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6 LABATE - Conservatorio di Messina

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CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

RINTRACCIARE IL NOVECENTO.<br />

IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE


RINTRACCIARE IL NOVECENTO.<br />

IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE<br />

«Se uno è un uomo del proprio tempo,<br />

non può non tener conto <strong>di</strong> quello che<br />

succede intorno a lui mentre lavora».<br />

(Azio Corghi)<br />

1. Premessa.<br />

Novecento! È appena finito il secolo nel quale siamo nati, il secolo<br />

dei cui avvenimenti politici, storici, economici, culturali, scientifici, artistici,<br />

ecc. noi siamo testimoni partecipi, <strong>di</strong>rettamente perché... ci siamo<br />

stati e quegli avvenimenti ce li portiamo dentro ancora, in<strong>di</strong>rettamente<br />

per aver u<strong>di</strong>to la viva voce <strong>di</strong> altri testimoni. È ormai acquisito, dal punto<br />

<strong>di</strong> vista formativo, che i fatti e i processi che costituiscono la nostra storia<br />

recente debbano essere proposti alla considerazione dei giovani perché<br />

li conoscano e li vaglino alla luce dei fenomeni culturali a loro contemporanei.<br />

Anche i giovani che iniziano il terzo millennio sono ere<strong>di</strong> della<br />

catena delle generazioni precedenti. Se vogliono realizzare qualcosa <strong>di</strong><br />

veramente valido e che sia duraturo nel futuro non possono far passare<br />

sotto silenzio un secolo, il Novecento, tanto prolifico nella creatività<br />

artistica e non solo, quanto mutevole nel succedersi degli eventi, taluni<br />

in vero molto tragici: cause, ambedue, <strong>di</strong> un affrettato giu<strong>di</strong>zio sui fatti<br />

e <strong>di</strong> una loro mancata se<strong>di</strong>mentazione nella memoria.<br />

In questo secolo, che possiamo <strong>di</strong>re nostro per i quarti che ci appartengono,<br />

il ritmo del processo evolutivo culturale scientifico e artistico


274 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

è <strong>di</strong>venuto sempre più accelerato. Senza le risorse della memoria il rischio<br />

è <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare sempre più stranieri a noi stessi. Soltanto <strong>di</strong>sponendo della<br />

storia <strong>di</strong> quegli avvenimenti anche il Novecento sarà un’esperienza proficua,<br />

educativa e stimolante. Le stesse guerre mon<strong>di</strong>ali (’15/’18 e ’39/’45)<br />

e il conseguente incubo del nucleare 1 , per nulla <strong>di</strong>ssolto 2 , non hanno fermato<br />

reazioni, ripensamenti, ricerche, produzioni, scoperte, invenzioni,<br />

tutto certamente favorevole allo sviluppo della umanità pur con i limiti<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>visione scorretta della ricchezza tra Nord e Sud del mondo 3 e i<br />

limiti ecologici ambientali che conosciamo 4 . Il susseguirsi frenetico<br />

degli avvenimenti cancella il tempo della se<strong>di</strong>mentazione. Siamo presi<br />

ogni giorno dal nuovo e quello <strong>di</strong> ieri non sollecita il nostro interesse<br />

più <strong>di</strong> qualsiasi oggetto (o valore) da museo. E allora vien meno la memoria<br />

del passato prossimo o perché presi a rincorrere il nuovo e sempre<br />

più virtuale o perché ci rifuggiamo in comportamenti conservatori.<br />

E poi quasi tutto sembra organizzato per dare rinforzo al passato remoto:<br />

nella scuola sono obsoleti i programmi 5 e superate le metodologie<br />

<strong>di</strong>dattiche; i cartelloni del teatro d’opera sono grondanti <strong>di</strong> lavori del<br />

Sette-Ottocento 6 , c’è infine una militante reazione a chi tiene oggi un<br />

1 Lungi da me dal dare un sia pur minimo voto favorevole a qualsiasi guerra, mai con<strong>di</strong>visibile,<br />

dunque, per la sua intrinseca e tragica violenza sull’uomo, sui popoli.<br />

2 Le catastrofi delle Due Torri <strong>di</strong> New York dell’11 settembre 2001, la conseguente reazione,<br />

che artatamente vorrebbe giustificare il concetto della guerra preventiva, e il pericolo <strong>di</strong> ritorsioni<br />

batteriologiche non <strong>di</strong>radano certo la paura!<br />

3 Il gigantesco progresso (!) riguarda un quinto della popolazione mon<strong>di</strong>ale: la restante maggioranza<br />

dei nostri simili vive in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> arretratezza, <strong>di</strong> sottosviluppo e <strong>di</strong> miseria volutamente<br />

mantenute tali per sfruttarne le risorse a beneficio del Nord opulento. Le immigrazioni potrebbero<br />

ritenersi come la riappropriazione pacifica <strong>di</strong> quanto loro dovuto.<br />

4 Gli esperti denunciano che c’è in atto un comportamento suicida dell’ecosistema.<br />

5 Cancellata la riforma voluta da Berlinguer, e che tra l’altro era tutta da verificare, specialmente<br />

in relazione ai Conservatori <strong>di</strong> musica, è subentrata quella della Moratti, forse eterea, sicuramente<br />

più <strong>di</strong>sorganica, meno calata nella realtà dei Conservatori italiani ed europei e sottomessa ad una<br />

concezione neoliberista, le cui prospettive sembrano orientate alla privatizzazione e alla produzione (!)<br />

più che alla formazione culturale e artistica degli studenti.<br />

6 Scarsamente rappresentato il Seicento. Mentre è meritevole il tentativo <strong>di</strong> alcuni teatri <strong>di</strong><br />

inserire nel cartellone un’opera del Novecento, anche se i più, con<strong>di</strong>zionati dagli abbonati melomani,<br />

si fermano al primo Novecento.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 275<br />

atteggiamento in<strong>di</strong>vidualistico e non considera significativa la cultura<br />

dominante.<br />

Se lo si vuole delimitare cronologicamente, il Novecento inizia<br />

nell’anno 1900 e finisce col 1999 compreso. Se invece si vuole dare risalto<br />

agli eventi rilevanti che hanno influito in tutti i campi dell’esistenza<br />

umana, allora l’anno del loro verificarsi viene assunto a cesura, che<br />

è simultaneamente fine del precedente periodo e inizio <strong>di</strong> un altro.<br />

Questo vuol <strong>di</strong>re che un secolo potrebbe iniziare prima o dopo l’anno<br />

che lo vuole delimitato cronologicamente 7 . E tuttavia anche queste<br />

cesure non sono paratie-stagno. Grazie al concetto <strong>di</strong> storia e preistoria,<br />

secondo cui ogni fatto determinante detto storico è il risultato <strong>di</strong> altri<br />

mille fatti lentamente assimilati e con avveduta intelligenza elaborati,<br />

non esistono vere e proprie cesure se non per convenzione. C’è sempre<br />

infatti uno stretto rapporto tra la fine <strong>di</strong> un periodo e l’inizio <strong>di</strong> un altro.<br />

In campo artistico, per esempio, contano i contributi evolutivi sostanziali<br />

che si propongono come superamento <strong>di</strong> fasi pregresse. Ma la loro<br />

vali<strong>di</strong>tà si misura anche dal restare aperti ad ulteriori contributi pur<br />

senza cancellare quelli precedenti.<br />

Il problema della definizione dei perio<strong>di</strong> è meno complicato se lo si<br />

affronta per settore <strong>di</strong>sciplinare: musica, letteratura, teatro. Diventa<br />

invece più arduo se il settore è inter<strong>di</strong>sciplinare: opera lirica, drammaturgia<br />

musicale, librettologia, dove per la loro co<strong>di</strong>ficazione interagiscono<br />

più elementi e si evidenziano influenze reciproche che però nella<br />

<strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> provenienza sono databili <strong>di</strong>versamente. Impressionismo,<br />

espressionismo, simbolismo, estetismo, decadentismo, ecc. sono correnti<br />

artistico-culturali che o affondano le loro ra<strong>di</strong>ci nella reazione<br />

a quello che era l’aspetto stucchevole del Romanticismo o del Romanticismo<br />

tutto sono un naturale sviluppo. Tali correnti sorgono negli ultimi<br />

due decenni dell’Ottocento, si evidenziano nel primo Novecento e<br />

<strong>di</strong>ciamo che estendono le loro propaggini per molti anni ancora. Dal<br />

7 Molti autorevoli osservatori <strong>di</strong>cono che dopo l’11 settembre 2001, attacco terroristico alle<br />

Due Torri <strong>di</strong> New York, nulla è più come prima. Si chiude qui, dunque, il Novecento


276 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

punto <strong>di</strong> vista musicale, l’idea <strong>di</strong> Musica moderna è il criterio per <strong>di</strong>stinguere<br />

il prima, riferibile appunto al Romanticismo, e il dopo, riferibile<br />

appunto alla modernità. Ma in ogni caso la prima guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

ha già funzione <strong>di</strong> spartiacque 8 .<br />

Alcune considerazioni emblematiche possono rendere meglio l’idea 9 .<br />

1) Richard Strauss (1864-1949) passa dall’espressionismo del Don<br />

Juan (1889) alla modernità (Jugendstyl) con Elektra, Salomè (1905) e<br />

altri lavori, fino al suo autoconvogliarsi verso il neoclassicismo già a<br />

partire dal Rosenkavalier (1911) reso più evidente da Die Frau ohne<br />

Schatten (La donna senza ombra - 1919), il capolavoro ufficiale, la grande<br />

opera influenzata inequivocabilmente da Hugo von Hofmannsthal.<br />

L’abbandono della modernità da parte <strong>di</strong> Strauss, sostenuta fino al 1909,<br />

e la dolorosa rinuncia ad essere la punta avanzata della evoluzione musicale<br />

furono influenzate dallo choc prodotto dalle prime composizioni<br />

atonali <strong>di</strong> Schönberg, specialmente dai Vier Orchesterstucke (op.16).<br />

2) Lo stesso Arnold Schönberg venne considerato un relitto dell’espressionismo<br />

ottocentesco e inizio secolo (1920 circa) dagli instauratori del<br />

8 Pur tenendo conto che le cesure vanno considerate in maniera fluida, torna utile adottare<br />

il criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre il Ventesimo secolo in quattro fasi. La prima, fino al 1919, è caratterizzata<br />

da in<strong>di</strong>rizzi artistico-culturali che si muovono contemporaneamente: ognuno <strong>di</strong> essi rifiuta l’altro,<br />

ma poi scopre <strong>di</strong> averne maturato una certa reciproca influenza. Molti, pur affacciandosi al nuovo,<br />

rimangono ancorati agli stilemi dell’Ottocento melodrammatico; altri elaborando un linguaggio<br />

espressionistico (atonalità, <strong>di</strong>ssonanza, serialità, ecc.) maturano semi <strong>di</strong> successivi e <strong>di</strong>versi sviluppi;<br />

altri compiono un cammino <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a spavaldo ma determinato. La seconda fase, tra<br />

le due guerre mon<strong>di</strong>ali, va dal 1920 al 1945. Molti abbandonano la modernità e rientrano nel<br />

neoclassicismo, mentre altri – pur nelle <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne politico e sociale – avviano particolari<br />

processi <strong>di</strong> sperimentazione musicale. La terza fase, 1945-1975, è segnata dai Seminari estivi <strong>di</strong><br />

Darmstadt, nel cui laboratorio si formano quasi tutti i compositori della neo-avanguar<strong>di</strong>a. La quarta<br />

fase comprende l’ultimo scorcio del secolo e vede da una parte i <strong>di</strong>versi sperimentalismi tendere<br />

a co<strong>di</strong>ficazioni incerte ma più mature, e dall’altra affacciarsi in un generale clima <strong>di</strong> riflusso una<br />

tendenza neoromantica.<br />

9 Interessante in proposito le considerazioni che emergono nella Introduzione del volume <strong>di</strong><br />

ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto della musica contemporanea. Dalle prime avanguar<strong>di</strong>e<br />

alla nuova musica, Milano, Feltrinelli, 1978 V , pp. 7-35. Colgo l’occasione <strong>di</strong> questo primo riferimento<br />

bibliografico per <strong>di</strong>re che la destinazione <strong>di</strong>dattica <strong>di</strong> questo saggio mi ha <strong>di</strong>stolto dal segnalare<br />

tutte le citazioni con la precisione che meritano. Esse sono tuttavia contenute nella bibliografia<br />

menzionata nelle note.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 277<br />

neoclassicismo, ma fu ritenuto il vero protagonista della nuova musica<br />

del Novecento da coloro che propugnarono nella avanguar<strong>di</strong>a, soprattutto<br />

dopo il 1950, quando la tecnica seriale e le altre novità furono universalmente<br />

accettate e in vario modo applicate. Detto schematicamente la<br />

musica moderna si scindeva (già dal Rosenkavalier, 1911, e dal Pierrot<br />

Lunaire, 1912) in nuova musica della avanguar<strong>di</strong>a progressista e in<br />

musica neoclassica che riprendeva e valorizzava le forme e gli stilemi<br />

classici pur tenendo conto almeno <strong>di</strong> alcuni contributi innovativi.<br />

In questo susseguirsi <strong>di</strong> eventi giocano un ruolo determinante autori<br />

<strong>di</strong> teatro, drammaturghi e registi 10 che offrono collaborazione a musicisti<br />

loro contemporanei: Hugo von Hofmannsthal, Berltolt Brecht,<br />

Wystan Hugh Auden e Chester Kallman, Gabriele D’Annunzio, Luigi<br />

Pirandello, ecc.<br />

Originariamente e fino agli inizi dell’Ottocento la musica veicolava<br />

un testo letterario e il suo contenuto (etico, politico, estetico). Da Ludwig<br />

van Beethoven in poi sappiamo che ogni <strong>di</strong>scorso (vuoi razionale, vuoi<br />

fantastico, vuoi intimistico, vuoi libertario) può passare attraverso la<br />

musica senza il sussi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un testo letterario. Col suo solo linguaggio la<br />

musica può adempiere anche la sua funzione formativa tanto quanto<br />

la poesia. Quando Richard Wagner <strong>di</strong>ce che il dramma è azione della<br />

musica <strong>di</strong>venuta visibile, vuol sostenere che nell’opera d’arte totale<br />

l’ultima e decisiva parola spetta alla musica, la quale, secondo Arthur<br />

Schopenauer, fa intuire l’intima essenza del mondo.<br />

Il passaggio dalla musica moderna alle sue fasi successive è caratterizzato<br />

anche da uno spostamento <strong>di</strong> interesse nel sistema dei generi<br />

musicali. Drammi musicali e poemi sinfonici (le cui asprezze tecniche<br />

possono essere giustificate da un testo drammatico che le esige) fanno<br />

spazio a quartetti per archi, a pezzi per pianoforte, alla musica da camera<br />

in genere. Dal Tristano (1865) in poi il linguaggio musicale si<br />

avviò verso un inarrestabile e frenetico processo fino ad estraniare dalla<br />

10 LUIGI PESTALOZZA, Regia e opera, in «Sipario», XIX, <strong>di</strong>c. 1964, n.224, pp. 5-13.


278 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

musica moderna e dalla «nuova musica» del Novecento gran parte <strong>di</strong><br />

quel pubblico che nell’Ottocento alla musica – soprattutto operistica –<br />

si era nutrito 11 .<br />

Ma ciò <strong>di</strong>mostra ed esige ancora una volta che, anche quando attinge<br />

al teatro <strong>di</strong> prosa, un testo musicale può esprimere in proprio un contenuto<br />

drammatico (ve<strong>di</strong> Pelléas et Melisande <strong>di</strong> Claude Debussy, 1902,<br />

da Maurice Maeterlinck; ve<strong>di</strong> Salomè <strong>di</strong> Richard Strauss, 1905, da Oscar<br />

Wilde; ve<strong>di</strong> Elektra, 1909, da Hugo von Hoffmannsthal 12 ). La drammaturgia<br />

operistica sposta dunque la sua attenzione dal libretto propriamente<br />

detto al testo musicale nel suo linguaggio e nella sua funzione<br />

comunicativa. È importante conoscere la contestualizzazione, la sensibilità<br />

generale <strong>di</strong> quel tempo, che va ben oltre i confini italiani, e che<br />

ci fa percepire la comune tendenza della letteratura verso la musica e<br />

viceversa, e il reciproco tendere della letteratura e della musica a farsi<br />

11 È un’esperienza fondamentale, anche se rattristante, vedere lo stesso pubblico rifiutare in<br />

concerto la musica <strong>di</strong> Schönberg e accettarla senza protesta quando accompagna la scena <strong>di</strong> un film<br />

o l’immagine pubblicitaria.<br />

12 Una figura originale s’impone certamente in questo periodo: Hugo von Hofmannsthal<br />

(1874-1929). Dopo una fase <strong>di</strong> estetismo alla Oscar Wilde attraversa una crisi profonda che lo farà<br />

approdare al decadentismo, svolto nel segno dell’ammirazione per Nietzsche e nel ripensamento<br />

<strong>di</strong>onsiaco <strong>di</strong> famosi miti greci come Elettra (1903) e E<strong>di</strong>po e la Sfinge (1906). Poi la sua storia<br />

s’intreccia con quella <strong>di</strong> Richard Srauss per il quale comporrà tutti i testi drammatici (Cfr. GUIDO<br />

SALVETTI, Il Novecento I, in SOCIETÀ ITALIANA DI MUSICOLOGIA (a cura della), Storia della Musica,<br />

vol. nono, Torino, E.D.T., 1977 1 , 1986 4 , p. 95). Librettista drammaturgo importante non soltanto<br />

perché ha prodotto i più gran<strong>di</strong> singoli esempi <strong>di</strong> libretti o perché ha introdotto nuove concezioni<br />

nella forma, ma perché nello spazio <strong>di</strong> soli sei libretti d’opera (Elecktra, 1909; Der Rosenkevalier,<br />

1911; Ariadne auf Naxos, 1911-16; Die Frau ohne Schatten, 1919; Die Aegyptische Helena, 1928-33;<br />

Arabella, 1933), tutti per Strauss, si rivelò come mente creativa <strong>di</strong> eccezionale penetrazione e incisività,<br />

accorta alle sfumature della parola e dei personaggi. Profondamente <strong>di</strong>versi per carattere,<br />

Hofmannsthal e Strauss non si compresero mai completamente, ma grazie ad una affinità <strong>di</strong> base<br />

lavorarono insieme per l’arco <strong>di</strong> ben vent’anni (1909-1929). La corrispondenza scambiatasi durante<br />

gli anni della collaborazione è un esauriente documento <strong>di</strong> ciò che accade quando un compositore<br />

e un librettista si uniscono per creare un’opera d’arte. E in questo rapporto Hofmannsthal ebbe,<br />

per così <strong>di</strong>re, la meglio, perché con i suoi consigli e le sue proposte tolse Strauss dall’in<strong>di</strong>rizzo<br />

schönberghiano e lo trasse – con lavori teatrali ben fatti – in un eclettismo arcaicizzante. L’esempio<br />

<strong>di</strong> Hofmannsthal ripristinò il concetto <strong>di</strong> librettista come autore creativo al pari del compositore e<br />

in ciò ebbe seguito in Bertolt Brecht, in Wystan Hugh Auden e Chester Kallman (Cfr. PATRICK<br />

J. SMITH, La decima musa. Storia del libretto d’opera, (The Tenth Muse, 1970, trad. <strong>di</strong> Lorenzo<br />

Maggini), Firenze, Sansoni, 1981, pp. 343-362).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 279<br />

poesia musicale, nella volontà <strong>di</strong> filtrare il reale attraverso un linguaggio<br />

sempre più lontano dai vincoli della semanticità quoti<strong>di</strong>ana. È, in<br />

sostanza, quel tendere della parola verso il suono, proprio dell’esperienza<br />

simbolista, timidamente ripreso dalla Scapigliatura e soprattutto da<br />

Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio. La musica entra nella parola<br />

integrandola e potenziando le altre istanze che in essa si accumulano.<br />

Tutto apparve nuovo nel Pelléas et Mélisande, libretto del drammaturgo<br />

e poeta simbolista Maurice Maeterlinck. La scelta del soggetto <strong>di</strong><br />

Maeterlinck fu giustificata da Debussy per la lingua evocatrice, la cui<br />

sensibilità poteva trovare un prolungamento nella musica e nell’ornamento<br />

orchestrale 13 . I propositi già annunciati da Wagner, secondo cui<br />

la musica dovrebbe seguire da vicino una forma librettistica del tutto<br />

simile a quella <strong>di</strong> un dramma teatrale in poesia, senza gli artifici schematici<br />

che si trovavano nel melodramma, trovano soluzione e definizione<br />

nel dramma musicale. La parola musicata (e nel Pelléas parola<br />

in prosa, non in schemi metrici) chiede assoluta priorità sulla musica;<br />

l’orchestra segue un proprio commento in<strong>di</strong>pendente, anche se il compositore<br />

mantiene ancora forti legami con la funzione del canto, quale<br />

intimo e più efficace sbocco alla declamazione 14 .<br />

Lentamente, nel Novecento, si è fatta strada anche l’idea del teatro<br />

<strong>di</strong> regia. Oggi ancora il regista trova molti ostacoli nel proporre una sua<br />

lettura, e li trova nei cantanti, nei <strong>di</strong>rettori d’orchestra, negli impresari,<br />

nella platea, nei palchi, nei loggioni. In verità il regista prima <strong>di</strong> inscenare<br />

la solita opera classica riscopre la fonte letteraria da cui quell’opera<br />

è stata ridotta e tenta <strong>di</strong> liberare la messinscena <strong>di</strong> quell’opera dalla<br />

retorica melodrammatica (così Giorgio Strehler riprende La signora<br />

delle camelie <strong>di</strong> Alexander Dumas figlio per la Traviata; e rilegge<br />

Pierre Augustine Caron de Beaumarchais per Nozze <strong>di</strong> Figaro; o Carlo<br />

Gozzi per L’amore delle tre melarance <strong>di</strong> Sergej Sergeevič Prokof’ev).<br />

13 GUIDO SALVETTI, cit., p. 49.<br />

14 GUSTAVO MARCHESI, L’opera lirica. Guida storico-critica dalle origini al Novecento, Firenze,<br />

Ricor<strong>di</strong>-Giunti, 1986, p. 63.


280 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

La regia inoltre supera il ruolo subalterno che ha la scena rispetto alla<br />

musica e attraverso una lettura interpretativa del testo musicale arriva a<br />

realizzare sulla scena o ciò cui mira la musica o il suo opposto, in maniera<br />

che la musica, protagonista o antagonista, <strong>di</strong>venti sul palcoscenico<br />

azione rappresentata. Ancora, la regia non viene intesa più come ricerca<br />

<strong>di</strong> eleganza, come un operare in esterno, un agghindamento esteriore <strong>di</strong><br />

uno spettacolo, ma <strong>di</strong>venta rinnovamento critico: operazione che pochi<br />

<strong>di</strong>rettori d’orchestra intraprendono (Clau<strong>di</strong>o Abbado, Riccardo Muti) 15<br />

e che invece dovrebbe essere <strong>di</strong> tutti. Insomma nel Novecento la regia,<br />

azione interpretativa, è <strong>di</strong>ventata parte importante del teatro musicale,<br />

e questo in<strong>di</strong>pendentemente dall’in<strong>di</strong>rizzo che in essa si possa esprimere.<br />

E cioè se un Luchino Visconti abbia pre<strong>di</strong>letto l’opera romantica<br />

e Gianfranco Zeffirelli quella crepuscolare, mentre Giorgio Strehler<br />

si sia applicato a quella espressionista (ve<strong>di</strong> la Lulù <strong>di</strong> Alban Berg) e<br />

Virginio Puecher si sia impegnato ad<strong>di</strong>rittura a quella <strong>di</strong> Giacomo<br />

Manzoni, Luciano Berio, Luigi Nono, fino a farsi coautore con Bruno<br />

Maderna (in Hyperion). In ogni caso lo scopo è quello <strong>di</strong> avvicinare il<br />

pubblico alle nuove tendenze operative del teatro musicale, utilizzando<br />

a volte la rilettura <strong>di</strong> un’opera classica anche se la partitura viene eseguita<br />

secondo i moduli classici.<br />

«È vero che l’opera lirica sembra essere morta o quasi, dal momento<br />

che oggi si scrivono e si rappresentano pochissime opere liriche nuove.<br />

Ma è anche vero che la particolare esperienza culturale e artistica<br />

dell’opera lirica è sempre quella (con il valore che aveva cento o duecento<br />

anni fa) e non è cambiata ed è insostituibile e inconfon<strong>di</strong>bile<br />

come lo sono la trage<strong>di</strong>a greca o il dramma elisabettiano» 16 .<br />

L’opinione è <strong>di</strong> Alberto Moravia ed è interessante per due motivi:<br />

primo, perché ci pone <strong>di</strong>nanzi ad un dato <strong>di</strong> fatto: oggi vengono rappresentate<br />

pochissime opere liriche contemporanee; secondo, perché mette<br />

15 O hanno intrapreso con ottimi risultati: Arturo Toscanini, Herbert von Karajan.<br />

16 ALBERTO MORAVIA, Perché l’opera oggi, in «Sipario», cit., p. 3.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 281<br />

in risalto il valore culturale e artistico insostituibile e inconfon<strong>di</strong>bile<br />

ancora oggi dell’opera lirica. Eppure oggi l’opera lirica deve fare i conti<br />

con numerose <strong>di</strong>fficoltà oggettive. Prima fra tutte: l’interesse del pubblico.<br />

La teoria che il melodramma fosse un genere superato avviò un<br />

processo critico a carico del teatro d’opera che fu solo <strong>di</strong>sgregatore.<br />

Dopo la prima e più ancora dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale il pubblico<br />

cominciò a considerare con <strong>di</strong>stacco le manifestazioni operistiche, ponendosi<br />

rispetto ad esse piuttosto come spettatore deferente che come<br />

testimone a cuore caldo: quasi che nel genere gli sia impossibile ricercare<br />

una qualsivoglia attualità, una contingenza spirituale del nostro tempo.<br />

Eppure nell’Ottocento era vivissimo il bisogno <strong>di</strong> vedere nell’opera<br />

un modello <strong>di</strong> comportamento ideale, come del resto nel romanzo: <strong>di</strong><br />

trovare sanciti nell’espressione canora i sogni, i miti, i sentimenti <strong>di</strong> una<br />

società e <strong>di</strong> un’epoca. La vita dell’opera consisteva principalmente<br />

nella produzione quoti<strong>di</strong>ana, corrente, nell’adozione e nel consumo<br />

delle convenzioni melodrammatiche come termini <strong>di</strong> una <strong>di</strong>alettica in<br />

atto. I capolavori medesimi nascevano quali documenti <strong>di</strong> una particolare<br />

contingenza del presente: e solo più tar<strong>di</strong>, a circuito compiuto si<br />

trasformavano, nell’ammirazione dei contemporanei, in collaudati saggi<br />

d’arte: quando cioè la scoperta, l’invenzione, la carica <strong>di</strong>namica in<br />

essi contenuta già aveva agito ed era <strong>di</strong>ventata un fatto <strong>di</strong> pubblico dominio.<br />

In tal modo, passando il melodramma per un continuo processo<br />

evolutivo, si manteneva desto il gusto del pubblico e aperta e prensile<br />

l’attualità. Poggiando sui capolavori consacrati e fermo alle opere <strong>di</strong><br />

ieri, il repertorio corrente perpetua la gloria <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione, ma ne<br />

blocca e insterilisce la continuità. In questo immobilismo, in questa<br />

cristallizzazione del gusto, nella reticenza del pubblico a sintonizzare<br />

tale gusto con le espressioni del linguaggio operistico contemporaneo<br />

sta sostanzialmente la crisi del teatro musicale, nell’equivoco in atto tra<br />

teatro e museo: teatro musicale arduo o incomprensibile per la novità e<br />

operismo da museo <strong>di</strong>ventato facile per assuefazione.<br />

Per scuotere il pubblico da una inerzia che può provocare (o ha già<br />

provocato) nei giovani compositori anche reazioni violente bisogne-


282 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

rebbe passare ad una operazione <strong>di</strong>namica, quella cioè <strong>di</strong> agevolare con<br />

una adeguata formazione musicale, un giu<strong>di</strong>zio più <strong>di</strong>sponibile (né denigrazione,<br />

né esaltazione a tutti i costi) e un tentativo <strong>di</strong> partecipazione<br />

consapevole. Altre <strong>di</strong>fficoltà sono: la non <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> sale (prima<br />

a<strong>di</strong>bite a teatri, poi a cinematografi e infine a maxi-market); il costo degli<br />

spettacoli, la mancanza <strong>di</strong> impresari che portino nella provincia le rappresentazioni;<br />

la concorrenza televisiva che ci porta il teatro a domicilio;<br />

una sofisticata <strong>di</strong>scografia e – infine – i CD-ROM, le video cassette<br />

e i DVD. Là dove le rappresentazioni resistono, perdurano consuetu<strong>di</strong>ni<br />

<strong>di</strong> devozione all’antico, alle vecchie regole, al bel canto. Là si vuole<br />

che i cantanti si muovano sul palcoscenico ancora alla stessa maniera<br />

ammirata dai padri dei nostri padri. Invece, nell’arco del secolo, senza<br />

dubbio, il teatro d’opera (nella librettistica come nella musica e nello<br />

spettacolo) si è rinnovato. Ma a tale modernità il pubblico ha reagito<br />

variamente. Una gran parte ha mollato il tra<strong>di</strong>zionale perché stufo, ma<br />

non si è <strong>di</strong>sposto ad avvicinarsi alla nuova produzione, il cui linguaggio<br />

espressivo e tecnico esige, in verità, nel pubblico una preparazione<br />

culturale superiore alla capacità me<strong>di</strong>a degli spettatori 17 . Un’altra parte<br />

si è opposta al nuovo sban<strong>di</strong>erando il suo melodramma ottocentesco. La<br />

continua richiesta dei capisal<strong>di</strong> del repertorio è sod<strong>di</strong>sfatta cercando <strong>di</strong><br />

rinnovare la forza <strong>di</strong> persuasione delle riproposte esecutive con il ricorso<br />

al meglio della <strong>di</strong>sponibilità in campo registico-interpretativo e scenografico.<br />

