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di Luca Matteazzi<br />
focus<br />
Eluana non abita qui<br />
Nell’Ulss di Vicenza sono circa una cinquantina le<br />
<strong>per</strong>sone che vivono in stato vegetativo come la<br />
ragazza finita al centro di una interminabile vicenda<br />
giudiziaria. Ma nessuno chiede di staccare la spina<br />
ulla storia di Eluana Engla-<br />
Sro si è detto e scritto di tutto.<br />
Quello che forse non è stato<br />
chiarito è che casi simili a quello<br />
della sfortunata ragazza di Lecco,<br />
bloccata da quasi vent’anni<br />
in stato vegetativo a causa di un<br />
incidente stradale, sono molto<br />
più frequenti di quanto si possa<br />
pensare. Anche nella nostra<br />
Ulss, dove, lontano dai riflettori,<br />
sono almeno una cinquantina le<br />
famiglie che si trovano a dover<br />
fare i conti con questa situazione<br />
drammatica. “La nostra unità<br />
è ad alta specializzazione<br />
e segue<br />
in particolare due<br />
profili: le <strong>per</strong>sone<br />
con gravi danni ce-<br />
rebrali e quelle con<br />
lesioni midollari<br />
– spiega la dottoressa<br />
Feliciana Cortese,<br />
primario del<br />
reparto di medicina<br />
fisica e riabilitazione<br />
al San Bortolo<br />
-. Per quanto<br />
riguarda i pazienti cerebrolesi,<br />
ne seguiamo circa una sessantina<br />
all’anno, e in media tre di<br />
questi sono in stato vegetativo”.<br />
Cioè nelle condizioni di Eluana.<br />
“Quindi si fa presto a fare i conti:<br />
se partiamo dal dato di tre<br />
casi all’anno, e teniamo presente<br />
che la vita di queste <strong>per</strong>sone<br />
continua a lungo,è facile farsi<br />
un’idea di quanto sia diffusa<br />
questa condizione”. E dire che<br />
l’osservatorio del San Bortolo è<br />
parziale. Nel senso che l’ospedale<br />
segue soprattutto i pazienti<br />
relativamente giovani, quelli con<br />
età compresa tra i 18 e i 50 anni<br />
che, almeno in teoria, hanno<br />
Respirano da<br />
soli, dormono<br />
e si lamentano<br />
Ma non sono<br />
coscienti<br />
maggiori possibilità di recu<strong>per</strong>o.<br />
Se a loro si dovessero aggiungere<br />
tutti gli anziani seguiti nelle<br />
case di riposo, il conto finale sarebbe<br />
ancora più elevato.<br />
Senza s<strong>per</strong>anza<br />
S<strong>per</strong>anze di tornare ad una vita<br />
“normale”, in realtà, le <strong>per</strong>sone<br />
che si trovano in stato vegetativo<br />
ne hanno ben poche, e dopo<br />
un certo <strong>per</strong>iodo di tempo praticamente<br />
nessuna. “I pazienti respirano<br />
autonomamente e hanno<br />
funzioni cardiache abbastanza<br />
stabili, ma <strong>per</strong> il resto sono<br />
completamente dipendenti e devono<br />
essere alimentati tramite<br />
un sondino – spiega il primario<br />
-. Quello che segna la differenza<br />
rispetto ad uno stato di coma, ad<br />
esempio, dove le <strong>per</strong>sone hanno<br />
gli occhi chiusi e non rispondono<br />
agli stimoli, è l’a<strong>per</strong>tura degli<br />
occhi e la regolarizzazione<br />
dell’alternanza tra<br />
il sonno e la veglia.<br />
La <strong>per</strong>sona in stato<br />
vegetativo apre gli<br />
occhi quando sente<br />
un rumore, ma non<br />
ti guarda, non ti aggancia<br />
con lo sguardo,<br />
non c’è uno stato<br />
di coscienza. Noi le<br />
seguiamo <strong>per</strong> mesi,<br />
con tutta una serie<br />
di esami e di test,<br />
ma dopo tre mesi<br />
lo stato vegetativo è considerato<br />
<strong>per</strong>sistente”. In altre parole, non<br />
c’è più possibilità di migliorare.<br />
Un affare di famiglia<br />
Cosa succede, a questo punto,<br />
dipende molto dal contesto<br />
sociale della <strong>per</strong>sona, dall’età,<br />
dalla famiglia. Si può finire in<br />
stato vegetativo in seguito ad<br />
un incidente stradale (è la causa<br />
più frequente), e in questo caso<br />
le <strong>per</strong>sone coinvolte sono quasi<br />
sempre ragazzi giovani che le famiglie<br />
si tengono in casa. Oppure<br />
in seguito ad un infarto e alla<br />
conseguente mancanza di ossigeno<br />
al cervello, o alla rottura di<br />
una vena nella testa. In questo<br />
caso i pazienti sono soprattutto<br />
uomini tra i 30 e i 50 anni, ed<br />
è più probabile che la famiglia<br />
opti <strong>per</strong> l’assistenza in una struttura<br />
specializzata. “Che non ci<br />
sono – commenta la dottoressa<br />
Cortese -. Quasi sempre queste<br />
<strong>per</strong>sone finiscono nelle case di<br />
riposo, ma non è certo quella la<br />
situazione ideale. Sinceramente,<br />
non mi spiego <strong>per</strong>ché <strong>per</strong> gli anziani<br />
che soffrono di Alzheimer<br />
ci siano strutture modernissime,<br />
