La sopravvivenza del teatro
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Quale è stato lo spettacolo più ambiguo che l'Odin ha messo in scena?<br />
Un regista può permettersi di divenire pedagogo di un gruppo di attori e spiegare loro<br />
un'etica <strong>del</strong> gesto teatrale? E' lui il responsabile di un'educazione comune e condivisa?<br />
In un rapporto che dura da decenni quali sono stati e quali sono i momenti più belli e<br />
quali quelli più difficili tra regista e attori?<br />
Quando è che un'idea, un lavoro teatrale, può valere ovunque?<br />
Quanto la <strong>sopravvivenza</strong> di un gruppo negli anni è legata al potere culturale che esso<br />
esercita?<br />
Non credo esista una formula valida e definitiva per “sopravvivere”, ma mi chiedo:<br />
quanto sono importanti sogni, speranze, illusioni e talento in questo nostro mondo <strong>del</strong><br />
<strong>teatro</strong>?<br />
Come far conciliare all'interno di un gruppo teatrale le differenti individualità nella tendenza<br />
alla <strong>sopravvivenza</strong>, non come tensione e quindi sforzo, ma come attenzione e quindi<br />
considerazione <strong>del</strong>le individualità stesse?<br />
Quando si sente che i percorsi di ricerca dei componenti di un gruppo iniziano a divergere<br />
c'è un modo per salvarlo dalla disgregazione?<br />
<strong>La</strong>ddove è indispensabile, come bilanciare necessità, rivolta e “status quo”?<br />
Nel rapporto con gli “studiosi”, pensi che l'esperienza <strong>del</strong>l'Odin possa essere utilmente<br />
generalizzata? E se sì, come?<br />
Come si concilia nella ricerca <strong>del</strong> <strong>teatro</strong> antropologico la continua rielaborazione dei linguaggi<br />
e le molte commistioni tra le arti e la mancanza nel pubblico di una grammatica<br />
teatrale, di un codice di lettura?<br />
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