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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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moribonda, ne ritorna. E perdonata dalla madre sua. Anche lei redenta ritorna strumento <strong>di</strong> redenzione. “Come<br />

mia madre, la mia vecchia madre - posò la mano - su questo capo, ecco la poso anch’io - sul capo vostro.<br />

benedetti i baci - nell’amore <strong>di</strong> Dio. Amate! Amate!”<br />

Nella gloria d’amore il lavoro riprende. Le fucine si infocano, il maglio cade, ritorna il ritmo delle opere<br />

feconde. <strong>Ekebù</strong> rivive, mentre la Comandante muore. Ere<strong>di</strong> del suo regno sono Anna e Giosta.<br />

La musica<br />

Mi sono sforzato <strong>di</strong> ridurre ad una certa unità <strong>di</strong> ispirazione il racconto così come è reso da Arturo Rossato<br />

nel suo libretto, per cercare <strong>di</strong> rendermi conto dell’opera d’arte <strong>di</strong> Zandonai e per offrire un criterio obbiettivo e<br />

sereno <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. Non trovo che l’opera del musicista guadagni ad essere vista così. La frammentarietà del<br />

libretto è passata tale e quale nella musica con questa <strong>di</strong>fferenza: i frammenti che sono nel libretto valgono<br />

poco, quelli che sono nella musica hanno un valore infinitamente superiore. Ma sono frammenti; e come negli<br />

episo<strong>di</strong> ci sono frammenti <strong>di</strong> cose, nei personaggi ci sono frammenti <strong>di</strong> uomini.<br />

Io non ho l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> chiedere confessioni estemporanee ad alcun autore perché ritengo prima <strong>di</strong> tutto che<br />

non sia ad esso vantaggioso, in secondo luogo che sia suo compito confessarsi intieramente nella sua opera<br />

d’arte e non tra una tazza <strong>di</strong> thè ed un biscotto. Ma se avessi avuto la fortuna – si <strong>di</strong>ce così! – <strong>di</strong> incontrare<br />

Riccardo Zandonai per una <strong>di</strong> quelle strade della Roma antica che fanno <strong>di</strong>menticare la Roma degli hôtels e dei<br />

salotti, perché il silenzio ed i ricor<strong>di</strong> invitano ad una sincerità immacolata, avrei dovuto chiedergli: Ma voi<br />

l’avete letta, maestro, la saga <strong>di</strong> Selma Lagerlöf E avendola letta ci avete pensato su Avete pensato a quello<br />

che significhi Avete pensato che c’è lì dentro, attraverso la ingenuità della creazione popolare, una<br />

interpretazione originale del fenomeno, tutto spirituale, della redenzione Sapete che cosa voglia <strong>di</strong>re per un<br />

prete – e badate che il popolo nella sua leggenda l’ha assunto a simbolo – essere sconsacrato E sapendolo,<br />

avete pensato che Giosta, prete sconfessato per il suo peccato, deve essere riconsacrato dall’amore Che si tratta<br />

cioè veramente <strong>di</strong> far Dio l’amore E quel Liutram [sic] come ve lo figurate Demone o uomo O demone e<br />

uomo<br />

Non avendo avuto la fortuna <strong>di</strong> incontrare Riccardo Zandonai in luogo tanto propizio alle serene confessioni,<br />

ho cercato una risposta alle domande sopradette, ieri sera... No; non è neppure il caso <strong>di</strong> farlo. La sua<br />

comprensione dell’argomento non va oltre più in là <strong>di</strong> quella del librettista. Non c’è nel libretto il senso della<br />

collettività creatrice <strong>di</strong> ogni leggenda: neppure nella musica c’è. Nessun spiraglio sul mistero per il quale il<br />

popolo ha fatto camminare sulle nevi bianche e la figura <strong>di</strong> Giosta e quella <strong>di</strong> Anna e quella della Comandante, e<br />

