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Arsenico - Ispesl

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12. BIOTECNOLOGIE. Bioremediation e phytoremediation<br />

La bioremediation e la phytoremediation sono tecniche di bonifica del suolo che possono essere applicate<br />

in situ senza alcuna escavazione e trasporto di terreno e senza alterare, ma piuttosto migliorare<br />

le proprietà fisico-chimiche del suolo. Queste tecniche sono economicamente convenienti rispetto<br />

a quelle convenzionali e trovano applicazione soprattutto nei siti dove la contaminazione è poco<br />

profonda e di modesta entità.<br />

Nella phytoremediation sono utilizzate le piante che, con diverse modalità, sono in grado di decontaminare<br />

i suoli: fitoestrazione, la pianta assorbe gli inquinanti inorganici come metalli e radionuclidi<br />

e li accumula nei suoi organi epigei (brassicacee); fitostabilizzazione, la pianta stabilizza la matrice<br />

contaminata e riduce la mobilità degli inquinanti per lisciviazione ed erosione; fotodegradazione, la<br />

pianta assorbe e degrada l’inquinante organico (pioppo); rizodegradazione, la pianta (girasole) produce<br />

essudati radicali che stimolano il metabolismo degradativo dei microorganismi della rizosfera<br />

(Petruzzelli G., 2008). Merita uno studio approfondito l’uso di piante che sottraggono l’arsenico dai<br />

terreni. La phytoremediation è stata proposta per rimuovere l’As dal terreno, ma presenta dei limiti:<br />

- non rimuove l’As effettivamente dal terreno,<br />

- è un processo molto lento, non adattabile alle esigenze dell’agricoltura.<br />

Le piante resistenti all’As possono accumulare notevoli quantità di arsenico nei loro tessuti: 3.470 g/g<br />

in Agrostis tenuis e 560 g/g in H. lanatus (Porter & Peterson , 1975). La tossicità dell’arsenico dipende<br />

dalla sua forma chimica, alcuni composti inorganici possono essere più tossici delle forme organiche<br />

(Tamaki & Frankenberger, 1992). Si deve pertanto ritenere che le piante resistenti all’arsenico compartimentalizzano<br />

e/o trasformano l’arsenico in altre specie meno fitotossiche, per consentire alle cellule<br />

di resistere ad elevati carichi di arsenico (Meharg, 1994). Esiste la possibilità di produrre cultivar<br />

agronomiche più adatte a suoli ricchi di As con l’introduzione di una variazione genetica che modifichi<br />

la risposta delle piante al suo assorbimento e metabolismo (cultivar che assimilano meno arsenico,<br />

o che ne accumulano meno nei frutti e nei semi).<br />

Nella phytoremediation possono essere utilizzate le piante iperaccumulatrici (felci e piante acquatiche)<br />

che sono in grado di completare il loro ciclo vitale in presenza di elevati livelli di arsenico, attraverso<br />

la riduzione di arseniato in arsenito, la complessazione dell’arsenito e compartimentazione vacuolare<br />

dell’arsenico inorganico o dei complessi.<br />

Tali piante (iperaccumulatrici) includono le felci (Pteris vittata) e la senape indiana. Studi recenti (Ma et al.,<br />

2001; Francesconi et al., 2002; Visootiviseth et al., 2002; Zhao et al., 2002) hanno dimostrato infatti che le<br />

felci appartenenti all’ordine delle Pteridales (Pteris vittata, Pteris cretica, Pteris longifolia, Pteris umbrosa<br />

and Pityrogramma calomelano) iperaccumulano l’As nei loro tessuti e sembrano essere ideali per la fitoestrazione<br />

unicamente della frazione labile e biodisponibile. Non si conosce il motivo per cui le felci accumulino<br />

l’arsenico, che sembra addirittura favorirne la crescita. La fitoestrazione è però efficace solo se la<br />

pianta usata produce molta biomassa e quindi accumula grandi quantità di arsenico. In particolare la Pteris<br />

vittata (Fig. 17) potrebbe rivelarsi utilissima per decontaminare dall’As quei terreni contaminati da attività<br />

industriali, minerarie e dall’agricoltura. Le felci accumulano arsenico (fino a 200 volte la<br />

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