Edward Hopper - Homolaicus
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Se davvero <strong>Hopper</strong> voleva solo dipingere la luce su un muro, questo quadro è perfetto. Persino la procace ragazza che si sporge dal balcone è eclissata<br />
dalla luminosità delle facciate delle case e non solo passa in secondo piano l’erotismo, ma persino il bosco – altrove sempre un po’ misterioso e<br />
minaccioso – qui è più accogliente e fa da quinta tranquilla per una scena di relax vacanziero. È quasi un quadro didascalico, che sembra risentire, a<br />
distanza di tanto tempo, delle qualità di illustratore dell’autore, ma è anche un dipinto audace per il movimento dato dalle cuspidi dei tetti tenuti in<br />
piedi dalla luce. Qui sono le cose a muoversi, il resto è fermo. <strong>Hopper</strong> dichiarò: “Questo quadro è un tentativo di dipingere la luce del sole bianca con<br />
nessuno o quasi nessun pigmento giallo nel bianco. Ogni interpretazione psicologica dovrà essere aggiunta dall’osservatore”.<br />
New York interior, 1921 Eleven A.M.,1926<br />
La strada verso il togliere percorsa da <strong>Hopper</strong>, di cui abbiamo già parlato, si può misurare da questi due nudi degli anni Venti. La differenza rispetto a<br />
quelli più recenti non è solo nella luce che già in Eleven A.M. entra dalla finestra, ma negli interni che in questi casi non differivano granché da quelli<br />
della tradizione, carichi di mobili e con gli spazi saturati da oggetti, come in una sorta di horror vacui. L’effetto di smarrimento è dovuto al contrasto<br />
tra questa situazione tradizionale e la bianchezza quasi diafana delle carni, nel caso di Interior, mentre in Eleven sono le scarpe indossate e l’esporsi<br />
nuda alla finestra della donna.<br />
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