L’opera è viva come testo, ma lo è ben più come risultato <strong>di</strong><br />

una esecuzione, ossia nella sua incarnazione attuale. In ogni caso quei<br />

capolavori restano come massimi prodotti del gusto <strong>di</strong> un’epoca. Nel<br />

cartellone, accanto a queste opere, deve sorgere l’esigenza <strong>di</strong> conferire<br />

unità e coerenza ai programmi con l’inserirvi non solo opere il cui riascolto<br />

possa meglio far conoscere il gusto <strong>di</strong> epoche trascorse, ma anche<br />

– e improrogabilmente – nuove produzioni «per l’ovvia ragione – scriveva<br />

17 L’educazione musicale nella scuola primaria e nella me<strong>di</strong>a tutta o è assente o se c’è non è<br />

adeguata ad una inculturazione musicale <strong>di</strong> base tale da poter fruire con consapevolezza del prodotto<br />

musicale in genere o comunque poter accedere dopo la maturità all’università della musica.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 283<br />

già Massimo Mila – che altrimenti il teatro musicale si troverà un bel<br />

giorno a morire d’ine<strong>di</strong>a e d’asfissia». Bisogna dunque affrettare l’avvento<br />

in repertorio <strong>di</strong> nomi come Igor Stravinskij, Ferruccio Busoni,<br />

Arnold Schönberg, Alban Berg, Sergej Prokof’ev, Paul Hindemit, Béla<br />

Bartok, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero, Luigi Dallapiccola,<br />

Goffredo Petrassi, Luigi Nono, Luciano Berio, Bruno Maderna,<br />

Giacomo Manzoni, Salvatore Sciarrino, Franco Mannino, Azio Corghi,<br />

ecc. prima <strong>di</strong> perderci completamente il nostro secolo. Se compositori e<br />

pubblico si incontrano sul terreno del linguaggio e delle richieste, allora<br />

il teatro musicale può continuare ad avere il ruolo <strong>di</strong> un servizio culturale<br />

pur mantenendo la sua identità <strong>di</strong> opera artistica dei nostri tempi.<br />

La problematica emersa in questa carrellata evidenzia che l’interesse<br />

per il libretto, avuto dai compositori nei secoli del melodramma, nell’arco<br />

del Novecento si intreccia paritariamente con l’interesse per un teatro<br />

musicale nel quale il libretto – certamente rinnovato – ha un suo ruolo<br />

come la musica, la scenografìa, la presenza <strong>di</strong> attori, la coreografìa, la<br />

regia. E quin<strong>di</strong> possono continuare ad esserci autori che – facciano da<br />

sé o chiedano collaborazione – traspongono drammi <strong>di</strong> prosa o romanzi<br />

o fiabe o altri generi narrativi in libretto, ovviamente rinnovato nelle<br />

forme e spesso anche nel contenuto (problemi in<strong>di</strong>viduali e sociali o<br />

problematiche ideologiche e religiose). Nel secondo dopoguerra l’evoluzione<br />

del gusto e della cultura musicale portò alcuni compositori ad<br />

avere un <strong>di</strong>sinteresse totale per il libretto (in particolare quelli che hanno<br />

prodotto spettacoli musicali invero bizzarri), ed altri a dare alla librettistica<br />

un più <strong>di</strong>retto valore <strong>di</strong> testimonianza (operando una cernita <strong>di</strong> testi<br />

letterari, or<strong>di</strong>nandoli in uno sviluppo drammatico musicale o utilizzandoli<br />

come input sonori <strong>di</strong> sviluppi musicali) soprattutto a motivo del<br />

progressivo sostituirsi del parlato alla melo<strong>di</strong>a 18 . Un dato certamente<br />

positivo è che da un canto i musicisti hanno maturato una più attenta<br />

consapevolezza delle loro capacità letterarie, e i letterati dal canto loro<br />

18 Cfr. «Sipario», cit., p. 56.


284 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

hanno profuso un più costruttivo interesse verso l’opera stessa. Per l’Italia<br />

sono significativi i nomi <strong>di</strong> Ildebrando Pizzetti, Gabriele D’Annunzio,<br />

Gian Francesco Malipiero, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo,<br />

Riccardo Bacchelli, Eugenio Montale, Luigi Nono, Bruno Maderna,<br />

Luciano Berio, Italo Calvino, Giacomo Manzoni, Edoardo Sanguineti,<br />

ecc. Ma <strong>di</strong> ciò si <strong>di</strong>rà più avanti.<br />

2. Decadentismo e Futurismo.<br />

Fin dai primi decenni l’opera italiana del Novecento, più che come<br />

prodotto della ricerca <strong>di</strong> uno stile e del formarsi <strong>di</strong> una scuola, si presenta<br />

come tendenza eclettica ad<strong>di</strong>rittura anche nella in<strong>di</strong>vidualità dei compositori<br />

19 . Da un lato manifesta una sostanziale continuità con quanto<br />

creato sul finire del secolo precedente e persiste la ricerca della popolarità<br />

sulla linea <strong>di</strong> Pietro Mascagni e <strong>di</strong> Giacomo Puccini. Dall’altro lato<br />

si <strong>di</strong>ffonde tra i giovani autori un <strong>di</strong>chiarato atteggiamento critico nei<br />

confronti del melodramma ottocentesco che nella sua fase estrema, veristica<br />

e naturalistica, era <strong>di</strong>venuto troppo commerciale e falsamente<br />

storico perché teneva un piede nel passato dell’opera europea (stile<br />

franco-italiano-wagneriano <strong>di</strong> fin de siécle) e un piede in quelle impostazioni<br />

culturali e tecniche emergenti, provenienti da paesi lontani<br />

(esotismo: fuori, quin<strong>di</strong>, dalla nostra tra<strong>di</strong>zione).<br />

In un suo pamphlet del 1912, intitolato Puccini e l’opera internazionale,<br />

Fausto Torrefranca (1883-1955) condanna la monocultura trionfante<br />

del teatro d’opera dell’Ottocento, per aver sommerso la polifonia rinascimentale<br />

e la musica strumentale (sinfonia, sonata e musica da camera)<br />

del Sei-Settecento 20 . E richiama, inoltre, l’attenzione sulla ricerca, catalogazione,<br />

acquisizione e rivalutazione del patrimonio musicale antico<br />

(pre-ottocentesco) per riven<strong>di</strong>care – ove fosse opportuno – il primato e<br />

19 LORENZO BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993, p. 90.<br />

20 LORENZO BIANCONI, cit., ivi.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 285<br />

la grandezza dell’Italia anche nel campo della musica strumentale. Torrefranca,<br />

dunque, attacca Puccini come esempio per colpire il mondo<br />

dell’opera perché secondo lui l’opera non può e non potrà mai essere<br />

l’ideale della musica; un altro ideale, invece, andava riscoperto e rimesso<br />

sugli altari. A tal fine porta avanti «l’idealità storica della musica<br />

strumentale», decanta le lo<strong>di</strong> della sonata italiana del Settecento. La<br />

sonata, infatti, è il potere idealistico della musica perché non indebolita<br />

dalla parola o dall’immagine: concretezze, queste, che limitano ciò che<br />

la musica invece da sola può esprimere totalmente 21 .<br />

La convinzione che la musica italiana dovesse costruire la propria<br />

identità, tanto sullo stu<strong>di</strong>o e sull’insegnamento degli antichi maestri,<br />

quanto sulla elaborazione <strong>di</strong> nuove con<strong>di</strong>zioni ed esigenze artistiche,<br />

saldava il recupero del passato con l’esplorazione <strong>di</strong> nuovi originali<br />

terreni formali e linguistici in campo sia musicale, sia letterario e drammatico.<br />

Questa tendenza ad indagare sulle fonti del materiale musicale<br />

esplode nel primo decennio del secolo e accomuna musicologi, compositori<br />

militanti, stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> estetica e letterati. Viene perciò privilegiata<br />

la componente culturale letteraria ed estetica come guida storico-critica<br />

alla scelta e alla sintesi rivitalizzante <strong>di</strong> epoche e <strong>di</strong> autori. Il <strong>di</strong>battito<br />

culturale e intellettuale delle avanguar<strong>di</strong>e spinge la musica a conquistare<br />

un posto organico in un ambito più vasto e ad inserirsi così in un<br />

processo <strong>di</strong> apertura verso le più recenti conquiste europee, senza tuttavia<br />

rinnegare il valore preminente <strong>di</strong> un patrimonio nazionale.<br />

In questo periodo, intorno alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale, tocca alle riviste<br />

fiorentine («La Voce», «La Nuova Musica», «La Critica musicale»,<br />

«Hermes», «Il Regno», «Il Leonardo», «L’Unità», «Lacerba», «Dissonanza»,<br />

«La Rivista Musicale Italiana», «Il giornale storico della letteratura<br />

italiana», ecc.) il compito <strong>di</strong> superare le <strong>di</strong>visioni fra letteratura e<br />

musica. Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini e gli altri, attenti a cogliere<br />

i nuovi fermenti, offrivano ai giovani ospitati (Ildebrando Pizzetti,<br />

21 FAUSTO TORREFRANCA, Puccini e l’opera internazionale, Torino, Fratelli Bocca, 1912, p. X.


286 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Giannotto Bastianelli, Fausto Torrefranca, ecc.) l’occasione <strong>di</strong> un più <strong>di</strong>retto<br />

confronto e non solo. In altri termini, mentre prima soltanto il testo<br />

letterario era considerato contenitore unico e privilegiato <strong>di</strong> portati etici<br />

e sociali, <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> prassi, ora anche la musica poteva prendere<br />

consapevolezza <strong>di</strong> essere fenomeno culturale (arte portatrice <strong>di</strong> idee) alla<br />

pari della letteratura. E i letterati ne convenivano. Praticamente le riviste<br />

fiorentine – e successivamente quelle <strong>di</strong> altre città – sono un privilegiato<br />

luogo d’incontro <strong>di</strong> esperienze e <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, coagulano gruppi <strong>di</strong><br />

intellettuali avanzati e innovativi, propongono nuovi strumenti culturali<br />

(ricerca e riscoperta del passato e della tra<strong>di</strong>zione, esplorazione <strong>di</strong> un orizzonte<br />

più aperto, più europeizzante) tendenti a superare il concetto del<br />

grande artista singolo con una coralità <strong>di</strong> intenti e <strong>di</strong> esperienze. Solo riunendo<br />

queste vicende in<strong>di</strong>viduali in un flusso unitario possiamo trovare gli<br />

elementi <strong>di</strong> connessione con il percorso letterario. Considerare, cioè, alcuni<br />

atteggiamenti dai quali cogliere il senso del nuovo, della modernità.<br />

Convergenze tra musicisti e letterati che spesso si realizzarono davvero<br />

casualmente. Parlando ad esempio <strong>di</strong> Alfredo Casella, Gian Francesco<br />

Malipiero e Ildebrando Pizzetti sappiamo che i tre si sono incontrati per<br />

caso a Parigi nel giugno del 1913 in occasione del Sacre du Printemps<br />

<strong>di</strong> Igor Stravinskij. Qualche giorno dopo Pizzetti avrebbe fatto ascoltare<br />

alcuni brani della Fedra ad un gruppo <strong>di</strong> personaggi illustri ospiti <strong>di</strong><br />

Gabriele D’Annunzio tra cui anche Claude Debussy 22 . In un passo <strong>di</strong><br />

una lettera scritta da D’Annunzio a Gabriel Astruc (impresario amico <strong>di</strong><br />

Marcel Proust) leggiamo:<br />

«L’opera [Fedra] <strong>di</strong> Ildebrando da Parma [Pizzetti] si riallaccia <strong>di</strong>rettamente<br />

e con fedeltà all’opera L’incoronazione <strong>di</strong> Poppea [Montever<strong>di</strong>-<br />

Busenello] e all’Orfeo [Gluck-Calzabigi]. Credete ad un artista che con<br />

tutte le sue forze dopo trent’anni si ricongiunge all’arte severa. Questa<br />

Fedra musicale è un capolavoro d’arte, un getto <strong>di</strong> poesia pura» 23 .<br />

22 GIAN PAOLO MINARDI, Letteratura e musica nel Novecento italiano, in ENZO LAURETTA<br />

(a cura <strong>di</strong>), Pirandello: teatro e musica, Palermo, Palumbo, 1995, p. 11-13.<br />

23 BRUNO PIZZETTI, Ildebrando Pizzetti. Cronologia e Bibliografia, Parma, La Pilotta, 1980, p. 109.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 287<br />

D’Annunzio, insomma, appare subito come colui che intreccia il<br />

<strong>di</strong>fficile tessuto delle relazioni tra il Novecento letterario e quello musicale.<br />

La musica entra nella poetica dannunziana attraverso una gamma<br />

<strong>di</strong> gradazioni che da una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> assimilazione dall’esterno (fino<br />

ad animare internamente la sempre riconosciuta musicalità della sua<br />

poesia) giunge alla funzione <strong>di</strong> regolatore <strong>di</strong> un gusto, <strong>di</strong> una moda.<br />

Eppure Pizzetti negli stessi anni teorizzava la necessità <strong>di</strong> un dramma<br />

musicale contrapposto alla lirica. Perché se il dramma è lo scorrere<br />

continuo degli avvenimenti, la lirica ne è il suo arbitrario arresto, in cui<br />

la musica prevarica con le sue autonome ragioni a scapito della verità<br />

drammatica. Alla musica deve essere data la possibilità <strong>di</strong> rilevare la<br />

profon<strong>di</strong>tà dell’azione oltre i limiti che la parola non può e non potrà<br />

mai varcare. Con questa poetica <strong>di</strong> base Pizzetti temette l’invadenza<br />

del linguaggio dannunziano nei suoi drammi 24 .<br />

In senso stretto l’età del Decadentismo si colloca tra il 1871 e la prima<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale, nel periodo, cioè, in cui avviene definitivamente il<br />

passaggio dall’età moderna a quella contemporanea 25 . Furono i Parnassiani,<br />

tendenti ad una forma poetica espressiva d’impeccabile perfezione,<br />

ad in<strong>di</strong>care in letteratura il Decadentismo. Questo poi si coagulò intorno<br />

alla rivista «Le Dècadent» formando un gruppo <strong>di</strong> poeti e letterati<br />

detti maledetti appunto per la loro <strong>di</strong>versità d’impatto col presente e per<br />

il loro <strong>di</strong>chiarato atteggiamento <strong>di</strong> estraneità alla società e conseguente<br />

24 Cfr. GUIDO SALVETTI, cit, p. 184.<br />

25 Scoperte scientifiche e tecnologiche sono decisive per l’instaurarsi <strong>di</strong> nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vita<br />

(ve<strong>di</strong> l’utilizzazione dell’elettricità e del petrolio). La concentrazione industriale segna la fine della<br />

libera iniziativa. Il capitale salda sempre più la classe politica a quella finanziaria e questa finisce<br />

col determinare la scelta dei governi. La massiccia richiesta <strong>di</strong> mano d’opera provoca emigrazione<br />

sia verso i centri industriali, sia verso il nuovo continente. I principi che avevano ispirato la Rivoluzione<br />

francese vengono praticamente invertiti. L’uguaglianza è negata dalla reale miseria e dallo<br />

sfruttamento cui sono sottoposte le classi operaie. La fratellanza è negata dallo sviluppo coloniale<br />

e dal <strong>di</strong>ffondersi del concetto d’inferiorità <strong>di</strong> tutte le razze che non siano quella bianca. La libertà<br />

viene negata alla stampa (ve<strong>di</strong> la Germania <strong>di</strong> Bismark) e alle associazioni sindacali (ve<strong>di</strong> la repressione<br />

dei Fasci Siciliani o la carica del gen. Bava Beccaris a Milano nel 1898).


288 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

<strong>di</strong>stacco dall’impegno sociale 26 . Il Decadentismo in Italia arriva in ritardo<br />

e viene ad innestarsi sulla delusione giovanile per una realtà lontana<br />

dall’ideale sognato): era il concludersi del Risorgimento che aveva sì<br />

costituito dell’Italia una nazione, ma ancora culturalmente provinciale.<br />

Per questo gli echi del movimento europeo provocarono una spinta<br />

alla sprovincializzazione. D’Annunzio accolse l’aspetto aggressivo del<br />

movimento decadente, Pascoli quello intimistico, Pirandello quello socioesistenziale<br />

27 . La teoria del superuomo <strong>di</strong> Friedrich Wilhelm Nietzsche 28 ,<br />

influenzò la cultura europea e, in Italia, particolarmente D’Annunzio.<br />

Nell’irrazionalismo del tempo si inserisce anche Sigmond Freud con la<br />

sua scoperta della psicoanalisi e quin<strong>di</strong> con la rivalutazione della soggettività.<br />

Lo psicologismo influenzò molto la letteratura (ve<strong>di</strong> l’Ulisse<br />

<strong>di</strong> James Joyce e La coscienza <strong>di</strong> Zeno <strong>di</strong> Italo Svevo).<br />

26 Caposcuola fu considerato Charles Baudelaire (1821-1867) per quella sua vita tesa alla ricerca<br />

<strong>di</strong> sensazioni nuove e para<strong>di</strong>si artificiali (musica, profumi, droga, ecc.) e per la sua poesia volta ad una<br />

espressione irrazionale, musicale e analogica (regolarità <strong>di</strong> formazione delle parole per assimilazione<br />

<strong>di</strong> concetti somiglianti) che prelude al «simbolismo» (la realtà è una foresta <strong>di</strong> simboli che il poeta<br />

deve interpretare). La poetica, elaborata da Paul Verlaine, sancì come punto <strong>di</strong> partenza la sfiducia<br />

nella scienza e nella ragione come strumenti <strong>di</strong> conoscenza e privilegiò la musicalità del verso rispetto<br />

al significato della parola (influenzato in ciò dalla poesia <strong>di</strong> Wagner). Jean Arthur Rimbaud aggiunse<br />

la necessaria fusione tra arte e vita e il poeta fu in<strong>di</strong>cato come l’esemplare modello del ribelle, del veggente<br />

che sa cogliere il significato segreto delle cose. Dinanzi alla delusione del verismo e del realismo<br />

veniva ora esaltato lo spirito dell’irrazionale. La sintesi <strong>di</strong> queste varie esperienze avvenne nel<br />

Simbolismo (1866), <strong>di</strong> cui fu teorico Etiénne Mallarmé, che sottopose la poesia ad un processo <strong>di</strong><br />

smaterializzazione, depurando le parole dalle scorie dell’uso comune. I poeti decadentisti e simbolisti,<br />

inoltre, elaborarono una tecnica espressiva sempre più svincolata dagli schemi metrici, capace <strong>di</strong><br />

superare la <strong>di</strong>stinzione formale tra prosa e poesia e capace <strong>di</strong> procedere per assonanza e analogia.<br />

27 Cfr. GUIDO SALVETTI, cit, p. 97-101.<br />

28 Nietzsche, partendo dall’analisi dell’origine della trage<strong>di</strong>a greca, perviene a <strong>di</strong>stinguere<br />

nell’uomo la compresenza <strong>di</strong> due spiriti, che egli chiama, riferendosi a due <strong>di</strong>vinità del pantheon<br />

greco, apollineo e <strong>di</strong>onisiaco. Il primo è lo spirito razionale (espresso da Apollo, <strong>di</strong>vinità solare<br />

e olimpica), il secondo è lo spirito della volontà <strong>di</strong> azione e <strong>di</strong> potere, della istintualità creativa<br />

dell’uomo (sintetizzato in Dioniso, <strong>di</strong>vinità della terra e dell’ebbrezza). Secondo Nietzsche, nella<br />

storia occidentale, a partire da Socrate, attraverso Cristo e il cristianesimo, fino all’età della borghesia,<br />

lo spirito apollineo ha soffocato quello <strong>di</strong>onisiaco appiattendo nella me<strong>di</strong>ocrità la vita dell’uomo<br />

e soffocandone quello spirito primor<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> forza che si realizza pienamente solo nel superuomo.<br />

Al <strong>di</strong> fuori della morale comune, «al <strong>di</strong> là del bene e del male», senza pietà per i deboli, compito<br />

del superuomo è quello <strong>di</strong> realizzare un’ umanità nuova. La teoria del superuomo non è certamente<br />

tutta con<strong>di</strong>visibile, soprattutto in quella parte che fu alterata e forzata a fini antidemocratici e che<br />

produsse e produce ancora estremismi e genoci<strong>di</strong> non tollerabili.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 289<br />

Sotto lo stimolo delle contemporanee esperienze letterarie e figurative<br />

si innestano anche in musica momenti decadenti, intesi come processi<br />

<strong>di</strong> reazione al tardo-romanticismo 29 e <strong>di</strong> revisione della poetica e<br />

del linguaggio musicale. Giannotto Bastianelli (1883-1927), letterato e<br />

compositore, nel saggio La crisi musicale europea (1912) 30 sostiene che<br />

tutta la musica contemporanea poteva essere valutata sotto il concetto<br />

<strong>di</strong> Decadentismo. Concetto assunto per la musica con un bel po’ <strong>di</strong> ritardo,<br />

come d’altronde in ritardo era arrivato in Italia il Decadentismo<br />

letterario, mentre già nelle arti figurative e nella musica in Germania si<br />

parlava <strong>di</strong> Jugendstyl e in Francia <strong>di</strong> Art-Nouveau.<br />

In questo clima ideologico culturale si affacciano alla ribalta quei musicisti<br />

che, per primo, Bastianelli in<strong>di</strong>cò come la Generazione dell’Ottanta<br />

31 , accomunati oltre che anagraficamente anche dal medesimo obiettivo,<br />

quello <strong>di</strong> elevare la musica italiana sul piano culturale, rinnovarla alla<br />

luce dei risultati e delle ricerche sul materiale antico e aprirla alla civiltà<br />

europea, pur col desiderio <strong>di</strong> creare uno stile proprio, un’identità nazionale<br />

32 : Ottorino Respighi (1879-1936), Ildebrando Pizzetti (1880-1968),<br />

Gian Francesco Malipiero (1882-1973), Alfredo Casella (1883-1947).<br />

La riscoperta del passato remoto nella musica italiana, stimolata dalla<br />

eru<strong>di</strong>zione e senza trascurare la componente estetica in ogni produzione<br />

artistica (arte come bello: nelle forme, nel linguaggio, nella misura, nella<br />

29 Di cui Gustav Mahler, in Europa, rappresenta il momento <strong>di</strong> massima estenuazione. Appunto<br />

sulla base <strong>di</strong> una impostazione razionalistica si comprende il valore che in Mahler ha sempre<br />

il testo: intorno alla parola (la voce umana è voce del poeta) la musica stende orizzonti sterminati<br />

dalle profonde significazioni. Ed ecco giustificata la grande estensione delle masse corali e orchestrali<br />

chiamate ad evocare mon<strong>di</strong> lontani dal banale e dal quoti<strong>di</strong>ano. Il programma o il testo non<br />

sono per lui la subor<strong>di</strong>nazione del suono alla parola o all’immagine, ma lo scorrere stesso della fantasia<br />

sonora del musicista (Cfr: GUIDO SALVETTI, cit, pp. 99-100).<br />

30 GIANNOTTO BASTIANELLI, La crisi musicale europea, Firenze, Vallecchi, 1976.<br />

31 Massimo Mila in una lettera dell’11 giugno 1985 in<strong>di</strong>rizzata a Gian Paolo Minar<strong>di</strong> sostiene<br />

d’avere inventata lui l’espressione Generazione dell’Ottanta per la prima volta in Breve Storia<br />

della Musica, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1946. Ve<strong>di</strong> GIAN PAOLO MINARDI, cit., p. 12, nota 4.<br />

32 SERGIO SABLICH, Il Novecento. Dalla «generazione dell’80» a oggi, in ALBERTO ASOR ROSA<br />

(a cura <strong>di</strong>), Poesia e Musica, vol. VI della Letteratura italiana, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1986, p. 411.


290 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

funzione, ecc.) si alimentò poderosamente del gusto dannunziano, imperante<br />

nella cultura letteraria e nel mondo artistico dell’anteguerra 33 .<br />

Il gusto e lo stile <strong>di</strong> un autore non si formano dall’oggi al domani<br />

e per scelta predeterminata, ma lentamente e grazie anche alle varie occasioni<br />

culturali che segnano via via la sua maturazione. Gabriele<br />

D’Annunzio (1863-1938) recupera le sue propensioni musicali man<br />

mano che scrive i suoi elzeviri per «Tribuna». Il contatto col mondo<br />

germanico (Wagner e Nietzsche in primis) e quello francese (il ‘maledetto’<br />

Paul Verlaine, ‘la parole intellectuelle’ 34 <strong>di</strong> Etiénne Mallarmé, il<br />

Debussy <strong>di</strong>rompente, lo storico e musicologo Romain Rolland, ecc.)<br />

unitamente alla riscoperta della musica ‘antica’ italiana spingono D’Annunzio<br />

ad attuare nei suoi romanzi Piacere (1888), L’innocente (1892),<br />

Trionfo della Morte (1894) un proce<strong>di</strong>mento narrativo <strong>di</strong> natura musicale<br />

simile allo stile che egli va rilevando nella lettura del testo poetico<br />

e nel ripetuto ascolto della musica delle opere wagneriane. Un proce<strong>di</strong>mento<br />

che risulta sicuramente simbolistico e decadente. Un numero,<br />

inizialmente non elevato ma poi aumentato, <strong>di</strong> idee particolarmente<br />

pregnanti sotto il profilo narrativo-melo<strong>di</strong>co assunte a simbolo <strong>di</strong> una<br />

situazione o <strong>di</strong> un personaggio, vi ricompaiono dapprima qua e là, ciclicamente,<br />

a segnalarne il ritorno (o la memoria), fino a <strong>di</strong>venire fondamento<br />

della costruzione narrativa 35 . Così D’Annunzio entra nella fila<br />

dei wagneriani militanti dei quali con<strong>di</strong>viderà la <strong>di</strong>mensione europeistica<br />

e l’orientamento decadente 36 . Ma, certamente influenzato dal romanzo<br />

wagneriano <strong>di</strong> produzione francese, e soprattutto sulla scia del<br />

superuomo <strong>di</strong> Nietzsche, egli si sente il genio latino investito <strong>di</strong> un particolare<br />

compito: traslare il linguaggio orchestrale <strong>di</strong> Wagner, quel suo<br />

33 GIOACCHINO LANZA TOMASI, Il gusto musicale <strong>di</strong> D’Annunzio e il dannunzianesimo musicale,<br />

in PIERO SANTI (a cura <strong>di</strong>), Musica italiana del primo Novecento, Firenze, Olschki, 1981, pp. 393-403.<br />

34 ADRIANA GUARNERI CORAZZOL, Tristano, mio Tristano. Gli scrittori italiani e il caso Wagner,<br />

Bologna, Il Mulino, 1988, p. 212.<br />

35 Per esempio un tema esposto in un periodo <strong>di</strong> due incisi (un antecedente A ed un conseguente<br />

B) si ripresenta in ripresa caudata (AA 1 e BB 1 ).<br />

36 Cfr. ADRIANA GUARNERI CORAZZOL, cit, pp. 9-29.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 291<br />

incessante gioco <strong>di</strong> Leitmotive, in linguaggio letterario 37 , creare insomma<br />

una versione romanzesca del dramma musicale wagneriano. Già<br />

in Trionfo della Morte e finalmente col romanzo Il Fuoco (1900) D’Annunzio<br />

cerca attraverso Wagner la nuova opera italiana che abbia come<br />

motivo conduttore la superiorità dell’arte italiana su quella tedesca, la<br />

schietta melo<strong>di</strong>a popolare me<strong>di</strong>terranea contro la cerebrale polifonia armonica<br />

‘nor<strong>di</strong>ca’ del Parsifal. D’Annunzio, dunque, in nome dell’opera<br />

totale, per mezzo <strong>di</strong> continui ritorni in circolo del materiale verbale,<br />

intraprende lo scar<strong>di</strong>namento del suo sistema espressivo e si <strong>di</strong>rige<br />

verso nuove più autentiche acquisizioni conoscitive, tecniche e tematiche<br />

fino a creare una prosa plastica e musicale 38 : limatura della lingua<br />

che continuerà anche dopo aver superato il wagnerismo. È il periodo<br />

nel quale Fausto Torrefranca, Giannotto Bastianelli e Raffaello De Rensis<br />

– pur continuando a riconoscere la grandezza <strong>di</strong> Wagner – auspicano<br />

un superamento <strong>di</strong> lui e sollecitano l’avvento del dramma musicale<br />

italiano dell’avvenire. In questo rinnovarsi del nazionalismo musicale<br />

D’Annunzio che prima <strong>di</strong>sprezzava ‘la giovane scuola italiana’ ora<br />

37 Il termine Leitmotiv è stato coniato appositamente per il noto proce<strong>di</strong>mento wagneriano, ma<br />

secondo Carl Dahlhaus tale proce<strong>di</strong>mento era già prefigurato nel dramma <strong>di</strong> Shakespeare, principalmente<br />

nella sua forma aperta. Quanto più autonoma si presenta la singola scena o la singola situazione<br />

e quanto meno essa appare come funzione del tutto, tanto più spontaneo <strong>di</strong>viene ricostruire<br />

o in<strong>di</strong>care una connessione legando tra loro le singole parti attraverso metafore ricorrenti o parole<br />

capaci <strong>di</strong> rimanere impresse. Dunque il Leitmotiv è originariamente un proce<strong>di</strong>mento poetico che<br />

trova sviluppo nella musica più che nella letteratura stessa, la quale, per ovvie ragioni, sopporta<br />

soltanto un minimo grado <strong>di</strong> ripetizione. (CARL DAHLHAUS, La concezione wagneriana del dramma<br />

musicale, Firenze, Discanto, 1983, p. 28).<br />

38 Nel Fuoco è possibile incontrare una duplice e <strong>di</strong>versa musicalità. Prevalentemente nella<br />

prima fase del romanzo lo scrittore tenta <strong>di</strong> introdurre una prosa musicale per mezzo <strong>di</strong> tecniche<br />

proprie dell’oratoria, giungendo quin<strong>di</strong> alla creazione <strong>di</strong> pagine sonore ed altisonanti. Ma via via,<br />

attraverso un <strong>di</strong>ssolvimento delle strutture logico-narrative, D’Annunzio giunge ad un comporre<br />

puramente musicale nel quale domina un senso <strong>di</strong> meraviglia e <strong>di</strong> soffusa malinconia. La stessa<br />

materia verbale appare rarefatta ed alleggerita, capace <strong>di</strong> piegarsi ad ogni più sottile mutamento<br />

interiore, fino alla scoperta del valore musicale del silenzio. La musicalità della sua prosa, ricca<br />

<strong>di</strong> una scelta sapiente <strong>di</strong> vocaboli sonori ed eloquenti, si accresce infatti <strong>di</strong> un particolare uso della<br />

punteggiatura, volto sia a scan<strong>di</strong>re ritmicamente i perio<strong>di</strong>, sia a sottolineare, con dei silenzi, determinati<br />

pensieri. (ANNAMARIA D’AMATO, Influenze wagneriane ne «Il fuoco» <strong>di</strong> G. D’Annunzio, in<br />

«Il Monocordo», anno 2°, 1997, n.3/4, maggio/settembre, pp. 49-56).


