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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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Cavalieri, che il pubblico accoglie con gran favore come una promessa <strong>di</strong> carattere, <strong>di</strong> robustezza, <strong>di</strong> vastità<br />

corale dell’opera. L’esecuzione, sotto la guida animosa del maestro Vitale, si manifesta sicura, colorita, fusa. La<br />

Bugg offre la sua grazia bionda e la sua voce nitida ad Anna. la Sadun è la Comandante: manda talvolta il tra[<br />

] fra le note basse, ricche <strong>di</strong> sono[rità] e le note me<strong>di</strong>e e alte un po’ esili, [ ] l’accento è vivo e<br />

chiaro e il personaggio è incisivamente segnato. Parvis [ ] perfetto capitano dei <strong>cavalieri</strong>: <strong>di</strong>[zi]one pura,<br />

canto ampio e timbrato, a[zione] spigliatissima e dominatrice. Al secondo atto le chiamate sono sei. Il corale<br />

ripete la promessa buona del finale del primo, ma non aggiunge novità caratteristiche. L’amore <strong>di</strong> Giosta e <strong>di</strong><br />

Anna si abbandona a gran<strong>di</strong> pienezze canore; ma la fine dell’atto sull’apparizione <strong>di</strong> Sintram non ha efficacia. Il<br />

basso Dentale fa quanto è possibile, con intelligenza <strong>di</strong> attore, per animare <strong>di</strong> mistero sinistro questo<br />

personaggio, ma Sintram, che dovrebbe essere il deus ex machina della vicenda drammatica, vi resta estraneo. Il<br />

primo quadro del terzo atto, la rivolta dei Cavalieri alla Comandante, è gustato musicalmente ma <strong>di</strong>sorienta il<br />

pubblico, che si sente allontanato da avvenimenti scenici poco chiari e niente affatto interessanti. Gli applausi<br />

hanno lacune <strong>di</strong> incertezza. Il secondo quadro: paesaggio <strong>di</strong> cave, cielo stellato, ululato <strong>di</strong> vento, appello<br />

<strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> Anna, canto d’amore <strong>di</strong> Giosta e Anna, ha un suo fascino decorativo, ma gli manca una vera,<br />

toccante emozione. Gli applausi vincono tuttavia qualche fugace resistenza e si ripetono unanimi. Sono nove<br />

chiamate per i due quadri. Al quarto atto il corale domina e si <strong>di</strong>mostra la parte più robusta dell’opera. L’amore<br />

<strong>di</strong> Giosta e Anna è, in quest’atto, una ripetizione canora e pleonastica. La morte della Comandante ha finezze <strong>di</strong><br />

particolari, ma non può toccare l’animo degli ascoltatori. L’atto dà una conclusione all’opera col ritorno al<br />

lavoro che rinnova in una espressione più vasta e sonora e <strong>di</strong> alto sentimento la canzone dei <strong>cavalieri</strong>. le<br />

chiamate – anche questa è una brutta parola del gergo – sono quattro, dominate dalla fretta dell’[uscita] ma il<br />

finale è piaciuto.<br />

L’esecuzione non ha mai velato l’opera del maestro trentino e del suo collaboratore Rossato; anzi l’ha<br />

offerta al [pubblico] con chiarezza, con flui<strong>di</strong>tà, con [ ], per merito maggiore del maestro Vitale. I<br />

Cavalieri, bravi cantanti [che] il Costanzi ha saputo accogliere e [man]tenere in questi anni per le parti minori;<br />

le Fanciulle amiche <strong>di</strong> Anna, [i] cori, addestrati dal maestro Consoli, hanno gareggiato con i personaggi<br />

maggiori. In tutti slancio, passione canora, []plicità <strong>di</strong> azione scenica. Il giu<strong>di</strong>zio del pubblico ha potuto essere<br />

però schietto, <strong>di</strong>retto, cor<strong>di</strong>ale. E l’opera ha avuto il suo gran battesimo <strong>di</strong> applausi.<br />

