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14 I cavalieri di Ekebù - Biblioteca civica di Rovereto

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soave nenia <strong>di</strong> Natale e <strong>di</strong> giusto equilibrio sonoro l’invocazione collettiva che precede il ritorno della<br />

Comandante morente: un inno gran<strong>di</strong>oso che si eleva e prende forza al ritmo del maglio sull’incu<strong>di</strong>ne ed al<br />

rianimarsi delle officine ed al moto delle macchine.<br />

I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong> furono rappresentati per la prima volta, sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Toscanini, alla Scala la sera<br />

del 7 marzo 1925, e nella stagione successiva vennero dati a Roma (126) .<br />

In occasione della recente riesumazione dell’opera fatta a Trento per celebrare il geniale musicista, in una<br />

nostra nota (127) consigliavamo gli Enti lirici a togliere dall’immeritato ed ingiusto oblìo un lavoro tuttora vitale.<br />

Il ritorno dei Cavalieri sulle scene del Teatro dell’Opera è stato salutato ieri sera dal vivo consenso del<br />

pubblico.<br />

Sotto la <strong>di</strong>rezione vigile e sensibile del maestro Oliviero De Fabritiis, la partitura zandonaiana ha trovato la<br />

sua adeguata e chiara potenza espressiva.<br />

Gianna Pederzini, nelle vesti della Comandante, ci ha offerto un altro saggio del suo eccezionale<br />

temperamento <strong>di</strong> cantante-attrice, trasfondendo nel complesso personaggio l’inesauribile ed inconfon<strong>di</strong>bile<br />

gamma espressiva della sua sensibilità artistica e musicale: potente e prepotente nell’atteggiamento del<br />

comando, ardente e accorata nell’invettiva, dolce, suadente, sofferente nel pentimento e trasfigurata nella morte.<br />

Il lirismo del linguaggio zandonaiano ha trovato nella bella voce <strong>di</strong> Rina Malatrasi (Anna) piena rispondenza<br />

<strong>di</strong> calore e <strong>di</strong> colore. Ecco un’artista che vorremmo riascoltare sulle nostre scene. Mirto Picchi è stato un<br />

efficace Giosta, anche se un poco <strong>di</strong>scontinuo nel canto. Esuberante più nell’azione scenica che nella voce<br />

Giampiero Malaspina; abbastanza composti Antonio Cassinelli, Vito Susca, Gianna Borelli e Mariano Caruso.<br />

Buona in complesso la regìa <strong>di</strong> Riccardo Moresco; ma nel finale, quando, all’arrivo della Comandante<br />

morente, le officine e il maglio si rianimano, e al canto dell’incu<strong>di</strong>ne si eleva l’inno alla vita, al lavoro, il<br />

movimento delle masse non ha certo assecondato l’esplosione sonora dell’orchestra. Ottimo il coro istruito dal<br />

maestro Conca. Molti applausi a scena aperta e alla fine <strong>di</strong> ogni atto.<br />

275<br />

Luigi Pizzuti, “I Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>”, “Il Paese”, 15.1.1954 - p. 3, col. 6-7-8<br />

Gli epigoni wagneriani nostrani, fra i quali indubbiamente è Zandonai, non hanno mai saputo separarsi<br />

completamente dalle ra<strong>di</strong>ci del melodramma ottocentesco. Il melodramma, per intenderci, che Wagner con<br />

malanimo soleva chiamare “Donizetti & C”. Si sono mossi così in un permanente equivoco, fra un sistema male<br />

acquisito e peggio adottato, <strong>di</strong>fforme alla natura loro e l’amarezza <strong>di</strong> chi guarda alla cosa ripu<strong>di</strong>ata con<br />

nostalgia. In fondo, ma non per tutti o almeno in vario grado fra i tanti della schiera, una insufficienza si<br />

denuncia quale origine del loro <strong>di</strong>sorientamento ed è quella <strong>di</strong> non saper cantare con abbandono ben educato,<br />

con stile. A complicare vieppiù le cose, Zandonai, questo Zandonai dei “Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>”, per aspirazione a<br />

modernizzare i proce<strong>di</strong>menti compositivi a specchio con quello che si mostrava altrove con ben altra vali<strong>di</strong>tà,<br />

introduce nuovi elementi nella miscela che se ne raffredda e insipisce.<br />

Che cosa ci <strong>di</strong>ce lo Zandonai dei “Cavalieri <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>” Parole, parole, parole. Alla fine dell’opera nulla<br />

rimane se non una gran noia. La leggenda <strong>di</strong> Giösta [sic] Berling <strong>di</strong> Selma Lagerlöf, spoglia <strong>di</strong> quella sua<br />

misteriosa poesia nor<strong>di</strong>ca, presta una trama banale per una mera successione <strong>di</strong> episo<strong>di</strong>, unica evidente<br />

aspirazione dell’operista. La musica dovrebbe almeno colorire, sottolineare gli episo<strong>di</strong> cruciali del dramma,<br />

creare l’ambiente lirico, invece si pregia in una stagnante minuteria <strong>di</strong> suoni in preziosità <strong>di</strong> moda, con una<br />

inesorabile e compunta continuità da mortificare la pazienza del più rassegnato degli spettatori. È inutile<br />

attendere il momento culminante, un risveglio purchessia, un elemento <strong>di</strong> rilievo, qualcosa insomma che ti<br />

scuota dal sopore col quale sei impegnato in una strenua lotta.<br />

Ora si <strong>di</strong>rà: ma perché il Teatro dell’Opera mette in scena tali opere Noi non lo sappiamo. Non è la prima<br />

né l’ultima: altre se ne annunciano. Congetture se ne fanno tante, ma chi può affermare qualcosa Viene notato<br />

solo che la Direzione dell’Opera sembra essere animata da una pietosa mania soccorrevole verso le cose <strong>di</strong> poco<br />

conto, che è lodevole <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> animo, ma solo per il fine caritatevole. Non finirà il Teatro dell’Opera per<br />

<strong>di</strong>ventare un Pio Istituto per il soccorso dei minori La rappresentazione, costosa rappresentazione <strong>di</strong> molti<br />

milioni, ha avuto come concertatore e <strong>di</strong>rettore Oliviero de Fabritiis, ben noto al pubblico <strong>di</strong> Roma perché si<br />

debba spendere parole in favore della sua accortezza; maestro del coro, che si è ben <strong>di</strong>stinto, Giuseppe Conca, e<br />

regista Moresco, il quale non sempre si è sforzato <strong>di</strong> rendere quella possibile elementare verosimiglianza che<br />

sempre occorre raggiungere per non mettere a dura prova l’amore per il melodramma con il buon senso. Dalle<br />

scene, curate dal Cruciani, abbiamo riportato la sola ammirazione della serata, quella che ci è venuta dalla scena<br />

della fucina del castello <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>, abbozzata da G. Giacomo Colombo nella visione <strong>di</strong> una pittura fiamminga del<br />

seicento. No, bisogna aggiungere che anche Gianna Pederzini si è fatta ammirare per quella sua capacità scenica<br />

<strong>di</strong>sinvolta e appropriata, talvolta un po’ cachet ma indubbiamente efficace per stile, vivacità e prontezza,<br />

specialmente se si riferisce ai mo<strong>di</strong> comuni degli altri attori, che tuttavia, occorre <strong>di</strong>rlo, in questo caso sono stati<br />

I <strong>cavalieri</strong> <strong>di</strong> <strong>Ekebù</strong>/44

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