292 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

tenta con quei musicisti un approccio 39 . Plaude all’Iris <strong>di</strong> Pietro Mascagni<br />

su libretto <strong>di</strong> Luigi Illica e propone al musicista una collaborazione.<br />

Collaborazione liquidata da Ferruccio Busoni con espressione lapidaria:<br />

molte parole e pochi fatti. Con Puccini progetta più <strong>di</strong> un soggetto<br />

drammatico, ma non ne realizza neanche uno. Ottorino Respighi resta<br />

solo intimorito da un confronto con D’Annunzio, per lui troppo impegnativo.<br />

Con Gian Francesco Malipiero D’Annunzio fece la sola esperienza<br />

giovanile del Sogno <strong>di</strong> un tramonto d’autunno, con<strong>di</strong>videndo<br />

con lui la passione per i preziosismi linguistici. Allora il ‘vate’ s’impegna<br />

nella produzione <strong>di</strong> drammi teatrali: La Nave (1905), La Figlia<br />

<strong>di</strong> Jorio (1906), Parisina (1913), La Pisanella (1913), Francesca da<br />

Rimini (1914), Fedra (1915), riecheggiando ora la passione del Tristano<br />

e Isotta, ora il sublime gesto <strong>di</strong> Brunilde del Crepuscolo degli dei,<br />

ora i riti del Parsifal. Ecco allora i musicisti farsi avanti. Non cercavano<br />

un librettista alla vecchia maniera. La musica operistica aveva ormai<br />

bisogno <strong>di</strong> sostanziarsi del dramma e finalmente c’era chi scriveva<br />

‘drammi’ adattabili anche ad un teatro musicale! L’influenza postuma<br />

<strong>di</strong> Wagner si estendeva non tanto al contenuto (soggetto mitico) quanto<br />

all’idea strutturale <strong>di</strong> libretto come opera innanzitutto <strong>di</strong> un drammaturgo,<br />

meglio se questo fosse insieme compositore. Pizzetti scrive le musiche<br />

<strong>di</strong> scena (1908) per la trage<strong>di</strong>a La Nave. E comunque ad Alberto<br />

Franchetti (1860-1942) a malapena D’Annunzio consentì <strong>di</strong> ritoccare<br />

e musicare La Figlia <strong>di</strong> Jorio (1906). Lasciò che Tito Ricor<strong>di</strong> traesse<br />

dalla sua Francesca da Rimini un omonimo libretto che Riccardo Zandonai<br />

musicò nel 1914. Permise a Ildebrando Pizzetti <strong>di</strong> adattare e musicare<br />

Fedra. Tre rari esempi <strong>di</strong> una specie operistica che il melodramma<br />

italiano non aveva mai trattato, e cioè l’Opéra <strong>di</strong>alogué dei russi o la<br />

Literaturoper dei tedeschi, tentata in precedenza dall’eclettico Mascagni<br />

nello stravagante Guglielmo Ratcliff (1895) sulla traduzione italiana<br />

in endecasillabi della trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Heinrich Heine 40 . A Mascagni offrì il<br />

39 GIAN PAOLO MINARDI, cit., p. 14.<br />

40 LORENZO BIANCONI, cit., p. 91.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 293<br />

libretto rinascimentaleggiante della sua più pretenziosa opera Parisina<br />

(1913), ambizioso progetto poetico-musicale <strong>di</strong> creare «col più me<strong>di</strong>terraneo<br />

dei musicisti» il dramma musicale wagneritaliano. In effetti il<br />

libretto richiama Tristano e Isotta, lo parafrasa abbondantemente in un<br />

puro linguaggio da melodramma (e in questo è decadente), ed è risonante<br />

<strong>di</strong> cori, usignoli e litanie mariane (e in questo è italianissimo). In<br />

realtà le risposte musicali sono tra loro contrad<strong>di</strong>ttorie. Sulla pietra <strong>di</strong><br />

paragone dei versi dannunziani, della loro mistificazione simbolistica,<br />

della loro sonorità sgargiante, i musicisti italiani reagiscono in maniera<br />

antitetica. Mascagni e Zandonai col lusso sonoro, la ridondanza melo<strong>di</strong>ca<br />

e un colorito da antiquario.<br />

Giannotto Bastianelli, che pure considerava gretto il verismo, <strong>di</strong>ce<br />

<strong>di</strong> Mascagni che è un musicista <strong>di</strong> grande interesse perché si sentiva<br />

attratto dalla freschezza e dalla sana genuinità popolare <strong>di</strong> Cavalleria<br />

rusticana, doti imme<strong>di</strong>atamente contrapposte alle ‘malaticce sofferenze<br />

e agli spasimi sa<strong>di</strong>stici’ <strong>di</strong> Richard Strauss e Claude Debussy 41 . E tuttavia<br />

Pietro Mascagni esteriorizza la trage<strong>di</strong>a dannunziana e si immedesima<br />

nelle situazioni <strong>di</strong> un estremismo visionario e sfocato rendendone<br />

partecipe un linguaggio musicale legato ai gran<strong>di</strong> gesti melodrammatici<br />

e alle pose veristiche. La musica <strong>di</strong> Riccardo Zandonai sembra piuttosto<br />

voler contemplare e sfumare i contorni della trage<strong>di</strong>a per cogliere la<br />

pregnanza dei simboli e il languore dei personaggi. Certo è più matura<br />

la Francesca da Rimini che Zandonai <strong>di</strong>ede al Regio <strong>di</strong> Torino l’anno<br />

dopo (1914), nella quale opera una ricostruzione neogotica del testo<br />

dannunziano, con mescolanza <strong>di</strong> preziosi arcaismi <strong>di</strong> linguaggio, crudeltà<br />

e sensualità estetizzante, virtuosistica poesia <strong>di</strong> colori, il piacere<br />

della pittura, anzi del pittoricismo, fatta a colpi <strong>di</strong> luci e <strong>di</strong> tinte: tutto<br />

rappresentava il crepuscolo del verismo 42 .<br />

41 GIAN PAOLO MINARDI, cit., p. 22.<br />

42 Notevole, nel primo atto della Francesca da Rimini, prima rappresentazione, la lunga scena<br />

dell’innamoramento a vista, tutta occhiate e niente canto, sullo sfondo <strong>di</strong> una orchestrazione arricchita<br />

<strong>di</strong> strumenti antichi. Nella seconda rappresentazione si notano belle soluzioni timbriche, belle


294 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Il rapporto <strong>di</strong> Pizzetti e <strong>di</strong> Malipiero con D’Annunzio appare il più significativo<br />

dell’azione esercitata dal poeta sul panorama musicale dei primi<br />

del Novecento. Prova significativa ne è I Pastori, lirica magistrale nella<br />

quale una melo<strong>di</strong>a, che ha tutto il sapore <strong>di</strong> arabesco, stilizzata e ornata<br />

insieme, riesce ad esprimere una tensione drammatico-pastorale. Questa<br />

operazione dannunziana è del tutto nuova e per nulla ottocentesca, riprova<br />

che Pizzetti si proiettava verso il Novecento e non solo letterario. Questo<br />

tipo <strong>di</strong> influenza costituisce il filo sottile, <strong>di</strong>scriminante tra «alto dannunzianesimo»<br />

(Pizzetti, Malipiero, Debussy) e «basso dannunzianesimo»<br />

(Mascagni, Zandonai, Italo Montemezzi): <strong>di</strong>scrimine tra nuovo e vecchio,<br />

dunque. Pertanto <strong>di</strong>versi sono i due paesaggi, quello letterario, espresso da<br />

più tendenze, e quello musicale, ancora chiuso in esperienze singole 43 .<br />

Quanto a Pizzetti tutta la sua attività <strong>di</strong> scrittore è influenzata dal<br />

modello dannunziano – un D’Annunzio visto però negli aspetti estremisticamente<br />

‘letterari’ – e scorre parallela all’uso dei testi del poeta per i<br />

propri ‘drammi lirici’. L’umanesimo spiritualista <strong>di</strong> Pizzetti si traduce<br />

in un raffinato arcaismo (anche musicale) che si ripercuote anche nei<br />

moduli espressivi aulici, nel decoro austero con cui viene posto in musica<br />

il testo letterario. Anche per Pizzetti, parafrasando Debussy, la musica<br />

interviene là dove si arresta la poesia, la musica <strong>di</strong>venta traduzione<br />

dei sentimenti evocati dal dramma 44 . All’uso <strong>di</strong> un linguaggio letterario<br />

ricercatamente appariscente Pizzetti oppone una vocalità <strong>di</strong>messa, una<br />

sillabazione austera e ascetica, un’assistenza melo<strong>di</strong>ca contemplativa e<br />

ad<strong>di</strong>rittura penitenziale, il suono si riduce a rarefatto alone armonico<br />

e timbrico per la parola, <strong>di</strong> cui il monocorde declamato perlustra ogni<br />

sfumatura. In Fedra, un’opera tragica in tre atti (dall’Ippolito <strong>di</strong> Euripide),<br />

che risente della forte impronta lasciata dal Pelléas e da Debussy<br />

in genere sulla «Generazione dell’80», il solo momento che indulga al<br />

linee <strong>di</strong> canto e bella declamazione, che richiamano il wagnerismo, il debussysmo e lo straussismo<br />

italico-verista, con echi alla russa, ma <strong>di</strong> segno popolare e con impianto globale ancora ver<strong>di</strong>ano.<br />

GUSTAVO MARCHESI, cit, p. 66.<br />

43 GIAN PAOLO MINARDI, cit., p. 16-17.<br />

44 ILDEBRANDO PIZZETTI, La musica e il dramma, Roma, La Bussola, 1945, pp. 27-52; 225-233.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 295<br />

lirismo e alla commozione spianata è la corale Treno<strong>di</strong>a per Ippolito<br />

morto, ma è cantata a sipario chiuso. Non sorprende che, in D’Annunzio,<br />

Pizzetti abbia trovato una varietà e ricchezza <strong>di</strong> quegli elementi<br />

poetici che quasi <strong>di</strong> per se stessi si prestano ad essere tradotti in musica.<br />

La lunga fedeltà a D’Annunzio (dopo la Nave e la Pisanella Pizzetti vi<br />

sarebbe tornato nel 1954 con la Figlia <strong>di</strong> Jorio) significava il riconoscimento<br />

sottinteso <strong>di</strong> un magistero che Pizzetti avrebbe stentato a ricreare<br />

nella <strong>di</strong>sadorna linearità dei drammi da lui stesso ridotti a libretto<br />

(Debora e Joele, 1922; Fra Gherardo, 1928, L’assassinio nella Cattedrale,<br />

1958 45 , Clitennestra, 1965).<br />

Un interessante lavoro teatrale <strong>di</strong> D’Annunzio fu Le Martyre de<br />

Saint Sébastien (1911) che Debussy completò con musiche <strong>di</strong> scena. In<br />

quanto ibrido, oratorio-libretto e dramma, il lavoro serviva ad abbattere<br />

le barriere tra l’opera e gli altri generi <strong>di</strong> teatro musicale. Come <strong>di</strong> fatto<br />

avvenne poi nel resto del Novecento anche con intenzioni <strong>di</strong>verse.<br />

Il verismo-naturalismo è ormai alle spalle <strong>di</strong> altri autori <strong>di</strong> teatro<br />

(Sem Benelli 46 , Ferruccio Busoni, ecc.) e <strong>di</strong> librettisti <strong>di</strong> professione già<br />

da tempo in attività, tra i quali Luigi Illica 47 .<br />

45 Assassinio nella cattedrale è tratto dal dramma <strong>di</strong> Thomas Stearns Eliot: Murder in the<br />

Cathedral (1935). Pizzetti ha sensibilmente sfrondato il testo eliotiano, nella traduzione italiana <strong>di</strong><br />

Alberto Castelli, e l’ha versificato in modo convincente, con una veste ritmica <strong>di</strong> endecasillabi e<br />

settenari, allestendo così per la propria musica una riduzione italiana che risulta migliore <strong>di</strong> quella<br />

del Castelli. (Cfr. ROBERTO ZANETTI, La musica italiana del Novecento II, in «Storia della musica<br />

italiana da Sant’Ambrogio a noi», Busto Arsizio, Bramante, 1985, pp. 1355-1360). Thomas Becket<br />

è un pre<strong>di</strong>catore arcivescovo, che non usa mo<strong>di</strong> impositivi <strong>di</strong> capo, bensì quelli pacati <strong>di</strong> un apostolo<br />

votato alla testimonianza fino morte, or<strong>di</strong>nata dal suo re e amico Enrico II, dopo la quale le sue<br />

parole sosterranno ancora i poveri. Ne scaturisce una figura come fuori dal tempo, figura che<br />

Pizzetti italianizza quanto basta per conferire alla storia un significato conflittuale: devozionale,<br />

casto, arrendevole da un lato, e bieco, sguaiato, truculento nelle figure dei persecutori dall’altro<br />

(Cfr. GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 101).<br />

46 Interessanti e famosi due libretti <strong>di</strong> Sem Benelli. L’amore dei tre re (1913, per Italo Montemezzi),<br />

con la sua evocazione del leggendario passato italiano, le sue forti caratterizzazioni e il suo<br />

simbolismo messo in sor<strong>di</strong>na, richiama i drammi <strong>di</strong> Maeterlinck. La cena delle beffe (1924, per<br />

Umberto Giordano) unisce lo spirito della comme<strong>di</strong>a ad un veristico humour nero in cui il comico<br />

sconfitto prende la sua rivincita sul tormentatore, facendolo becco e combinando che uccida il suo<br />

stesso fratello, il che lo rende pazzo.<br />

47 Illica (1857-1919), lavorò con Puccini (Bohéme, 1896, Tosca, 1900, Butterfly,1904) e con<br />

molti altri. Per quanto aperto a tutte le problematiche sociali e culturali che si aggrovigliavano in


296 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

In verità in questo periodo si assiste alla produzione <strong>di</strong> libretti dai<br />

più <strong>di</strong>sparati caratteri. Ecco infatti libretti mistici o misticizzanti, ispirati<br />

alla Bibbia e alla vita dei santi, ecco libretti rievocanti miti e leggende<br />

<strong>di</strong> paesi esotici e lontani (dal poema in<strong>di</strong>ano Kalidasa Franco Alfano<br />

trae La leggenda <strong>di</strong> Sakuntala, 1921); ecco altri svolgere motivi popolareschi<br />

regionali quasi folcloristici, e altri soggetti fiabeschi, caricaturali,<br />

grotteschi 48 .<br />

Parallelamente alle correnti confluite nel decadentismo (simbolismo,<br />

estetismo, ecc.) si producono in questo stesso periodo movimenti <strong>di</strong><br />

avanguar<strong>di</strong>a che intenzionalmente si rivolgono ad altro che non sia tra<strong>di</strong>zione,<br />

dal momento che ritengono le precedenti esperienze culturali e<br />

artistiche (quin<strong>di</strong> anche musicali) biologicamente esaurite. In verità gli<br />

iniziatori <strong>di</strong> questi movimenti vivono in un periodo <strong>di</strong> crisi sociale e<br />

quin<strong>di</strong> tentano <strong>di</strong> reagire proiettandosi il più possibilmente in avanti,<br />

senza un particolare archetipo da seguire. Solo molto più tar<strong>di</strong> si potrà<br />

osservare che in realtà il contrasto è apparente e che a precedenti iniziative<br />

essi attingono con naturalezza, come è naturale che il giorno si avvicen<strong>di</strong><br />

alla notte e così via. Le due <strong>di</strong>rezioni fondamentali in cui si concentra<br />

la reazione sono: quella dei crepuscolari, che oppone ai miti decadenti<br />

la prosaica vita quoti<strong>di</strong>ana, provinciale, <strong>di</strong>messa, amata e ironizzante<br />

nello stesso tempo; quella dei futuristi, che pre<strong>di</strong>ca il ripu<strong>di</strong>o delle forme<br />

tra<strong>di</strong>zionali, ponendosi come movimento d’avanguar<strong>di</strong>a. Ribelli isolati<br />

vengono detti i poeti Dino Campana, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti<br />

e gli scrittori Luigi Pirandello, Italo Svevo, ecc.<br />

quel tempo, incentra il libretto sulla storia d’amore e sui tocchi sentimentali, come quando (in Germania,<br />

1902, per Alberto Franchetti) una madre (Luisa, regina <strong>di</strong> Prussia) dona l’ultimo figlio alla<br />

patria perché ne faccia un soldato (e solo allora la lite fra le due nazioni in lotta per la libertà della<br />

Germania si conclude). Provvede inoltre a includere copiose dettagliate in<strong>di</strong>cazioni sceniche e<br />

giustificazioni storiche nel libretto medesimo, e altri elementi <strong>di</strong> genere che egli voleva non andassero<br />

perduti nella messinscena: vuoi la simbolica vita <strong>di</strong> un artista (Bohéme) o la verosimiglianza<br />

storica (Siberia, 1903, per Umberto Giordano, dove i campi <strong>di</strong> prigionia vengono spazzati dalla neve;<br />

Isabeau, 1911, per Pietro Mascagni, la cui ingenuità <strong>di</strong> rappresentazione crea un vero e proprio<br />

alone <strong>di</strong> leggenda, appunto quella <strong>di</strong> Lady Go<strong>di</strong>va).<br />

48 GIOVANNI CINQUE, Il libretto musicale dall’ultimo decennio del sec. XIX ad oggi, in «Agimus»,<br />

XXVI, 3-4, febbraio-maggio 1981, pp. 2-3.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 297<br />

La qualificazione crepuscolare venne data dal critico letterario Giuseppe<br />

Antonio Borgese su La Stampa, nel 1910. Essa veniva riferita al<br />

tramonto della grande tra<strong>di</strong>zione poetica italiana che, secondo il Borgese,<br />

era imperniata su Pascoli e D’Annunzio. I crepuscolari (Marino Moretti,<br />

Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves, Guido Gozzano, Sergio Corazzini,<br />

Carlo Govoni, ecc.), all’insegna della <strong>di</strong>sillusione ripiegavano su tematiche<br />

intimistiche e su strutture formali già da altri volutamente trascurate:<br />

quali una stu<strong>di</strong>ata sciatteria, una sintassi prosaica, un verso ritmicamente<br />

insipido. La semplicità viene assunta a progetto. All’amore e<br />

alla gloria, cantate da D’Annunzio, si sostituisce un inventario <strong>di</strong> oggetti<br />

poetici minimi tratti dalla vita <strong>di</strong> provincia o dagli ambienti piccoloborghesi<br />

(ve<strong>di</strong> la faccia buona e casalinga della Signorina Felicità <strong>di</strong><br />

Gozzano). Ma al <strong>di</strong> là della reazione polemica i crepuscolari sono ancora<br />

in piena crisi decadente.<br />

Il futurismo (1909-1944), invece, fu un movimento artistico-letterario<br />

dai contorni precisi, con tanto <strong>di</strong> capo storico e <strong>di</strong> manifesti programmatici<br />

49 . Il futurismo comprese tutte le espressioni artistiche, dalla<br />

pittura alla scultura, dalla letteratura alla poesia, dal teatro al cinema e<br />

alla musica e contemplò anche la moda, l’arredamento, l’oggettistica.<br />

Il grande slancio riformistico impresso dal fondatore Filippo Tommaso<br />

Marinetti ebbe quale data <strong>di</strong> nascita quella del Manifesto pubblicato sul<br />

«Figaro» il 20 febbraio 1909. Nel Manifesto erano contenute, ancora in<br />

germe, tutte le enunciazioni teoriche: rottura col passato (passatismo),<br />

polemica contro l’accademismo, celebrazione del <strong>di</strong>namismo e della<br />

civiltà meccanica 50 , esaltazione dell’energia e della aggressività 51 e,<br />

49 La riscoperta del futurismo è un fenomeno recente nella storiografia artistico-culturale italiana.<br />

50 Marinetti mitizzava la velocità <strong>di</strong> un’automobile da corsa fino a ritenerla più eccitante della<br />

bellezza classica che si può osservare in una statua del migliore periodo greco<br />

51 Ritennero la guerra come sola igiene del mondo, e furono interventisti nella prima guerra<br />

mon<strong>di</strong>ale; il mito dell’azione e della violenza portò successivamente il movimento a sostenere il<br />

fascismo. Con l’avvento dei regimi totalitari la vicenda dei futuristi vide la fine, almeno come<br />

movimento, e perse per strada molti dei suoi adepti. Marinetti stesso venne nominato accademico<br />

d’Italia.


298 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

infine, in letteratura <strong>di</strong>struzione della sintassi tra<strong>di</strong>zionale e della metrica<br />

a favore <strong>di</strong> una imme<strong>di</strong>atezza e sincerità <strong>di</strong> espressione, anche<br />

quando ciò si traduceva in libere associazioni <strong>di</strong> idee oltre i livelli <strong>di</strong><br />

razionalità e verosimiglianza e con parole poste in libertà, che richiamano<br />

la tecnica degli spazi bianchi <strong>di</strong> Etiénne Mallarmé per accelerare o<br />

rallentare il movimento della parola.<br />

Sono questi gli anni anche del Cubismo (Les demoiselles d’Avignon<br />

<strong>di</strong> Pablo Picasso, 1907), che propugna il principio della scomposizione<br />

delle immagini naturali e della loro ricostruzione razionalmente<br />

controllata. La lezione alimenta le avanguar<strong>di</strong>e letterarie e arriva al<br />

teatro musicale sicuramente in modo più efficace delle proclamazioni<br />

programmatiche fatte nel Manifesto dei musicisti futuristi (1910) e<br />

nel Manifesto tecnico della musica futurista (1911). Ennesima riprova,<br />

insomma, che le «cesure» sono valicabili dalle idee con la stessa naturalezza<br />

<strong>di</strong> una figlia che nasce da sua madre e a sua volta <strong>di</strong>venta madre<br />

<strong>di</strong> altre figlie.<br />

La stesura dei manifesti futuristi della musica è dovuta a Francesco<br />

Balilla Pratella (1880-1955). Essi sono intrisi <strong>di</strong> anatemi contro il melodramma,<br />

contro i conservatori <strong>di</strong> musica, contro le gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>trici musicali<br />

e la critica. Così scrive Pratella: «Io mi rivolgo ai giovani [...]<br />

assetati <strong>di</strong> cose nuove, presenti e vive [...]. Insi<strong>di</strong>a ai giovani e all’arte,<br />

vegetano licei, conservatori e accademie musicali. In questi vivai<br />

dell’impotenza, maestri e professori, illustri deficienze, perpetuano il<br />

tra<strong>di</strong>zionalismo e combattono ogni sforzo per allargare il campo musicale».<br />

«Noi futuristi proclamiamo che i <strong>di</strong>versi antichi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> scala,<br />

che le varie sensazioni <strong>di</strong> maggiore, minore, eccedente, <strong>di</strong>minuito e<br />

che pure i recentissimi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> scala per toni interi non sono altro che<br />

semplici particolari <strong>di</strong> un unico mondo armonico ed atonale della scala<br />

cromatica». Un terzo manifesto (1912) arrivò a profetizzare la completa<br />

libertà <strong>di</strong> ritmo 52 .<br />

Tra i futuristi, Luigi Russolo (1885-1947), pittore, ispirato dal culto<br />

della macchina, nel nuovo proclama L’arte dei rumori (1916) formulò<br />

52 Cfr. GUIDO SALVETTI, cit., pp. 67-69.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 299<br />

la creazione <strong>di</strong> meccanismi capaci <strong>di</strong> riprodurre un vasto spettro <strong>di</strong> possibilità<br />

rumoristiche, calcolate sull’oggettiva astrattezza delle infinite<br />

frammentazioni sintattiche, verbali e toniche <strong>di</strong> un testo. Una musica,<br />

dunque, fondata sull’organizzazione dei rumori, anziché sul suono determinato.<br />

Nel corso <strong>di</strong> una serata futurista (Teatro Storchi <strong>di</strong> Modena)<br />

venne presentato nel 1919 uno scoppiatore, una macchina-strumento<br />

che riproduceva, dal grave all’acuto, il rumore <strong>di</strong> un motore a scoppio.<br />

Più tar<strong>di</strong>, al Teatro Verme <strong>di</strong> Milano si passò ad<strong>di</strong>rittura ad un concerto<br />

con orchestra <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciotto intonarumori ormai perfezionati e sud<strong>di</strong>visi in<br />

gorgogliatori, stropicciatori, ululatori, scoppiatori, sibilatori, ronzatori,<br />

crepitatori e scrosciatori, in modo da consentire un’idea della partitura. I<br />

tempi del concerto hanno titoli descrittivi volutamente bizzarri: II risveglio<br />

<strong>di</strong> una grande città; Si pranza sulla terrazza del Kursaal; Convegno <strong>di</strong><br />

automobili e <strong>di</strong> aeroplani; effetti, insomma, da colonna sonora.<br />

La sperimentazione musicale sulle «parole in libertà» <strong>di</strong> Filippo<br />

Tommaso Marinetti, volta cioè a stabilire sull’onda della «immaginazione<br />

senza fili» un nesso fra nucleo verbale <strong>di</strong>sarticolato e la sua esteriorizzazione<br />

fonica sino al rumore, si arrestò poco oltre i limiti della<br />

onomatopea (La fontana malata <strong>di</strong> Aldo Palazzeschi) o tutt’al più della<br />

metafora, senza trovare comunque nella «portentosa invenzione» del<br />

Russolo spazi significativi.<br />

All’opus futurista provvide la stesso Francesco Balilla Pratella con<br />

L’aviatore Dro (composta prima, ma rappresentata a Lugo <strong>di</strong> Romagna<br />

nel 1920). In essa convengono stilisticamente un po’ tutte le esperienze<br />

musicali precedenti (un Debussy me<strong>di</strong>ato da Puccini e Pizzetti). L’argomento<br />

è verista. In sostanza l’opera si ascrive all’esperienza futurista<br />

per tre scene nelle quali gli intonarumori – adattati per la descrizione del<br />

volo e per la caduta del pilota – si mischiano all’orchestra. L’opera si<br />

conclude con un lampo enorme, preceduto da ululato <strong>di</strong> sirena, che<br />

solca cielo, mare e terra prima della fine <strong>di</strong> tutto e del ritorno al caos primor<strong>di</strong>ale.<br />

Le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> tempo sono sostituite con situazioni <strong>di</strong> stati<br />

d’animo (vivo spasimo, gioia sfolgorante, impotenza, lussuria, ecc.).


