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e lui, di fronte ad essi, chinava il capo e li<br />
accettava con tranquillità. Aveva pensato che<br />
certi casi rivelano a prima vista il volere<br />
misterioso di Devèl. 14 Cercare d’intenderli era<br />
come voler entrare nei suoi enigmatici territori,<br />
forzando i cancelli e i confini. No, non era una<br />
cosa per Vissalòm.<br />
I cavalli si misero al passo. La luna illuminava<br />
debolmente la strada. Il bambino dormiva,<br />
rilasciato sullo schienale. Era una cosa anomala<br />
per uno zingaro andare così nella notte perché<br />
le ombre e le tenebre non appartenevano a<br />
Devèl, ma piuttosto a Beng, il suo nemico. Non<br />
si poteva mai sapere cosa contenevano, e di esse<br />
Vissalom diffidava, provando una segreta<br />
ripugnanza. Di notte si era sempre fermato,<br />
per accamparsi alla periferia di un villaggio,<br />
u baro drom<br />
Fascino e paura del diverso<br />
130<br />
chagall<br />
49<br />
114. Otto Pankok, Notte di luna<br />
staccando i cavalli dal vecchio wurdon scolorito. 15 Ma quella era una notte speciale. Era la notte che veniva<br />
subito dopo la strage assurda e senza spiegazioni. Via, via, il più lontano possibile da quell’evento pauroso.<br />
“Dormi, dormi, bambino. Dormi Sindel (gli aveva detto di chiamarsi così) e dimentica nel sonno tutto quello che<br />
hai visto” pensò. Lui stesso aveva voglia di fermarsi, di entrare nel wurdon e di scivolare nel sonno, o almeno di<br />
riposare. Era combattuto tra il desiderio di accamparsi e quello di allontanarsi il più possibile dal villaggio della<br />
morte…<br />
Fermò i cavalli in mezzo alla campagna. L’aria fresca gli portava alle nari il vago sentore di un acquitrino. I<br />
suoi occhi abituati all’oscurità riuscirono a distinguere due villaggi non lontani, uno di qua e uno di là. Vide<br />
distintamente la chiesa con il campanile a cipolla di lamiera. Sollevò Sindel tra le braccia e lo portò all’interno<br />
del carrozzone, su un giaciglio di paglia pulita e odorosa.<br />
Poi sospirò, scosso da un brivido di malinconia improvvisa. Sarebbe stato in grado lui, anziano e senza donne,<br />
di allevare da solo il bambino? Sua moglie, Runa, era morta da tempo, e i tre figli l’avevano lasciato per andare<br />
a lavorare in un circo. Sarebbe vissuto abbastanza per insegnare a Sindel i mestieri degli zingari e a guidare il<br />
wurdon da solo? Scosse la testa e alzò le spalle. Non voleva pensarci e non gli interessava. Gli parevano problemi<br />
più remoti delle pianure ungheresi o rumene. […]<br />
“Non devi piangere” disse Vissalòm.<br />
“Non lo faccio apposta” fece Sindel<br />
“Gli zingari non piangono mai, neanche quando hanno un grosso motivo per essere tristi. Gli zingari suonano<br />
e ballano. Prova a cantare”.<br />
Vissalòm gli insegnò delle canzoni, nel loro linguaggio che aveva qualcosa di indiano, ma anche di tedesco, di<br />
slavo, di rumeno, anzi di tutti i linguaggi che si parlavano nei territori dell’Impero e in tutti i Balcani. Sindel<br />
qualche filastrocca la sapeva già. E quando Vissalòm gli cantò una melodia conosciuta, lui fece gli occhi<br />
dell’allegria, per il piacere di riconoscere qualcosa che aveva fatto parte del suo mondo prima di Novigora,<br />
quando stava con i suoi.<br />
“Ora suono il mio violino” disse il vecchio. E attaccò con musiche che nascevano da lui, inventate lì per lì,<br />
sonate che avevano qualche rapporto con le canzoni popolari rumene, conosciute in gioventù.<br />
Vissalòm intuiva che così stavano le cose con la musica, ma non sapeva bene perché, e non ci pensava neppure.<br />
Quando suonava tutta la sua persona diventava nient’altro che la fontana delle note che stava inventando. La<br />
musica gli faceva brillare gli occhi. Era una rivelazione che nasceva chissà come, e usciva così vivace dal suo<br />
strumento che chi la sentiva non poteva trattenersi dal battere aritmicamente le mani o i piedi.<br />
Da dove veniva? Vissalòm non lo sapeva. Gli sembrava che non nascesse da lui ma da molto più lontano. Forse<br />
veniva da suo padre, Spiridon, o da suo nonno, Grigore, che suonavano come lui, inventando e inserendo nelle<br />
proprie invenzioni le canzoni popolari di Moldavia, Valacchia e Transilvania. Ma a loro da chi veniva? Forse da<br />
un ignoto spirito folletto, oppure da Devèl…Una cosa era certa, ossia che quando Vissalòm suonava, aveva la<br />
sensazione di non sapere più dove cominciasse e dove finisse la sua persona. Capiva che lui era se stesso, ma era<br />
anche nello stesso tempo tutti gli zingari, di ogni stirpe, che l’avevano preceduto nei secoli. Quella musica non