Scuola e Cultura - Ottobre 2012 - scuola e cultura - rivista
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<strong>Ottobre</strong> <strong>2012</strong><br />
Una interessante ricerca per la vita<br />
ebbo premettere che assai spesso,<br />
Dconcludendo un incontro o un’intervista, la<br />
domanda di un interlocutore dovrebbe<br />
mettermi in imbarazzo «Ma insomma, caro<br />
Quilici, lei è uno scrittore, un fotografo oppure un<br />
regista cinematografico?... quali dei tre mestieri<br />
preferisce?». Interrogativo semplice, al quale però<br />
non so dar risposta. Perché, dal mio punto di vista,<br />
non lo capisco.<br />
Ho iniziato a lavorare nei primi anni ’50, e da subito i<br />
tre “mestieri” mi sono parsi uno solo volendo<br />
raccontare, documentare, stupire. Una inscindibile<br />
triade, per me.<br />
Il motivo forse si comprende ricordando che sono<br />
cresciuto nella casa di uno scrittore-viaggiatore, mio<br />
padre Nello volò con Balbo nel mondo; e sua moglie,<br />
Mimì Buzzacchi, fu pittrice-fotografa e grande<br />
paesaggista. I loro racconti e il rendermi conto di<br />
come ogni loro viaggio (e qualche volta anche mio<br />
con loro; come una favolosa salita sul Vesuvio<br />
quando compii nove anni) si tramutava in un articolo,<br />
in un quadro o in una serie di fotografie: un esempio<br />
per me, e infatti appena ho iniziato a lavorare ho<br />
seguito, unificandole, quelle piste.<br />
D’altra parte, perché faccio questo mestiere? A parte<br />
l’ovvia ma non stupida risposta “per campare”,<br />
attraverso tutte e tre quelle attività ho mirato a un solo<br />
scopo: documentare con testimonianze le più<br />
complete possibili, visive e sonore, il volto e l’anima di<br />
quanto ho ascoltato, visto e interpretato. Partendo dal<br />
principio della metamorfosi inevitabile di tutta la realtà<br />
che ci circonda, quella fisica, quella <strong>cultura</strong>le, quella<br />
sociale.<br />
Quando nel ’52 fui per il mio lavoro in Mar Rosso,<br />
fotografai e raccontai la vita dei pescatori yemeniti in<br />
un film e in un libro illustrato con molte foto.<br />
Altrettanto nel ’55, seguendo la caccia all’elefante dei<br />
pigmei, nel Congo; e nel ’56 gli ultimi pescatori di<br />
perle degli atolli del sud Pacifico. Via via da allora a<br />
SCIENZE<br />
oggi continuando a osservare il<br />
mondo da tre diversi ma contigui<br />
angoli. La penna, la macchina<br />
fotografica, la cinepresa, mi sono<br />
parsi da sempre strumenti diversi<br />
eppur eguali per un impegno a tre<br />
dimensioni. Ritenendo sempre più<br />
importante rendere sia visualmente<br />
sia concettualmente ogni descrizione.<br />
Soprattutto se il tema nel<br />
Folco Quilici<br />
quale mi impegnavo era destinato ai giovani.<br />
Se, per esempio, intendevo raccontare come si<br />
praticava la pesca della tonnara in Sicilia, le pagine<br />
scritte e le immagini filmate ho voluto fossero<br />
completate anche da una serie di fotografie. Solo così<br />
le testimonianze di una tradizione che stava<br />
scomparendo, si è tramandata compiutamente.<br />
Aggiungo che la fotografia è particolarmente<br />
importante, rappresentando una sorta di timbro<br />
indelebile della realtà. Un film si può perdere o è<br />
difficile da reperire e consultare. E se un testo avrà<br />
accanto alle parole la visualizzazione dell’evento,<br />
quelle immagini arricchiranno e completeranno parole<br />
e pensieri.<br />
Ovviamente non si tratta di raccogliere scatti casuali,<br />
le cosiddette “immagini di repertorio”. Nel mio lavoro<br />
ho raccontato a parole quanto avevo avuto la fortuna<br />
di vedere e attraverso quanto ho fotografato con la<br />
massima attenzione; e con le migliori attrezzature<br />
tecniche ho sempre mirato a immagini che potessero<br />
restituire l’animo, il senso di un evento e dei suoi<br />
personaggi. Considerando l’importanza dell’ambiente<br />
naturale non solo come sfondo ma spesso quale<br />
elemento determinante di un’attività, di un impegno.<br />
Tutto questo significa sommare alla fatica “sul<br />
campo”, un secondo impegno non meno gravoso:<br />
conservare tutto, catalogare con nomi e date esatte,<br />
facilmente consultabili.<br />
Questo ha significato per me, negli ultimi anni, il<br />
trasferimento di oltre seicento ore<br />
di film (soprattutto quelli “non<br />
montati”), di molte migliaia di<br />
fotografie a colori e in bianco e<br />
nero, a Istituti specializzati nella<br />
conservazione (i “prodotti” su<br />
pellicola o su supporti magnetici<br />
sono delicati e facilmente<br />
deteriorabili).<br />
I film dal 1948 a oggi sono ora<br />
nell’Archivio di Stato dell’Istituto<br />
Luce. Le foto, (dal ’52 in poi)<br />
affidate a un’altra Istituzione di<br />
grande tradizione e capacità,<br />
l’Archivio Alinari.<br />
Non potevo sperare di meglio.<br />
Folco Quilici<br />
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