Gennaio-marzo 2012 - Link Campus University
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link journal 1/<strong>2012</strong> globalizzazione<br />
parte dei settori manifatturieri, contribuendo all’impoverimento<br />
dei distretti specializzati e al trasferimento delle<br />
conoscenze/competenze e della cultura economica altrove.<br />
D’altronde, applicare politiche volte all’incremento della pressione<br />
fiscale - soprattutto sui redditi medio-alti - in assenza di<br />
un’avveduta negoziazione sui fattori di spesa, è divenuto un<br />
elemento di forte destabilizzazione degli equilibri politici,<br />
come dimostrato dagli Stati Uniti di Obama, alle prese con<br />
l’innalzamento del tetto del debito e il rischio default, che - per<br />
non scontentare i Tea Party, subendone i veti - hanno rinunciato<br />
a politiche espansive, finendo per esasperare, con tagli<br />
alla spesa sociale in assenza del necessario consenso, un’intera<br />
generazione, quella che in questi giorni manifesta e che si è<br />
organizzata nel movimento Occupy Wall Street.<br />
Si sarebbe tentati di dare al problema soluzioni di modello<br />
franco-tedesco, contenendo il debito sino all’azzeramento dei<br />
finanziamenti pubblici in molti settori: un approccio liberista,<br />
temperato da attenzione al welfare, che tuttavia genera non<br />
pochi problemi quando il Mercato, in preda ai propri demoni<br />
interni, Speculazione e Panico, non consente di governarne<br />
orientamenti e reazioni, inducendo a soluzioni drastiche,<br />
spesso impattanti sulle condizioni stesse per il rispetto di principi<br />
elementari di equità sociale.<br />
Probabilmente, dinnanzi a questa crisi, si dovrebbe pensare<br />
in modo non allineato alle tendenze prevalenti, senza subire<br />
il condizionamento della rigida dicotomia tra politiche espansive<br />
e restrittive.<br />
Coraggiosamente, si dovrebbe attuare un approccio<br />
‘omeopatico’, per così dire: intervenire sul sistema del credito,<br />
rinnovandone la vision, al contempo promuovendo<br />
politiche orientate alla crescita interna, sostenendo l’imprenditoria<br />
nella sua capacità di produrre reddito, riqualificando<br />
la spesa pubblica con rigore, ma evitando tagli ‘orizzontali’,<br />
solo apparentemente egalitari.<br />
Il percorso da intraprendere appare per certi versi incoerente:<br />
si vogliono incoraggiare le Banche, viste da tutti come la causa<br />
della crisi, e si vuole sostenere il reddito, quando tutti invitano<br />
a ‘tirare la cinghia’. Al contrario, osservazioni di tale segno appaiono<br />
fuori fuoco.<br />
Gran parte dei problemi dell’economia reale scaturisce dal c.d.<br />
credit crunch, ovvero dalla contrazione del mercato del credito,<br />
in cui un ruolo hanno giocato sia la mancanza di liquidità interbancaria,<br />
che un outlook negativo sull’economia reale.<br />
Basilea II ha completato l’opera con effetti indubitabilmente<br />
pro-ciclici, imponendo sistemi di valutazione più rigidi, che<br />
hanno penalizzato fortemente gli apprezzamenti dei valori intangibili<br />
delle aziende (si pensi alle start-up), nonché il mantenimento<br />
di rapporti costanti tra impieghi e raccolta che, in<br />
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un momento di scarsa capitalizzazione, ha finito per interrompere<br />
il normale flusso dell’erogazione del credito.<br />
Quanto alle politiche del reddito, forse sinora si è chiesto di<br />
‘tirare la cinghia sbagliata’: le politiche di gettito hanno imposto<br />
sacrifici alle famiglie e alle piccole e medie imprese, facendo<br />
poco o nulla per costringere l’economia a instradarsi su sentieri<br />
virtuosi, ad esempio permettendo l’emersione del ‘nero’<br />
e perseguendo l’evasione.<br />
Non deve stupire che l’Italia sia divenuta così fragile da essere<br />
preda della speculazione borsistica sui titoli di debito emessi<br />
dallo Stato: un Paese che non sa esattamente quali scelte compiere<br />
per il futuro, che dimostra scarsa fermezza nel superamento<br />
delle proprie debolezze, non offre grandi rassicurazioni<br />
sulla sua capacità di governare i fenomeni esogeni, quindi consente<br />
che i dubbi sulla sua tenuta si trasformino in panico e<br />
le aspettative sulla sua crescita in un gioco al ribasso.<br />
Intanto, i primi nove mesi del 2011 hanno messo al tappeto<br />
novemila imprese, circa trenta imprese al giorno, fallite nella<br />
peggiore delle ipotesi, o entrate in quell’area di disfacimento<br />
auto-alimentato che è la spirale della sofferenza bancaria.<br />
Coerentemente, il numero degli incagli e dei passaggi alle categorie<br />
di credito sotto osservazione sono esplosi, con un incremento<br />
che recenti studi di settore hanno quantificato in<br />
circa il 35,5% rispetto al 2009, quando si pensava che la crisi<br />
stesse lentamente rientrando. L’ultima relazione del Governatore<br />
della Banca d’Italia Draghi, infatti, pur minimizzando,<br />
parla esplicitamente di ‘lieve recessione’.<br />
Pertanto, si comprende come intervenire su una crisi finanziaria,<br />
come era quella del 2007, con approcci finanziari,<br />
senza tener conto degli effetti sull’economia reale, ha dimostrato<br />
di essere una scelta scarsamente proficua, se non<br />
addirittura disastrosa.<br />
Bisogna ripartire dal reddito, più che dal debito, pur conservando<br />
strategie che lo tengano sotto controllo: per fare ciò,<br />
ovvero sostenere la crescita senza indebitare ulteriormente lo<br />
Stato, si deve cominciare a ragionare in ottica di sostenibilità e<br />
di responsabile partecipazione di tutta la classe dirigente ed imprenditoriale.<br />
Se le banche non possono erogare credito perché sono prive<br />
di sufficienti mezzi patrimoniali, bisogna promuovere il<br />
risparmio delle famiglie in forma di deposito, senza motivare<br />
fughe dall’investimento bancario con un aggravio degli oneri<br />
fiscali. Quando le imprese non creano occupazione, occorre<br />
regolamentare meglio il mercato del lavoro, disincentivando<br />
precarizzazione e sperequazioni generazionali, motivando -<br />
con benefici anche fiscali - gli imprenditori ad investire nell’innovazione<br />
e nell’internazionalizzazione, per creare in Italia<br />
le condizioni di un miglioramento effettivo degli standard