mentre <strong>per</strong> questo genere di situazioni<br />
non ci sia nulla”.<br />
Questione di priorità<br />
In effetti, non è difficile immaginare<br />
quanto la situazione possa<br />
essere drammatica <strong>per</strong> le famiglie<br />
che si ritrovano a dover fare<br />
i conti con un figlio, o un padre,<br />
o una madre, bloccata a letto in<br />
stato di <strong>per</strong>enne incoscienza. “È<br />
come se ti crollasse il mondo addosso<br />
– racconta Mario De Marco,<br />
psicologo che segue da tempo<br />
casi di questo tipo -. Ma devo<br />
dire che le nostre famiglie dimostrano<br />
di avere risorse davvero<br />
infinite. Per le madri, soprattutto,<br />
l’assistenza al figlio diventa<br />
un motivo di vita che fa passare<br />
tutto in secondo piano, anche<br />
le proprie necessità e le proprie<br />
esigenze. Tutta la vita ne viene<br />
stravolta: si cambia o si lascia il<br />
lavoro, la vita sociale viene azzerata,<br />
in base all’idea di fondo che<br />
si sta bene quando sta bene il figlio.<br />
Se in casa c’è una situazione<br />
che ha già qualche problema,<br />
questo può essere dirompente<br />
<strong>per</strong> l’equilibrio familiare. Altre<br />
volte, invece, tutti collaborano:<br />
mi vengono in mente i fratelli di<br />
un ragazzino che ha fatto un incidente<br />
in bicicletta, e che sono<br />
<strong>per</strong>fettamente consapevoli che il<br />
loro futuro sarà condizionato da<br />
questo episodio. Uno di loro mi<br />
ha detto che la <strong>per</strong>sona che sceglierà<br />
di vivere con lui dovrà tenere<br />
presente che la sua vita non<br />
è completamente libera, proprio<br />
<strong>per</strong> l’assistenza di cui ha bisogno<br />
il fratello”.<br />
Nessun papà Englaro<br />
La battaglia del padre di Eluana,<br />
comunque, dalle nostre parti<br />
non trova seguito, e<br />
non c’è praticamente<br />
nessuno che chieda<br />
di accompagnare il<br />
proprio congiunto<br />
verso la morte. “Non<br />
abbiamo mai avuto<br />
delle richieste,<br />
nemmeno a livello<br />
di dubbi” conferma<br />
il primario. “A me è<br />
capitato in un caso,<br />
ma era una situazione<br />
molto particolare<br />
- aggiunge lo psicologo, che<br />
collabora anche con altre ulss<br />
del Veneto -. Dobbiamo partire<br />
dal presupposto che lo stato vegetativo<br />
non è assolutamente la<br />
morte cerebrale. Queste <strong>per</strong>sone<br />
non rispondono agli stimoli, ma<br />
di fatto noi non sappiamo cosa ci<br />
sia nel loro cervello. E non sono<br />
completamente inerti: quando<br />
provano dolore, ad esempio, urlano<br />
o fanno le smorfie. Io vedo<br />
che anche gli infermieri, dopo<br />
un po’, si affezionano, e lo stesso<br />
avviene <strong>per</strong> me. Personalmente,<br />
non firmerei una petizione <strong>per</strong><br />
far finire la vita dei miei pazienti,<br />
sono troppo coinvolto”.<br />
numero 128 del 6 dicembre 2008 pag 8<br />
Dal lavoro<br />
alle amicizie,<br />
la vita della<br />
famiglia ne<br />
esce stravolta<br />
www.flickr.com/ cc bigfatrat<br />
<strong>Il</strong> vuoto normativo<br />
In molti casi, poi, tra il paziente e<br />
la famiglia, in particolare la madre,<br />
sembra quasi instaurarsi una<br />
qualche forma di comunicazione.<br />
“Le madri e le mogli spesso attribuiscono<br />
intenzionalità a gesti<br />
o espressioni del loro fi glio o del<br />
loro marito, dicono che comunica<br />
– continua De Marco -. E diventano<br />
effettivamente bravissime a<br />
capirne le esigenze, a consolarlo,<br />
a stabilire un contatto, seppur<br />
non verbale e molto primitivo.<br />
Quasi tutti cominciano a parlare<br />
moltissimo con il<br />
loro familiare, esattamente<br />
come si<br />
vede nel fi lm Parla<br />
con lei”. E così si<br />
va avanti <strong>per</strong> anni.<br />
Con la <strong>per</strong>sona che<br />
si trasforma e cambia<br />
completamente<br />
aspetto (“Noi abbiamo<br />
sempre visto<br />
le foto di Eluana<br />
prima dell’incidente,<br />
ma dopo<br />
vent’anni di stato vegetativo<br />
dobbiamo pensare ad una donna<br />
completamente diversa, rigida,<br />
scavata, rattrappita”) e con la famiglia<br />
che fa il possibile <strong>per</strong> starle<br />
vicino. “<strong>Il</strong> padre di Eluana secondo<br />
me ha fatto quello che ha fatto<br />
anche <strong>per</strong> richiamare l’attenzione<br />
su un problema che effettivamente<br />
esiste – conclude la dottoressa<br />
Cortese -. Manca un quadro<br />
normativo a cui fare riferimento:<br />
noi non abbiamo mai avuto casi,<br />
ma se una famiglia mi chiedesse<br />
di staccare la spina, cosa dovrei<br />
fare? <strong>Il</strong> medico non può essere lasciato<br />
solo di fronte a decisioni di<br />
questo tipo”.