
Provincia: Salerno, Comunità
Montana Alento
Monte Stella, frazione
Comune di Perdifumo
Superficie: 23,67 Kmq
Abitanti: 490 (Vatollesi)
Coordinate Longitudine:
15º 1’ 33’’ 60
Coordinate Latitudine:
40 º 16’ 58’’ 44
Santo Patrono: San Concordio
Manifestazioni:
Madonna della Pietà (2
luglio), Festa dell’angelo e
del diavolo (15 agosto)
Piatti tipici: cicorie selvatiche
fritte, “scauratielli”
dolci con miele e foglie
di rosmarino
Come arrivare: il borgo si
raggiunge dalla statale tra
Agropoli e Santa Maria di
Castellabate, in direzione
Mercato Cilento e Perdifumo.
Percorrendo la Salerno
Reggio Calabria, u-
scire a Battipaglia e proseguire
in direzione Perdifumo.
LA TRADIZIONE
Il volo dell’angelo
tra sacro e pagano
In una commistione di riti sacri e pagani,
l’eterna lotta tra il bene e il male rivive,
ancora oggi, nella rappresentazione religioso-popolare
“L’angelo e il diavolo” che,
il 15 agosto di ogni anno, giorno della
festa dell’Assunzione della Madonna, si
celebra a Vatolla. Nei comuni del Cilento,
la venerazione dell’angelo ha radici remote.
Tuttavia dell’origine della manifestazione
sacra si sa ben poco. « È una tradizione
antica la cui nascita si perde nella
notte dei tempi», così spiega Angela
Marzucca della Fondazione Centro Studi
Giambattista Vico. Il ruolo dell’angelo è
affidato ad un bambino di età compresa
tra i 6 e i 10 anni, scelto dalla comunità
qualche giorno prima della ricorrenza.
Dopo il rituale della vestizione, il bimbo
viene legato ad una carrucola ancorata ad
un filo d’acciaio. Si realizza così, tra le due
torri di Palazzo Vargas, il volo dell’angelo.
Sull’altro lato della piazza antistante il
castello viene allestito un palco. È qui che
compare il diavolo. Lo scontro tra i due
avviene durante la seconda fase della rappresentazione.
Dopo una lunga e accesa
lotta verbale (alle parti recitate si alternano
le strofe cantate), il male viene sconfitto
tra gli applausi soddisfatti della folla.
LA CHIESA
Era il tempio
del dio Bacco
La chiesa di Santa Maria delle Grazie,
recentemente ristrutturata, è sicuramente
una delle attrattive del piccolo borgo
cilentano. Diverse sono le fonti circa la
data della sua fondazione. Secondo una
antica tradizione popolare la chiesa
sarebbe stata originariamente un tempio
pagano. Più verosimile è l’ipotesi che sia
sorta sulle rovine di un tempio dedicato al
dio Bacco. Eventualità che avvalora la tesi
dell’esistenza di un nucleo abitato nelle
vicinanze. Sta di fatto che, sulla base di un
antico documento, la prima notizia storica
di una chiesa nel paese di Vatolla risale
al 1019. Ai lati del portale d’ingresso sono
inseriti due frammenti di un sarcofago
romano risalenti al IV secolo a.C., ritrovati
presumibilmente all’inizio del ‘900.
Nel pannello di sinistra è raffigurato il dio
Pan che suona una zampogna di canne.
A destra, invece, sono rappresentati
Seleno, Bacco e Dionisio. Accanto all’altare
maggiore, costruito tra il 1857 e il 1881,
ci sono la sagrestia e una cappella costruita
intorno al 1480. Una lapide posta nella
stessa cappella dimostra che qui venivano
sepolti i membri della confraternita del
S.S. Salvatore (istituita nel 1751), prima
che venisse costruito il cimitero.
La storia
L’amore
impossibile
di Vico
È il 1686 quando il diciottenne
Giambattista Vico
arriva a Vatolla.
Nel piccolo borgo, «in un
castello del Cilento di bellissimo
sito e perfettissima
aria» - come dirà nella sua
“Autobiografia” – Vico
resterà fino al 1695. Accetta
il ruolo di precettore
dei figli del marchese Domenico
Rocca, una scelta
dettata dalle ristrettezze
economiche della sua famiglia.
Nel castello della
casata (ora Palazzo Vargas)
che, ancora oggi, conserva
i segni della sua presenza,
Vico realizza parte della
sua formazione umanistica
e compie i suoi studi di
diritto, filosofia, metafisica,
poesia.
La ricca biblioteca del
castello contribuirà a formare
una parte cospicua
della sua cultura. Durante
gli anni trascorsi nel paesino
del Cilento prende,
quindi, forma il pensiero
vichiano: «così egli avvenne
perché quivi avendo
dimorato ben nove anni,
fece il maggior corso degli
studi suoi, profondando in
quello delle leggi e dei
canoni, al quale il portava
la sua obbligazione».
In questo contesto il filosofo
inizia a concepire le
idee che saranno alla base
della “Scienza Nuova”.
Nelle «aspre selve, solinghe,
orride e meste, che
non mai turberà, mentre
respiro, i loro alti silenzi,
un mio respiro» Vico trascorre
il suo tempo tra la
meditazione, l’isolamento
e la riflessione.
Nel 1693 compone la canzone
“Affetti di un disperato”,
di ispirazione lucreziana.
Un componimento
scritto per un amore non
corrisposto, quello di Vico
per la figlia del marchese,
la giovane allieva,
Giulia Rocca. Un affetto
impossibile, dunque, che
ispirerà, nel 1695, un epitalamio
per le nozze della
stessa Giulia con Giulio
Cesare Mezzacane, principe
di Omignano.
Nello stesso anno, terminato,
ormai, il suo lavoro di
precettore e, forse, a causa
di questa passione non
ricambiata, Vico ritorna a
Napoli.