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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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del terzo, quattro al secondo quadro; sei chiamate alla chiusa dell’opera. Complessivamente dunque ben 29<br />

chiamate, che costituiscono un autentico successo <strong>di</strong> pubblico (e l’opera non si concede facilmente ad una prima<br />

au<strong>di</strong>zione), il che vale molto più del parere personale <strong>di</strong> questo o <strong>di</strong> quel critico.<br />

E dopo questa premessa, parliamo un poco della nuova opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, cominciando dal libretto<br />

<strong>di</strong> Arturo Rossato.<br />

Il libretto<br />

L’argomento, com’è noto, è tratto dal romanzo La leggenda <strong>di</strong> Gosta [sic]Berling <strong>di</strong> Selma Lagerlof [sic], la<br />

popolarissima scrittrice svedese premiata nel 1909 col premio Nobel per la letteratura e il cui libro è considerato<br />

come un vero poema nazionale. Dalla farraginosa narrazione <strong>di</strong> psicologia incerta [e] nebulosa, esuberante <strong>di</strong><br />

episo<strong>di</strong> e <strong>di</strong> particolari folkloristici Arturo Rossato è riuscito a compiere vera opera d’arte traendone un libretto<br />

scorrevole in relazione al romanzo e pieno <strong>di</strong> scene <strong>di</strong> colore come si ad<strong>di</strong>cevano alla peculiare attitu<strong>di</strong>ne del<br />

musicista. Manca certo <strong>di</strong> unità, e non pote[va] averne, ma non è esagerato affermare che data la narrazione<br />

della Lagerlof non poteva trarsi lavoro migliore <strong>di</strong> questo.<br />

Però tale libretto non è adatto per il nostro teatro, né per i nostri musicisti. Il soggetto nor<strong>di</strong>co punto si<br />

avvicina al gusto del nostro pubblico, che non riesce ad interessarsi a certi personaggi né a comprendere certe<br />

situazioni. L’unica figura alla quale si può un poco appassionare la nostra anima latina è quella <strong>di</strong> Anna, che con<br />

la sua femminilità e con la sua bontà re<strong>di</strong>me e trasforma Giosta, abbrutito dal vizio dell’alcool. Ma è fredda<br />

Anna, destinata a compiere l’alta missione <strong>di</strong> cui ogni donna dovrebbe andare orgogliosa, quella cioè <strong>di</strong><br />

purificare, guidare e sostenere con la femminile dolcezza e con spontanei sacrifici l’uomo amato – ed in questo<br />

Anna rassomiglia un poco a Minnie – [ma] non riesce, al contrario della creatura pucciniana, a farci passare un<br />

brivido <strong>di</strong> commozione. Essa è fredda come la neve che ovatta il suo paesaggio ed opaca come la pesante nebbia<br />

<strong>di</strong> quei paesi. Lassù si possono anche concepire, attraverso le copiose necessarie libagioni, le fantastiche storie<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>avoli e <strong>di</strong> fattucchiere e dar vita a chimere e realtà alle apparenze. Ma da noi ove sfolgora il sole e l’aria è<br />

tutta una vibrazione <strong>di</strong> fulgori si ama in altro modo e i nobili sacrifici e le alte missioni <strong>di</strong> donne si compiono<br />

con slancio e calore, così che da noi personaggi siffatti non possono appassionare né far nascere interesse.<br />

E se questa è la impressione per Anna, la più umana dei fantocci che l’altra sera abbiamo veduto agitarsi sul<br />

palcoscenico del Costanzi, è facile immaginare quale sia quella per gli altri. Il nostro pubblico passa in<strong>di</strong>fferente<br />

ed anzi si urta <strong>di</strong>nanzi alla Comandante, che ha perduto ogni femminilità e fuma e parla a forza <strong>di</strong> scu<strong>di</strong>scio, e a<br />

quel branco <strong>di</strong> sfaccendati che sembra che lavorino solo per procurarsi da che bere e ubbriacarsi, e<br />