quella dei <strong>cavalieri</strong>. Sintram cos’è Un padre irato soltanto o qualche cosa <strong>di</strong> più Mistero. In un momento egli<br />

ha un grido ed un riso satanici, gravi<strong>di</strong> <strong>di</strong> avvenimenti. È una lotta che s’inizia; lotta tra chi Fra un padre<br />

burlato ed una figlia caparbia La posta è sproporzionata, perché la posta è la rovina <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>. Allora è la lotta<br />

eterna tra il bene e il male che può assumere, come in questo caso, le forme più legalmente umane, tra la rigi<strong>di</strong>tà<br />

tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> una morte che non sa perdonare e la libertà dell’amore che perdona e re<strong>di</strong>me. Ebbene nella lotta<br />

egli perde. Chi si accorge che abbia lottato Sarebbe bella che quel grido e quel riso satanici fossero una trovata<br />

del bravo basso Dentale, che è del resto un artista intelligentissimo!<br />

Discorso non molto <strong>di</strong>verso si dovrebbe fare sul trionfatore che è Giosta. Intanto non è gran merito e non c’è<br />

proprio bisogno <strong>di</strong> chiamare in soccorso cielo e terra per vincere un nemico quale è Sintram... ma lasciamo<br />

andare!<br />

A sentire il librettista, Giosta beveva per confortarsi dalla solitu<strong>di</strong>ne e dalla tristezza della sua chiesetta e per<br />

rispondere a domande <strong>di</strong> questo genere: non ride il sole non fioriscono dunque le viole l’estate, calda <strong>di</strong><br />

frumenti d’oro, lieta <strong>di</strong> vento, ebra <strong>di</strong> stri<strong>di</strong> e d’ale, non canta più coi miei vent’anni in coro Non danza più per<br />

le sonanti sale, delle campagne, allegre <strong>di</strong> lavoro Non so quale pastore <strong>di</strong> Svezia o <strong>di</strong> Norvegia si porga tali<br />

domande. Ma supponiamo che qui veramente Giosta sia assunto a simbolo, con una significazione più ampia.<br />

Non essendogli conteso l’amore, per inserirsi nella vita non aveva che un mezzo: il lavoro, sostanza, nelle<br />

molteplicità dei suoi aspetti, della vita stessa. Soltanto in questo modo egli avrebbe potuto riattaccare la sua<br />

mistica e religiosa alla complessa esperienza umana. Trascina invece per tutto il dramma la sua vicenda d’amore<br />

che avrebbe potuto benissimo concludere nel piccolo presbitero. Al musicista non è parso vero <strong>di</strong> presentarlo<br />

così come glielo ha presentato il librettista. Un momento ha pensato <strong>di</strong> cambiargli sembiante. Accortosi che le<br />

ragioni per le quali il giovane prete si sentiva a <strong>di</strong>sagio nella chiesetta <strong>di</strong> Bro erano molto tenui, ha cercato <strong>di</strong><br />

dare al suo petto un più largo respiro, <strong>di</strong> trasportarlo in un’atmosfera <strong>di</strong> misticismo nella quale deve pure aver<br />

vissuto. Gli fa cantare l’inno alla vita nel ritmo del “Tedeum”. Ahimè! ché egli se n’è scordato in seguito!<br />

Giosta restando... Giosta <strong>di</strong> Rossato, quel “Tedeum”, trattandosi <strong>di</strong> un prete protestante, finisce con l’essere una<br />

stonatura artistica molto banale.<br />

***<br />

Opera allora mancata I Cavalieri <strong>di</strong> Ekebu Finché nel giu<strong>di</strong>care <strong>di</strong> un’opera d’arte varranno criteri estetici<br />

precisi, nessun dubbio che questa sia la peggiore delle opere <strong>di</strong> Zandonai. Se invece ci si affida a quella certa<br />

sod<strong>di</strong>sfazione superficiale per cui si concedono tutte le attenuanti possibili pur <strong>di</strong> non fare alcuna fatica a cercare<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/22

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