Rivista n 1- 2010.bisAqxd - Dott. Vito CM Milisenna
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La valutazione delle dichiarazioni<br />
provenienti dai collaboratori<br />
di Giustizia costituisce una “vexata<br />
quaestio” sulla quale la<br />
gIurisprudenza e la dottrina disputano<br />
da anni.<br />
Indubbiamente le problematiche<br />
legate alla chiamata in correità<br />
assumono una rilevanza fondamentale<br />
allorché si pensi che tuttora gran<br />
parte dei Processi alla criminalità<br />
organizzata scaturisce da accuse<br />
mosse dai cosiddetti “pentiti”, e<br />
soprattutto qualora si consideri che<br />
la maggior parte delle sentenze di<br />
condanna si fonda su tale tipo di<br />
prova.<br />
La centralità di tale questione<br />
si coglie ancor meglio quando si<br />
ricordi che molti Processi di tale<br />
natura coinvolgono uomini politici<br />
di rilievo. Ciò alimenta fortemente<br />
l’altrettanto annoso conflitto tra<br />
Politica e Giustizia che minaccia le<br />
nostre istituzioni.<br />
Non si vuole qui certo<br />
affrontare in maniera sistematica la<br />
questione: la complessità e la vastità<br />
dell’argomento non sono compatibili<br />
con la spazio offertomi, e poi ben<br />
altre più autorevoli voci si alzano<br />
quotidianamente a sostegno di una<br />
tesi o di un’altra.<br />
Si vuole piuttosto qui ricordare<br />
la delicatezza e la centralità dell’argomento<br />
e, soprattutto, si vuole<br />
LA CAMERA PENALE<br />
Una vexata questio<br />
lodare un atto di sapienza giuridica,<br />
e di grande buon senso al quale<br />
abbiamo assistito pochi giorni<br />
addietro. Mi riferisco all’Ordinanza<br />
emessa dalla Corte di Appello di<br />
Palermo, che sta giudicando il<br />
Senatore Dell’Utri, con la quale è<br />
stata nuovamente respinta la richiesta<br />
di sentire quale teste d’accusa<br />
l’ormai famoso figlio del defunto<br />
Ciancimino. Ebbene tale Ordinanza,<br />
che ho potuto leggere in quanto<br />
riportata nei suoi tratti salienti da<br />
diversi quotidiani, dovrebbe essere<br />
incorniciata e appesa in ogni aula di<br />
Giustizia affinché ogni Giudicante<br />
ne potesse apprezzare, al bisogno, lo<br />
spirito di terzietà ed il presupposto<br />
di reale autonomia ed indipendenza<br />
che ne è fondamento. Di più,<br />
l’Ordinanza andrebbe fatta leggere<br />
ad ogni corso di preparazione al concorso<br />
per divenire Magistrati, e a<br />
qualcuno andrebbe fatta imparare a<br />
memoria.<br />
I profani si chiedono cosa<br />
contiene di così straordinario l’atto<br />
in questione. La risposta è semplice:<br />
niente di più di una rigorosa applicazione<br />
della legge alla luce del buon<br />
senso e nel rispetto della verità e<br />
della logica giuridica. Con<br />
l’Ordinanza si motiva l’esclusione<br />
della richiesta prova sulla base<br />
soprattutto di due elementi: da un<br />
canto la evidente progressività delle<br />
dichiarazioni di un soggetto che<br />
prima dice di non sapere alcune cose<br />
e poi invece, dopo molto tempo,<br />
sostiene di ricordare, e dall’altro<br />
canto la non diretta conoscenza dei<br />
fatti, trattandosi addirittura di un<br />
relato da relato, dovendo egli riferire<br />
su fatti che gli sarebbero stati<br />
confidati da suo padre (che essendo<br />
defunto non potrà confermare) che a<br />
sua volta avrebbe appreso da altri.<br />
Negare l’accesso a tale tipo di prova<br />
è stato ripeto atto di grande saggezza<br />
e ci inorgoglisce il fatto che a presiedere<br />
il Collegio giudicante sia lo<br />
stesso magistrato che presiede il<br />
nostro Tribunale.<br />
(segue a pag. 19)<br />
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