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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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squallore. Le fucine son mute, la gente intorno al castello muore <strong>di</strong> fame e attribuisce tanta jattura al fatto che<br />

Anna vive in peccato con Gösta. S’affollano questi miserabili nella corte <strong>di</strong> Ekeby imprecando, ed anche in<br />

questa scena, ch’è una delle più vibranti <strong>di</strong> umanità, non mi par dubbio che Selma Lagerlöf abbia inteso<br />

l’influenza degli scrittori russi. Il Rossato l’ha facilmente riassunta nel suo libretto.<br />

Gösta cerca <strong>di</strong> placare la folla, i Cavalieri non veggono che un rime<strong>di</strong>o a tanta sventura: il ritorno della<br />

Comandante. Anna vuole anch’essa separarsi dal suo amato, il quale dolorosamente invoca il Signore:<br />

Signore! Ascolta! Toglimi la vita<br />

o dammi un segno della tua bontà.<br />

Il miracolo avviene. Voci confuse e liete annunziano il ritorno della Comandante. Ella entra sorretta dai<br />

<strong>cavalieri</strong>. È sfinita, è morente, ma ha ottenuto il perdono <strong>di</strong> sua madre e viene a chiuder gli occhi nel suo<br />

vecchio Ekeby.<br />

Le sue ultime parole sono tutta una invocazione alla pace, al lavoro, all’amore. Ella bene<strong>di</strong>ce Gösta ed Anna,<br />

poscia domanda perché le fucine non lavorino più.<br />

Per uno <strong>di</strong> quei pro<strong>di</strong>gi riservati ai libretti d’opera, all’istante medesimo si riaccendono le vampe gioiose nei<br />

fornelli, il maglio torna a percuotere l’incu<strong>di</strong>ne, il lavoro festoso a cantare il suo ritmo. Mentre la canzone dei<br />

<strong>cavalieri</strong> riprende solenne, s’ode un grido: la Comandante <strong>di</strong> Ekeby è spirata.<br />

Così termina il quarto atto che è senza dubbio il più efficace dell’opera.<br />

***<br />

Chi ha letto la complessa “Gösta Berlings Saga” può intendere quale pallido riflesso il Rossato, ad onta dei<br />

suoi sforzi, sia riuscito a fissarne in questi suoi “Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>”. Il suo torto è stato, a parer mio, <strong>di</strong> aver<br />

tentato l’impossibile: i personaggi del suo libretto rimangono ombre scolorite. Solo del gruppo dei Cavalieri, <strong>di</strong><br />

questi gaudenti e lacrimevoli déracinés, il poeta ci ha presentato uno scorcio fedele, sentito e vigoroso.<br />

L’opera era così ardua che non si può essere severi con lui, tanto più che ad onta delle lacune, a <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong><br />

qualche verso clau<strong>di</strong>cante, egli ha trovato forme molto più colorite ed eleganti <strong>di</strong> quelle che solitamente ci offre<br />

la pedestre me<strong>di</strong>ocrità dei libretti d’opera contemporanei. Auguriamo ad Arturo Rossato <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care<br />

prossimamente il suo ingegno ad un soggetto che risponda alle sue aspirazioni d’artista meglio che i “Cavalieri<br />

<strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>”.<br />

Giu<strong>di</strong>cheremo questa sera l’espressione musicale che ha dato loro Riccardo Zandonai.<br />

257<br />

Giulio Marchetti Ferrante, I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, “Il Popolo”, 31.3.1925 - p. 3, col. 1-2-3<br />

La carriera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai non fu facile né coronata <strong>di</strong> molte rose. Tralasciando i penosi tentativi<br />

della sua giovinezza, può <strong>di</strong>rsi che anche negli anni più fervi<strong>di</strong> della sua affermazione d’artista abbiano prevalso<br />

le spine.<br />

È che Riccardo Zandonai è uno spirito irrequieto, uno <strong>di</strong> quei musicisti che si sentono attirati verso la luce<br />

della perfetta creazione ma devono lottare <strong>di</strong>uturnamente contro gli ostacoli del volo.<br />

Anima sensibile, piena <strong>di</strong> delicatezze e <strong>di</strong> gusto, lo Zandonai non ha potuto ancora <strong>di</strong>spiegare mai queste ali<br />

in tutta la loro ampiezza, sia che gli manchino le penne maestre o, come sarei incline a ritenere, la pienezza del<br />

respiro. I suoi tentativi, tutti nobilissimi, rivelano il tormento delle aspirazioni <strong>di</strong> lui. Ma la sfera sublime, quella<br />

ove il genio trova la sua piena consacrazione, egli non l’ha ancora raggiunta.<br />

L’inizio della sua maturità <strong>di</strong> operista non avrebbe potuto essere più promettente. I due primi atti della sua<br />

“Conchita” (1911), troppo presto <strong>di</strong>menticata, racchiudono pur sempre la più felice manifestazione del suo<br />

estro. E se il primo atto <strong>di</strong> “Francesca” (19<strong>14</strong>), per quanto <strong>di</strong> genere <strong>di</strong>verso, sta in pari altezza con quelli <strong>di</strong><br />

“Conchita”, il suo ingegno non si è sollevato <strong>di</strong> più né si è sensibilmente accostato a quella vetta che sembrava<br />

vicina.<br />

La colpa, o la fatalità, <strong>di</strong> questa stasi è insita nell’errore o nella <strong>di</strong>fficoltà dei compositori moderni <strong>di</strong> saper<br />

scegliere un soggetto corrispondente al proprio temperamento.<br />

Zandonai non si accorse che la peccatrice crudele e perversa del romanzo <strong>di</strong> Pierre Louys [sic] “La femme et<br />

le pantin” o la morbida e svenevole “Francesca” del dramma dannunziano non corrispondevano, per eccesso<br />

l’una e per <strong>di</strong>fetto l’altra, alla sua in<strong>di</strong>vidualità creatrice. Pertanto egli non riuscì a produrre due opere omogenee<br />

e complete ma si esaurì in “Conchita” nel perseguire forme eccessivamente vigorose per il suo mite ingegno.<br />

In “Francesca”, abbandonato il concitato polifonismo della prima opera, si perdé invece in sdolcinature<br />

melo<strong>di</strong>che alla Tosti o in un preziosismo settecentesco, privo però <strong>di</strong> quella freschezza e flui<strong>di</strong>tà che ha<br />

guadagnato in questo ultimo genere così vivo successo al Wolff-Ferrari [sic].<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/26

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