Gennaio-marzo 2012 - Link Campus University
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64 globalizzazione link journal 1/<strong>2012</strong><br />
'Mbeki, si tese a sottolineare che il progresso economico di<br />
molte aree del mondo non si era accompagnato ad un corrispondente<br />
progresso sociale. I numeri confermano che<br />
quella preoccupazione di un decennio fa, oggi è diventata una<br />
certezza. Dal 1992 ad oggi il Pil mondiale è cresciuto del 60%!<br />
Venti anni di globalizzazione hanno prodotto, come ha ricordato<br />
anche recentemente il Segretario generale delle Nazioni<br />
Unite, Ban Ki-moon, una crescita straordinaria delle ricchezze,<br />
ma hanno anche stressato l'ambiente e persino messo in discussione<br />
alcuni ‘supporti vitali’ del pianeta. Inoltre, ricorda sempre<br />
Ban Ki-moon nel suo rapporto di preparazione al prossimo<br />
vertice UNCSD, all'allarme ambientale si è aggiunta una vera e<br />
propria esplosione della povertà. Una dimensione, quella della<br />
povertà, sia assoluta che relativa, che oggi lambisce il cuore dello<br />
sviluppato nord, in particolare a seguito della crisi economica<br />
e finanziaria che è iniziata nel 2008.<br />
Quindi, se nel 1992 si scoprì l'importanza di una ‘sinergia’ tra<br />
economia e ambiente, mentre nel 2002 si pose l'accento, almeno<br />
nei propositi, a colmare il gap sociale, nel prossimo vertice<br />
dovranno sempre più essere prese in considerazione le radici<br />
degli squilibri, non solo le loro manifestazioni epifenomeniche.<br />
Del resto, anche gli attori di questi vertici hanno profondamente<br />
mutato ruolo dopo venti anni di globalizzazione: se infatti<br />
si può con certezza affermare che, dalla globalizzazione,<br />
sono stati beneficiati alcuni grandi Paesi, in particolare quelli<br />
che hanno preso il nome di BRICS (Brasile, Russia, India, Cina<br />
e Sud Africa), non si può negare che le disparità sono aumentate<br />
e diventate strutturali, in particolare per quanto avviene nei<br />
cambiamenti climatici, per la perdita irrecuperabile della biodiversità<br />
e per la stessa interruzione del ciclo dell'azoto.<br />
Appare chiaro, quindi, che l'Onu abbia inteso organizzare<br />
l'UNCSD puntando ad una piena integrazione delle tematiche<br />
ecologiche e sociali, sulla base del mandato assegnato dalla<br />
risoluzione 64/236 dell'Assemblea generale. In particolare, si<br />
punterà l'attenzione sulla green economy, vista sia nel contesto<br />
dello sviluppo sostenibile e dello sradicamento della povertà,<br />
che in relazione al quadro istituzionale va sempre modificato<br />
ed aggiornato per sostenere nuove sfide globali. Determinare<br />
una convergenza tra green economy, sradicamento della povertà e<br />
aggiornamento del quadro istituzionale, diviene l'obiettivo fondamentale<br />
della Conferenza. In particolare, dopo il parziale fallimento<br />
del vertice sui cambiamenti climatici a Durban, che<br />
pure si è concluso con un impegno ad aggiornare entro il 2020<br />
il trattato di Kyoto, l'aspettativa sui risultati di Rio+20 è diventata<br />
molto più pressante. Inoltre, vale la pena di sottolineare il<br />
ruolo che intende svolgere Dilma Roussef, in particolare dopo<br />
lo straordinario discorso pronunciato per l'inaugurazione dell'ultima<br />
Assemblea generale delle Nazioni Unite sul tema della<br />
lotta alla povertà. La presidente brasiliana tenterà di ottenere<br />
degli impegni più concreti dalle nazioni del Nord del mondo<br />
sul piano ambientale, sebbene la sua formazione industrialista<br />
la stia facendo entrare in conflitto con i settori più avanzati dei<br />
movimenti ecologisti.<br />
Eppure, la questione fondamentale che sottende questi tipi di<br />
vertice è sempre la stessa: perché falliscono? E, se falliscono,<br />
ce ne è ancora bisogno nel nuovo contesto globale? Penso<br />
che sia doveroso partire dal secondo interrogativo, rispondendo<br />
affermativamente. I vertici sul clima e quello di Rio<br />
sono le uniche sedi nelle quali si discuta realmente del tema<br />
dell'uguaglianza e della convivenza del genere umano.<br />
Non accade così per i vertici dell'Omc o nelle agenzie delle<br />
Nazioni Unite. Si tratta di agende che mettono in campo una<br />
esigenza fondamentale, quella del trasferimento di ‘ricchezze’,<br />
siano esse materiali che di conoscenza, dai più ricchi ai più<br />
poveri. Le stesse procedure negoziali sono un terreno indispensabile,<br />
a maggior ragione nel tempo di questa crisi, per<br />
trattenere un filo di responsabilità comune tra le nazioni e per<br />
le future ge-nerazioni. Vanno tenuti anche secondo l'opinione<br />
della maggior parte dei movimenti che li contestano, che<br />
spesso ne rappresentano la vera essenza democratica (si pensi<br />
all'emergere del tema beni comuni, a partire dall'acqua come<br />
bene strategico in ogni contesto, nazionale e sovranazionale).<br />
Eppure sono quasi sempre falliti. La dinamica, cui accennavo<br />
in precedenza, si è cristallizzata negli anni: il nord ricco chiede<br />
al sud di ridurre le emissioni nocive (ed è vero che la Cina e<br />
l'India sono oramai i maggiori emettitori di inquinanti); il sud,<br />
in forte ascesa, ricorda che l'emissione pro capite e, soprattutto,<br />
quella storica, sono tutte ascrivibili al nord e che, per<br />
conseguire la fuoriuscita dalla povertà per miliardi di persone,<br />
non possono essere costretti a bloccare il proprio sviluppo<br />
economico. Inoltre, si registra un vero e proprio paradosso<br />
che ci racconta quanto siano inadeguati i meccanismi regolativi<br />
che conosciamo. Quando si incontrano i più potenti leader<br />
del pianeta non si riesce ad ottenere neanche un minimo impegno,<br />
mentre se ci si sposta a scale più ridotte, dai comuni<br />
alle regioni, le azioni virtuose possono determinare cambiamenti<br />
assai significativi.<br />
Sarà indispensabile, allora, che i temi affrontati dai prossimi<br />
vertici, a partire da Rio+20, divengano davvero il patrimonio<br />
di un dibattito da svolgersi su scala nazionale e globale, con<br />
un vero coinvolgimento delle società civili. Del resto, il principio<br />
su cui si fonda la green economy, sottratta dalle furbe manipolazioni<br />
di chi ne vede solo i margini di business, è proprio<br />
quello di favorire una prossimità ‘democratica’ del ciclo economico.<br />
Secondo l'Ocse gli investimenti verdi, l'ecoriforma<br />
fiscale (come per esempio la carbon tax), le energie rinnovabili,<br />
la sostenibilità agricola, l'internalizzazione del costo sociale e<br />
ambientale nei prezzi delle commodities (per ottenere ciò che<br />
si chiama ‘prezzo giusto’), la corretta gestione dei rifiuti, sono