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U BARO VERS 12 SET-OK.p65 - EmScuola

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e lui, di fronte ad essi, chinava il capo e li<br />

accettava con tranquillità. Aveva pensato che<br />

certi casi rivelano a prima vista il volere<br />

misterioso di Devèl. 14 Cercare d’intenderli era<br />

come voler entrare nei suoi enigmatici territori,<br />

forzando i cancelli e i confini. No, non era una<br />

cosa per Vissalòm.<br />

I cavalli si misero al passo. La luna illuminava<br />

debolmente la strada. Il bambino dormiva,<br />

rilasciato sullo schienale. Era una cosa anomala<br />

per uno zingaro andare così nella notte perché<br />

le ombre e le tenebre non appartenevano a<br />

Devèl, ma piuttosto a Beng, il suo nemico. Non<br />

si poteva mai sapere cosa contenevano, e di esse<br />

Vissalom diffidava, provando una segreta<br />

ripugnanza. Di notte si era sempre fermato,<br />

per accamparsi alla periferia di un villaggio,<br />

u baro drom<br />

Fascino e paura del diverso<br />

130<br />

chagall<br />

49<br />

114. Otto Pankok, Notte di luna<br />

staccando i cavalli dal vecchio wurdon scolorito. 15 Ma quella era una notte speciale. Era la notte che veniva<br />

subito dopo la strage assurda e senza spiegazioni. Via, via, il più lontano possibile da quell’evento pauroso.<br />

“Dormi, dormi, bambino. Dormi Sindel (gli aveva detto di chiamarsi così) e dimentica nel sonno tutto quello che<br />

hai visto” pensò. Lui stesso aveva voglia di fermarsi, di entrare nel wurdon e di scivolare nel sonno, o almeno di<br />

riposare. Era combattuto tra il desiderio di accamparsi e quello di allontanarsi il più possibile dal villaggio della<br />

morte…<br />

Fermò i cavalli in mezzo alla campagna. L’aria fresca gli portava alle nari il vago sentore di un acquitrino. I<br />

suoi occhi abituati all’oscurità riuscirono a distinguere due villaggi non lontani, uno di qua e uno di là. Vide<br />

distintamente la chiesa con il campanile a cipolla di lamiera. Sollevò Sindel tra le braccia e lo portò all’interno<br />

del carrozzone, su un giaciglio di paglia pulita e odorosa.<br />

Poi sospirò, scosso da un brivido di malinconia improvvisa. Sarebbe stato in grado lui, anziano e senza donne,<br />

di allevare da solo il bambino? Sua moglie, Runa, era morta da tempo, e i tre figli l’avevano lasciato per andare<br />

a lavorare in un circo. Sarebbe vissuto abbastanza per insegnare a Sindel i mestieri degli zingari e a guidare il<br />

wurdon da solo? Scosse la testa e alzò le spalle. Non voleva pensarci e non gli interessava. Gli parevano problemi<br />

più remoti delle pianure ungheresi o rumene. […]<br />

“Non devi piangere” disse Vissalòm.<br />

“Non lo faccio apposta” fece Sindel<br />

“Gli zingari non piangono mai, neanche quando hanno un grosso motivo per essere tristi. Gli zingari suonano<br />

e ballano. Prova a cantare”.<br />

Vissalòm gli insegnò delle canzoni, nel loro linguaggio che aveva qualcosa di indiano, ma anche di tedesco, di<br />

slavo, di rumeno, anzi di tutti i linguaggi che si parlavano nei territori dell’Impero e in tutti i Balcani. Sindel<br />

qualche filastrocca la sapeva già. E quando Vissalòm gli cantò una melodia conosciuta, lui fece gli occhi<br />

dell’allegria, per il piacere di riconoscere qualcosa che aveva fatto parte del suo mondo prima di Novigora,<br />

quando stava con i suoi.<br />

“Ora suono il mio violino” disse il vecchio. E attaccò con musiche che nascevano da lui, inventate lì per lì,<br />

sonate che avevano qualche rapporto con le canzoni popolari rumene, conosciute in gioventù.<br />

Vissalòm intuiva che così stavano le cose con la musica, ma non sapeva bene perché, e non ci pensava neppure.<br />

Quando suonava tutta la sua persona diventava nient’altro che la fontana delle note che stava inventando. La<br />

musica gli faceva brillare gli occhi. Era una rivelazione che nasceva chissà come, e usciva così vivace dal suo<br />

strumento che chi la sentiva non poteva trattenersi dal battere aritmicamente le mani o i piedi.<br />

Da dove veniva? Vissalòm non lo sapeva. Gli sembrava che non nascesse da lui ma da molto più lontano. Forse<br />

veniva da suo padre, Spiridon, o da suo nonno, Grigore, che suonavano come lui, inventando e inserendo nelle<br />

proprie invenzioni le canzoni popolari di Moldavia, Valacchia e Transilvania. Ma a loro da chi veniva? Forse da<br />

un ignoto spirito folletto, oppure da Devèl…Una cosa era certa, ossia che quando Vissalòm suonava, aveva la<br />

sensazione di non sapere più dove cominciasse e dove finisse la sua persona. Capiva che lui era se stesso, ma era<br />

anche nello stesso tempo tutti gli zingari, di ogni stirpe, che l’avevano preceduto nei secoli. Quella musica non

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