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Per guidare su un circuito un’auto capricciosa come la Fiat 501 Corsa del 1925 servono un portafoglio ben gonfio e nervi saldi.
SAVOIR-VIVRE «Chi ama la propria auto la cura con le sue mani» La monotonia del design automobilistico moderno risveglia il desiderio di veicoli d’epoca. E non è solo questione di forme opulente. Marcus Balogh, redazione Bulletin «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia». Di quando in quando è senz’altro lecito assaporare il «Manifesto del futurismo», scritto nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti. Certo non lo si potrà definire «politically correct», ma probabilmente rispecchia ciò che sembra provare un numero sempre maggiore di automobilisti: un entusiasmo irrazionale per tutto ciò che è meccanico, rumoroso, non filtrato. Personalità al posto dell’elettronica? L’idea non è da escludere. Venti anni or sono in un’auto agivano una manciata di motori elettrici, e persino le limousine più lussuose se la cavavano con una dozzina di metri di cavi elettrici. Nell’ultima generazione della Mercedes SL il solo seggiolino dispone di 16 motori, e complessivamente vengono utilizzati 2,1 chilometri di cavi elettrici. Tra pochi anni persino il volante si limiterà a trasmettere impulsi elettronici a servomotori. L’automobilista si troverà così non più a domare cavalli, ma a gestire bit e byte. Veicoli d’epoca: una festa per i sensi «Naturalmente, maggiore è la responsabilità che l’industria automobilistica delega agli innumerevoli congegni elettronici, minore è l’importanza del conducente, che diventa più distante da ciò che accade a lui e alla sua auto», afferma Beat Walti della Lukas Hüni AG. E spiega così anche l’interesse per i veicoli d’epoca. «Guidare un’auto d’epoca ha qualcosa di avventuroso, di immediato. Non voglio creare un falso alone intorno alla comunità degli oldtimer, ma è proprio questo il motivo dell’interesse che la maggior parte dei nostri clienti abituali nutre per le auto: vogliono guidarle, e non trarne un possibile profitto». I collezionisti pagano milioni Piacere e profitto: una distinzione necessaria. Dalla fine degli anni Ottanta il settore sta vivendo un vero e proprio boom, a cui molti estimatori degli oldtimer guardano però con grande disappunto. Negli anni d’oro i collezionisti più agiati erano disposti a pagare addirittura diversi milioni per l’oggetto delle loro brame, e il loro desiderio era risvegliato da tutto ciò che era raro e aveva quattro ruote. Il record è tuttora rappresentato dal prezzo raggiunto nel 1990 da una Ferrari 250 GTO degli anni Sessanta: un collezionista giapponese pagò allora 20,5 milioni di dollari per il raro bolide di Maranello. Nel frattempo le acque si sono un po’ calmate, anche se per modelli rari e marche esclusive vengono ancora sborsate cifre a sette zeri, come i 3,3 milioni di dollari spesi di recente per una Mercedes SSK del 1937. <strong>Credit</strong> <strong>Suisse</strong> Bulletin 3-03 57
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