Questa cronaca lieta riconosce allo Zandonai virtù teatrali, melodrammatiche, e lo riaccoglie in quella<br />

cor<strong>di</strong>alità tra pubblico e autore che egli sembra essersi conquistata largamente fra i musicisti della generazione<br />

post-pucciniana; non può tuttavia comprendere un giu<strong>di</strong>zio sicuro sulla vitalità dell’opera; tanto meno un<br />

riconoscimento aperto, clamoroso, sod<strong>di</strong>sfatto <strong>di</strong> quel desiderio <strong>di</strong> tempo nostro, <strong>di</strong> musica nostra,<br />

contemporanea, che è nel tormento irrequieto dei nostri pubblici, <strong>di</strong>sorientati dalle esperienze e dai tentativi<br />

riflessi, culturali, intellettualistici, e assetati <strong>di</strong> fantasia e <strong>di</strong> ispirazione. Il maestro Zandonai ha il gran merito,<br />

specie in paragone <strong>di</strong> molti suoi detrattori, <strong>di</strong> tener fede al melodramma e <strong>di</strong> non mascherare la sua ansia <strong>di</strong><br />

raggiungere l’anima degli ascoltatori con deviazioni <strong>di</strong> tecnica decorativa, preziosa, estranea; con teoremi<br />

artistici privi <strong>di</strong> capacità realizzatrici. Ma il suo merito non può annullare il vago, il fluttuante, il retorico <strong>di</strong><br />

questo melo<strong>di</strong>smo contemporaneo, dal quale non sappiamo più uscire, e che è l’atmosfera falsa non soltanto del<br />

nostro melodramma, sottolineato <strong>di</strong> ironie e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzi da tanti novatori, ma anche del modernismo sinfonico e<br />

vocale <strong>di</strong> uno Schönberg. Se mai, Zandonai che cerca contrasti drammatici, espansioni liriche, personaggi<br />

definiti, quadrature episo<strong>di</strong>che, confessa sinceramente, nella sua struttura strumentale e vocale, quanto sia<br />

<strong>di</strong>fficile affettare questa nebbia musicale e farne linguaggio canoro e sinfonico.<br />

I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> non si perdono nel lirismo esasperato <strong>di</strong> Giulietta e Romeo, poiché l’amore <strong>di</strong> Giosta e<br />

Anna non è parte assolutamente dominante della nuova opera; ma questo amore anch’esso, nei tre atti che lo<br />

comprendono, è immobile, superficiale, sperduto in una versificazione vacuamente imaginifica e in una<br />

musicalità <strong>di</strong>ffusa, eccessiva, declamatoria, senza schiette definizioni melo<strong>di</strong>che, nemmeno <strong>di</strong> quella modestia<br />

che è stata delle ultime creazioni pucciniane; e soprattutto senza una vera umanità commossa. I personaggi<br />

appena si avvicinano perdono carattere, vaniscono in un linguaggio astratto, canoro, in cui l’affanno<br />

dell’espressione è al posto dell’espressione. I tre duetti <strong>di</strong> Giosta e Anna sono uguali, senza ascesa, senza varietà<br />

<strong>di</strong> accenti. I personaggi, anche per colpa della vicenda, sono immobili e ripetono, al principio come alla fine,<br />

una tristezza <strong>di</strong> nostalgia mortale. L’inesistente e quin<strong>di</strong> incomprensibile comme<strong>di</strong>a recitata dai due innamorati<br />

al secondo atto prima <strong>di</strong> perdersi nell’esaltazione amorosa, ha alcuni fugaci accenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo melo<strong>di</strong>camente<br />

definito, seppure non originale, e sono accenti che riposano, che si desidererebbe fossero continuati. La<br />

Comandante avrebbe potuto essere dominante, <strong>di</strong> lineamenti incisivi e originali; ma qualche robusta<br />

sottolineatura orchestrale e il canto della morte non possono correggere l’estraneità <strong>di</strong> questo tipo bizzarro <strong>di</strong><br />

donna che ha peccato e ha redento ma che non è mai in atto sulla scena, non domina mai la vicenda ma la<br />

attraversa senza prospettiva, senza nemmeno improvvise luci <strong>di</strong> cosiddette situazioni. Come, perché la<br />

Comandante racconti, nel primo atto, a Giosta ubbriaco il segreto della sua vita; perché il Capitano dei<br />

Cavalieri, che sono o almeno appaiono una compagnia <strong>di</strong> scrocconi beoni, l’accusi e la Comandante accetti<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/10

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