300 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

La provocazione e la derisione furono il fine ultimo <strong>di</strong> ogni forma<br />

d’arte. Non mancarono a Napoli serate <strong>di</strong> poesia pentagrammata con<br />

versi scritti sul pentagramma e letti con una specie <strong>di</strong> intonazione musicale<br />

e una improvvisata produzione musicale al pianoforte (spesso dello<br />

stesso Marinetti 53 ).<br />

L’esplosione del futurismo offre alle avanguar<strong>di</strong>e musicali (che<br />

tendono a rompere con le aspettative o la pigrizia del grande pubblico)<br />

un ulteriore significativo referente. Complessivamente, il futurismo<br />

musicale italiano, infatti, esercitò una funzione <strong>di</strong> rinnovamento,<br />

sia nell’abbinamento musica, teatro e altre arti, sia spargendo semi e<br />

intuizioni che saranno fondamentali in tutto lo sperimentalismo novecentesco<br />

54 , sia mantenendo viva la tensione verso l’eccentrico e l’originale,<br />

sia favorendo – per spontanea <strong>di</strong>alettica – reazioni classicistiche<br />

che in ogni caso dovranno tener conto <strong>di</strong> determinate novità.<br />

3. L’età tra le due guerre mon<strong>di</strong>ali (1918-1945).<br />

L’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra fu tutt’altro che tranquillo. Le <strong>di</strong>fficoltà legate<br />

alle <strong>di</strong>struzioni causate dal conflitto e l’inevitabile lentezza della<br />

ripresa economica attanagliarono l’Europa in una serie <strong>di</strong> gravissimi<br />

problemi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne tanto politico quanto economico e sociale. Ad aggravare<br />

una situazione <strong>di</strong> per sé caratterizzata da violente tensioni interne<br />

tra le varie classi sociali e Stati intervennero anche gli inevitabili riflessi<br />

della Rivoluzione bolscevica. Di fatto si <strong>di</strong>ffuse la paura <strong>di</strong> una rivoluzione<br />

proletaria sul tipo <strong>di</strong> quella sovietica, facendo prendere corpo e<br />

53 A Napoli, novità assoluta per il 1921, su in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Marinetti e per ideazione del poeta<br />

Francesco Cangiullo, si vide un’orchestra sparpagliata fra palchi, platea e palcoscenico e vi furono<br />

provocazioni appositamente stu<strong>di</strong>ate per uno scambio d’insulti fra interpreti e spettatori. E senza<br />

dubbio non mancò il classico pernacchio napoletano.<br />

54 Ad esempio l’uso <strong>di</strong> inserti cinematografici e fotografici nella rappresentazione teatrale;<br />

la presenza, accanto agli attori, <strong>di</strong> pupazzi e <strong>di</strong> sagome <strong>di</strong>segnate; la <strong>di</strong>ssoluzione del conflitto<br />

drammatico a favore <strong>di</strong> accorgimenti linguistici; ecc. Tutte cose sperimentate nel teatro politico del<br />

tedesco Erwin Piscator (1893-1966).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 301<br />

sostanza al fantasma del pericolo rosso che da tempo aleggiava sull’Europa.<br />

A causa <strong>di</strong> questa paura anche classi politiche <strong>di</strong> antica tra<strong>di</strong>zione<br />

liberale, come quella italiana, con il loro comportamento <strong>di</strong> indulgenza<br />

e <strong>di</strong> copertura, resero possibile la nascita e l’instaurarsi al potere <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttature<br />

totalitarie in molti paesi d’Europa. Così fu che Benito Mussolini<br />

nell’ottobre del 1922 e Adolph Hitler nel 1933 – con il compiacente<br />

appoggio <strong>di</strong> magistratura, esercito, alto clero e magnati dell’industria e<br />

della finanza – presero il potere. Nel 1936 il nazismo e il fascismo si<br />

trovarono alleati nella lunga e dolorosa guerra civile spagnola, dove<br />

appoggiarono il generale Francisco Franco. Da lì a poco sarebbe scoppiata<br />

la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, con i risultati che conosciamo, e che<br />

si concluse per l’Italia meri<strong>di</strong>onale il 25 luglio del 1943 con l’armistizio<br />

tra Vittorio Emanuele II e gli anglo-americani e nell’Italia del nord con<br />

la liberazione anche partigiana conclusasi il 25 aprile del 1945.<br />

Nell’ambito della letteratura la prima guerra mon<strong>di</strong>ale accentuò<br />

la protesta contro il vecchio mondo, ma produsse anche una vigorosa<br />

volontà costruttiva. Espressione <strong>di</strong> questa tendenza sono le cosiddette<br />

avanguar<strong>di</strong>e storiche 55 , il cui aggettivo storiche ha il compito <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziarle<br />

dalle numerose successive nate in tempi più recenti. Caratteristica<br />

<strong>di</strong> questi movimenti è la profonda coscienza <strong>di</strong> poter incidere sulla<br />

realtà per mo<strong>di</strong>ficarla. Non a caso il Futurismo si era battuto per l’intervento<br />

dell’Italia nella prima guerra mon<strong>di</strong>ale. Mentre tra gli espressionisti<br />

e i surrealisti la protesta confluì nella <strong>di</strong>retta militanza socialista<br />

(terza Internazionale). Contemporaneamente al futurismo altrove erano<br />

sorti altri movimenti. Nel 1914 Hermann Bahr, scrittore, pubblica<br />

l’opera Expressionismus, nella quale scrive:<br />

«Nessuna età è mai stata squassata da tanto orrore, da un così orrendo<br />

senso <strong>di</strong> morte [...]. Mai l’uomo è stato così piccolo [...]. Mai la pace<br />

è stata così lontana e la libertà così morta. Per questo l’angoscia <strong>di</strong> tutti<br />

e l’arte levano il loro urlo».<br />

55 Impressionismo, Secessionismo, Cubismo, Espressionismo, Dadaismo, Surrealismo, ecc.


302 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

L’urlo <strong>di</strong>viene il simbolo dell’Espressionismo 56 . Dal Dadaismo svizzero<br />

57 nasce il Surrealismo 58 in Francia (1924) ad opera <strong>di</strong> Andrè Breton<br />

che ne teorizzò i principi in tre manifesti.<br />

Inizialmente in Italia l’atteggiamento dei letterati non fu <strong>di</strong> opposizione<br />

al regime fascista, ma piuttosto <strong>di</strong> silenzio e <strong>di</strong> <strong>di</strong>simpegno. A parte<br />

l’esperienza poetica dell’ Ermetismo (volutamente atemporale-astorica,<br />

volta alla ricerca della parola pura (Nuovi lirici: Salvatore Quasimodo) e<br />

l’esperienza <strong>di</strong> alcuni scrittori isolati (Ignazio Silone, Alberto Moravia),<br />

la vita letteraria si raccoglie e si esprime essenzialmente in due riviste.<br />

«La Ronda» (1919-23) raccoglie scrittori come Riccardo Bacchelli, Gabriele<br />

Bal<strong>di</strong>ni, Bruno Barilli (autore <strong>di</strong> molti elzeviri musicali), e altri, i<br />

quali proclamavano la necessità <strong>di</strong> tornare ad un classicismo formale<br />

(da perfezione tecnica) che fosse espressione <strong>di</strong> razionalità e <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />

intellettuale, riproponendo Alessandro Manzoni e Giacomo Leopar<strong>di</strong>.<br />

Accusati <strong>di</strong> calligrafismo fu loro opposto il contenutismo. «Solaria»<br />

(1926-36) va oltre l’aristocratico classicismo e raccoglie l’eco delle<br />

gran<strong>di</strong> lezioni della letteratura europea. Per questa apertura incontrò<br />

spesso guai con la censura fascista fino alla coatta non pubblicazione.<br />

Nel campo della musica, mentre continua l’influenza pro o antiwagneriana,<br />

mentre si attraversa la fase della Ver<strong>di</strong>-Rénaissance 59 , alcune punte<br />

delle avanguar<strong>di</strong>e maturano e utilizzano la tecnica dodecafonica, che è il<br />

56 Ma tale movimento non produsse manifesti programmatici. Perciò al suo interno si possono<br />

in<strong>di</strong>viduare due filoni: l’uno storico, cioè legato alla realtà del tempo e in lotta contro lo sfruttamento<br />

delle classi subalterne; il linguaggio è <strong>di</strong>ssacrante e in tutte le sue componenti emerge la volontà<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere l’or<strong>di</strong>ne costituito e la società che lo sostiene; il secondo si propone <strong>di</strong> ricondurre<br />

l’uomo alla sua natura originaria (carattere mistico-religioso), da cui l’esigenza geometrica <strong>di</strong> una<br />

ricostruzione sociale rigorosamente nuova.<br />

57 Dadaismo, iniziato da Tristan Tzara, rumeno, in<strong>di</strong>ca una prospettiva <strong>di</strong> rifiuto, ostinatamente<br />

infantile (dada= cavallo), della tra<strong>di</strong>zione e della società.<br />

58 Il surrealismo pone in primo piano la libertà in<strong>di</strong>viduale da ricercare negli sta<strong>di</strong> preconsci e<br />

prerazionali dell’infanzia o nel sogno (v. Freud). È quin<strong>di</strong> necessario costruire una realtà non con<strong>di</strong>zionata<br />

da alcunché (una sovrarealtà, surrealtà). E l’arte aiuta questa ricerca. Ma se la società<br />

contemporanea non permette questa realtà in<strong>di</strong>viduale Ecco allora il bisogno <strong>di</strong> lottare per una<br />

libertà sociale, col conseguente impegno in partiti che contrastano con i sistemi politici totalitari.<br />

59 Cfr. ADRIANA GUARNERI CORAZZOL, cit., pp. 221-270.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 303<br />

superamento della struttura gerarchica tonale nella quale tutte e sette le<br />

note che compongono una qualunque tonalità gravitano attorno alla tonica.<br />

Della dodecafonia fu artefice il compositore austriaco Arnold Schönberg<br />

(1874-1951), che conferì la stessa importanza a tutte le do<strong>di</strong>ci note 60 .<br />

Particolare l’instabilità tonale che Schönberg adotta nel Pierrot Lunaire 61 .<br />

Suoi allievi furono Alban Berg (1885-1973) che nel sistema dodecafonico<br />

accentuò la portata lirica e comunicativa; e Anton von Webern (1883-<br />

1935) che portò la conquista della dodecafonia alle estreme conseguenze,<br />

ponendosi come il vero iniziatore della musica contemporanea.<br />

In Italia, più presi da un conflitto tra tra<strong>di</strong>zione e modernità, sia gli<br />

esponenti della Generazione dell’Ottanta, sia gli altri della generazione<br />

<strong>di</strong> mezzo restano tagliati fuori da ciò che avviene nella cultura europea,<br />

da dove giungono solo palli<strong>di</strong> segnali (e ciò spiega il ritardo con cui la<br />

dodecafonia fu conosciuta in Italia). Il regime e la riforma Gentile (neoidealista)<br />

spingevano verso forme preclassiche, l’armonia modale, la<br />

rivalutazione del gregoriano: vari stili che si misurarono con la tendenza<br />

neoclassica e che <strong>di</strong>edero vita ad una moderata modernità e attualità.<br />

Dopo la grande guerra la Generazione dell’Ottanta produce più copiosamente<br />

musica vocale non strettamente teatrale (lirica da camera e<br />

60 La musica dodecafonica, con la sua sovversione totale della tra<strong>di</strong>zione, interpreta bene lo<br />

stato d’animo <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cale liquidazione d’un passato <strong>di</strong>strutto (come sconfitti erano stati nella guerra<br />

i paesi del centro Europa). E non è casuale che Schönberg, come molti altri artisti e intellettuali del<br />

tempo, all’avvento del nazismo, sia stato costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti, in quanto la sua<br />

musica rivoluzionaria e senza gerarchie tonali fu considerata un esempio <strong>di</strong> arte degenerata.<br />

61 Pierrot Lunaire è un insieme <strong>di</strong> ventuno testi del simbolista belga Albert Giraud, opera<br />

sud<strong>di</strong>visa in tre parti <strong>di</strong> sette liriche ciascuna. Aiutato dalla traduzione fattane dal tedesco Erich<br />

Hartleben, che rinvigorì le immagini originali con un crudo e violento realismo, Schönberg alterò il<br />

rapporto musica-letteratura più del simbolismo stesso, isolandone le immagini in modo spettrale ed<br />

esasperato. Contribuiscono a ciò sia la scelta timbrica degli strumenti solisti che accompagnano la<br />

voce recitante (Sprechstimme), sia la scelta ra<strong>di</strong>cale del canto parlato (Sprechgesang). Le poesie<br />

non sviluppano apparentemente un quadro organico; eppure, nel procedere dei testi, i raggi della<br />

agghiacciante luna espressionista sbalzano dalla notte immagini d’incubo collegate alla lucida e<br />

<strong>di</strong>sperata follia <strong>di</strong> un Pierrot assassino, blasfemo, sa<strong>di</strong>co, violatore <strong>di</strong> sepolcri. Senza che manchino<br />

momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>vagazione lirica, quali la contemplazione della notte e della luna, il pensiero della<br />

Madonna, Madre <strong>di</strong> tutti i dolori, il <strong>di</strong>ssolversi con la luce del primo sole <strong>di</strong> tutti gli incubi e orrori<br />

della notte. (Cfr. GUIDO SALVETTI, cit., p. 120).


304 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

da concerto <strong>di</strong> piccole o gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni), nella quale il connubio fra<br />

poesia e musica è perciò più <strong>di</strong>retto. Dalla scelta dei testi, dal loro trattamento<br />

compositivo in forma d’arte, si origina un capitolo importante<br />

dei rapporti fra letteratura e musica nel Novecento. Basta pensare, ad<br />

esempio, a Ildebrando Pizzetti e a Ottorino Respighi e per converso a<br />

Francesco Paolo Tosti o a Luigi Denza per avere una netta <strong>di</strong>stinzione<br />

fra produzione d’arte e produzione <strong>di</strong> consumo: i primi ricercano una<br />

reale fusione tra musica e poesia, gli altri si accontentano dei facili tesori<br />

della melo<strong>di</strong>a e del sentimento popolare. Dicotomia accentuata<br />

durante il fascismo che ha coltivato una musica <strong>di</strong> massa e <strong>di</strong> propaganda<br />

ad uso e consumo del popolo accanto a un’arte <strong>di</strong> facciata e <strong>di</strong> élite,<br />

riservata a pochi inten<strong>di</strong>tori.<br />

Dopo anni <strong>di</strong> musica accesamente modernista Alfredo Casella si<br />

volge al recupero <strong>di</strong> moduli espressivi plasmati sulla melo<strong>di</strong>a e sulla<br />

tonalità. E qui la scelta dei testi è significativa. Dapprima si in<strong>di</strong>rizza ad<br />

un passato remoto (Tre canzoni trecentesche, op. 36, voce e pianoforte,<br />

1923), poi a D’Annunzio (La sera fiesolana) e infine a Trilussa<br />

(Quattro favole romanesche). L’inizio così <strong>di</strong> una nuova fase si lega<br />

simbolicamente agli anonimi poeti della letteratura arcaica, ma anche al<br />

versante colto moderno e a quello <strong>di</strong>alettale popolaresco.<br />

Nel periodo cui facciamo riferimento (primi venticinque anni del<br />

Novecento) nel realizzare un rapporto tra il linguaggio musicale e ogni<br />

altro (natura, passioni, linguaggio verbale-letterario, impostazione <strong>di</strong><br />

una narrazione) le scelte <strong>di</strong> stile risultano lontane dalle poetiche romantiche<br />

e sostituiscono sia la corrispondenza del suono a particolari topoi,<br />

sia l’interpretazione dei sentimenti, sia la stilizzazione tipica del linguaggio<br />

musicale.<br />

Nel 1924 Casella compone una comme<strong>di</strong>a coreografica tratta da<br />

Luigi Pirandello, La giara 62 . Questa nuova irruzione nella sua produzione<br />

<strong>di</strong> un autore contemporaneo produce effetti più incisivi. Gli spunti<br />

62 QUIRINO PRINCIPE, I segreti della giara e la giara senza segreti: Ideogrammi pirandelliani<br />

nella musica <strong>di</strong> Alfredo Casella, in Pirandello: teatro e musica, cit., pp. 67-91.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 305<br />

pirandelliani vengono infatti illustrati con dovizia <strong>di</strong> colori, sfogata felicità<br />

melo<strong>di</strong>ca. L’abbondante impiego <strong>di</strong> materiale folclorico ricrea quasi<br />

visivamente una vita sana e piena <strong>di</strong> ottimismo. Già Stravinskij andava<br />

sostituendo gli ideogrammi stilizzati alla musica figurata <strong>di</strong> Franz Liszt,<br />

ai Leitmotive wagneriani, al Naturlaut mahleriano, alla poetica musicale<br />

<strong>di</strong> Schönberg, influenzando in parte anche Strauss. Scelta ripresa anche<br />

da Casella nel Concerto per due violini, viola e violoncello op. 40. Svolta<br />

stilistica intesa come sensibilità verso le oscillazioni del gusto europeo.<br />

Nella Giara l’uso <strong>di</strong> una scrittura artistica fondata su ideogrammi si<br />

sposa felicemente con l’invenzione e aderisce perfettamente alla trama 63 ,<br />

al pensiero e allo stile pirandelliani.<br />

Riguardo allo stile <strong>di</strong> Pirandello c’è da <strong>di</strong>re che la sua esigenza <strong>di</strong> essenzialità<br />

porta al ripu<strong>di</strong>o del linguaggio poetico tra<strong>di</strong>zionale e dell’espressione<br />

ricercata, la quale, invece, depurata da qualsiasi intenzione <strong>di</strong> oratoria<br />

etico-politica, sciolta dai legami logico-sintattici, riesce ad attingere al<br />

fondo della realtà che si vuole esprimere. Restituisce cioè alla parola,<br />

logora e abusata, verginità e novità, la carica <strong>di</strong> quel valore e <strong>di</strong> quella<br />

pregnanza che essa aveva quando, usata nella notte dei tempi per la<br />

prima volta, poteva ancora stabilire un rapporto tra l’uomo e le cose ed<br />

aveva quasi un valore magico ed evocativo, dando forma e realtà alle<br />

cose. Pirandello definisce non tanto il personaggio e il suo carattere,<br />

quanto il rapporto della sua persona con gli altri. In tale <strong>di</strong>rezione gli<br />

63 La vicenda si svolge in Sicilia al tempo della raccolta delle olive. Don Lollò, proprietario<br />

terriero, acquista una grossa giara per conservarvi l’olio, ma questa, dopo poco, viene trovata dai<br />

suoi conta<strong>di</strong>ni spaccata a metà. Terrorizzati comunicano al proprietario l’avvenuto danno. Tra<br />

malumore e imprecazioni Don Lollò chiama Zì Dima per riparare la brocca con il suo mastice miracoloso.<br />

Questi, un vecchietto storto e malandato, propone <strong>di</strong> usare solo il mastice per fare un lavoro<br />

pulito. Ma Don Lollò la vuole cucita. Così, controvoglia, Zì Dima s’infila dentro la giara. Ma,<br />

portato al termine il lavoro, al momento <strong>di</strong> uscire ogni sforzo è vano: rimane imprigionato senza via<br />

d’uscita. Don Lollò furibondo, dà a Zì Dima il suo compenso, ma corre dall’avvocato, il quale tra<br />

le risate lo convince a liberare il sequestrato <strong>di</strong>etro pagamento <strong>di</strong> una parte del valore della giara. Zì<br />

Dima però, dopo aver contrattato il prezzo, si rifiuta <strong>di</strong> pagare e <strong>di</strong>ce a Don Lollò <strong>di</strong> essere deciso a<br />

rimanere per sempre dentro la giara. Manda ai conta<strong>di</strong>ni da bere e organizza un festino sull’aia.<br />

Don Lollò, nel pieno della notte, svegliato dal canto a squarciagola <strong>di</strong> Zì Dima e dei conta<strong>di</strong>ni ubriachi,<br />

con un calcio fa rotolare la giara che va a sbattere contro un albero. La giara è nuovamente rotta,<br />

ma Zì Dima è finalmente libero.


306 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

ideogrammi sono già pronti, e quasi sempre in coppia <strong>di</strong>alettica: altobasso,<br />

sopra-sotto, aperto-chiuso, dentro-fuori; e gli oggetti simbolici<br />

sono segnati, in genere, da un’inclinazione in<strong>di</strong>vidualizzante. Fa eccezione<br />

la giara, immagine spersonalizzata, in<strong>di</strong>pendente dalla storia e<br />

dagli eventi, ma pregna <strong>di</strong> simboli 64 . Interessante anche il rapporto tra<br />

La giara <strong>di</strong> Pirandello e L’oro del Reno <strong>di</strong> Wagner: ambedue sviluppano<br />

tre situazioni (l’intatto, il <strong>di</strong>strutto/frantumato, l’unitario), <strong>di</strong> cui la<br />

prima coincide con l’ultima 65 .<br />

Data la loro carica <strong>di</strong> paradosso poteva sembrare <strong>di</strong>fficile tradurli in<br />

musica, ma la loro limpidezza intellettuale ha reso possibile l’impresa.<br />

64 Tre sono gli oggetti simbolici utilizzati nel racconto de La giara: a) La giara è una forma che<br />

chiude uno spazio. La stretta apertura dall’alto è invitante, ma nasconde il pericolo. Può entrarvi tutto,<br />

ma finché la giara è integra non può entrarvi l’artigiano. Perciò dentro c’è il mistero. L’origine araba<br />

della parola giara l’apparenta alla lampada <strong>di</strong> Ala<strong>di</strong>no. Il contenuto misterico crea affinità con il vaso<br />

<strong>di</strong> Pandora. L’uomo può entrare nella giara solo tramite una frattura, immagine simbolica della morte.<br />

Soltanto riparando la frattura e chiudendosi all’interno l’uomo può vedere la giara così com’è, ma in<br />

quella con<strong>di</strong>zione non può più liberarsi dalla prigionia e descriverne la realtà al mondo esterno. Ecco<br />

la sua valenza simbolica: chi entra nel dominio della morte non ritorna più per narrare ai vivi l’esperienza.<br />

Chi è rimasto chiuso nella giara può uscire soltanto rompendola. L’interno della giara sembra<br />

così assimilarsi al grembo materno. Tomba e grembo materno, morte e nascita, coincidono nella sfera<br />

simbolica. All’interno della giara il tempo non scorre. Zì Dima, imprigionato nella giara, è circondato<br />

dalla festa notturna dei conta<strong>di</strong>ni, ma nulla filtra nella sua prigione. Nulla se non il suono delle danze e<br />

i canti sgangherati. Proprio il suono, però, è l’unico aggancio del tempo con l’atemporale. L’umile giara<br />

pirandelliana collocata in un contesto tragicomico, partecipa del mistero e dell’atemporalità, e resta<br />

separata dalle storie in<strong>di</strong>viduali. b) Il secondo oggetto simbolico è la campana. Quando Don Lollò viene<br />

a sapere che Zì Dima «è cucito là dentro», picchia con le <strong>di</strong>ta sulla giara e questa «sonava davvero<br />

come una campana». Il suono della campana segna il tempo interno alla storia. Quel suono è l’irruzione<br />

del soprannaturale nella quoti<strong>di</strong>anità, ma ha in sé anche una larvata indole demoniaca, e questo Don<br />

Lollò lo intuisce. Egli infatti, <strong>di</strong>ce: «questa non è giara! Questo è l’or<strong>di</strong>gno del <strong>di</strong>avolo!». Perciò è un<br />

suono che insinua inquietu<strong>di</strong>ne, persino terrore. c) Il terzo oggetto simbolico è il fumo. Dal collo della<br />

giara esce il fumo, anch’esso misterioso, della pipetta intartarita <strong>di</strong> Zì Dima. È un in<strong>di</strong>zio della temporalità<br />

e in<strong>di</strong>ca la <strong>di</strong>struzione lenta e progressiva <strong>di</strong> qualcosa. La combinazione dei tre simboli: giara,<br />

campana, fumo, ovvero vita, tempo, <strong>di</strong>struzione, suggerisce che le tre realtà siano tutt’uno.<br />

65 L’oro del Reno inizialmente è integro, impraticabile per le passioni umane; la frammentazione<br />

in più oggetti, conseguenza del furto <strong>di</strong> Alberich è <strong>di</strong>struttiva per chi possiede l’oro. L’oro a<br />

conclusione si riunifica ed esce dalla storia umana, anzi dalla storia del mondo. Riducendo le due<br />

vicende a scheletri, l’una risulta l’inverso dell’altra in una sorta <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ce binario i cui termini trascurano<br />

ogni connotato concreto. Il co<strong>di</strong>ce binario ci propone l’intatto e il <strong>di</strong>strutto, l’unitario e il<br />

frantumato. Inizialmente la giara è frantumata in pezzi. La frattura è tuttavia connessa con la vita<br />

affaccendata. Nella fase centrale la giara è integra, ma proprio per questo inutilizzabile. Alla fine<br />

è nuovamente <strong>di</strong>strutta, e la vita riprende il suo corso.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 307<br />

Senza alcun’altra linea d’intesa il piemontese Casella ha tradotto in<br />

musica la poetica del siciliano Pirandello. Nulla <strong>di</strong> precostituito come<br />

in altre collaborazioni tra poeti e musicisti. Il fatto è che Pirandello e<br />

Casella, viaggiatori dello spirito nel mondo mitteleuropeo, si incontrarono<br />

in quello spirito. E ciò permise a Casella <strong>di</strong> tradurre in termini<br />

musicali gli archetipi mentali e le immagini simboliche che percorrono<br />

La giara, come immagini virtuali <strong>di</strong> un paradosso della con<strong>di</strong>zione<br />

umana: l’uomo si costruisce da sé il proprio involucro (la propria vita)<br />

e, per osservarlo in maniera oggettiva dall’esterno, deve <strong>di</strong>struggerlo,<br />

ossia deve morire. Casella, trattando questa materia tragica, traduce i<br />

segreti dell’immaginario in chiarezza <strong>di</strong> ideogrammi e persino il tragico<br />

e lo spaventoso <strong>di</strong>vengono occasione <strong>di</strong> felicità quando i segreti vengono<br />

svelati dalla sola forza che possa svelarli: l’arte. Dice Casella che<br />

in poche ore <strong>di</strong> comune lavoro con Pirandello il libretto fu pronto e che<br />

subito si pose all’opera con vivissimo entusiasmo. Si servì <strong>di</strong> parecchio<br />

materiale popolare siciliano ricreandolo totalmente e con padronanza<br />

<strong>di</strong> mezzi tecnici. Folklore che funge da sfondo al succedersi narrativo<br />

degli ideogrammi. Di particolare efficacia sono sia il ritmo pastorale<br />

della sicilienne, armonicamente complicato, quasi una quoti<strong>di</strong>anità<br />

tagliata fuori dal corso della grande storia; sia il valore caricaturale e<br />

grottesco <strong>di</strong> una figura ritmica che compare con Zì Dima e viene poi<br />

iterata sulla base <strong>di</strong> un’armonia sempre variata. La prima rappresentazione<br />

de La Giara ebbe luogo il 19 novembre 1924 a Parigi e riuscì un<br />

magnifico successo <strong>di</strong> pubblico e <strong>di</strong> critica 66 .<br />

Il programma attribuito alla Generazione dell’Ottanta prendeva le<br />

mosse non dallo sviluppo <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione propria, ma dal rifiuto <strong>di</strong><br />

una cultura melodrammatica neoromantica che in Italia era <strong>di</strong>venuta<br />

l’espressione culturale popolare della unità nazionale senza coniugarsi<br />

con la letteratura e la cultura culta. La Generazione fondava, quin<strong>di</strong>, in<br />

questa negazione l’inizio <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> modernizzazione che nel<br />

66 Nel 1932 Casella ci darà La donna serpente, libretto tratto dai Capricci scenici o Fiabe <strong>di</strong><br />

Carlo Gozzi.


