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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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<strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> stanno per giungere, annunziati dalla loro canzone. Le fanciulle spingono Sintram fuori della sala,<br />

nella quale irrompono i <strong>cavalieri</strong> seguiti dalla folla. La loro canzone scoppia squillante e festosa. Si ha<br />

l’impressione <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quei “concertati” all’antica, che mandavano gli spettatori in visibilio. Il pubblico è<br />

incatenato.<br />

Ed ecco un nuovo aspetto dell’opera, che è merito <strong>di</strong> Arturo Rossato aver reso <strong>di</strong>namica e varia. I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Ekebù</strong> consacrano Giosta loro compagno. Chi sono essi Dei vagabon<strong>di</strong> salvati dalla Comandante. Situazione<br />

grottesca. E grottesca si fa la musica. Un grottesco, però, ottenuto con mezzi semplicissimi. Nessun tuffo nella<br />

tavolozza dei modernissimi. Zandonai insiste nella sua chiarezza. Canta. Con intenzioni comiche e burlesche,<br />

ma canta. Perio<strong>di</strong> melo<strong>di</strong>ci, sempre. Il grottesco vien su dall’orchestra, con certi suoi accor<strong>di</strong> volutamente<br />

bislacchi, con certi suoi suoni volutamente striduli e sconcertanti. Una preparazione al sapore musicale che avrà<br />

la rappresentazione.<br />

Ma assistiamo prima all’incontro <strong>di</strong> Giosta con Anna. Ritorna l’autentico Zandonai, quello delle migliori<br />

pagine della Conchita, quello della Francesca da Rimini. Un fraseggiatore ampio, con un fondo quasi costante<br />

<strong>di</strong> malinconia. Nell’esprimere l’amore Riccardo Zandonai è quasi sempre così, ed è lui. Non importa che qua e<br />

là si ravvisino mo<strong>di</strong> mascagnani, veementi, impetuosi. Esteriorità. L’anima del canto è <strong>di</strong>versa. In<br />

quest’ebbrezza c’è sempre non so che dolore. Zandonai in fondo è un musicista elegiaco. Il <strong>di</strong>alogo d’amore<br />

scorre fluido e vivo. Ma è interrotto. È l’ora della rappresentazione.<br />

Siamo, secondo me, ad una delle pagine più singolari non soltanto <strong>di</strong> quest’opera ma <strong>di</strong> tutta la produzione<br />

<strong>di</strong> Zandonai. Sul piccolo palcoscenico preparato nella sala la scena è cantata da Giosta e da Anna, ma l’orchestra<br />

è formata dai <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>. Sulla scena l’amore; in orchestra il grottesco. Ecco la <strong>di</strong>fficoltà che a se stesso<br />

ha posto il compositore e, a mio giu<strong>di</strong>zio, egli l’ha superata felicemente. Era tutt’altro che agevole dare ai due<br />

amanti un linguaggio appassionatamente melo<strong>di</strong>co, d’un delicato sapore settecentesco, e fonderlo con le<br />

petulanti <strong>di</strong>ssonanze <strong>di</strong> cui lo con<strong>di</strong>scono implacabilmente i giocon<strong>di</strong> <strong>cavalieri</strong>. Ma la <strong>di</strong>fficoltà è stata, ripeto,<br />

superata, e la perfetta fusione appunto <strong>di</strong> due così <strong>di</strong>versi elementi – l’uno serio e sognante, l’altro brutalmente<br />

realistico – va messa all’attivo del maestro.<br />

Il terzo atto<br />

Nella prima parte Sintram, volendo ven<strong>di</strong>carsi della Comandante, penetra nella fucina del castello dove sono<br />

radunati, celebrando il Natale, i <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>. Il musicista, naturalmente, gli ha dato degli accenti da<br />

Mefistofele, un Mefistofele però <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ocrissima statura borghese, quale in realtà è Sintram. Comunque, i<br />

