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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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Dovremmo ancora ricordare l’entrata delle donne al primo quadro, l’apparizione dei <strong>cavalieri</strong> con il loro<br />

festoso inno, l’appassionata rappresentazione del secondo atto, la morte della Comandante, ma lo spazio ce lo<br />

vieta.<br />

L’opera ha certamente i suoi <strong>di</strong>fetti, qua e là manca d’ispirazione, al primo atto procede un po’ indecisa, ma<br />

nel complesso appare quale produzione d’un musicista esperto, padrone dell’orchestra e conoscitore del teatro.<br />

Abbiamo ragione <strong>di</strong> ritenere, inoltre, che Zandonai sarebbe stato ancora più convincente se il Rossato avesse<br />

saputo cogliere con più grande evidenza le parti <strong>di</strong> maggior effetto del testo originale.<br />

L’interpretazione dell’opera da parte del maestro Tullio Serafin è stata felicissima: coloriti perfettamente<br />

impastati, sonorità ben dosate, slanci sicuri ed efficaci. La massa orchestrale ha secondato il suo <strong>di</strong>rettore con<br />

encomiabile accortezza. Nella <strong>di</strong>fficile parte della Comandante si è fatta ben notare, per la sua intensa<br />

drammaticità, Giuseppina Sani, la quale ha suscitato emozione ed impressione nei due quadri della partenza dal<br />

castello e della morte. Gentile e amorosa si è rivelata ancora una volta Pia Tassinari (Anna) che ha avuto<br />

momenti <strong>di</strong> estrema dolcezza, particolarmente nel duetto del secondo atto. Il tenore José Luccioni ha dato tutto<br />

se stesso nella parte <strong>di</strong> Giosta: ci è molto piaciuto, nella bella scena del primo quadro, sia come cantante che<br />

come attore. Benvenuto Franci conosce a meraviglia la parte <strong>di</strong> Cristiano: ieri sera attirò più volte su <strong>di</strong> sé<br />

l’attenzione del pubblico; il suo canto è sempre generoso e la sua <strong>di</strong>zione è sempre chiarissima. Nella<br />

terrificante parte <strong>di</strong> Sintram abbiamo applau<strong>di</strong>to Filippo Romito, artista non troppo noto a Roma, ma che<br />

qualcuno ricorderà in una avvincente esecuzione del Boris al Teatro Quirino. Il Romito – beato lui – sta sul<br />

palcoscenico come in casa propria e vanta una voce forte e ben timbrata. Una parola <strong>di</strong> lode va anche <strong>di</strong>retta ad<br />

Alessandro [sic] de Paolis che è stato cantante e... violinista <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne: molti spettatori hanno avuto la<br />

precisa sensazione che fosse lui a suonare l’istrumento <strong>di</strong> Paganini, ma <strong>di</strong>etro le quinte, invece, c’era il professor<br />

Rovere che... pensava al resto. Ricor<strong>di</strong>amo inoltre il Pacini e la Dubbini e il gruppo dei Cavalieri.<br />

Ottimo il coro <strong>di</strong>retto dal Conca e suggestivi, con caratteri <strong>di</strong> sana novità, i bozzetti scenici <strong>di</strong> Giorgio<br />

Quaroni, realizzati dal Polidori; ad<strong>di</strong>tiamo in modo particolare la desolante scena del primo atto e il colorito<br />

quadro della fucina al terzo. Ricchi, vari e pittoreschi i costumi <strong>di</strong> Veniero Colasanti. Efficace e brillante la regìa<br />

del Piccinato, il quale ha impresso un carattere <strong>di</strong> personalità al bellissimo quadro della notte <strong>di</strong> Natale.<br />

Tullio Serafin e i suoi collaboratori sono stati fatti segno a numerose chiamate alla ribalta; si è anche<br />

presentato Riccardo Zandonai che il pubblico romano ha riveduto e applau<strong>di</strong>to con vero piacere.<br />

265<br />

Notte d’Epifania<br />

“... Appena si spensero le luci in sala per l’inizio del quarto atto, le signore incominciarono nel buio a<br />

manovrare cautamente le mani sotto gli abiti preziosi, senza <strong>di</strong>stogliere l’interesse dallo spettacolo. Si u<strong>di</strong>va un<br />

fruscio <strong>di</strong> sete e <strong>di</strong> rasi che sembrava un mormorio <strong>di</strong> primavera.<br />

Mancavano pochi minuti alla mezzanotte: le signore pian piano si sfilarono una calza che con una spilla od<br />

un fermaglio <strong>di</strong> brillanti venne assicurata al davanzale del palco o al bracciolo della poltrona. Poi, nella sala,<br />

si stabilì un’aria <strong>di</strong> trepida attesa.<br />

Quando si riaccesero le lampade, era mezzanotte e un quarto: la Befana era passata a cavallo alla sua<br />

scopa e le calze erano colme <strong>di</strong> gioielli, <strong>di</strong> conti della sarta pagati, <strong>di</strong> buoni per ascoltare gratuitamente le voci<br />

<strong>di</strong> Gigli e <strong>di</strong> Lauri Volpi, della Cigna o della Tassinari... Era la befana offerta dai <strong>cavalieri</strong>, non <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>, ma<br />

dai <strong>cavalieri</strong> e commendatori che avevano accompagnato iersera al Reale le rispettive splendenti consorti, la<br />

befana offerta dalla <strong>di</strong>rezione del magico Teatro alle sue belle fedeli. Con piccole grida <strong>di</strong> gioia, le calze<br />

ricolme vennero ritirate dalle proprietarie che giubilando e applaudendo si affrettarono all’uscita con una<br />

calza alla gamba e l’altra in mano come se avessero fatto la spesa al mercato delle meraviglie.<br />

Belle e luccicanti come fate, le signore iersera meritavano simili doni e avevan <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> credere ancora al<br />

sogno nutrito in una non troppo lontana fanciullezza...”.<br />

Invece non è stato così. Non è accaduto nulla <strong>di</strong> tutto ciò: <strong>cavalieri</strong>, commendatori e <strong>di</strong>rezione del teatro<br />

non hanno riempito nessuna calza.<br />

Chi crede più alle favole ed ai miti dell’infanzia<br />

Chi.<br />

266<br />

m[atteo] i[ncagliati], I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, “Il Messaggero”, 6.1.1938 - p. 5, col. 3-4<br />

I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai non venivano riprodotti sulle nostre massime scene da<br />

<strong>di</strong>ciassette (123) anni. Nel farne ritorno, è parso che la lunga assenza sia da addebitarsi a un errore <strong>di</strong> miopia.<br />

Perché un’opera come questa, <strong>di</strong> tale e tanta spiccata originalità, meritava <strong>di</strong> essere tenuta d’occhio.<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/36

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