308 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

campo della composizione musicale a livello internazionale era già<br />

in atto. Il rifarsi all’antica tra<strong>di</strong>zione, ed in particolare al gregoriano, a<br />

Gesualdo da Venosa, a Clau<strong>di</strong>o Montever<strong>di</strong>, a Girolamo Frescobal<strong>di</strong>, a<br />

Antonio Vival<strong>di</strong>, a Alessandro Scarlatti, rappresentò una nuova scelta<br />

della musica italiana interessata a darsi rinnovata <strong>di</strong>gnità a fianco della<br />

cultura culta (come sosteneva il programma <strong>di</strong> Rassegna Musicale).<br />

Tra<strong>di</strong>zione ed europeismo, dunque, sono i temi centrali che percorrono<br />

tutta la cultura italiana del Novecento e che <strong>di</strong>vengono i medesimi del<br />

movimento musicale rinnovatore.<br />

L’appello alla tra<strong>di</strong>zione musicale italiana anteriore al melodramma<br />

lascia echi <strong>di</strong>versi nei singoli autori. In Malipiero desta la visione <strong>di</strong><br />

mon<strong>di</strong> fantasmagorici e lontani, orme <strong>di</strong> un Umanesimo ormai lontano<br />

67 . È questo il mondo delle Sette canzoni e del Torneo notturno.<br />

L’incontro <strong>di</strong> antico e <strong>di</strong> moderno è alla base della attività <strong>di</strong> Gian<br />

Francesco Malipiero 68 , che forma la sua personalità a Venezia a contatto<br />

con le trascrizioni moderne <strong>di</strong> musica vocale e strumentale, con gli<br />

stu<strong>di</strong> sulla nascita del melodramma e soprattutto su Montever<strong>di</strong>. È, infatti,<br />

nel suo teatro musicale che Malipiero opera la fusione <strong>di</strong> antico e<br />

<strong>di</strong> moderno in <strong>di</strong>rezione della attualità: teatro antirealistico, allusivo,<br />

fantastico, antimelodrammatico, senza azione unitaria, ma emergente da<br />

situazioni brevi, bloccate, condensate attorno a nuclei lirici contrastanti<br />

ed espressi in forma <strong>di</strong> canzone. C’è la strenua rinuncia al plot, ad un<br />

intreccio dell’azione, alla storia narrabile e al suo corrispettivo tecnicocompositivo,<br />

cioè al recitativo.<br />

Per questo tipo <strong>di</strong> teatro che si estende dalla trilogia L’Orfeide (La<br />

morte delle maschere, 1922; Le sette canzoni, 1919; Orfeo, ovvero l’ottava<br />

canzone, 1920) al Torneo notturno (1929), passando attraverso la<br />

fase veneziana delle Tre comme<strong>di</strong>e goldoniane (1912-22) e del Mistero <strong>di</strong><br />

Venezia (1925-28), Malipiero librettista <strong>di</strong> se stesso opta per il collage<br />

67 Ne sono segno Rispetti e strambotti, Stornelli e ballate, Ritrovari, Cantari alla madrigalesca.<br />

68 ARMANDO GENTILUCCI, cit., pp.17-18.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 309<br />

dei testi poetici italiani in stile antico, raccolti da fonti <strong>di</strong>sparate, e ciò al<br />

fine <strong>di</strong> creare, come si è detto, situazioni poetiche prive <strong>di</strong> legami interni<br />

e <strong>di</strong> sviluppi, e tuttavia funzionali a ine<strong>di</strong>te combinazioni drammatico-musicali.<br />

La fissità contemplativa è quin<strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzata, con sguardo<br />

ellittico ed amaro, su oggetti musicali in sé 69 .<br />

I primi libretti <strong>di</strong> Malipiero, a cominciare da quello delle Sette canzoni,<br />

si presentano come delle sintesi drammatiche piuttosto che dei drammi<br />

meticolosamente sviluppati, ben dosati nel linguaggio, nell’azione 70 e<br />

nel modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre il succedersi delle immagini/scene. Il libretto obbe<strong>di</strong>sce<br />

allo stesso procedere della musica. Esso è composto, sovente, da una<br />

raccolta <strong>di</strong> brani poetici presi da vari autori, scelti, però, entro un ambito<br />

stilistico ed espressivo omogeneo. Il libretto messo assieme da Malipiero<br />

presenta un continuo rinvio alle fonti dalle quali attinge tutto il loro fascino<br />

poetico e si configura come una successione <strong>di</strong> culmini drammatici.<br />

Nel Torneo notturno il personaggio del Disperato, la vittoria e la vendetta<br />

sul personaggio dello Spensierato non sono più gli ideali che aveva<br />

trattato nelle composizioni precedenti (Pantea, Filomena e l’Infatuato;<br />

Merlino mastro d’organo), ma sono una stessa con<strong>di</strong>zione umana: il<br />

tempo non può stare senza l’attimo perché sono l’identica cosa, il Disperato<br />

non potrà mai vivere senza lo Spensierato perché sono una sola<br />

persona, l’uomo, che ad un tempo è il <strong>di</strong>sperato e lo spensierato 71 .<br />

69 Le sette canzoni (Parigi, 1920), sette minuscole piéces che durano in tutto tre quarti d’ora,<br />

sono altrettante illuminazioni sonore e pantomimiche, provocate me<strong>di</strong>ante il cozzo sonoro <strong>di</strong> canti<br />

<strong>di</strong>versi, in scena e fuori scena, in gran parte intonati su testi poetici rinascimentali italiani. Il fantomatico<br />

Torneo notturno (Monaco <strong>di</strong> Baviera, 1931) è tutto percorso dal canto ostinato <strong>di</strong> un moralistico<br />

memento della vanità umana; la Canzone del Tempo, una serie <strong>di</strong> strambotti attribuiti a Serafino<br />

Aquilano, sillabata secondo una scansione metrica elementare: Chi ha tempo e tempo aspetta<br />

il tempo perde, ma straniata nella intenzionale sfasatura rispetto ai tempi forti della battuta.<br />

70 Intesa come la successione <strong>di</strong> situazioni prive <strong>di</strong> legami interni e <strong>di</strong> sviluppi.<br />

71 Il musicista attribuisce ai due protagonisti dei veri e propri Leitmotive (per la prima volta)<br />

variati man mano che si contrappongono, si innestano, ma che non mollano un solo istante i loro<br />

soggetti. Certamente prima del Torneo notturno Malipiero non utilizzò mai in modo così significativo,<br />

come nell’opera, la variazione, lo sviluppo, la ripresa tematica e persino la modulazione tonale;<br />

espe<strong>di</strong>enti derivanti dalla composizione romantica e che utilizza, tuttavia, per delineare un proprio<br />

piano esistenziale.


310 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Nel migliore teatro <strong>di</strong> Malipiero i due momenti – decadente, estetizzante,<br />

neoclassico da una parte ed espressionistico dall’altra – si affrontano,<br />

collidono ed innescano un effetto tragico: da un lato la rievocazione<br />

dell’intatta bellezza dell’antico, dall’altro l’insi<strong>di</strong>a fatale del <strong>di</strong>sfacimento.<br />

La ricerca <strong>di</strong> astratte tipizzazioni, <strong>di</strong> personificazioni allegoriche, <strong>di</strong> figure<br />

spogliate <strong>di</strong> qualsiasi in<strong>di</strong>viduazione psicologica conduce Malipiero – che<br />

era musicologo e letterato – ad attingere da un doppio genus loci veneziano,<br />

il teatro <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Montever<strong>di</strong> e il teatro <strong>di</strong> Carlo Goldoni, ridotti però<br />

alla <strong>di</strong>mensione surreale della favola nel primo, della maschera nel secondo<br />

caso, a tal punto da snaturarne del tutto la componente realistica 72 . Il<br />

culto dell’antico accompagnato da una musica aspra e spigolosa denuncia<br />

la moderna crisi <strong>di</strong> valori. Significativamente, infatti, quando Malipiero si<br />

rivolge ad un autore contemporaneo come Pirandello per toccare temi più<br />

attuali, anticonformistici, e affrontare una visione tragica e grottesca della<br />

vita e del destino dell’uomo (La favola del figlio cambiato, 1934) 73 trova<br />

censure e chiusure inappellabili da parte del regime fascista. Segno che<br />

quando letteratura e musica convergono e si fondono riescono ad uscire da<br />

schemi prefissati tanto estetici quanto politici e sociali.<br />

Riprendendo la trama de Il figlio cambiato, una novella composta<br />

nel 1902, nel 1930 Pirandello scrive La favola del figlio cambiato 74 .<br />

72 LORENZO BIANCONI, cit., pp. 91-92.<br />

73 ROBERTO TESSARI, La favola del figlio cambiato, in Pirandello: teatro e musica, cit., pp.<br />

101-114; PIERO SANTI, Malipiero, Pirandello e la favola del figlio cambiato, ivi, pp. 115-132.<br />

74 La protagonista della novella è una Madre, vittima <strong>di</strong> una grande cattiveria: le streghe durante<br />

una notte le hanno rapito il figlio in fasce sostituendolo con un altro deforme. Disperata si reca<br />

dalla fattucchiera Vanna Scoma per aver notizie del vero figlio. La fattucchiera la informa che<br />

il bambino che ha ora è un principe <strong>di</strong> un regno lontano e che è inutile cercare il proprio figlio.<br />

Intanto, nel villaggio dove vive la Madre giunge per curarsi un principe straniero. Viene raggiunto<br />

da Figlio-<strong>di</strong>-Re: così è soprannominato colui che le streghe hanno sostituito al vero figlio. Sopraggiunge<br />

anche Vanna Scoma, la quale impe<strong>di</strong>sce alla Madre, che ha riconosciuto nel principe suo<br />

figlio, <strong>di</strong> rivelarsi a lui, altrimenti lo farebbe morire. Dopo un breve soggiorno nel villaggio marino<br />

al principe giunge notizia che il re è malato e il paese è in rivolta. La Madre, prima che egli parta, gli<br />

rivela la verità. Si apprende nel frattempo che il re è morto: il vero figlio del re è il giovane deforme.<br />

I ministri cercano <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssuadere il principe dal credere a questa favola ma egli lo presenta come loro<br />

re. Solo Dio sa la verità, il principe accetta solo quella della Madre e resterà con lei, mentre Figlio<strong>di</strong>-Re<br />

prenderà il posto che gli spetta.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 311<br />

Nell’adattare questa a testo per musica, la ricrea facendone un’opera<br />

drammatica. Non, dunque, il solito libretto per musica, ma un poema<br />

epico e lirico insieme, nel quale la creazione artistica (invenzione della<br />

fantasia) bene si intreccia con i fatti reali (la storia) e quelli narrativamente<br />

immaginati (miti). Poema percorso dai gran<strong>di</strong> miti dell’uomo:<br />

la società ideale, l’autentica religione, la funzione catartica dell’arte 75 .<br />

Attraverso le opposizioni dei possibili rapporti tra fatti reali (storia) e<br />

fatti immaginati (miti) Pirandello desiderava attribuire spessore <strong>di</strong> opus<br />

al libretto.<br />

L’io narrante de Il figlio, esterno al tema, sorride scettico della credenza<br />

popolare delle Donne. Ma nel poema drammatico viene ridotto a pura<br />

comparsa comica, prigioniera <strong>di</strong> un contesto corale che conclama ad<br />

alta voce la propria fede nelle streghe. L’autore così trasporta le reazioni<br />

del pubblico tra un debole richiamo al buon senso e la suggestiva magica<br />

attrazione esercitata dalla visionarietà della protagonista. Dice<br />

Karoly Kerény che nella favola «gran<strong>di</strong> cerimonie hanno ceduto il posto<br />

ad una piccola cerimonia: al raccontare, all’ascoltare, [potremmo<br />

aggiungere: al rappresentare], al leggere». Piccola cerimonia come la<br />

leggenda scenica della Madre, i cui materiali mitologici affiorano dalla<br />

penombra dell’incertitudo fiabesca e si trasformano in favola sapienziale,<br />

quasi la sacra rappresentazione del compiersi <strong>di</strong> una maternità,<br />

che riesce ad avere fede anche nei miti pur <strong>di</strong> rendersi sostenitrice della<br />

rinascita salvifica <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo.<br />

Un teatro <strong>di</strong> poesia nel quale Pirandello traduce in chiave moderna<br />

le finalità catartiche del teatro greco, la fabula si fa ritmo e si <strong>di</strong>spone a<br />

convertirsi in opus tutto musicale 76 .<br />

75 In verità l’autore ha costruito un poema <strong>di</strong>mostrando non che le streghe esistano davvero,<br />

ma che il cammino dell’uomo verso una verità salvifica può concludersi quando si rende figlio <strong>di</strong><br />

quel fideismo femminile, tipico della protagonista, tanto energico da farle credere che le Signore<br />

della Notte esistano ed agiscano realmente. Il «poeta» è stato in grado <strong>di</strong> immaginare una credenza<br />

popolare (le streghe della notte che il popolo chiama «Le Donne») come fatto vero a tal punto <strong>di</strong><br />

convincimento nel personaggio Madre da riuscire a cambiare gli sviluppi della storia.<br />

76 Cfr. GIGI LIVIO, Malipiero e Pirandello: «La favola del figlio cambiato», in La scrittura<br />

drammatica. Teoria e pratica esegetica, Milano, Mursia, 1992, pp. 85-108.


312 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Pertanto, mentre in tanti autori del Novecento, Casella in testa, esplodono<br />

caratteri tipici <strong>di</strong> neoclassicismo e <strong>di</strong> folklore, in Malipiero l’arcaico,<br />

colto o popolaresco, comunica sensazioni <strong>di</strong> qualcosa che è finito,<br />

che è morto. Da cui la crisi <strong>di</strong> valori apertasi sul finire dell’Ottocento<br />

e la vacuità <strong>di</strong> quelli attuali: esattamente quanto esprimeva Pirandello.<br />

È proprio grazie a questa comunione <strong>di</strong> ideali che i due autori si ritrovano<br />

a collaborare in La favola del figlio cambiato.<br />

Per comprendere meglio la comunione che si instaura tra i due artisti<br />

è importante rilevare alcune caratteristiche comuni. La prima è che l’arte<br />

<strong>di</strong> Malipiero trae vita da un mondo denso <strong>di</strong> immagini musicali. Egli<br />

attinge a piene mani da un repertorio <strong>di</strong> forme e la sua musica giunge a<br />

noi come un effetto <strong>di</strong> cui cogliamo la causale ma non la causa, una memoria<br />

<strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> che non hanno volto. Malipiero chiama questa vocazione<br />

figurativa tra<strong>di</strong>zione classica italiana e la immette in una <strong>di</strong>mensione<br />

temporale in cui quel fascino e quell’ambiguità si colorano <strong>di</strong> nostalgia<br />

e <strong>di</strong> malinconia, che non è dato <strong>di</strong> ritrovare nelle cose presenti. Allo<br />

stesso modo per Pirandello secondo cui le nostre impressioni sono subor<strong>di</strong>nate<br />

ad un’infinità <strong>di</strong> avvenimenti che la vita ci presenta mentre<br />

noi stessi ci trasformiamo in attori. Attori cui però non è data la possibilità<br />

<strong>di</strong> intervenire per cambiare lo sviluppo del dramma/vita (comme<strong>di</strong>a<br />

o trage<strong>di</strong>a) e che recitiamo automaticamente <strong>di</strong>nanzi a noi stessi. Pirandello<br />

lo <strong>di</strong>ce per bocca del Principe:<br />

«Ma niente è vero, / e vero può essere tutto; / basta crederlo per un momento,<br />

/ e poi non più, e poi <strong>di</strong> nuovo, / e poi sempre, o per sempre mai<br />

più. / La verità la sa Dio solo. / Quella degli uomini è a patto / che tale<br />

la credano, quale / la sentono. Oggi così / domani altrimenti. Credete,<br />

credete» (III atto).<br />

La seconda caratteristica è che la tematica pirandelliana si riscontra<br />

sempre nella musica e nel teatro <strong>di</strong> Malipiero la cui architettura e struttura<br />

drammatica sono sempre chiaramente <strong>di</strong>segnate. Le immagini che<br />

affiorano, pur avendo un loro ruolo drammatico, sembrano non avere<br />

un nesso funzionale. La terza caratteristica è che la musica <strong>di</strong> Malipiero


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 313<br />

ha un prevalente carattere contemplativo, una sotterranea trepidazione<br />

che ne accompagna lo scorrimento, con uno strano senso <strong>di</strong> stupore, talora<br />

anche <strong>di</strong>vertito ma privo <strong>di</strong> ottimismo. Non meno che nella drammaturgia<br />

pirandelliana. I tre caratteri sopra esposti, già ampiamente<br />

presenti nelle Sette canzoni, impliciti nello spettacolo <strong>di</strong> immagini del<br />

primo teatro <strong>di</strong> Malipiero, <strong>di</strong>verranno più evidenti in La favola grazie<br />

alla collaborazione con Pirandello.<br />

La favola del figlio cambiato appartiene al filone pirandelliano dei<br />

miti concretato nella trilogia costituita dalla Nuova colonia, da Lazzaro<br />

e dagli incompiuti Giganti della montagna. Anche La favola si allaccia<br />

all’archetipo della Grande Madre-Terra quale erogatrice <strong>di</strong> vita, archetipo<br />

<strong>di</strong> una civiltà arcaica matriarcale, incarnato dalla protagonista nella<br />

figura della Madre. Pirandello ha ben coscienza <strong>di</strong> completare La favola<br />

mentre dà ad essa la funzione <strong>di</strong> libretto: «È il primo vero e proprio libretto<br />

che io scrivo. Gli altri erano riduzioni <strong>di</strong> lavori preesistenti». Da<br />

questo momento Pirandello si investe responsabilmente del ruolo <strong>di</strong><br />

librettista. E infatti, a partire dal secondo atto egli acuisce il gioco delle<br />

rime, fornisce ritmi metrici acconci alle situazioni musicali, porge tipiche<br />

situazioni melodrammatiche e opportunità <strong>di</strong> emergenze liriche.<br />

Sono caratteristici ad esempio gli accenti ternari sul ritmo <strong>di</strong> una tarantella<br />

nell’episo<strong>di</strong>o dell’Uomo Saputo del primo quadro; le rime da canzonetta<br />

nella scena della Sciantosa che apre il secondo atto: «La mia vita<br />

è qua, / la mia vita è là, / trottola, trottola, / requie non ha»; l’esibizione<br />

<strong>di</strong> luoghi canonici tipici del melodramma, come quelli dell’agnizione<br />

e del tripu<strong>di</strong>o conclusivi; ed ancora le occasioni da romanza allestite<br />

soprattutto nel terzo atto. Pirandello, in definitiva, assume il ruolo convenzionale<br />

<strong>di</strong> librettista, visibile in quell’atteggiamento subalterno dello<br />

scrittore nei confronti del musicista, al quale si rimette completamente.<br />

E, nell’inviare i primi due quadri a Malipiero, gli lascia piena libertà <strong>di</strong><br />

aggiungere, togliere e adattare. Malipiero tuttavia è riluttante ad accettare<br />

i libretti altrui dotati <strong>di</strong> uno sviluppo drammatico e che con l’aggiunta<br />

della musica sarebbero <strong>di</strong>ventati per lui insopportabilmente melodrammatici.<br />

Per questo in altre composizioni confeziona un proprio


314 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

libretto centonizzando personalmente pezzi <strong>di</strong> poesia per lo più antica.<br />

La paura <strong>di</strong> restare sedotto da Pirandello e il timore <strong>di</strong> ricadere nel melodramma,<br />

proprio in ciò che invece lo scrittore andava cercando <strong>di</strong> favorirgli<br />

con la sua poesia, si mantennero lungo tutta la composizione<br />

dell’opera. Infatti, ad un certo punto il musicista chiede allo scrittore,<br />

ad<strong>di</strong>rittura, <strong>di</strong> eliminare il personaggio <strong>di</strong> Vanna Scoma perché, come lo<br />

stesso Malipiero scrive, «avremo sempre il melodramma coi suoi guai».<br />

E del resto, tutta l’atmosfera celestiale e luminosa del terzo atto, prevista<br />

dal libretto, è contraddetta dalla profonda desolazione espressa in<br />

una musica costantemente dominata dal modo minore. L’incombere<br />

dell’evento, solo annunciato, della morte <strong>di</strong> un re <strong>di</strong> un lontano paese<br />

del Nord sovrasta ogni altro accento e come conseguenza tutti i rapimenti<br />

lirici del tenore, in<strong>di</strong>viduati dal poeta come presumibili romanze,<br />

si effondono in un clima cupo <strong>di</strong> morte prima che l’annuncio luttuoso<br />

sia arrivato in scena. Perfino l’acclamazione finale: «Viva il Re!» gridata<br />

in coro da tutti con esultanza è scan<strong>di</strong>ta in Re bemolle minore.<br />

Nonostante ciò, Malipiero vinse la propria riluttanza verso quel libretto<br />

e più precisamente verso il suo primo atto da lui stesso giu<strong>di</strong>cato<br />

meraviglioso. Proprio La favola rappresenta il passaggio dal primo al<br />

secondo Malipiero. I simboli e gli ideali del passato, ancora ravvisabili<br />

nel lavoro pirandelliano, scompaiono nel risultato musicale. Infatti, fin<br />

tanto che nel dramma il senso allegorico resta sopraffatto dalla commozione<br />

poetica, la musica che ad essa si affida dà luogo, se si eccettua il<br />

terzo atto, a momenti fra i più alti <strong>di</strong> tutto il teatro <strong>di</strong> Malipiero. La sua<br />

musica aderisce all’umile preghiera iniziale della madre e a costei presta<br />

tutta la sua anima. Due motivi conduttori si rifanno agli archetipi del<br />

lavoro pirandelliano, nati dalla parola e con la parola incorporata nelle<br />

note: l’uno quello della Madre, che scaturisce e accompagna l’invocazione<br />

ricorrente della madre «figlio mio!», che si presenta subito in<br />

orchestra fin dalla seconda battuta e che troviamo ripetuto più volte nel<br />

canto e nell’orchestra; l’altro è l’inciso elementare sulle due note contigue<br />

sillabate da Vanna Scoma nel primo atto sopra la frase «in una casa<br />

<strong>di</strong> re», nel quale si fissa attonita la splen<strong>di</strong>da consolazione della Madre


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 315<br />

insieme alla sua folle illusione: inciso riba<strong>di</strong>to nel prelu<strong>di</strong>o del secondo<br />

atto e ripetuto in tutta l’opera, sino alla sua conclusione, quasi per<br />

imprimere la certezza della immagine regale della Madre viva e forte<br />

più <strong>di</strong> qualsiasi ragione. Nel terzo atto i toni francamente <strong>di</strong>scorsivi del<br />

Principe dettati dagli sviluppi drammatici <strong>di</strong> Pirandello, non rispondono<br />

più all’ispirazione iniziale <strong>di</strong> Malipiero 77 .<br />

Nel teatro Malipiero conserverà una pre<strong>di</strong>lezione per i vecchi testi<br />

letterari successivamente sostituiti con i più noti Euripide, Calderòn de<br />

la Barca, William Shakespeare, fino ad allontanarsene per autori più<br />

recenti, come nelle composizioni Festino, <strong>di</strong> appena un anno dopo Il<br />

Torneo, dell’ottocentesco Giovan Gherardo De Rossi. In seguito il testo<br />

sarà chiaramente <strong>di</strong> estrazione romantica come quello dei Capricci<br />

<strong>di</strong> Callot nato dall’incontro con Ernst Theodor Amadeus Hoffman, <strong>di</strong><br />

Donna Urraca tratto da Prospér Merimée, <strong>di</strong> Venere prigioniera ricavato<br />

da un racconto <strong>di</strong> Emmanuel Gonzales, del Don Giovanni <strong>di</strong><br />

Aleksandr Sergeevič Puškin, delle Metamorfosi <strong>di</strong> Bonaventura da un<br />

anonimo tedesco ottocentesco, tutti composti nell’arco <strong>di</strong> tempo che va<br />

dal 1930 (Torneo notturno) al 1965 (Metamorfosi <strong>di</strong> Bonaventura).<br />

Fu però La favola del figlio cambiato a manifestare i sintomi iniziali<br />

della crisi <strong>di</strong> Malipiero e che matureranno nelle opere successive<br />

(Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra, Ecuba, La vita è sogno). La musica,<br />

pur accogliendo quell’elementare <strong>di</strong>alettica drammatica e tematica<br />

che andrà a sollecitare gli sviluppi minimali della «parentesi lirica», si<br />

abbandona ai propri impulsi intrinseci e si <strong>di</strong>stacca dal testo e dramma<br />

letterario fino alle troppo prolungate navigazioni musicali della trage-<br />

77 Esor<strong>di</strong>ta con buon successo nel 1934 al Landestheater <strong>di</strong> Braunschweig in una versione<br />

ritmica tedesca <strong>di</strong> Hans Fer<strong>di</strong>nand Redlich, l’opera fu ripresa in marzo a Darmstadt e subito fu<br />

osteggiata dall’autorità nazista che ne sospese la seconda recita a causa delle sue caratteristiche<br />

atonali e culturalmente <strong>di</strong>sfattiste. Anche la censura fascista aveva ingiunto il taglio, nel finale, <strong>di</strong><br />

un’allusione beffarda alla corona: «La corona! / Cangiate questa <strong>di</strong> carta e vetraglia / in una d’oro e<br />

<strong>di</strong> gemme <strong>di</strong> vaglia, / il mantelletto in un manto / e il re da burla <strong>di</strong>venta sul serio, / a cui voi vi inchinate».<br />

La prima rappresentazione italiana della Favola, il 24 marzo 1934, pur presenti Mussolini in<br />

persona e l’intera gerarchia, si risolve in un clamoroso fiasco, seguito subito dall’or<strong>di</strong>ne, impartito<br />

dal Duce, <strong>di</strong> vietarne ogni replica.


316 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

<strong>di</strong>a shakespeariana ed euripidea. Riaffiorerà ancora il gusto della confezione<br />

sincretica del libretto che da principio aveva il suo fondamento<br />

nell’ideale classico.<br />

Peraltro un ripetitivo post-verismo e post-puccinianismo, fatte le<br />

dovute eccezioni, caratterizza la vita operistica italiana sotto il fascismo.<br />

Il grosso pubblico preferisce l’opera tra<strong>di</strong>zionale, meno <strong>di</strong>ssonante<br />

e meno complicata da riferimenti letterari e filosofici. Resta, tuttavia,<br />

un pregio evidente il fatto che i musicisti che si accostano al genere<br />

operistico siano <strong>di</strong> ampia preparazione culturale e guardano ad esso<br />

come opera creativa pur nel rischio che un risultato d’arte e <strong>di</strong> pensiero<br />

possa restare avulso dalla attualità. D’altra parte a partire dagli<br />

anni Trenta 78 , anche se non mancano opere composte in Italia, non ha<br />

più senso parlare <strong>di</strong> una produzione unitaria che possa denominarsi<br />

opera italiana.<br />

In ogni caso dappertutto si assiste ad una crisi sia <strong>di</strong> produzione 79 ,<br />

sia <strong>di</strong> ricezione. I linguaggi post-tonali della musica contemporanea 80<br />

sembrano minare le basi stesse della cantabilità, che è la qualità primaria<br />

del genere opera, e non solo in Italia. I teatri, sovvenzionati con denaro<br />

pubblico sono interessati alla conservazione del grande repertorio<br />

piuttosto che alla produzione d’arte moderna impegnata (politicamente<br />

e poeticamente): e ciò in un primo momento allontana l’avanguar<strong>di</strong>a<br />

dall’opera.<br />

78 LORENZO BIANCONI, cit., p. 93.<br />

79 Emerge una pluralità <strong>di</strong> stili e <strong>di</strong> linguaggi. Da una parte l’istituzionalizzarsi della tra<strong>di</strong>zione<br />

classico-romantica; dall’altra il logoramento del sistema tonale, la presenza sempre più massiccia<br />

dell’opposizione <strong>di</strong>ssonanza consonanza, la rivalutazione del timbro con la continua ricerca <strong>di</strong> sensazioni<br />

sonore ine<strong>di</strong>te e, quin<strong>di</strong>, l’esotismo (i cui agglomerati sonori sono appunto più in funzione<br />

timbrica che <strong>di</strong>sposti al <strong>di</strong>venire melo<strong>di</strong>co).<br />

80 Dall’avanguar<strong>di</strong>a il linguaggio musicale viene visto non come veicolo neutro <strong>di</strong> espressione,<br />

narrazione <strong>di</strong> vicende drammatiche o <strong>di</strong> complessi sentimenti umani, ma come momento<br />

decisivo <strong>di</strong> conoscenza delle problematiche reali. Il compositore rifiuta un linguaggio preformato<br />

e ne ricerca uno suo proprio, in base all’idea che egli ha delle istituzioni e dei fruitori e in base a<br />

considerazioni <strong>di</strong> sociologia dell’ascolto. Una tensione, dunque, itineriale che avesse per obiettivi la<br />

presa sulla vita, su un reale sempre più sfuggente. L’artista si trova così a doversi inventare la propria<br />

poetica, anziché ere<strong>di</strong>tarla o accettarla per forza d’inerzia.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 317<br />

L’antiromanticismo <strong>di</strong> Ferruccio Busoni (1866-1924) si manifestò<br />

molto chiaramente nel teatro, dove si propose <strong>di</strong> esaltare il gioco, il<br />

<strong>di</strong>vertimento, la finzione scenica 81 . Molti ritengono essenziali le in<strong>di</strong>cazioni<br />

<strong>di</strong> Busoni 82 sul teatro musicale. Per lui l’opera deve accogliere<br />

tutte le forme musicali e tutti i mezzi: marcia militare, canzonetta, songs,<br />

danza, canto, orchestra e <strong>di</strong>scorso sinfonico, recupero melodrammatico,<br />

temi profani e spirituali. Lo spazio smisurato del quale <strong>di</strong>spone l’opera<br />

la rende capace <strong>di</strong> assimilare ogni genere e ogni tipo, le permette <strong>di</strong> riflettere<br />

qualsiasi stato d’animo 83 . Kurt Weill sfrutterà i più svariati relitti,<br />

proprio come segno della estrema alienazione morale a cui giunge<br />

la società fondata sul profitto e la mercificazione 84 . Inoltre il pubblico<br />

dovrebbe liberarsi dall’idea <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertimento e dalle pretese <strong>di</strong> assistere<br />

allo svolgimento <strong>di</strong> vicende sensazionali che lo eccitano psichicamente<br />

e a cui egli vorrebbe partecipare, senza pericoli s’intende, dal suo posto<br />

in platea. È in fondo il concetto <strong>di</strong> straniamento 85 che per primo applicherà<br />

in teatro Bertolt Brecht (1898-1956): cioè la musica deve stare<br />

a sé, non servire (potenziare o illustrare il testo), non mirare ad un<br />

coinvolgimento emotivo; deve piuttosto prendere posizione in funzione<br />

<strong>di</strong>dattica, sia morale che politica.<br />

81 GUIDO SALVETTI, cit, p. 105.<br />

82 FERRUCCIO BUSONI, Saggio <strong>di</strong> una nuova estetica musicale, Trieste, Schmidl, 1907 1 , in<br />

LUIGI DALLAPICCOLA e GUIDO M. GATTI (a cura <strong>di</strong>), Scritti e pensieri sulla musica, Milano, Ricor<strong>di</strong>,<br />

1954. Dopo la stesura del 1906 e l’e<strong>di</strong>zione Schmidl del 1907 il Saggio fu pubblicato in tedesco<br />

col titolo Entwurf einer neuen Aesthetik der Tonkunst, Leipzig, 1910, Zweite erweiterte Ausgabe.<br />

83 PATRICK J. SMITH, cit., p. 367.<br />

84 PATRICK J. SMITH, cit., p. 369.<br />

85 Proce<strong>di</strong>mento secondo cui l’attore non deve più trasmettere al pubblico una sua immagine<br />

del personaggio, bensì due immagini: quella del personaggio che egli ha voluto realizzare sul piano<br />

artistico e quella della coscienza critica con cui egli ha inteso realizzarlo, portando lo spettatore<br />

ad un atteggiamento <strong>di</strong> indagine e <strong>di</strong> critica nei confronti della vicenda esposta. Cade la funzione<br />

della quarta parete, che nell’immaginazione dovrebbe separare palcoscenico e pubblico, e gli attori<br />

possono rivolgersi <strong>di</strong>rettamente al pubblico provocando la separazione tra attore e personaggio, in<br />

pratica l’attore deve riuscire a portare lo spettatore verso una consapevole e critica partecipazione<br />

alle vicende e alle idee che il personaggio personifica. (BERTOLT BRECHT, Scritti teatrali, 1948 1 ,<br />

Torino, Einau<strong>di</strong>, 1962).


