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La sopravvivenza del teatro

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professioni nelle quali il potere sia accentrato così fortemente nelle<br />

mani di una sola persona. Il regista può permettersi di far fare ai<br />

suoi attori quello che vuole. Se il regista pretende un cambiamento,<br />

lo spiega e lo giustifica, e l’attore è obbligato a farlo, o perlomeno<br />

a provarci. Il regista ha un potere immenso. Il regista non deve mai<br />

parlare di etica, mai. Deve incarnare l’etica, è così che contagia i<br />

suoi attori, attraverso quello che fa e quello che dice, ma mai parlare<br />

di etica, è proibito. I preti parlano di etica, i filosofi. I registi no.<br />

I registi parlano di problemi tecnici, di come risolverli e aiutare a<br />

risolverli. Il regista è il responsabile di un’azione comune condivisa.<br />

E’ lui che deve creare un ambiente ricco di stimoli, che inizialmente<br />

debbono andare in una direzione comune, per creare un’identità di<br />

gruppo. Poi, quando ci sono le basi di una biografia, tecnica ma<br />

non solo, comune e condivisa, all’incirca dopo due tre anni, l’educazione<br />

non deve più essere comune, ma divenire sempre più personale.<br />

Se all’inizio la tendenza è una forza centripeta, per creare il<br />

tutto, quasi un organismo compatto, dopo due tre anni è importante<br />

sottolineare e sviluppare le tendenze di ogni membro <strong>del</strong><br />

gruppo, lasciando che trovi quelle che sono le sue ossessioni, i suoi<br />

malesseri, le sue paure personali, per poi riportare il tutto dentro il<br />

gruppo. Il processo di lavoro per un attore credo sia strettamente<br />

personale, e quindi diverso da attore ad attore. Quello che m’interessa<br />

è proprio il confronto con un’intimità <strong>del</strong>l’attore che sento di<br />

accettare e rispettare. Come regista, posso domandare di intervenire<br />

nel processo che porta al risultato finale, cercando dagli attori<br />

che muovano in me qualcosa, che mi colpiscano, che arrivino a persuadere<br />

me che sono il primo spettatore. Se c’è una cosa che non<br />

sopporto a <strong>teatro</strong> è l’indifferenza, perciò credo che se non sono<br />

mosso io tanto meno lo potrà essere lo spettatore.<br />

<strong>La</strong> continuità <strong>del</strong>le prove, anche dopo il debutto <strong>del</strong>lo spettacolo,<br />

la ripetizione è salvaguardia, è protezione <strong>del</strong>le cose fissate ma<br />

anche punto di partenza per sorprendere noi stessi attraverso nuovi<br />

schemi, nuove sonorità. Sorprenderci ed essere sorpresi, mai cadere<br />

nella certezza vanitosa <strong>del</strong> fissato.<br />

E’ tecnica, certamente, ma ricordate: non esistono regole.

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