<strong>cavalieri</strong>, a quel suo sogghignante schiamazzare, lo credono il <strong>di</strong>avolo e si ribellano alla Comandante,<br />

giu<strong>di</strong>candola la causa d’ogni loro male. Il declamato musicale, nei sobrii chiaroscuri dell’orchestra, si incupisce.<br />

Le frasi fiere ed accorate della Comandante <strong>di</strong>ffondono un profondo senso <strong>di</strong> tristezza. Ma <strong>di</strong> questa prima parte<br />

dell’atto ciò che musicalmente più mi piace è l’episo<strong>di</strong>o nel quale i <strong>cavalieri</strong> celebrano il Natale. Una<br />

celebrazione materiata <strong>di</strong> non so che accoramento nostalgico. Uno dei <strong>cavalieri</strong> fraseggia patetico sul violino e<br />

gli altri cantano a coro una ninna-nanna, ricordo dell’infanzia e delle loro case lontane. Un gioiello <strong>di</strong> musica<br />

squisita, della nostra più bella tra<strong>di</strong>zone e che va <strong>di</strong>retta alle anime.<br />

Come, nella seconda parte dell’atto, commuove per la viva e incisiva umanità dei suoi accenti l’invocazione<br />

<strong>di</strong> Anna <strong>di</strong>etro la porta della sua casa, alla quale Giosta, obbedendo alla Comandante, l’ha ricondotta nella notte<br />

stellata e gelida. Quest’invocazione è sgorgata <strong>di</strong> getto dalla sensibilità musicale <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Anche<br />

le altre scene, del resto, sono pervase d’un lirismo che sale dall’intimo e che nel suo calore pare fonda per<br />

sempre le anime <strong>di</strong> Giosta e <strong>di</strong> Anna, che, in o<strong>di</strong>o al padre, si avvia con l’amante verso l’ignoto. L’orchestra<br />

corona l’atto con un “pianissimo” penetrante come la gioia muta d’una carezza.<br />

Il quarto atto<br />

Dal giorno in cui la Comandante s’è allontanata, attorno al castello <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> sono piombate miseria e<br />

carestia. Le prime scene descrivono musicalmente l’angoscia del popolo. L’effetto è raggiunto, perché frasi e<br />

perio<strong>di</strong> musicali si snodano veramente con inflessioni <strong>di</strong> dolore. Ma io – me lo perdoni l’amico Zandonai – avrei<br />

preferito una maggiore contenutezza e una più profonda intimità <strong>di</strong> accento. Più che la tragica desolazione d’un<br />

popolo che non ha <strong>di</strong> che sfamarsi qui c’è una sua violenta e fragorosa rivolta contro i <strong>cavalieri</strong>. Comunque<br />

l’effetto è raggiunto e in certo senso teatrale Zandonai ha forse ragione.<br />

Efficacemente reso, nella travagliosa sobrietà dell’espressione musicale, il nuovo stato d’animo <strong>di</strong> Anna, che<br />

si crede l’origine prima della pubblica sciagura e vuole troncare, pure amandolo, i suoi rapporti con Giosta, che<br />

cerca <strong>di</strong>ssuaderla con un declamato drammatico pieno ora <strong>di</strong> dolcezza ora <strong>di</strong> ardore. Ed eccoci ad una delle<br />

scene capitali dell’opera. Torna la Comandante, portata a braccia, moribonda. Ancora una volta, da lei si<br />

sprigiona un vivo senso d’umanità che investe tutti gli altri. Pure trattata <strong>di</strong> scorcio, la Comandante assurge con<br />

una ben definita fisionomia nella vita dei suoni, e sta tra le figure più recisamente caratterizzate <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai. Con la Comandante torna il lavoro. Le fucine si rianimano. La speranza rinasce in tutti. Il maglio<br />

batte sull’incu<strong>di</strong>ne. La passata miseria è vinta dall’esultanza nuova. Un fremito possente passa nell’orchestra e<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/8

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