318 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

L’avanguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> questa fase si scinde in due opposti orientamenti:<br />

da una parte Schönberg e l’espressionismo, dall’altra il neoclassicismo<br />

rappresentato soprattutto da Stravinskij, visto come fuga dal contesto<br />

storico me<strong>di</strong>ante il ricorso a moduli stilistici del passato. In una posizione<br />

interme<strong>di</strong>a verrebbe a situarsi Béla Bartók 86 .<br />

In questo periodo si fa più forte nella coscienza <strong>di</strong> alcuni giovani<br />

musicisti, Goffredo Petrassi, Luigi Dallapiccola e Giovanni Salviucci,<br />

il desiderio <strong>di</strong> maggiore apertura e confronto per allargare la loro visione<br />

al <strong>di</strong> là dell’orizzonte italiano e conoscere, tenendo sempre presente<br />

la propria identità, la lezione viennese <strong>di</strong> Arnold Schönberg e Alban<br />

Berg. Questo desiderio si realizza più celatamente con Petrassi, che è <strong>di</strong><br />

vocazione strumentale, ma più esplicitamente con Dallapiccola. Petrassi<br />

lavora con Sergio Corazzini, Vincenzo Cardarelli, Giovanni Papini, e<br />

con nomi più noti come Giacomo Leopar<strong>di</strong>, Ugo Foscolo e Eugenio<br />

Montale, San Juan de la Cruz ed Edward Lear. Anche Dallapiccola passa<br />

da scelte dal sapore popolare e dalla tra<strong>di</strong>zione laudese a scelte europeizzanti,<br />

lavorando preferibilmente con Antoine Saint-Exupéry, Antonio<br />

Machado, James Joyce, Johann Wolfgang Goethe, Murilo Mendes.<br />

Il rapporto sempre più <strong>di</strong>latato tra musica e parola, pur attraversando<br />

fasi <strong>di</strong> sussulto come negli anni cinquanta (o anno zero), grazie anche al<br />

contributo dato dal cammino parallelo <strong>di</strong> Dallapiccola e Petrassi non<br />

smentisce la convinzione che la musica resterà sempre una presenza<br />

storica. Il rapporto tra testo e musica si anima attraverso una varietà <strong>di</strong><br />

sfaccettature ed insospettate virtualità, situazioni tra loro a volte contra-<br />

86 Questo schematismo è da intenderlo in maniera molto elastica dal momento che nel classicismo<br />

si può parlare <strong>di</strong> più moduli (straussiano-stravinskiano; tedesco-hindemitiano; parigino-Gruppo<br />

dei Sei+Casella; ecc.) e visto che l’espressionismo abbraccia una vasta area <strong>di</strong> ricerche, da Debussy a<br />

Schönberg a Berg a Webern e perfino a Weill. Senza contare che all’interno <strong>di</strong> questi orientamenti si<br />

accumulano esperienze <strong>di</strong> assoluta originalità, non schematizzabili nell’una o nell’altra posizione:<br />

Léoš Janáček, Bartòk, Prokofìev, Ives, Varèse, Malipiero, Petrassi, Dallapiccola, ecc. stanno a <strong>di</strong>mostrarlo.<br />

Come si è detto in precedenza, Malipiero attinge al mondo antico, riscopre i mo<strong>di</strong> greci e<br />

gregoriani, si nutre <strong>di</strong> portati della civiltà rinascimentale e barocca: non sarebbe dunque illecito porlo<br />

in rapporto con il novecentismo neoclassico; ma è altrettanto vero che quel procedere a piccoli pezzi,<br />

la tendenza al frammentismo melo<strong>di</strong>co, il rifiuto della forme fondate sullo sviluppo tematico, ecc.<br />

collocherebbero Malipiero in certi sviluppi delle categorie espressionistiche.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 319<br />

stanti: ad esempio Pierre Boulez realizza l’unione tra testo e musica<br />

attraverso una grande complessità <strong>di</strong> intrecci tra il flusso emozionale<br />

<strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne linguistico e quello del testo e della musica, utilizzando<br />

tutti i meccanismi del fonema che vanno dalla sonorità pura della parola<br />

al suo or<strong>di</strong>namento intelligente. Praticamente Boulez e Debussy si sono<br />

spinti a riprodurre in musica quanto Stephane Mallarmé aveva creato<br />

col linguaggio poetico, non tanto, però, le affinità visibili, quanto le<br />

corrispondenze strutturali.<br />

Non c’è dubbio che l’espressionismo tedesco, solitamente in<strong>di</strong>cato<br />

come la Scuola <strong>di</strong> Vienna, abbia prodotto anche in campo lirico opere<br />

rimaste in posizione <strong>di</strong> preminenza in tutto il Novecento. Nel 1925<br />

Alban Berg 87 (1885-1935) appariva nel complesso quadro del teatro<br />

moderno con Wozzeck, composto tra il 1914 e il 1922, opera subito ritenuta<br />

espressionista per eccellenza e uno dei sommi capolavori del Novecento<br />

operistico. Berg vide la prima rappresentazione del Woyzeck<br />

nel maggio del 1914 a Vienna. Fu talmente impressionato dal dramma<br />

<strong>di</strong> Georg Büchner da confidare a Anton von Webern: «Subito ho preso<br />

la decisione <strong>di</strong> porlo in musica. Non è solo il destino <strong>di</strong> quest’uomo<br />

sfruttato e perseguitato da tutti che mi ha colpito, quanto l’inau<strong>di</strong>to<br />

contenuto <strong>di</strong> atmosfere delle singole scene» 88 .<br />

La struttura dell’opera si avvalse <strong>di</strong> un libretto in tre atti <strong>di</strong> cinque scene<br />

ciascuno, focalizzando l’attenzione sui tre momenti principali, ossia<br />

Esposizione-Peripezia-Catastrofe. Nell’Esposizione (primo atto) veni-<br />

87 GUIDO SALVETTI, cit., pp. 132-135; GIAN PAOLO MINARDI, Le forme invisibili, in «Wozzeck.<br />

Libretto <strong>di</strong> sala», Parma, Teatro Regio, 1987, pp. 5-40.<br />

88 Georg Büchner, morto appena ventiquattrenne, era rimasto fortemente colpito dal caso me<strong>di</strong>co-giu<strong>di</strong>ziario<br />

<strong>di</strong> Iohann Christian Woyzeck, condannato a morte per l’uccisione della sua amante<br />

Iohanna Christiane Woost. Un omici<strong>di</strong>o che assommava sentimenti <strong>di</strong> gelosia, vendetta, ribellione,<br />

avvenuto in un momento <strong>di</strong> sostanziale irresponsabilità, almeno secondo i <strong>di</strong>fensori. Büchner trasse<br />

spunto da tale vicenda per esprimere un sincero pessimismo nei confronti della società, governata<br />

da una violenza inevitabile. «Il singolo è soltanto spuma sull’onda, la grandezza un puro caso...<br />

Cos’è in noi che mente, uccide, ruba». Il caso Woyzeck <strong>di</strong>venne il dramma <strong>di</strong> un povero soldato,<br />

vittima del militarismo e della stessa società che ne favoriva l’esaltazione. Nel 1879 Emil Franzos<br />

pubblicò i frammenti del Woyzeck con il titolo Wozzeck per una errata lettura della <strong>di</strong>fficile grafia<br />

del manoscritto, con<strong>di</strong>zionando così la fase determinante della scoperta <strong>di</strong> Büchner.


320 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

va descritto Wozzeck e il mondo che lo circondava, puntualizzando la<br />

situazione <strong>di</strong> povertà e sfruttamento cui era sottoposto il protagonista.<br />

Nella parte finale del primo atto avveniva il tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Maria, inizio<br />

dello sviluppo drammatico o Peripezia (secondo atto) che vedeva<br />

Wozzeck umiliato dai superiori e rifiutato da Maria, situazione che<br />

nella Catastrofe (terzo atto) lo porterà all’omici<strong>di</strong>o della donna e alla<br />

sua stessa morte.<br />

Nonostante immancabili <strong>di</strong>fformità dall’originale modello büchneriano,<br />

Berg si accostò molto alla concezione poetico-drammatica che<br />

ispirò l’autore del Woyzeck, sottolineandone gli aspetti tragico-esistenziali.<br />

Sotto quest’ottica Berg presentò la coppia Wozzeck-Maria basata<br />

per lo più su un rapporto <strong>di</strong> alienazione, <strong>di</strong> gelosia morbosa, <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento<br />

consapevole, che porterà i protagonisti alla catastrofe finale. Da<br />

questa adesione al testo nacque la specificità della soluzione formale<br />

ideata da Berg per la sua opera, lontana dalla struttura garantita dal<br />

sistema tonale e dall’assetto tra<strong>di</strong>zionale (arie, recitativi, concertati...).<br />

Ogni pagina della partitura realizza una perfetta coincidenza tra ragioni<br />

drammatiche e musicali. Berg è, dunque, sostanzialmente espressionista.<br />

Eppure nella sua musica non mancano brani nei quali descrive la<br />

natura secondo risultati neoimpressionisti derivati da stu<strong>di</strong> che pittori e<br />

musicisti 89 condussero intorno ai reciproci rapporti tra suono e colore.<br />

Tuttavia il principale oggetto <strong>di</strong> analisi rimane la psicologia tormentata<br />

dei personaggi, immersi in una totale deformazione. Le opere <strong>di</strong> Berg<br />

sprigionano infatti un forte calore umano, la struggente e <strong>di</strong>sperata aspirazione<br />

dell’uomo a mettersi in rapporto con gli altri, anzi <strong>di</strong> rappresentarsi<br />

agli altri. La sua seconda opera 90 , Lulù (libretto proprio, 1937),<br />

contiene ugualmente molti elementi che proiettano lo stesso espressionismo<br />

verso il surreale: la qualità uniforme della materia musicale,<br />

il sonnambulismo che emana da alcuni episo<strong>di</strong>, la figura della prota-<br />

89 Sulla scorta <strong>di</strong> Alexander Skrjabin e del Gruppo Der Blaue Reiter, testata anche della loro<br />

rivista. Cfr. GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 79.<br />

90 Cfr. GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 80.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 321<br />

gonista fortemente simbolica nelle sue connotazioni realistiche. Proprio<br />

nel campo teatrale Berg sperimenta ar<strong>di</strong>te ricerche che le generazioni<br />

successive approfon<strong>di</strong>ranno.<br />

L’espressionismo fu un fenomeno culturale che segnò tutta l’epoca<br />

tra le due guerre ed in<strong>di</strong>cò con chiarezza la fine <strong>di</strong> vecchie istituzioni e<br />

società. Tuttavia, nonostante i progressi scientifici, economici e politici,<br />

si svilupparono follie assolutistiche, restrizioni <strong>di</strong> libertà e orrende<br />

soppressioni della vita fino ad un altro più stolido scontro fra i popoli.<br />

In questo stesso arco <strong>di</strong> tempo decisivo è il contributo <strong>di</strong> Kurt Weill<br />

(1900-1950). È del 1928 un suo capolavoro: Die Dreigroschenoper<br />

(L’opera da tre sol<strong>di</strong>), su testo del drammaturgo Bertolt Brecht 91 , a cui<br />

va data molta parte <strong>di</strong> merito per la buona creazione dei lavori <strong>di</strong><br />

Weill 92 . L’opera da tre sol<strong>di</strong> 93 è una mescolanza <strong>di</strong> singspiel e <strong>di</strong> musica<br />

da cabaret, con vari episo<strong>di</strong> musicali <strong>di</strong> taglio tra<strong>di</strong>zionale, ma in paro<strong>di</strong>a,<br />

accompagnati da piccola orchestra, su motivi jazzistici e alternati<br />

da parti recitate. L’opera 94 è una versione attualizzata della settecente-<br />

91 La condanna della società capitalistica si fa più evidente nei libretti <strong>di</strong> Bertolt Brecht (1898-<br />

1956). Brecht pose tutto il suo talento al servizio <strong>di</strong> una visione del mondo: il <strong>di</strong>sgusto per la rapacità<br />

e la cupi<strong>di</strong>gia dell’uomo, e per quelle forme <strong>di</strong> governo capitalistiche che incarnavano quella<br />

cupi<strong>di</strong>gia. Nella lotta contro il capitalismo non permise mai alcuna deroga. Nel senso che non<br />

permise mai ai suoi collaboratori musicisti <strong>di</strong> <strong>di</strong>luire o illeggiadrire i suoi lavori perché fossero<br />

benevolmente accetti. Egli voleva far pensare il pubblico, forzarlo ad affrontare spiacevoli verità e<br />

a prenderne parte. Ed egli rimase sempre fedele a questa gente comune inevitabilmente sconfìtta in<br />

ogni urto <strong>di</strong> opposti poteri (Cfr. PATRICK J. SMITH, cit., p. 369). Va dato merito a Giorgio Strehler che<br />

nel «Piccolo» <strong>di</strong> Milano ci ha offerto, poco prima della sua morte, un’immagine completa <strong>di</strong> Brecht,<br />

artista che appartiene ancora fortemente al nostro presente per l’efficacia <strong>di</strong> parlare, come i gran<strong>di</strong><br />

poeti, alle generazioni future. Con l’aiuto <strong>di</strong> tutti i mezzi au<strong>di</strong>ovisivi, con la recitazione e il canto,<br />

servendosi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> interpreti brechtiani – tra i quali la straor<strong>di</strong>naria Milva – sviluppando un<br />

<strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>alettico, ha messo a confronto i molteplici volti <strong>di</strong> Brecht: <strong>di</strong>datta, poeta, drammaturgo,<br />

musicista, uomo impegnato in tutte le problematiche sociali.<br />

92 HARTMUT KAHNT, Mahagonny: Weill e Brecht si cimentano col teatro d’opera, in LORENZO<br />

BIANCONI (a cura <strong>di</strong>), Drammaturgia musicale, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 93-117.<br />

93 L’azione si svolge nei bassifon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Londra: in un negozio, in un bordello e in una prigione.<br />

L’azione morale <strong>di</strong> questo testo sta nell’invito continuo a «non giu<strong>di</strong>care», nel rifiuto dell’idea che<br />

il benpensante possa farsi giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una decadenza morale <strong>di</strong> cui è corresponsabile: ma poi il protagonista<br />

della vicenda, il vecchio Peachum, re della malavita, appare egli stesso segnato dalla<br />

male<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi detiene la ricchezza e il potere. (Cfr. GUIDO SALVETTI, cit., p. 140).<br />

94 GUSTAVO MARCHESI, cit., pp. 82-83.


322 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

sca Opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John Gay e Johann Christoph Pepusch del<br />

1728, che a Londra aveva messo in berlina Georg Friedrich Händel e<br />

le compagnie teatrali italiane. Ma Weill incarna una satira più pura e<br />

globale, mette in ginocchio un’intera società, contro la quale la povera<br />

gente («Wir arme Lent» <strong>di</strong> Wozzeck) stavolta in combutta con la malavita,<br />

scaglia provocazioni rivoluzionarie e anarchiche. La sovversione<br />

cresce, si espande in brevi in<strong>di</strong>menticabili sigle melo<strong>di</strong>che (che sono<br />

motivi in voga), in parafrasi <strong>di</strong> schemi classici, corali, marce, fugati,<br />

condotti variamente con un tessuto orchestrale leggero, ma che fa presa<br />

sull’ascoltatore, e con voci <strong>di</strong> attori più che <strong>di</strong> cantanti che personificano<br />

l’innocenza delle umili categorie in<strong>di</strong>fese. Il jazz avrà più importanza<br />

nell’opera successiva Auffstieg und Fall der Stadt Mahagonny<br />

(Ascesa e caduta della città <strong>di</strong> Mahagonny, 1930). Mahagonny <strong>di</strong> Brecht<br />

(1927) è uno sguardo desolato e penetrante in una società che, come<br />

Mahagonny, è la libera città delle trappole, fondata da una banda <strong>di</strong><br />

ladri che si arricchiscono velocemente senza rompersi la schiena. Paul,<br />

il protagonista, si unisce alla sregolatezza, ma quando perde tutto il denaro,<br />

nessun sentimento, né amico, né innamorata lo potrà salvare dalla<br />

condanna alla se<strong>di</strong>a elettrica. Il libretto non è più favola per musica o<br />

forme convenzionali e avulse dalla vita. È il testo <strong>di</strong> un dramma la cui<br />

verità resta sempre applicabile. Weill commenta ironicamente il testo e<br />

richiama sentimenti, melo<strong>di</strong>e e strutture del passato impregnandole <strong>di</strong><br />

amarezza e sarcasmo 95 . Con l’opera Street Scene (1947) 96 , su libretto <strong>di</strong><br />

Langston Hughes, tratto dal dramma <strong>di</strong> Elmer Rice, riprende il legame<br />

<strong>di</strong> continuità con la tra<strong>di</strong>zione attraverso innumerevoli citazioni classiche,<br />

tra le quali sono riconoscibili il prelu<strong>di</strong>o del Tristano che si sente<br />

nell’aria <strong>di</strong> Mrs. Maurrant (Mai potrei credere) e il suo finale nel duetto<br />

<strong>di</strong> Sam e Rose del secondo atto (Noi andremo via insieme); e i teneri e<br />

95 Proce<strong>di</strong>mento che accomunava i lavori giovanili <strong>di</strong> Hindemith, Dmitrij Šostakovič, Stravinskij,<br />

Schönberg, Darius Milhaud, ecc.<br />

96 SILVIA TISA, Appello alla comprensione, in «La Gazzetta della Musica», Catania, febbraio<br />

1996, n° 1, p. 24.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 323<br />

pittoreschi toni pucciniani della Bohéme, <strong>di</strong> Gianni Schicchi e del<br />

Tabarro. Ma non mancano canzoni e danze degli anni Quaranta, con<br />

swing e blues al posto dei tanghi e dei valzer e delle marce berlinesi.<br />

L’atmosfera è quella newyorkese, pullulante <strong>di</strong> clacson e luci, in una<br />

affascinante unione <strong>di</strong> recitazione, canto e danza, quasi un appello alla<br />

comprensione. Dice Maurrant: «Il problema è che la gente non fa concessioni.<br />

Dopo tutto siamo solo esseri umani, e non possiamo starcene<br />

per conto nostro tutto il tempo». L’opera non finisce con la morte del<br />

protagonista: e questa è una novità rispetto alla più recente tra<strong>di</strong>zione.<br />

Dunque sia nel primo che nel secondo dopoguerra si assiste <strong>di</strong> fatto<br />

ad un declino del numero assoluto <strong>di</strong> opere soprattutto scritte alla<br />

maniera ottocentesca. E tuttavia contemporaneamente si assiste ad un<br />

estendersi reciproco delle forme, delle funzioni e dei ruoli che il libretto<br />

e la musica hanno sempre avuto: crollo comune a tutte le arti delle<br />

barriere strutturali, organizzative ed estetiche. Più in particolare, quanto<br />

alla stesura del libretto si in<strong>di</strong>viduano mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. L’uso <strong>di</strong> commissionare<br />

un libretto su un determinato argomento per un in<strong>di</strong>viduato<br />

compositore; o comunque l’uso <strong>di</strong> offrire un libretto ben confezionato.<br />

La prassi del compositore che si sente libero <strong>di</strong> creare e <strong>di</strong> esprimere<br />

il suo proprio mondo, interiore ed estetico, e <strong>di</strong> potersi fare librettista,<br />

secondo quella valenza wagneriana, nella quale parola poetica e musica<br />

sono funzionali al dramma. Il tra<strong>di</strong>zionale uso secondo cui un autore<br />

(o il compositore stesso) riduce, rielabora, adatta – con maggiore attenzione<br />

all’originale – fonti altrui già destinate o no al teatro. L’uso, pressoché<br />

nuovo, <strong>di</strong> riprendere un lavoro teatrale e riproporlo quasi senza<br />

nulla togliervi o aggiungervi. Impostare un libretto raccogliendo e<br />

accostando più testi, anche <strong>di</strong> autori <strong>di</strong>versi, già destinati a tutt’altro<br />

che al teatro. C’è tuttavia una netta <strong>di</strong>fferenza rispetto all’Ottocento: il<br />

numero dei libretti scritti da un singolo librettista si è ristretto, non solo<br />

agli ottanta circa prodotti da Felice Romani, ma anche rispetto al più<br />

limitato numero prodotto da Illica.<br />

Il più famoso erede del titolo <strong>di</strong> librettista professionale, in termini<br />

<strong>di</strong> qualità e <strong>di</strong> quantità, ma anche come <strong>di</strong>mostrazione della forza dura-


324 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

tura delle idee ottocentesche sulla forma, è Giancarlo Menotti 97 , che ha<br />

scritto libretti seri e comici, per ra<strong>di</strong>o e per televisione e per ogni genere<br />

<strong>di</strong> musica sacra e profana 98 . Gli argomenti si aggiornano a tematiche<br />

<strong>di</strong> attualità. Molti suoi lavori tentano una ironica paro<strong>di</strong>a delle voghe<br />

e delle mode correnti in musica e nelle arti in genere. Si ricordano:<br />

Amelia al ballo (1937) 99 ; Il telefono (1947); La me<strong>di</strong>um (1946); Il Console<br />

(1950); La santa <strong>di</strong> Bleecker Street (1954) 100 ; L’ultimo selvaggio<br />

(1963); Juana la loca (1979), ispirata alla vicenda <strong>di</strong> Giovanna La Pazza,<br />

opera altamente drammatica e spettacolare.<br />

Un posto <strong>di</strong> riguardo spetta anche a Nino Rota (1911-1979), che è<br />

stato nella sostanza l’animo musicale <strong>di</strong> Federico Fellini, e autore, tra<br />

l’altro, della farsa Il cappello <strong>di</strong> paglia <strong>di</strong> Firenze, su testo elaborato da<br />

egli stesso in collaborazione con la madre Ernesta. Il testo si riallaccia<br />

alla comme<strong>di</strong>a vaudeville <strong>di</strong> Eugène Labiche e Carl Michel 101 : Un<br />

châpeau de paille d’Italie, data a Parigi il 14 agosto 1851. È la storia <strong>di</strong><br />

un tale che corre per Parigi tutta salotti, caserme e sartine, seguito dal<br />

proprio corteo nuziale per sostituire con un altro simile il cappello <strong>di</strong><br />

una dama mangiato dal suo cavallo. Ascoltando l’opera accade facilmente<br />

<strong>di</strong> abbandonarsi allo spasso elegante, al gusto del <strong>di</strong>vertimento,<br />

senza pensieri, senza altra riflessione che quella <strong>di</strong> tenere le fila <strong>di</strong> una<br />

macchina teatrale e musicale che procede assai snella, ma anche organizzata<br />

con precisa attenzione e con mano felice. Tutto qui è semplice, o<br />

almeno lo è nella comunicativa imme<strong>di</strong>ata: le voci cantano rifacendosi<br />

allo stile, alle maniere, alle frasi del passato, o inventano curiose e <strong>di</strong>sinvolte<br />

conversazioni sul filo del parlato. Si combinano fra loro, soli e<br />

97 PATRICK J. SMITH, cit., p. 363.<br />

98 JOHN GRUEN, Giancarlo Menotti, Torino, Nuova Eri, 1981.<br />

99 GUSTAVO MARCHESI, cit., pp. 94-95.<br />

100 Cfr. La santa <strong>di</strong> Bleecker Street in «Libretto <strong>di</strong> sala» per la rappresentazione data al Teatro<br />

Bellini <strong>di</strong> Catania nel gennaio 1992.<br />

101 La stessa fu presentata in Italia nel 1913 dalla compagnia <strong>di</strong> Virgilio Talli. Da questa piéce<br />

furono tratti il film omonimo (1927) <strong>di</strong> René Clair e l’altro, meno noto, <strong>di</strong> Wolfgang Lieberneiner:<br />

Der Florentiner-hut (1939).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 325<br />

coro con una naturalezza e una facilità che sembrano <strong>di</strong>scendere dai<br />

tempi <strong>di</strong> Gioacchino Rossini e compagni. Il problema più assillante<br />

dell’opera del Novecento, quello <strong>di</strong> far cantare i personaggi con qualche<br />

plausibile motivo, non sfiora minimamente l’autore, che li fa cantare<br />

perché cantino e basta. Conoscendo gli avvenimenti musicali intorno<br />

al 1946, ci si chiede che cosa mai una mano musicale così felice, un<br />

ingegno così puntuale e costruttivo potesse trovare in una storia ottocentesca<br />

buffa, in una musica gradevolmente tra<strong>di</strong>zionale per rifiutare,<br />

in loro nome, i segni dei tempi che mutavano vertiginosamente; e che<br />

cosa trovi mai il pubblico che dal 1955 ad oggi ritiene questa opera tra<br />

le sue pre<strong>di</strong>lette 102 . È sufficiente <strong>di</strong>re farsa No, affatto. C’è anche, nella<br />

scena duetto fra Elena e Fa<strong>di</strong>nard, il senso della migliore operetta. E<br />

prima, non c’è perfino il gusto del musical americano Rota aveva<br />

stu<strong>di</strong>ato negli USA durante gli anni Trenta. Conosceva perciò l’uno<br />

e l’altro mondo. Sapeva tutto e soprattutto sapeva evitare gli sbagli teatrali<br />

103 . In ogni caso anche nel Cappello <strong>di</strong> paglia si in<strong>di</strong>vidua lo steso<br />

mago delle colonne sonore, nelle quali un timbro struggente, un andamento<br />

sfaticato, una suggestione strumentale nascono dalla conoscenza<br />

profonda dell’orchestrazione e della musica, ma anche da una intuizione<br />

istintiva <strong>di</strong> tutto quello che una vicenda e una immagine possono<br />

suscitare nel pubblico 104 .<br />

La ripresa del tra<strong>di</strong>zionale nello sviluppo del libretto in questa prima<br />

metà del Novecento si presentò come l’esplorazione <strong>di</strong> una forma d’arte<br />

che poteva essere aggiornata per mezzo <strong>di</strong> elementi contemporanei, o facendo<br />

eco alla riflessione poetica del librettista stesso come in The Rake’s<br />

Progress (Carriera <strong>di</strong> un libertino) <strong>di</strong> Stravinskij su libretto <strong>di</strong> Wystan<br />

Hugh Auden e Chester Kalmann (1951); oppure utilizzando nuovi espe<strong>di</strong>en-<br />

102 Il cappello… si dà ancora, soprattutto dopo che Giorgio Strelher nel 1959 lo affidò alla<br />

gloria eterna.<br />

103 MARIO PASI, Col cappel ci <strong>di</strong>vertiamo, in «Il cappello <strong>di</strong> paglia <strong>di</strong> Firenze, Libretto <strong>di</strong> sala»,<br />

Parma, Teatro Regio, 1987, p. 11.<br />

104 LORENZO ARRUGA, Il cappello <strong>di</strong> paglia <strong>di</strong> Firenze, in «Il cappello <strong>di</strong> paglia <strong>di</strong> Firenze, Libretto<br />

<strong>di</strong> sala», cit., pp. 4-6.


