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Scacchitalia - Federazione Scacchistica Italiana

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scacchiiitalia<br />

secolo. Anche se qui le lastre utilizzate sono in pietraforte ed in condizioni<br />

molto meno buone che quelle esterne in marmo bianco.<br />

Gli avelli, nicchie sepolcrali “che si cavano sotto terra senza altro<br />

ornamento” (3), sprigionavano dalle fessure odori penetranti e sgradevoli<br />

per i quali la via degli Avelli era malamente nota: esiste da tempo il detto<br />

toscano “puzzare come un avello”; anticamente poi la strada era molto più<br />

stretta e il passaggio vicino alle tombe non doveva essere affatto piacevole.<br />

E come quelle che si trovano all’esterno del Tempio Malatestiano di<br />

Rimini (4), anche questo progettato dall’Alberti, ognuna di queste tombe<br />

esterne alla chiesa fiorentina è sopraelevata dal terreno e riporta sulla cassa<br />

un triplo stemma: quelli ai due lati sono della famiglia proprietaria della<br />

sepoltura, mentre lo stemma al centro è la croce del Popolo fiorentino,<br />

scolpita in diverse varianti su ciascun sepolcro: tra le famiglie rappresentate<br />

si riconoscono i Medici, gli Acciaiuoli, gli Alberti, i Corsini, i Frescobaldi, i<br />

Gondi, i Panciatichi, ecc.<br />

Inoltre, i sottarchi di questi avelli erano anticamente decorati da affreschi<br />

e altre pitture (spesso di figure di santi, nobili o illustri personaggi); ad<br />

esempio, partendo dalla facciata, nel terzo avello lungo la parete destra<br />

della chiesa venne sepolto il celebre pittore Domenico Ghirlandaio (Firenze,<br />

1449 – Firenze, 11 gennaio 1494) e un tempo sotto l’arco c’era dipinto il<br />

suo ritratto (5). Di queste decorazioni, così come per alcuni dei piccoli scudi<br />

familiari una volta presenti nella chiave di volta dell’arco a sesto acuto, non<br />

è restata alcuna traccia.<br />

Firenze all’inizio del Trecento è una delle grandi metropoli d’Europa,<br />

forse la maggiore. Popolosa, bella, ricca come Parigi e assai più di Londra<br />

(6) e, come si sa, la vita dei suoi cittadini era intessuta oltre che di arte anche<br />

di scacchi ed a testimonianza della sua grande diffusione nel medioevo<br />

numerosissimi i documenti nei quali vengono citati: a puro titolo d’esempio<br />

gli scacchi (e gli scacchieri) vengono riportati negli ordinativi di materiali<br />

e negli inventari dei negozi, in alcuni testamenti ereditari, ma anche in<br />

documenti molto meno privati e molto più famosi.<br />

Ad esempio nel Decamerone, scritto probabilmente tra il 1349 ed<br />

il 1351 e che tradotto dal greco significa “dieci giorni”, «nel quale si<br />

contengono cento novelle in dieci dì dette da sette donne e da tre giovani<br />

uomini.», Giovanni Boccaccio fa incontrare i giovani (nell’Introduzione alla<br />

prima giornata) – guarda caso – proprio dentro Santa Maria Novella (7) ed<br />

ambienta nei pressi di una delle tombe la nona novella dell’ottava giornata<br />

nella quale la parola avello(-i), viene ripetuta ben 5 volte (8) mentre, sempre<br />

nella stessa opera, gli scacchi vengono citati addirittura 6 volte, nella 1ª, 2ª,<br />

3ª e 7ª giornata ! (9).<br />

Ma dal nostro punto di vista è ancor più interessante il Filocolo; secondo<br />

il suo significato etimologico, Fatica d’amore, il primo romanzo avventuroso<br />

della letteratura italiana scritto in prosa in volgare che, sempre il Boccaccio<br />

scrisse durante il periodo più lieto della sua vita (quello adolescenziale dai<br />

quattordici ai ventisette anni d’età) a Napoli, probabilmente la città della sua<br />

‘palestra’ scacchistica (10), all’interno del vivace ambiente culturale della<br />

corte angioina, dove scrisse le sue due esuberanti opere giovanili (destinate<br />

prevalentemente al pubblico di corte), il Filostrato e il Filocolo. (11)<br />

L’autore, seppur debitore ad una celebre chanson de geste francese<br />

tradotta in molte lingue anche da altri (12), amplia notevolmente il<br />

passaggio relativo al gioco degli scacchi che, se è già molto importante<br />

sotto questo aspetto, lo è ancor di più per la nomenclatura medievale<br />

italiana della torre (rocco) da parte della volgar lingua dei grandi trecentisti<br />

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