14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto
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Al compositore è mancata persino la malizia: avrebbe altrimenti compreso la poca simpatia che dovevano<br />
destare sulla scena le figure <strong>di</strong> un beone e <strong>di</strong> una vecchia.<br />
Dei duetti d’amore è meglio parlare il meno possibile: l’uno è più scialbo, insignificante dell’altro. Nel<br />
secondo atto siamo costretti ad u<strong>di</strong>rne due <strong>di</strong> seguito, ed in essi il plagio ingenuo e certo involontario – ho<br />
troppo considerazione per la probità artistica dell’Autore per pensare altrimenti – risulta continuo, poiché<br />
l’alterazione <strong>di</strong> alcune cadenze non basta a mutare il carattere intrinseco <strong>di</strong> una frase.<br />
Ver<strong>di</strong>, Puccini, Ponchielli, Giordano, Denza, Tosti, Wolff-Ferrari [sic] vi sono profusi a piene mani.<br />
Lo stile <strong>di</strong> Mascagni (Arioso del tenore al primo atto) vi è riprodotto con una identità sorprendente.<br />
Le sviolinate dolciastre, le “ninna-nanna” insipide, le <strong>di</strong>ssonanze ricercatamente originali dell’orchestra dei<br />
Cavalieri, le leziosaggini delle danze delle “Fanciulle” al primo atto, la banalità del coro <strong>di</strong> esse al secondo e<br />
certi insopportabili lenocini come nella presentazione dei Cavalieri, nella canzone del Diavolo, infine in<br />
mezzucci vecchi, stantii delle campane, delle sonagliere, degli arpeggi <strong>di</strong> “Celeste”, pesano inesorabilmente sul<br />
bilancio passivo dell’opera.<br />
Scarsissime compaiono in essa le frasi <strong>di</strong> un lungo respiro.<br />
Dalla tenuità <strong>di</strong> poche battute melo<strong>di</strong>che si passa continuamente ad accenni frammentari che non hanno<br />
carattere definito, che non costituiscono neppure il cosidetto declamato musicale. Dànno l’impressione <strong>di</strong> una<br />
ininterrotta ricerca <strong>di</strong> qualche cosa che il compositore non trova. Ne porge un esempio il quadro dell’agape<br />
nell’officina <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> ove il lavoro notevolissimo della tecnica non riesce a <strong>di</strong>ssimulare la povertà del pensiero.<br />
Di quando in quando uno sprazzo <strong>di</strong> luce, come nel coro superbo degli affamati all’ultimo atto, come al<br />
finale gran<strong>di</strong>oso, impressionante dell’opera.<br />
Quel coro, qual finale, la canzone dei Cavalieri ci <strong>di</strong>cono che, se neppure questa volta la battaglia è stata<br />
vinta, Riccardo Zandonai può accingersi con coraggio ad affrontarne un’altra.<br />
Egli possiede la capacità necessaria per compiere un’opera degna del suo ingegno.<br />
L’esecuzione<br />
È una singolare fortuna per un operista il poter affidare la sua creazione all’ingegno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>rettore come<br />
Edoardo Vitale. Oltre la sua perizia gran<strong>di</strong>ssima e riconosciuta, egli reca nell’interpretazione <strong>di</strong> ogni nuovo<br />
lavoro – ch’è sempre un’ardua battaglia – una preziosa qualità: le doti generose del suo cuore. Edoardo Vitale<br />
cerca con cura fraterna, con paziente stu<strong>di</strong>o nell’opera altrui quanto vi può essere <strong>di</strong> più pregevole perché non<br />
rimanga nascosto. Infonde in quest’opera, per quanto è possibile, un calore <strong>di</strong> vita, una <strong>di</strong>gnità d’arte, in modo<br />
da far tesoro <strong>di</strong> ogni elemento <strong>di</strong> successo. Conoscitore perfetto degli stili e dei temperamenti musicali, egli<br />
indovina per così <strong>di</strong>re il linguaggio appropriato <strong>di</strong> ogni composizione: intuito geniale che fu il maggior pregio<br />
dei gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>rettori d’orchestra italiani, da Mariani a Faccio a Mancinelli.<br />
Chi ha assistito sabato sera alla prima rappresentazione dei “Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>” può essere testimone <strong>di</strong><br />
quanto Riccardo Zandonai debba ad Edoardo Vitale. E accanto al maestro vanno ricordati, come è giusto, i suoi<br />
collaboratori: il De Angelis (120) , il Consoli, che istruì la massa dei cori, il Ricci, preparatore infaticabile, il quale<br />
stabilì l’affiatamento perfetto dei Cavalieri e delle Fanciulle. Infine la meravigliosa orchestra del Costanzi, in<br />
seno alla quale si fece notare particolarmente nei “Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>” il violinista Zuccarini.<br />
Fra i singoli interpreti il successo principale della serata fu senza dubbio quello riportato dal tenore<br />
Francesco Merli, la cui dolce, duttile voce ha infuso nel personaggio <strong>di</strong> “Giosta Berling” tutto l’accento <strong>di</strong><br />
passione che esso comportava, data la sua configurazione musicale. Artista intelligente e colto, il Merli si è poi<br />
stu<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> riprodurre scenicamente l’aspetto del prete sconsacrato cui tormenta il contrasto fra il vizio, l’amore<br />
e le migliori aspirazioni. Fu nel primo atto un ubriaco misurato, senza esagerazioni <strong>di</strong> volgarità; negli atti<br />
seguenti l’ardente innamorato che nella passione profonda del suo cuore cerca la redenzione. Dei due applausi a<br />
scena aperta che si u<strong>di</strong>rono risonare nella serata, uno andò a lui alla fine del racconto del primo atto, l’altro al<br />
coro pieno, impetuoso del secondo.<br />
Accanto al Merli <strong>di</strong>ede una nuova prova del suo valore artistico il Parvis, che impersonava “Cristiano”, il<br />
duce dei Cavalieri. Il Parvis cercò <strong>di</strong> mostrarci più che una delle solite figure convenzionali della scena un<br />
personaggio caratteristico, vivente. E vi riuscì e, a sua volta, il pubblico apprezzò il suo sforzo.<br />
Sara Sadun, in<strong>di</strong>sposta, non si trovava sabato nella pienezza dei suoi mezzi. Doveva inoltre sentirsi<br />
sacrificata in una parte così scarsa <strong>di</strong> risorse come quella della “Comandante”, parte che non le permetteva<br />
neppure <strong>di</strong> far valere la venustà della sua figura. Fece quanto può un’artista del suo valore in un’opera non<br />
adatta alla sua voce.<br />
Il continuo alternarsi <strong>di</strong> due registri in ottava senza, per così <strong>di</strong>re, note interme<strong>di</strong>e non poteva risultare a suo<br />
favore. Però anche in tali con<strong>di</strong>zioni la Sadun riuscì a farsi applau<strong>di</strong>re.<br />
Non mi sembra <strong>di</strong> aver trovato in Maddalena Bugg l’interprete ideale della parte dei “Anna”. La sua voce<br />
bianca e fredda è risultata in armonia col paesaggio invernale, ma non ha vibrato in corrispondenza al caldo<br />
amore <strong>di</strong> Giosta. L’arte <strong>di</strong> questa bionda e rosea bambola alsaziana rivela l’artificiosità della scuola scenica<br />
francese; noi italiani amiamo più naturalezza e spontaneità.<br />
I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/28