326 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

ti tecnici come nell’Antigone <strong>di</strong> Britten sul testo <strong>di</strong> Friedrich Hölderlin 105 .<br />

Anche l’Antigone <strong>di</strong> Carl Orff (1949) ricalca il testo <strong>di</strong> Hölderlin, ma<br />

scopre un nuovo cammino per mantenere vivo il rapporto con l’antichità:<br />

grazie a un ine<strong>di</strong>to complesso strumentale, <strong>di</strong> pianoforti e percussioni,<br />

quasi <strong>di</strong> magica ancestralità, inventa il tramite ideale tra musica-parolascena,<br />

per restituire la forza primigenia alla trage<strong>di</strong>a medesima. È dunque<br />

la sonorità possente <strong>di</strong> una anomala orchestra senza archi a offrire il senso<br />

aristotelico del terrore, incanalando aritmicamente il flusso verbale in<br />

scansioni solenni e arcane 106 . Altro <strong>di</strong>verso esempio è Ferruccio Busoni<br />

(1866-1924), eru<strong>di</strong>tissimo e incline alle vedute filosofiche 107 . Nei suoi libretti<br />

in lingua tedesca (Arlecchino, Turandot, Doktor Faust) egli riflette<br />

in maniera evidente il proprio pessimismo. Nel Doktor Faust vede la<br />

leggenda me<strong>di</strong>evale in termini <strong>di</strong> dramma fra opposti intelletti, piuttosto<br />

che come racconto. Espone il soggetto come una successione <strong>di</strong> scene,<br />

mettendo in evidenza aspetti fantastici, magici, grotteschi: si pensi ad<br />

esempio a Faust vestito, per il suo matrimonio, con lo strascico portato da<br />

due scimmie. Esclude dal racconto l’idea <strong>di</strong> salvezza oppure la utilizza<br />

come reliquia caduta in <strong>di</strong>suso e ironicamente impiegata (ve<strong>di</strong> il canto<br />

dell’Alleluja quando Faust acconsente al patto). Il finale è ugualmente<br />

arido: Faust muore su una strada deserta, ricoperta <strong>di</strong> neve, <strong>di</strong> notte,<br />

ancora aggrappato al suo sogno d’immortalità e Mefistofele come una<br />

sentinella nella notte recita il suo epitaffio: «Quest’uomo deve essersi<br />

imbattuto in qualche sfortuna». È una totale delusione! 108 .<br />

Altra caratteristica è l’impiego dell’atto unico 109 , inteso sia come<br />

opera breve (minutes operas <strong>di</strong> Darius Milhaud) sia come sviluppo <strong>di</strong><br />

un’unica idea drammatica (Salomè da Wilde; Elektra da Sofocle) che,<br />

105 Hölderlin, ritenendo Sofocle l’autore che meglio esprime la gioia profonda della tragicità,<br />

ha tradotto l’Antigone accentuandone lo spirito poetico proprio nel cogliere con moderno <strong>di</strong>namismo<br />

il senso <strong>di</strong> un <strong>di</strong>venire che è al contempo felice e doloroso.<br />

106 GUIDO MICHELONE, Nell’anno dell’Antigone, in «Letture», 1977, p. 35.<br />

107 GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 74<br />

108 PATRICK J. SMITH, cit., p. 368.<br />

109 PATRICK J. SMITH, cit., p. 365.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 327<br />

per far presa, era necessario esporla senza interruzioni o comunque<br />

semplificando il racconto o enfatizzando le scene istantanee ad effetto.<br />

Questa tendenza portò al tentativo consapevole <strong>di</strong> spersonalizzare i personaggi<br />

recitanti sulla scena, trasformandoli da veri uomini in semplici<br />

burattini (Arlecchino, 1917, <strong>di</strong> Busoni; L’histoire du soldat, 1918, <strong>di</strong><br />

Stravinskij). Tentativo ancor più evidente nel crescente abbandono del<br />

canto tra<strong>di</strong>zionale a favore <strong>di</strong> un uso più espressivo della voce.<br />

Il libretto inoltre sostiene la ripresa dell’opera fiabesca come reazione<br />

alle situazioni storiche e allo stesso genere melodrammatico stantio<br />

nella sua formula: ve<strong>di</strong> Le Rossignol <strong>di</strong> Stravinskij (1914) da Andersen;<br />

Turandot <strong>di</strong> Busoni (1917) e L’amore delle tre melarance (1921) <strong>di</strong><br />

Sergej Sergeevič Prokof’ev da Carlo Gozzi. In verità L’amore delle tre<br />

melarance, che trae spunto dall’omonima fiaba <strong>di</strong> Gozzi, conosciuta e<br />

accostata attraverso una parafrasi riflessiva <strong>di</strong> Meierkhol’d, Solov’ev<br />

e Vogak, offre una compiuta unità scenico-musicale 110 . Il libretto resta<br />

ancora strumento utile quando si vuole tentare <strong>di</strong> superare o <strong>di</strong> trascendere<br />

da un particolare genere (opera, balletto, pantomima, oratorio, ecc.).<br />

Charles Fer<strong>di</strong>nand Ramuz nell’Histoire du soldat per Stravinskij (1918)<br />

mette insieme molteplici forme: balletto, musica strumentale da camera,<br />

i pochi esecutori sono sulla scena, c’è recitazione senza canto. Così<br />

Brecht per Kurt Weill in Die sieben Todesunden der Klein Burger (I sette<br />

peccati capitali, 1933). Rilevante l’influenza <strong>di</strong> Pirandello che giustappone<br />

il fantastico con il reale, il farsesco con il tragico, il grottesco con<br />

il prosaico, fino a rispecchiare sempre più i problemi reali e i mutamenti<br />

della società (La favola del figlio cambiato, 1934). Anche Jean Cocteau<br />

utilizzando la traduzione in latino che Jean Danielou aveva fatto da<br />

Sofocle, riducendo a libretto e adattando in forma oratoriale l’E<strong>di</strong>pus<br />

rex per Stravinskij (1927) 111 , aggiunge nel testo la presenza del Narratore<br />

per spiegare la vicenda; e l’uso della lingua latina – lingua morta e<br />

110 GIANFRANCO VINAY, Il Novecento II, parte I, in SOCIETÀ ITALIANA DI MUSICOLOGIA (a cura<br />

della), Storia della Musica, vol. decimo, Torino, E.D.T., 1978, p. 55.<br />

111 GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 73.


328 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

ormai sconosciuta ai più – per sottolineare la ieratica monumentalità<br />

della trage<strong>di</strong>a greca ridotta ormai a pura sonorità e incomprensibile alla<br />

gente del suo tempo 112 . In tal modo proprio l’intelligibilità delle parole,<br />

che era stato il principale interesse del primo melodramma, venne considerata<br />

non un vantaggio; anzi il non-senso cominciò ad essere un espe<strong>di</strong>ente<br />

drammatico.<br />

Il passo da questi sviluppi all’apparizione del libretto astratto 113 fu<br />

breve e fu compiuto da Gertrude Stein (1874-1946). La famosa scrittrice<br />

espatriata in America ha un posto sicuro nella storia del libretto. Infatti<br />

Four Saints in Three Acts (1934) e The Mother of Us All (1947), per la<br />

musica <strong>di</strong> Virgil Thomson 114 , rappresentano una liberazione completa e<br />

finale della parola dalla sua prigionia simbolico-semantica per <strong>di</strong>venire,<br />

prima <strong>di</strong> tutto, un suono o una raccolta <strong>di</strong> suoni. Stein impiega le parole<br />

per liberarle dal contesto associativo e le forza in una unione con parole<br />

dai suoni simili. Le stesse frasi non si susseguono secondo logica o secondo<br />

una comune sintassi. Le iterazioni procedono secondo un effetto<br />

sintattico-sonoro voluto dalla scrittrice. Questo testo supera certamente il<br />

modello dadaista del libretto tratto (1945) da Les Mamelles de Thiresias 115<br />

<strong>di</strong> Guillaume Apollinaire per la musica <strong>di</strong> Francis Poulenc (1947). Stein<br />

112 I contemporanei <strong>di</strong> Cocteau non avevano l’esperienza <strong>di</strong>retta delle trage<strong>di</strong>e greche come<br />

oggi vengono allestite a Siracusa e altrove, trage<strong>di</strong>e che conservano tutto il loro fascino e ripropongono<br />

temi sempre attuali.<br />

113 PATRICK J. SMITH, cit., p. 375.<br />

114 Il funambolismo linguistico della Stein ha particolarmente stimolato la fantasia musicale<br />

<strong>di</strong> Thomson, il quale, specialmente in Four Saints, ha realizzato uno spettacolo originale, quasi un<br />

oratorio in cui il sacro, il profano, il popolare, si fondono in una struttura scenica unitaria. In Four<br />

Saints i santi sono più <strong>di</strong> quattro. Non c’è storia. Il testo ha un prelu<strong>di</strong>o e quattro atti. Il secondo atto<br />

svolge la terza e quarta scena insieme, poi una quarta separata e quin<strong>di</strong> otto scene che compongono<br />

la quinta, la quale tuttavia non contiene nulla. Poi ecco il primo atto, e via <strong>di</strong> questo passo.Oltre ai<br />

quattro santi, <strong>di</strong> cui uno immaginario, sulla scena si avvicendano due personaggi chiamati Compère<br />

e Commère con funzioni simili a quella dell’historicus nell’oratorio tra<strong>di</strong>zionale, e due cori <strong>di</strong> santi,<br />

uno piccolo e l’altro più numeroso. (GIANFRANCO VINAY, cit, pp. 144-145).<br />

115 Nel 1918 Guillaume Apollinaire aveva fatto rappresentare Les mammelles de Thirésias. In<br />

quest’opera la protagonista (femminista convinta) si vede spuntare la barba e lascia scappare dal<br />

petto due palloncini che scoppiano; il marito invece partorisce un bel numero <strong>di</strong> bambini (GUIDO<br />

SALVETTI, cit., p. 68).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 329<br />

percepì la frattura tra le parole e ciò che esse dovevano significare, che<br />

era sempre stato un elemento del libretto. Ampie pagine <strong>di</strong> poesia per<br />

molto tempo erano state impoverite attraverso la voluta iterazione <strong>di</strong><br />

formule musicali ripetitive. E spesso alle parole non corrispondeva<br />

un reale significato. Allora ecco le parole farsi contenutisticamente<br />

dramma tra l’effetto che le stesse producono sullo spettatore e la comune<br />

opinione che egli ha <strong>di</strong> certi fatti cui allude la scena. Concezione<br />

linguistica strutturale, nella quale cioè un tappeto intessuto <strong>di</strong> suoni<br />

connessi tra loro viene usato per creare una sensazione o un interesse.<br />

Ad esempio, in un passo del testo Stein fa riferimento alla visione che<br />

Teresa d’Avila ebbe dello Spirito Santo: visione che per l’autrice è una<br />

allucinazione.<br />

«Piccioni sull’erba ahimè. Piccioni sull’erba ahimè. Erba corta più lunga<br />

corta più lunga più lunga erba gialla. Piccioni gran<strong>di</strong> piccioni sull’erba<br />

gialla più corta più lunga ahimè piccioni sull’erba. Se non erano piccioni<br />

cos’erano! Se non erano piccioni sull’erba ahimè cos’erano Egli ne<br />

aveva sentito <strong>di</strong> un terzo e si chiese se fosse una gazza nel cielo. Se<br />

una gazza nel cielo sul cielo se il piccione sull’erba ahimè può ahimè<br />

e passare il piccione sull’erba ahimè e la gazza nel cielo sul cielo e cercare<br />

e cercare ahimè sull’erba ahimè il piccione sull’erba il piccione<br />

sull’erba e ahimè» 116 .<br />

Originale esperienza è quella <strong>di</strong> George Gershwin (1898-1937) Già<br />

celeberrimo autore <strong>di</strong> musica leggera (comme<strong>di</strong>e musicali, canzoni,<br />

commenti per fìlms) e <strong>di</strong> alcune pagine sinfoniche ispirate al jazz 117 , si<br />

impose con la folk-opera popolare Porgy and Bess (1935), scritta per<br />

interpreti negri. Ma l’azione teatrale affascina qualsiasi pubblico 118 .<br />

L’opera è coraggiosa, piena <strong>di</strong> umanità e sentimento. Romanze, a soli,<br />

duetti, terzetti, cori, <strong>di</strong>aloghi declamati la mettono quasi in retroguar<strong>di</strong>a<br />

rispetto ad altre opere con tecnica più avanzata. Ma tutta la ritmica, la<br />

116 PATRICK J. SMITH, cit., p. 376, n. 16.<br />

117 GIANFRANCO VINAY, cit, pp. 101-102.<br />

118 GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 94; GIANFRANCO VINAY, cit, pp. 141-143.


330 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

melo<strong>di</strong>a, le armonie, pur essendo <strong>di</strong> varia origine, non si allontanano da<br />

un gusto recente, anzi assumono il profilo tutto speciale del jazz, quello<br />

che egli sapeva far sentire.<br />

4. La seconda metà del secolo.<br />

Dal 1945 comincia la storia del nostro presente, tormentato da<br />

eventi per lo più drammatici e tra loro correlati a livello mon<strong>di</strong>ale.<br />

L’Europa non è più unica protagonista sulla scena. I fatti salienti che<br />

influenzano la cultura del nostro tempo sono: guerra fredda tra i due<br />

blocchi Est-comunista e Ovest-liberale; nascita della Repubblica popolare<br />

cinese ad opera <strong>di</strong> Mao-Tsé-Tung; fine del vecchio colonialismo in<br />

Asia e in Africa e nascita delle multinazionali; contestazione giovanile<br />

del Sessantotto-75 e il successivo riflusso; caduta del muro <strong>di</strong> Berlino,<br />

detta rivoluzione <strong>di</strong> velluto, con conseguenti guerre <strong>di</strong> nazionalismo etnico<br />

e guerre spacciate come prevenzione del terrorismo internazionale.<br />

Dopo la repressione militare in Ungheria, nel ventesimo congresso<br />

del Partito Comunista Sovietico (1956) Nikita Kruscev aprì la strada al<br />

<strong>di</strong>sgelo, iniziò la destalinizzazione e permise la pluralità delle vie socialiste.<br />

Cammino tuttavia frenato con la repressione della primavera <strong>di</strong><br />

Praga (1968) là dove Alexander Dubcek stava tentando la realizzazione<br />

<strong>di</strong> un socialismo dal volto umano. Cosa che mandò in crisi molti militanti<br />

comunisti occidentali. Intanto negli anni Sessanta in Europa si<br />

verificava il boom economico che portava insieme benessere e appiattimento.<br />

In questo clima <strong>di</strong> delusione matura nel Sessantotto la contestazione<br />

giovanile che investe tutto il mondo occidentale (USA, Francia,<br />

Germania, Italia, ...) e si fa spazio anche in quello orientale. Il fenomeno<br />

esercita particolare influenza sul costume (hippies), sul sociale<br />

(sindacato, scuola), sulla politica, sui movimenti <strong>di</strong> emancipazione<br />

(femminismo). Alla base della contestazione c’è il rifiuto sia della società<br />

capitalistica sia <strong>di</strong> quella autoritaria a regime comunista e neofascista;<br />

c’è la condanna della sclerotizzazione e gerarchizzazione dei


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 331<br />

rapporti umani sociali e politici; c’è il tentativo <strong>di</strong> riappropriazione<br />

della propria vita, dei valori, dei <strong>di</strong>ritti, col conseguente rifiuto <strong>di</strong> delega<br />

ad altri per i propri bisogni. In Italia il fenomeno è più duraturo e lascia<br />

tracce profonde negli anni Settanta, soprattutto nella scuola dove viene<br />

messa in luce l’arretratezza dei contenuti e delle strutture educative e<br />

quin<strong>di</strong> la necessità <strong>di</strong> riforme. Significativo è quello che da più parti 119<br />

viene detto Movimento ’77. Questo, cortocircuitando la politica con la<br />

vita, incrinò le certezze ideologiche; amplificando la lezione sul rapporto<br />

arte/vita, tanto delle avanguar<strong>di</strong>e quanto del dadaismo, del futurismo,<br />

del situazionismo, ecc., portò in piazza, interessando la massa, la pratica<br />

creativa che destrutturava i linguaggi e i comportamenti. L’esperienza<br />

più forte del movimento fu nell’usare le parole come gesti, spiazzando<br />

il senso comune, quello dei mass me<strong>di</strong>a e quello dei militanti nelle ideologie.<br />

Nella <strong>di</strong>ffusa irrequietezza si percepiva il fatto <strong>di</strong> essere proiettati<br />

in una rivoluzione antropologica che oggi si va delineando più chiaramente<br />

con l’emergere <strong>di</strong> nuovi processi cognitivi non lineari, propri<br />

dell’iperme<strong>di</strong>a <strong>di</strong>gitale.<br />

Purtroppo la restaurazione del potere economico 120 e politico riesce<br />

ad affossare anche i più puri desideri e i <strong>di</strong>ritti più elementari, camuffando<br />

tutto con la lotta alle brigate o falangi o mafia o tangentisti o con la propa-<br />

119 Cfr. CLAUDIA SALARIS, Il movimento del settantasette. Linguaggi e scritture dell’ala creativa,<br />

Bertiolo (UD), AAA E<strong>di</strong>zioni, 1997.<br />

120 L’industria della cultura <strong>di</strong> massa ripropone, in forme sempre cangianti, le esigenze che<br />

essa stessa recepisce e che più spesso artificiosamente induce e crea; grazie ad una acquisita esperienza<br />

in psicologia <strong>di</strong> massa, cerca <strong>di</strong> preservare il carattere iniziale <strong>di</strong> ribellione e <strong>di</strong> spontaneità,<br />

in quanto garanzia <strong>di</strong> commerciabilità del prodotto. Così, l’atteggiamento <strong>di</strong> chiusura all’interno del<br />

gruppo <strong>di</strong>viene per il giovane un modo per fuggire dalla realtà quoti<strong>di</strong>ana, carica <strong>di</strong> problematiche<br />

ed esigente <strong>di</strong> assunzioni <strong>di</strong> responsabilità. La funzione del cosiddetto tempo libero, novità per la<br />

società del ventesimo secolo, la crescente <strong>di</strong>soccupazione, l’età scolare prolungata, le contrad<strong>di</strong>zioni<br />

socio-culturali, <strong>di</strong>ventano un punto d’incontro e <strong>di</strong> protesta, dando luogo alla nascita ed al consumo<br />

<strong>di</strong> musiche adatte alle varie fasce e ai vari gusti: canzone tra<strong>di</strong>zionale, <strong>di</strong> consumo, <strong>di</strong> protesta,<br />

impegnata; pop-music, <strong>di</strong>sco-music, house-music, techno-music; rock, hard-rock, punk-rock (si<br />

pensi allo slogan no future dei punks inglesi), acid-rock, rock-progressive; rap, fusion, funky, blues,<br />

rock-blues, new-age, heavy-metal, trush-metal, speed-metal, word music, ecc. L’industria non<br />

tralascia alcuna possibilità <strong>di</strong> fuga dal mercato, confondendo e mescolando, quin<strong>di</strong>, esigenze fittizie<br />

e reali, inglobando queste ultime nella logica del mercato.


332 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

ganda <strong>di</strong> un populismo demagogico che rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare regime. Il<br />

gattopar<strong>di</strong>smo torna <strong>di</strong> moda e tutto resta come prima, anzi peggiora.<br />

Con Roberto Rossellini e il suo lungometraggio a soggetto Roma<br />

città aperta (1945) nasce il «neorealismo», un modo nuovo, che parte<br />

dal vero, dal concreto, <strong>di</strong> fare cinema, arte, cultura. Quando tuttavia<br />

s’impone la mercificazione del prodotto culturale finalizzato al consumismo,<br />

e quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>pendenza della cultura dal capitale, si avverte un<br />

generalizzato atteggiamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sappunto da parte degli intellettuali e<br />

degli artisti. C’è un ritorno all’impegno ideologico e prolificano in tutta<br />

l’Europa le neo-avanguar<strong>di</strong>e, più ar<strong>di</strong>te e audaci, volte a ritrovare il<br />

senso della parola o, al contrario, ad affidare alla parola il non-senso<br />

della realtà. Nel campo artistico degli anni Cinquanta si assiste al passaggio<br />

definitivo dal formale all’informale, cioè al rifiuto della forma,<br />

della immagine, per imporre l’atto in sé della creazione e assunzione<br />

della materia stessa come forma, con tre specifiche tendenze: gestuale,<br />

segnica-gestuale, materica. Senza contare negli anni Sessanta il fiorire<br />

<strong>di</strong> nuove correnti: Nouveau Realisme, Pop(ular)Art, Iperrealismo,<br />

Op(tical)Art, ecc.<br />

I movimenti socio-artistico-culturali <strong>di</strong> contestazione, <strong>di</strong> crisi e <strong>di</strong> ricostruzione<br />

del secondo dopoguerra riguardano anche la musica in tutte<br />

le sue componenti. La riapertura delle frontiere, il ristabilimento dei<br />

contatti internazionali e il sempre più netto profilarsi <strong>di</strong> un nuovo rapporto<br />

fra musica e realtà contemporanea, consentono alla generazione<br />

<strong>di</strong> Dallapiccola e <strong>di</strong> Petrassi il pieno svolgimento <strong>di</strong> una parabola<br />

artistica già sostanzialmente definita 121 . Nel 1940 Luigi Dallapiccola<br />

presenta al «Maggio musicale fiorentino» Volo <strong>di</strong> notte, tratto dal romanzo<br />

<strong>di</strong> Antoine Saint-Exupéry. Eugenio Montale elabora Il Cordovano<br />

(1949) da Miguel de Cervantes per Goffredo Petrassi 122 . Nel 1950 dopo<br />

121 GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 96; GIOVANNI AZZARONI, Il teatro musicale contemporaneo,<br />

in «Il Verri», serie VIII, nn. 5-6, 1988.<br />

122 Dramma giocoso in un atto tradotto e adattato da Montale da El viejo geloso <strong>di</strong> Miguel de<br />

Cervantes.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 333<br />

anni <strong>di</strong> lavoro Luigi Dallapiccola offre al pubblico del Maggio fiorentino<br />

Il prigioniero, su testi tratti da Philippe Auguste Mathias Villiers<br />

de l’Isle Adams e Charles De Coster, sinistro apologo espressionistico<br />

sulla tirannide fascista: l’effetto musicale angoscioso è potenziato dalla<br />

dodecafonia, la cui tecnica seriale viene tuttavia mitigata da una cantabilità<br />

d’impronta ver<strong>di</strong>ana. L’impostazione drammatica è sempre tesa<br />

e ansiosa in rapporto <strong>di</strong>alettico con la vita dell’uomo moderno 123 .<br />

L’Ulisse (1967), in un prologo e due atti, su libretto proprio, segna un<br />

vertice nell’arte <strong>di</strong> Dallapiccola. Le vicende esterne traggono argomento<br />

dall’O<strong>di</strong>ssea omerica, ma il personaggio <strong>di</strong> Ulisse, nella sua costante<br />

brama <strong>di</strong> sapere, prende le mosse da quello <strong>di</strong> Dante (Inf. XXVI,<br />

85-142): l’uomo alla ricerca <strong>di</strong> se stesso e del significato della vita. Il<br />

mito omerico viene interpretato in chiave moderna (Ulisse approda ai<br />

li<strong>di</strong> della fede) e i significati ideali della parabola appaiono connaturati<br />

con la stessa struttura musicale, organizzata secondo un nitido piano <strong>di</strong><br />

simmetrie che investono a ogni livello le componenti linguistiche, formali<br />

e simboliche dell’opera 124 .<br />

Il fatto notevole è che i giovani musicisti nati a cavallo del 1920-30<br />

si trovano proiettati <strong>di</strong> colpo in una <strong>di</strong>mensione non più soltanto italiana<br />

o europea, ma mon<strong>di</strong>ale, ricca <strong>di</strong> fermenti e <strong>di</strong> scoperte, nella quale il<br />

concetto <strong>di</strong> Nuova Musica è strettamente legato al ripu<strong>di</strong>o delle forme<br />

storiche della comunicazione linguistica e alla negazione della continuità<br />

con il passato, in favore <strong>di</strong> un programma e <strong>di</strong> un’arte <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a 125 .<br />

I giovani musicisti d’avanguar<strong>di</strong>a degli anni Cinquanta: Luigi Nono,<br />

Bruno Maderna, Luciano Berio, Franco Donatoni, Sylvano Bussotti,<br />

Aldo Clementi, Pierre Boulez, Henri Pousser, Karl Heinz Stockhausen,<br />

Iannis Xenakis, ecc. portano alle estreme conseguenze le intuizioni <strong>di</strong><br />

123 Cfr. LORENZO BIANCONI, cit., p. 94.<br />

124 ANDREA LANZA, Il Novecento II, parte II, in SOCIETÀ ITALIANA DI MUSICOLOGIA (a cura<br />

della), Storia della Musica, vol. decimoprimo, Torino, EDT, 1981, p. 101.<br />

125 ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a. Un invito al molteplice, Fiesole (FI), Discanto,<br />

1980, p. 16.


334 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Anton Webern 126 , al cui razionalismo lirico esplicitamente si richiamano<br />

gli assidui frequentatori dei Ferienkurse (Corsi estivi) <strong>di</strong> Darmstadt 127 .<br />

La frequentazione <strong>di</strong> Darmstadt 128 dà un suggello ideologico e tecnico<br />

all’esaurimento storico dell’opera italiana, quell’opera in musica<br />

che, con la sua vocazione alla espressività imme<strong>di</strong>ata e le sue gran<strong>di</strong><br />

forme (vuoi le grosse isole cantabili, vuoi <strong>di</strong>scorsi declamatori), era<br />

costituzionalmente refrattaria alle tecniche del serialismo weberniano,<br />

del puntillismo, dell’àlea, ecc. C’è nei giovani musicisti un esasperato<br />

desiderio <strong>di</strong> riorganizzare il linguaggio musicale estendendo il processo<br />

<strong>di</strong> serializzazione (una serialità non ripetitiva, ma continuamente<br />

cangiante) a tutti gli aspetti del suono: ritmo, altezza, intensità, timbro,<br />

<strong>di</strong>namica. Cessa per l’avanguar<strong>di</strong>a il concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso continuo cui<br />

succedono: strutture <strong>di</strong>ssociate, agglomerati <strong>di</strong> suoni, microrganismi <strong>di</strong><br />

breve durata <strong>di</strong>pendenti da sbalzi <strong>di</strong>namici interni e ridotti a pura materia<br />

fonica. È, insomma, la pianificazione del negativo. Non più dunque<br />

suono come espressione o riflesso della emotività, magari già comunicata<br />

in forma verbale, ma come pensiero organizzativo. Tuttavia, non si<br />

può non scorgere un riflesso <strong>di</strong> tale rottura <strong>di</strong> corrispondenza nel fatto<br />

che le complicazioni del linguaggio musicale rispetto a quello letterario,<br />

pur sempre legato ad un aspetto comunicativo, hanno finito per<br />

acuire lo sfasamento, a livello <strong>di</strong> ricezione, tra musica e letteratura, nel<br />

senso che «la letteratura che va oggi è essenzialmente quella contemporanea,<br />

la musica che va è quella tra<strong>di</strong>zionale» 129 .<br />

126 La musica <strong>di</strong> Webern non si ribella, non si fa gesto, ma conduce all’estrema <strong>di</strong>ssociazione<br />

della trama <strong>di</strong>scorsiva, alla rarefazione della materia sonora. Al tema dodecafonico, rappresentato<br />

dal torcersi della melo<strong>di</strong>a e da intrecci contrappuntistici, sostituisce la melo<strong>di</strong>a dei timbri e il<br />

concetto <strong>di</strong> costellazione (cioè, i do<strong>di</strong>ci suoni della scala temperata vengono <strong>di</strong>visi tra le <strong>di</strong>verse<br />

parti vocali o strumentali, <strong>di</strong> modo che la trama melo<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>viene una trama timbrica: ecco allora<br />

il formarsi <strong>di</strong> piccole cellule polarizzate, il formarsi <strong>di</strong> un atomismo e puntillismo timbrico, <strong>di</strong> un<br />

pulviscolo <strong>di</strong> suoni isolati senza melo<strong>di</strong>a). Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto, cit., p. 27.<br />

127 ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto, cit., p. 26.<br />

128 LORENZO BIANCONI, cit., p. 94.<br />

129 CARL DAHLHAUS, Il teatro d’opera e la Nuova Musica: un tentativo <strong>di</strong> definizione del problema,<br />

in «Il Verri», marzo-giugno 1988, p. 107.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 335<br />

Nella prospettiva <strong>di</strong> riduzione materica del suono si pongono la<br />

musica concreta (cioè una elaborazione su nastro magnetico <strong>di</strong> suoni e<br />

rumori naturali e della vita quoti<strong>di</strong>ana, musica già dal futurista Luigi<br />

Russolo, 1914, avviata con gli intonarumori) e soprattutto la musica<br />

elettronica (quella in cui l’emissione <strong>di</strong> suoni è affidata non più agli<br />

strumenti o alla voce umana, bensì ad un elaboratore elettronico in grado<br />

<strong>di</strong> produrre una gamma pressoché infinita <strong>di</strong> suoni 130 ).<br />

Altri musicisti preferiscono una spregiu<strong>di</strong>cata operazione <strong>di</strong> recupero<br />

dell’enorme bagaglio linguistico a <strong>di</strong>sposizione, ricavato da ogni<br />

periodo della storia della musica. Ma poiché i suoni, i ritmi, i timbri,<br />

estratti dal contesto linguistico del quale hanno fatto parte, non significano<br />

nulla, anche se restano <strong>di</strong>sponibili, nasce appunto la tecnica del<br />

collage (o assemblage o pastiche), un gestualismo astratto che non è<br />

più il reale contenuto musicale. E questo rappresenta l’ultimo appiglio<br />

<strong>di</strong> quanti si adoperano a cancellare ogni possibilità <strong>di</strong>alettica, cioè quel<br />

proce<strong>di</strong>mento espressivo fra due opposti che porta ad una sintesi superiore,<br />

e a mettere definitivamente in pensione la cultura umanistica 131 .<br />

Collage (1958) è appunto un lavoro <strong>di</strong> Aldo Clementi (Catania, 1925)<br />

su strutture visive <strong>di</strong> Achille Perilli. In esso gli autori tendono a proporre<br />

una flui<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> parametri acustico-visivi. Nessun contenuto<br />

ideale esplicito, se non qualche brandello <strong>di</strong> semanticità scaturita<br />

dall’automatismo delle relazioni acustico-visive. Il segno musicale e il<br />

suo significato, nel rinnovarsi, <strong>di</strong>ventano incompatibili con la parola e<br />

con il gesto finalizzato 132 .<br />

Dallo strutturalismo post-weberniano derivò anche l’alea, conseguenza<br />

logica della rottura dei tra<strong>di</strong>zionali nessi del <strong>di</strong>scorso musicale.<br />

130 L’interesse specifico per la musica elettronica consiste nella possibilità <strong>di</strong> esplorare il suono<br />

fuori dai consueti schemi mentali del compositore, quasi esclusivamente sintonizzati sull’utilizzazione,<br />

parcellizzata al minimo, del sistema temperato, con l’intenzione <strong>di</strong> reperire una fonicità<br />

inesplorata.<br />

131 ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto, cit., p. 30.<br />

132 ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., p. 118.


