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Gennaio-marzo 2012 - Link Campus University

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36<br />

calcoli, decisamente maggiore dell’1%.<br />

La loro conclusione è che quando si arriva a una crisi finanziaria<br />

di queste dimensioni la fase successiva per i debiti sovrani<br />

è il default.<br />

Si tratta di una fase che, ovviamente, si cerca di evitare per gli<br />

enormi costi economici e sociali che comporta.<br />

L’alternativa è l’adozione di politiche di ‘repressione finanziaria’<br />

che consistono in interventi che ergono barriere verso<br />

l’operare dei meccanismi automatici del mercato, a cominciare<br />

dalla creazione di un mercato privilegiato per il debito nazionale<br />

attraverso l’acquisizione di quote di proprietà pubblica<br />

nel sistema bancario. La repressione finanziaria, fanno notare<br />

Reinhart e Rogoff, non vene esplicitamente dichiarata ma<br />

viene presentata sotto un ombrello più grande e protettivo<br />

come quello della ‘macroprudential regulation’.<br />

Il ruolo del debito rispetto allo sviluppo, assai poco considerato<br />

dagli economisti negli ultimi decenni, è tornato al centro<br />

dell’attenzione dopo gli eventi seguiti alla crisi finanziaria del<br />

2008.<br />

Un quadro complessivo del debito per l’insieme dei paesi<br />

Ocse mostra quanto esso sia cresciuto in complesso, soprattutto<br />

dal 1995 in poi. Il quadro evidenzia anche la circostanza,<br />

assai meno nota, del particolare aumento del debito delle famiglie<br />

e delle imprese, rispetto a quello del settore pubblico.<br />

Il risultato è,comunque, che il debito complessivo dei principali<br />

paesi Ocse si colloca su valori superiori rispetto al 300%<br />

del PIL con un picco del 450% nel caso del Giappone.<br />

Le differenze tra i paesi sono prevalentemente legate al peso<br />

relativo del debito di famiglie e imprese rispetto al debito pubblico<br />

che è dominante per la Grecia, l’Italia e il Giappone<br />

mentre per Belgio, Finlandia, Norvegia, Spagna e Svezia è il<br />

debito delle imprese a rappresentare più del 50% del debito<br />

complessivo.<br />

In Australia, Danimarca, Olanda, Portogallo, UK e Usa sono<br />

le famiglie ad essere particolarmente indebitate.<br />

La mancanza di sufficiente rigore nella spesa e nella tenuta<br />

dei conti, insieme agli effetti della crisi del 2008, ha senza dubbio<br />

favorito l’aumento del debito pubblico nella maggior parte<br />

dei paesi Ocse.È peraltro vero che la rimozione della gran<br />

parte dei vincoli che prima degli anni ‘70 limitavano i mercati<br />

finanziari e le innovazioni, tecnologiche e non, introdotte nella<br />

finanza abbiano favorito l’aumento dell’indebitamento.<br />

Allo stesso tempo l’introduzione dell’euro ha consentito a<br />

paesi europei come Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia di finanziare<br />

a un tasso d’interesse assai contenuto un importante<br />

processo di sviluppo che non avrebbero potuto altrimenti intraprendere.<br />

È stato così possibile finanziare un tasso di crescita<br />

dell’economia decisamente superiore alla media europea,<br />

senza dover sopportare l’onere di un premio al rischio. È<br />

economia e diritto<br />

link journal 1/<strong>2012</strong><br />

l’esatto opposto di quel che sta succedendo oggi con l’impennata<br />

degli spread rispetto al debito pubblico tedesco.<br />

Non c’è dubbio che, in principio e fino ad un certo livello, il<br />

debito sia un potente fattore di sviluppo. Il debito pubblico,<br />

in particolare, consente attraverso il trasferimento intergenerazionale,<br />

l’accrescimento del benessere delle future generazioni.<br />

Quest’ultimo si realizza con l’investimento in capitale<br />

umano e tecnologia reso possibile dalla rinuncia ad un maggior<br />

consumo di oggi.<br />

L’idea che ci sia una soglia non superabile di debito è controversa<br />

dal punto di vista teorico. Krugman sostiene che, con<br />

quest’argomento, si cerca di contrastare l’adozione di politiche<br />

espansive per combattere la disoccupazione, dimenticando<br />

che bisogna guardare alla composizione del debito. A livello<br />

interno, non solo il debito di qualcuno corrisponde al credito<br />

di qualcun altro, ma ci sono sempre alcuni operatori, imprese<br />

o famiglie, meno indebitati di altri. Quest’asimmetria tende a<br />

ridurre la domanda aggregata. Un aumento di debito pubblico<br />

che dia spazio di spesa ai meno indebitati non necessariamente<br />

riduce lo sviluppo, anzi lo può aumentare (Krugman,<br />

“Debt, Deleveraging and the Liquidity Trap, 2010). In ogni<br />

caso è fuor di dubbio che nelle economie avanzate siano all’opera<br />

tendenze demografiche che aumentando il peso degli<br />

anziani sul totale della popolazione creano pressioni crescenti<br />

sui bilanci pubblici per la spesa pensionistica e per quella per<br />

la salute. Il Giappone è il paese che si trova nella posizione<br />

più difficile ma i paesi europei e gli Usa stanno andando nella<br />

stessa direzione.<br />

Le proiezioni dei deficit pubblici secondo i trend correnti mostrano<br />

una crescita esponenziale.<br />

Anche se i paesi interessati introducessero significative correzioni,<br />

non c’è dubbio che negli anni a venire l’esigenza di<br />

una significativa azione di consolidamento fiscale non potrà<br />

essere elusa. Ciò significa realizzare avanzo primario di bilancio<br />

per i prossimi 5 anni compreso, secondo i calcoli di Cecchetti,<br />

tra il 5 e il 10% del GDP. Ci sono molte ragioni a<br />

sostegno dell’esigenza di contenere le dimensioni del debito<br />

pubblico. Quella più immediatamente evidente è l’aumento<br />

del costo del rinnovo del debito per effetto del crescente premio<br />

al rischio richiesto dai mercati.<br />

A ciò va aggiunto non soltanto l’aggravio del costo di finanziamento<br />

e, in qualche caso, la stessa sostenibilità del debito,<br />

ma anche una crescente difficoltà di mantenere immutati i servizi<br />

offerti ai cittadini dallo Stato. Nel caso in cui si voglia<br />

mantenere immutata l’offerta di servizi pubblici, la conseguenza<br />

diventa quella di un aumento della tassazione con effetti<br />

di distorsione sull’allocazione delle risorse, di<br />

spiazzamento degli investimenti privati e, in definitiva, una riduzione<br />

del tasso di crescita dell’economia.

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