all’incomprensibile Cristiano che dopo averne fatto <strong>di</strong> tutti i colori si fa <strong>di</strong> un tratto scrupolo fino a cacciare la<br />

sua padrona e protettrice.<br />

La musica<br />

A questo insieme <strong>di</strong> fantasioso, <strong>di</strong> superstizioso e <strong>di</strong> leggendario che forma l’essenza della letteratura<br />

nor<strong>di</strong>ca, insieme cerebrale e punto interessante, Riccardo Zandonai ha cercato <strong>di</strong> dar vita attraverso una vera<br />

fantasmagoria <strong>di</strong> suoni: tanto più che alcuni episo<strong>di</strong> ed alcune scene si prestavano magnificamente per la sua<br />

pro<strong>di</strong>giosa tavolozza orchestrale. E ci è riuscito, giacché l’attenzione [con la ] quale è stato seguito sino<br />

all’ultima nota il non breve spartito è dovuta esclusivamente alla magìa del musicista.<br />

Musica, questa dello Zandonai, più sostanziosa <strong>di</strong> intelligenza che non <strong>di</strong> cuore; musica in cui è tutto un<br />

succedersi <strong>di</strong> sensazioni <strong>di</strong>remmo quasi visive, ora abbaglianti, ora pallide, ora accese, ora smorte; un insieme <strong>di</strong><br />

colori svariatissimi <strong>di</strong>sposti con squisitissimo buon gusto, con efficacia <strong>di</strong> contrasti, con varietà <strong>di</strong> toni, con<br />

rilievo <strong>di</strong> chiaroscuri. Come colorista Zandonai non ha certo chi l’uguagli. Dalle scene in cui tutto sembra<br />

svanire in un’atmosfera <strong>di</strong> irrealtà e <strong>di</strong> sogno, <strong>di</strong> forme indefinite e iridescenti, passa a quelle in cui l’ar<strong>di</strong>tezza<br />

della forma e il cozzo dei colori più vivaci e <strong>di</strong>sparati giungono all’iperbolico, con un equilibrio mirabile. Arte,<br />

questa dello Zandonai, nella quale egli ha raggiunto la completa maturità.<br />

Nelle scene con le quali si apre l’opera quei suoni incerti e indefiniti dànno una nota così realistica che<br />

giungiamo quasi a vedere il quadro <strong>di</strong> un melanconico tramonto nell’ampia <strong>di</strong>stesa delle nevi; e così si [ ]nca<br />

della notte del Natale. Tanto le piccole scene in cui alcune pennellate <strong>di</strong> colore dànno a quel quadro<br />

in<strong>di</strong>menticabili iridescenze <strong>di</strong> colori, come ad esempio i soavissimi contrappunti della celesta all’[assolo] <strong>di</strong><br />

violino; quanto la strana e impressionante poderosa scena dei <strong>cavalieri</strong> al primo atto e quella magnifica della<br />

ripresa del lavoro alla chiusa dell’opera sono scritte da Grande. Ma quella che è riuscita un vero capolavoro <strong>di</strong><br />

ar<strong>di</strong>tezza è l’insuperabile commento del teatrino. Lo Zandonai è così padrone dell’arte sua che alle volte dà<br />

l’impressione <strong>di</strong> quegli acrobati che si <strong>di</strong>vertono a far rabbrivi<strong>di</strong>re gli spettatori <strong>di</strong>nanzi ai loro pericolosissimi<br />

esercizi. Egli infatti attacca quella scena che sembra quasi pazza per la sua ar<strong>di</strong>tezza e la svolge, l’[ ] fino al<br />

parossismo. Cammina come sopra un filo sospeso su paurosi baratri, e sembra non accorgersi <strong>di</strong> nulla. va avanti<br />

con una <strong>di</strong>sinvolta padronanza da sbalor<strong>di</strong>re. Le regole armoniche non esistono più. Il p. Martini che<br />

rabbrivi<strong>di</strong>va a due quinte <strong>di</strong> seguito si sarebbe suicidato! Eppure quella musica così veristicamente stonata<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/12

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