336 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Ma il concetto <strong>di</strong> alea è già figlio accidentale del futurismo come le<br />

successive <strong>di</strong>ssacrazioni dello happening, le serate futuriste; come certi<br />

grafismi <strong>di</strong> libretti del teatro musicale contemporaneo, con le parole in<br />

libertà ripetute, raddoppiate, smozzicate, in lingue <strong>di</strong>verse. L’alea 133<br />

(opera aperta o in movimento, esecuzione aperta sull’interprete) è<br />

quel fenomeno in cui il compositore invoca la collaborazione creativa<br />

dell’interprete, al quale affida iniziative <strong>di</strong> scelta propriamente compositive<br />

134 . In Mauricio Kagel, John Cage, Franco Donatoni è chiaro l’intento<br />

<strong>di</strong> usare la materia musicale allo stesso modo con cui gli scrittori e<br />

i poeti sperimentali si servono del materiale verbale con funzione <strong>di</strong><br />

provocazione, e per significare una realtà sfuggente e plurima. Praticamente<br />

la neo-avanguar<strong>di</strong>a si prefigge <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere nel fruitore ogni<br />

acquisito criterio <strong>di</strong> identificazione 135 e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fargli aprire gli occhi<br />

su un mondo inquieto e senza precise <strong>di</strong>rettive. Ma in letteratura la rottura<br />

con il passato non è mai completa. «Il potere semantico della parola<br />

(il rapporto tra segno e significato o referente) può essere offeso e sfregiato,<br />

ma non viene mai <strong>di</strong>strutto. Per cui ogni singola parola, anche se<br />

forzatamente isolata da qualsiasi contesto, conserva sempre una sia pur<br />

minima capacità rappresentativa, un rapporto con il mondo dei concetti<br />

e della vita» 136 . Alla formazione del materiale musicale, invece, così<br />

come esso è pervenuto al Novecento, si è arrivati attraverso infinite<br />

operazioni <strong>di</strong> cernita e <strong>di</strong> scelta su un terreno puramente convenzionale,<br />

attraverso l’elaborazione <strong>di</strong> quelle regole che solo presiedono alla semanticità<br />

storico-stilistica del suono, fino a costituire il sistema temperato<br />

133 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., pp. 31-32; ID., Guida all’ascolto,<br />

cit., p. 31.<br />

134 Il che può essere fatto o con una notazione d’azione, volutamente imprecisa, con la quale<br />

vengono in<strong>di</strong>cati i gesti da compiere più che i risultati fonici da conseguire; oppure in<strong>di</strong>cando<br />

<strong>di</strong> suonare a ripetizione l’ultima parte allo scopo <strong>di</strong> svilire e degradare la materia sonora; oppure<br />

segnando in maniera chiara la ridondanza aleatoria. Cfr. Mauricio Kagel in ANDREA LANZA, cit.,<br />

p. 167 e 170-171.<br />

135 Cfr. GUIDO SALVETTI, cit., p. 23; ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., p. 17;<br />

ID., Guida all’ascolto, cit., p. 31.<br />

136 ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto, cit., p. 32-33.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 337<br />

con la sud<strong>di</strong>visione dell’ottava in do<strong>di</strong>ci intervalli <strong>di</strong> semitono, nei do<strong>di</strong>ci<br />

suoni della scala cromatica, <strong>di</strong>stillati dall’immensa riserva <strong>di</strong> suoni<br />

e rumori che è possibile produrre sfruttando tutti i mezzi fonici <strong>di</strong> cui la<br />

natura <strong>di</strong>spone. Rompere il sistema alla ricerca <strong>di</strong> fonicità inesplorate<br />

ha significato mettere in moto processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociazione o <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione<br />

<strong>di</strong> un solo suono rispetto agli altri un<strong>di</strong>ci. La materia sonora,<br />

svilita a maceria del vecchio linguaggio musicale, suggerisce, quasi<br />

secerne il gesto come un extra: la musica si fa teatro, inteso come<br />

rappresentazione <strong>di</strong> una realtà (critica o encomiastico-celebrativa). Il<br />

compositore (ad es. Cage) suggerisce determinati movimenti ai quali dà<br />

<strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> rito, cioè <strong>di</strong> teatro 137 .<br />

«Tutta la musica è stata sempre, in misura maggiore o minore, gestuale.<br />

Essa ha infatti la prerogativa <strong>di</strong> suggerire un’azione (o inazione), un<br />

moto (o stasi): e non si parla solo della musica pensata <strong>di</strong>rettamente per<br />

la rappresentazione teatrale. È vero che nella musica nata espressamente<br />

per essere il correlato <strong>di</strong> un fatto scenico tale aspetto ha una incidenza<br />

<strong>di</strong>versa; a tal punto che in qualsiasi melodramma ottocentesco, e non<br />

solo ver<strong>di</strong>ano, improntato ad un plastico realismo, capiremmo ad occhi<br />

chiusi e solo ascoltando il decorso delle strutture sonore, la natura del<br />

comportamento scenico: drammatico, lirico, eroico, esitante, irruente,<br />

stupefatto. L’immagine fisica del personaggio, nell’atteggiamento che è<br />

proprio <strong>di</strong> una determinata situazione, si staglia così nella nostra mente<br />

[ed è il principio applicato dalla pubblicità] spesso assai più probante<br />

e atten<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> quanto non avverrebbe se tenessimo lo sguardo fisso sul<br />

palcoscenico» 138 .<br />

L’azione sembra non appartenere più alla realtà astratta e pretestuosa<br />

del libretto o della trama, ma alla concretezza plastica del teatro musicale.<br />

Perciò, anche nel caso in cui esiste <strong>di</strong>varicazione tra gesto e musica, tra<br />

situazione e suono, tra parola e suono – e ne consegue uno straniamento<br />

o allontanamento– esso <strong>di</strong>venta funzionale, sia pure per negazione, a<br />

137 ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., p. 117.<br />

138 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 94.


338 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

caratterizzare drammaticamente la musica o musicalmente il dramma<br />

insito in ogni parola, situazione, gesto, azione.<br />

L’aspetto più appariscente della musica sperimentale degli anni Sessanta<br />

sembra essere quello gestuale. La nuova musica tende irresistibilmente<br />

verso il teatro. Non che essa aspiri ad una integrazione rappresentativa,<br />

piuttosto perché, come <strong>di</strong>ce Piero Santi, il gesto nasce dallo<br />

stesso formarsi degli elementi sonori 139 . Si ricorda ad esempio il brano<br />

<strong>di</strong> John Cage Musik Walk per pianoforte, elettrodomestici, apparecchi<br />

ra<strong>di</strong>o, acqua nella triplice specie <strong>di</strong> ghiaccio-acqua-vapore, nel quale gli<br />

interpreti dovendosi trovare in cammino e senza posa per passare dalla<br />

stimolazione <strong>di</strong> una fonte sonora ad un’altra – essendo queste collocate<br />

<strong>di</strong>stanti l’una dall’altra – evidenziano al massimo il loro ruolo <strong>di</strong> attori<br />

della musica 140 . Stessa cosa <strong>di</strong>casi per Klavier-stimmen, un brano <strong>di</strong><br />

Dieter Schnebel (da Glossolalie, 1961), nel quale l’interprete produce<br />

pochissimi suoni pianistici e invece va avanti-in<strong>di</strong>etro per il palcoscenico<br />

manipolando materiali sonori che più eterogenei non si potrebbe immaginare:<br />

bottiglie, vaschette d’acqua, bacchette, e altro 141 .<br />

Le barriere tra i <strong>di</strong>versi generi artistici (gesto, parola, musica) cadono<br />

in John Cage in virtù della goliar<strong>di</strong>ca giullaresca ironica inserzione<br />

<strong>di</strong> fenomeni extra rispetto a ciascuno <strong>di</strong> essi singolarmente intesi 142 . La<br />

sperimentazione <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> musica detta fattuale fu consacrata in<br />

movimento nel convegno «Arte e tecnologia» tenuto dal Gruppo ’70 a<br />

Firenze (Forte Belvedere). Erano presenti fra gli altri Paolo Castal<strong>di</strong>,<br />

Giuseppe Chiari, Silvano Bussotti, John Cage, ecc.). Cage (Los Angeles,<br />

1912), considerato il caposcuola <strong>di</strong> questo movimento, cominciò a<br />

conquistare innumerevoli adepti e ad influire, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente,<br />

in misura ora più ora meno pronunciata, sugli stessi musicisti<br />

de<strong>di</strong>ti all’informalismo seriale e aleatorio.<br />

139 Ivi.<br />

140 GIANFRANCO VINAY, cit., p. 134.<br />

141 PIERO SANTI, Sperimentalismo e musica fattuale, in «Sipario», cit., p. 53.<br />

142 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 97.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 339<br />

In rapporto alla tra<strong>di</strong>zione imme<strong>di</strong>ata del linguaggio musicale, qual<br />

è la peculiare morfologia e attitu<strong>di</strong>ne estetica <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> musica<br />

Quali le caratteristiche generali <strong>di</strong> queste composizioni Roman Vlad 143<br />

ce lo fa capire descrivendo l’Originale-Musicalische Theater <strong>di</strong> Karl<br />

Heinz Stockhausen dato a Colonia nel 1961.<br />

«Lo spettacolo aveva inizio con l’esecuzione dei Kontakte per suoni<br />

elettronici, pianoforte e percussioni. L’azione suscitata da questa musica<br />

faceva vedere: un operatore fìlmare il pubblico; la bambina del compositore<br />

scendere dalle ginocchia paterne e costruire una casetta con dei<br />

cubetti; una giovane donna cambiare più volte vestito; un attore recitare,<br />

con accenti spropositati, il <strong>di</strong>scorso funebre <strong>di</strong> Marcantonio dal Giulio<br />

Cesare <strong>di</strong> Shakespeare; un’attrice monologare il <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong> Luisa Miller<br />

con Wurm, un altro attore recitare – reggendosi sulla testa – il <strong>di</strong>scorso<br />

<strong>di</strong> Saint Just tratto dalla Morte <strong>di</strong> Danton, altri due attori completavano<br />

questo «quintetto vocale» recitando parole sempre più prive <strong>di</strong> senso e<br />

sempre più meto<strong>di</strong>camente sconnesse. Una autentica ven<strong>di</strong>trice imboniva<br />

nel frattempo il pubblico, vendendo le ultime e<strong>di</strong>zioni dei giornali<br />

che i presenti acquistavano col massimo entusiasmo. Poi veniva il clou<br />

della serata: un giovane coreano cominciava a lanciare sulle teste degli<br />

spettatori legumi dopo <strong>di</strong> che imbrattava il suo abito scuro».<br />

Questo è un esempio <strong>di</strong> musica fattuale-gestuale. Mentre in una esecuzione<br />

musicale tra<strong>di</strong>zionale il gesto, fosse solo quello voluto o no, del<br />

<strong>di</strong>rettore d’orchestra, è parte del fatto musicale, e non certo determinante<br />

nella produzione del suono. Caratteristica, dunque, della musica fattuale è<br />

che in essa idea e risultati (realizzazione), materiale e operazione creatrice<br />

(formante) si identificano. Per il rifiuto <strong>di</strong> sottostare agli obblighi <strong>di</strong> produzione<br />

della musica <strong>di</strong> ascolto, la musica fattuale si definisce anti-musica.<br />

Per Franco Donatoni (Verona, 1927 - Milano, 2000) già il gratuito<br />

gesticolare è teatro musicale 144 . E descrive l’esperienza teatrale <strong>di</strong> Atem<br />

(1985), due tempi e un intermezzo, come semplicemente un’occasione<br />

143 ROMAN VLAD, Originale-Musicalische Theater <strong>di</strong> Karl Heinz Stockhausen, in «Rassegna<br />

Musicale», n.4/1961.<br />

144 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 104.


340 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

per teatralizzare la musica, cioè come una teatralità che si svolge nella<br />

mente. Confermando quanto nel 1964 aveva asserito, che cioè per lui<br />

fare teatro era comporre musica.<br />

György Ligeti (ungherese, naturalizzato austriaco, 1923) in Nouvelles<br />

aventures (1962-65) per voce e strumenti, si cimentò in un brano<br />

grondante <strong>di</strong> finissima teatralità sottilmente provocatoria, dove le voci<br />

alternano spericolati fonemi e gli esecutori sono invitati a ripercorrere a<br />

memoria un vasto catalogo <strong>di</strong> azioni e <strong>di</strong> impulsi 145 .<br />

L’anno zero 146 costituisce la cancellazione <strong>di</strong> ogni han<strong>di</strong>cap in modo<br />

da consentire a tutti <strong>di</strong> ripartire da una stessa posizione: questo almeno è il<br />

proposito <strong>di</strong> quei giovani (Stockhausen, Boulez, Pousser, Maderna, Berio,<br />

Nono, Clementi, Evangelisti, Xenakis, ecc.) che si presentano all’appello<br />

<strong>di</strong> Darmstadt. Tra tutti Luciano Berio (Oneglia, 1925 - Roma, 2003)<br />

è certamente colui che <strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> sapersela cavare meglio con la parola<br />

e con le faccende letterarie, rendendo assai mobile il confine tra<br />

linguaggio parlato e linguaggio musicale. Egli considera la musica ad<strong>di</strong>rittura<br />

come un detonatore che fa esplodere il testo in tante <strong>di</strong>rezioni<br />

<strong>di</strong>verse. Il rapporto con il testo è tra i più impreve<strong>di</strong>bili e continuamente<br />

rinnovato. Nelle sue prime composizioni (ve<strong>di</strong> Sequenze 147 ), pur con<br />

le <strong>di</strong>verse influenze cageane nel senso <strong>di</strong> vicendevole trasformazione<br />

e combinazione <strong>di</strong> strumenti e voce, predomina il permanere <strong>di</strong> una<br />

struttura compositiva rettilinea. Dalle trasgressioni sulla parola intese<br />

come momento semantico (la Sequenza III ), alla ricreazione della parola<br />

attraverso un cammino pre-verbale come momento fonetico. La<br />

Sequenza VI per viola privilegia la qualità fonica della materia sonora<br />

sia per quanto riguarda l’acustica, il timbro, il colore, sia la linguistica e<br />

145 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 103.<br />

146 GIAN PAOLO MINARDI, Letteratura e musica nel Novecento italiano, cit., p. 32.<br />

147 Si tratta <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci Sequenze per vari strumenti solistici. Esse sono scritte per<br />

flauto (Gazzelloni),1958; arpa, 1963; voce femminile, 1966; pianoforte, 1967; trombone, viola,<br />

oboe, violino, clarinetto (della quale c’è anche una versione per sassofono contralto), tromba e risonanze<br />

<strong>di</strong> pianoforte, chitarra e fagotto. Quest’ultima risale al 1995.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 341<br />

la suggestione che ne deriva. Nelle Sequenze per flauto, per voce, per<br />

oboe e per trombone 148 l’esecutore deve combinare il suono strumentale<br />

con quello della propria voce, trasformandoli vicendevolmente. «La stessa<br />

continuità <strong>di</strong>scorsiva delle Sequenze si ritrova in una composizione<br />

ricca <strong>di</strong> estro, <strong>di</strong> sensibilità e anche <strong>di</strong> seduzioni vocali-comportamentali<br />

come Circles (1960) per voce femminile, arpa e due percussionisti. In<br />

questo brano si saldano mirabilmente ricerca fonica ed estroversione<br />

mimico-funzionale degli interpreti. La voce è sottoposta a varie sollecitazioni<br />

foniche e inoltre l’informazione segnica, senza nulla concedere<br />

all’aleatorio, sollecita una brillante estemporaneità esecutiva» 149 : c’è una<br />

continua varietà e <strong>di</strong>namicità <strong>di</strong> ruoli: la cantante assume il comando<br />

delle operazioni, si scambia con gli strumentisti, mo<strong>di</strong>fica in un certo<br />

senso le regole delle convenzionali <strong>di</strong>stinzioni. Lo struggimento lirico<br />

vocale alternato a virtuosistiche sortite strumentali penetra nel rapporto<br />

fantasia-realtà con un gioco <strong>di</strong> ambivalenze assai suggestivo.<br />

Nel tentativo, dunque, <strong>di</strong> porsi all’anno zero parve proprio che negli<br />

anni Cinquanta il teatro musicale fosse totalmente escluso da quella<br />

che si definiva allora nuova musica. I musicisti dei Ferienkurse <strong>di</strong><br />

Darmstadt impegnati in un ripensamento delle strutture interne del<br />

linguaggio musicale (ripensamento tendente ad un astrattismo musicale<br />

autosufficiente), avevano momentaneamente allontanato il teatro musicale<br />

coi problemi <strong>di</strong> rapporto e <strong>di</strong> integrazione che esso pone tra il<br />

linguaggio musicale stesso, <strong>di</strong> cui loro si occupavano, e le altre componenti<br />

essenziali al teatro musicale, cioè parola e gesto. Ad un certo<br />

punto, però, la necessità <strong>di</strong> fare teatro prende i musicisti e li spinge per<br />

strade <strong>di</strong>versissime: quella dell’ala cageana – come si è già detto – e<br />

quella che potremmo definire noniana.<br />

Il primo, infatti, all’interno della avanguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> quegli anni, a pensare<br />

al gesto e alla gestualità quale <strong>di</strong>mensione del suono, ma composi-<br />

148 La Quinta, per trombone, 1968, è de<strong>di</strong>cata alla memoria del grande clown Grock, il quale<br />

usava strumenti musicali come giocattoli, estraendone sonorità curiose.<br />

149 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 103.


342 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

tivamente pensata (cioè tenendo presente il risultato finale), fu Luigi<br />

Nono (Venezia, 1924-1990), già a partire da Victoire de Guernica. La<br />

tessitura sonora che va esplicitandosi in Nono corrisponde alla evocazione<br />

<strong>di</strong> una gestualità lacerante e lacerata 150 , che scaturisce non dalla<br />

fredda ricerca <strong>di</strong> tecniche sonore (tecnicismo e ra<strong>di</strong>calismo linguistico)<br />

votate all’annichilimento <strong>di</strong> un linguaggio musicale desueto, ma da motivazioni<br />

<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne comunicativo. Nono sottolinea la concreta raffigurazione<br />

dell’impegno umano attraverso situazioni sceniche non aliene da<br />

una gestualità nuova, ma sempre stagliate nella prospettiva <strong>di</strong> una<br />

lettura dall’inequivocabile contenuto ideale. Nono, dunque, pur partendo<br />

dalle esperienze darmstadtiane e dal puntillismo weberniano, supera<br />

i canoni esasperatamente formalistici e <strong>di</strong>spone il materiale sonoro, invece<br />

che in suoni isolati, in strutture serrate e funzionali ad evidenziare<br />

un profondo impegno umano e civile che attinge ai valori dell’umanesimo<br />

marxista. Sicché il latente contenutismo degli anni Cinquanta sfocia<br />

nell’utilizzazione della voce umana e del testo cantato 151 . Praticamente<br />

Nono riven<strong>di</strong>ca l’esigenza <strong>di</strong> conservare nel rapporto tra parola e musica<br />

un contenuto semantico. Il suo intento è quello <strong>di</strong> suggere dalla parola<br />

ogni sua più segreta virtualità espressiva e farne tutt’uno con la musica,<br />

sia che egli affi<strong>di</strong> il testo ad una voce sola sia che lo sbricioli in più voci.<br />

Le scelte <strong>di</strong> Nono si <strong>di</strong>ramano quin<strong>di</strong> verso quei letterati che offrivano<br />

insieme umori emotivi e <strong>di</strong>chiarativi 152 : Garcia Lorca, Pablo Neruda,<br />

Cesare Pavese, Giuseppe Ungaretti, Antonio Machado e tanti altri.<br />

Scelta <strong>di</strong> fonti poetiche, letterarie e documentarie sempre incentrata su<br />

temi <strong>di</strong> forte impegno sociale, come le lettere <strong>di</strong> condannati a morte per<br />

la Resistenza. Nel campo corale fonda un tipo <strong>di</strong> scrittura nuovissima,<br />

costituita da agglomerati sonori slittanti, da successioni dense <strong>di</strong> punti,<br />

secondo un tipo <strong>di</strong> strutturazione del tessuto sonoro tendenzialmente<br />

150 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 106.<br />

151 LUIGI NONO, Possibilità e necessità <strong>di</strong> un nuovo teatro musicale, in «Il Verri», n° 9 (1963).<br />

152 In tal senso Nono attua un prolungamento <strong>di</strong> quella tra<strong>di</strong>zione che aveva già avuto come<br />

suoi cultori , benché non sempre espliciti, Pizzetti e Dallapiccola.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 343<br />

materico 153 . È interessante notare come l’organicità formativa coincida<br />

strettamente con le convinzioni ideologiche e politiche, anche nell’utilizzazione<br />

<strong>di</strong> materiali concreti ed elettronici che affondano le loro ra<strong>di</strong>ci<br />

in precise situazioni umane e sociali (lavoro in fabbrica, guerriglia partigiana,<br />

riscatto <strong>di</strong> popoli sfruttati, ecc.). L’antinomia lirismo-materia<br />

sembra risolversi in un concreto farsi della struttura musicale dentro la<br />

quale <strong>di</strong>namicamente i due termini si alternano, si integrano, si intrecciano.<br />

Fin dall’inizio, nell’in<strong>di</strong>rizzo noniano, prevalgono forme <strong>di</strong> teatro<br />

musicale dove la storia narrabile (plot) è supportata dall’allegoria politica<br />

e dall’impegno civile.<br />

L’apporto teatrale <strong>di</strong> Intolleranza <strong>di</strong> Nono (azione scenica in due parti<br />

su testo <strong>di</strong> Angelo Maria Ripellino 154 , 1960) segna ancora una più decisa<br />

attenzione ai contenuti della nostra storia innalzati a documento delle<br />

ingiustizie nella società capitalistica fondata sullo sfruttamento 155 . La<br />

funzionalizzazione lirico-drammatica del materiale sonoro si traduce musicalmente<br />

in un alternarsi <strong>di</strong> paesaggi musicali nettamente <strong>di</strong>fferenziati<br />

da stridenti contrasti. Dopo lo scatenarsi orchestrale <strong>di</strong> autentiche colate<br />

laviche, dove il puntillismo è ormai condotto ad una crudezza e ad una<br />

intensità lontane da quello weberniano, emerge improvvisa l’urgenza<br />

espressiva controllata da una estrema economia <strong>di</strong> mezzi, tramite un modellato<br />

nudo, scolpito, intenso (come la vasta aria della Compagna che si<br />

153 ARMANDO GENTILUCCI, Guida all’ascolto, cit., pp. 34-35.<br />

154 «L’esercizio della poesia è una prova <strong>di</strong> resistenza alle asperità quoti<strong>di</strong>ane e all’in<strong>di</strong>fferenza<br />

degli uomini» scriveva A.M. Ripellino nel 1977, un anno prima della sua morte. Poeta <strong>di</strong> metà<br />

Novecento, il cui stile si rifà al barocco, goloso <strong>di</strong> immagini ricche e vive. Parole go<strong>di</strong>bili per il<br />

suono, ma strumento <strong>di</strong> racconto e perciò mai prive <strong>di</strong> sentimento. Registrazione d’emozioni forti,<br />

espresse con la cor<strong>di</strong>alità dell’uomo pacifico e triste. Un’arte, la sua, frutto <strong>di</strong> una cultura mitteleuropea.<br />

Grande traduttore della letteratura russa, polacca e ceca. Fece parte del «Gruppo ’63» e <strong>di</strong><br />

quello si portò <strong>di</strong>etro il rifiuto della mercificazione dell’arte. Cfr. NINO BORSELLINO, Ripellino e il<br />

suo teatro della scrittura, in «Lunario», V (1982), nn. 21-22, pp. 21-26.<br />

155 È la tragica o<strong>di</strong>ssea <strong>di</strong> un Emigrante che, dopo anni <strong>di</strong> durissimo lavoro in miniera subisce<br />

il contrasto della Donna che gli è stata a fianco e percosse e torture della polizia, viene mandato in<br />

un campo <strong>di</strong> concentramento. Da qui fugge e nel lungo viaggio <strong>di</strong> ritorno si affianca una Compagna<br />

– opposto polo <strong>di</strong>alettico della Donna – che rappresenta il mondo come potrebbe e dovrebbe essere.<br />

L’Emigrante muore mentre tenta <strong>di</strong> arginare lo straripamento <strong>di</strong> un fiume.


344 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

riallaccia al Lamento <strong>di</strong> Liubka nel Canto sospeso, 1956, e le improvvise<br />

apparizioni del coro solo). Emerge qui una tecnica corale che rimarrà tipica<br />

<strong>di</strong> Nono, basata sulla applicazione della polifonia puntillistica al testo<br />

verbale: le parole e le sillabe, spezzate e polverizzate, vengono affidate<br />

alle <strong>di</strong>verse voci e trattate alla stregua <strong>di</strong> eventi timbrici isolati. Dal loro<br />

intreccio scaturisce però un valore semantico che, se è avulso da quello<br />

originario, pure lo richiama e lo rievoca ad intermittenza attraverso una<br />

forte carica espressiva. Teatro <strong>di</strong> idee, drammaturgia <strong>di</strong> situazioni: la musica<br />

<strong>di</strong> Nono è sempre dominata dal senso sociale della storia ed insieme<br />

sospinta dall’urgenza dell’attualità, conflitto che si trova tanto in Intolleranza<br />

quanto in Al gran sole carico d’amore.<br />

In Al gran sole carico d’amore (1961; 1975) Nono scarta il tra<strong>di</strong>zionale<br />

schema del teatro musicale e senza una narrazione o una cronologia<br />

<strong>di</strong> riferimenti opera musicalmente su testi <strong>di</strong> varia provenienza, accostati<br />

secondo una logica tendenzialmente aperta, relativi alla Comune <strong>di</strong><br />

Parigi, alla lotta per l’emancipazione e la partecipazione femminile, alla<br />

lotta per il rinnovamento della società. «Il montaggio dei testi desunti<br />

dalle più <strong>di</strong>verse fonti (Che-Guevara, Carl Marx, Bertolt Brecth, Tanja<br />

Bunke, Louis Michel, Nikolaj Lenin, Cesare Pavese, Maksim Gor’kij,<br />

Haydée Santamaria, Celia Sanchez) si inquadra nella prospettiva <strong>di</strong> un<br />

superamento del teatro narrativo in favore della compresenza-alternanza<br />

<strong>di</strong> riferimenti a situazioni storiche <strong>di</strong>verse, unite da una comune<br />

matrice ideale e drammatica» 156 Canti popolari come l’Internazionale,<br />

Ban<strong>di</strong>era rossa e altri vengono utilizzati per il loro significato semantico,<br />

per la loro storia 157 .<br />

La collaborazione <strong>di</strong> Luigi Nono col filosofo Massimo Cacciari è,<br />

invece, tutta tesa a recuperare il mistero del suono che si in<strong>di</strong>vidua<br />

uscendo dal magma della babele linguistica. Con Prometeo (1984), opera<br />

destinata ad un ambiente extrateatrale, appositamente costruito, Nono e<br />

156 ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., p. 138.<br />

157 Ivi, pp. 135-139.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 345<br />

Cacciari – valendosi dei testi <strong>di</strong> Friedrich Hölderlin, Walter Benjamin,<br />

Friedrich Wilhelm Nietzsche, Reiner Maria Rilke – intessono una trage<strong>di</strong>a<br />

dell’ascolto (che è il sottotitolo dell’opera), ossia la trage<strong>di</strong>a che<br />

annulla la funzione visiva per assegnarla alla funzione intellettuale<br />

dell’ascolto, funzione annichilita nella società contemporanea.<br />

Commentando Prometeo Nono <strong>di</strong>ce: «La vita nostra, intima, interiore,<br />

esterna, ambientale, vibra, pulsa, ascolta variamente il vario acustico:<br />

continuo-<strong>di</strong>scontinuo, percettibile-inu<strong>di</strong>bile, profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> lontananze,<br />

<strong>di</strong> echi, <strong>di</strong> memorie, <strong>di</strong> nature, frammenti, istanti, sotterraneo, siderale,<br />

casuale, aperio<strong>di</strong>co, senza fine... La tecnologia oggi può far arrivare<br />

stupita meraviglia alle nostre orecchie, alla nostra intelligenza, ai nostri<br />

sentimenti, alla nostra conoscenza e, perché no, al possibile non capire,<br />

tuttavia» 158 .<br />

Quando il 25 settembre 1984 si è tenuta la prima mon<strong>di</strong>ale del Prometeo<br />

autori, esecutori e spettatori si sono trovati insieme immersi in<br />

uno spazio musicale insolito, appositamente ideato e realizzato dall’architetto<br />

genovese Renzo Piano. Nessuno dei realizzatori si è preoccupato<br />

<strong>di</strong> cercare il nuovo; esso è venuto da solo, dalla ricerca, dal lavoro, dallo<br />

stu<strong>di</strong>o. E in quel clima <strong>di</strong> neoumanesimo che c’è nel Prometeo non poteva<br />

essere altrimenti. Tutto ciò che noi ve<strong>di</strong>amo è frutto del movimento.<br />

Ma Nono e i suoi collaboratori hanno voluto snaturare il movimento<br />

dandogli una essenza sonora e un valore istantaneo. Il continuum che<br />

caratterizza il movimento non è più (è spezzato), da ogni punto <strong>di</strong> vista:<br />

il suono – stu<strong>di</strong>ato, cercato, analizzato, scomposto, moltiplicato – è uno,<br />

istantaneo e decisivo in tutti i momenti, anche quando sovrapposto, trattato<br />

polifonicamente o contrappuntisticamente; lo Spazio, che inventa<br />

la Musica ed è da essa inventato, si trova nella straor<strong>di</strong>naria situazione<br />

<strong>di</strong> non ospitare oggetti ed esseri in movimento, ma oggetti ed esseri produttori<br />

e fruitori (tutti!) dell’attimo in cui si decide se il suono c’è oppure<br />

se esso è silenzio; gli artisti – esecutori e compositori (entrambi fino a<br />

158 GUSTAVO MARCHESI, cit., p. 107.


346 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

dove nelle loro tra<strong>di</strong>zionali mansioni) – sono presenti in ogni punto<br />

della sala (i numerosi monitors permettono infatti a Clau<strong>di</strong>o Abbado <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rigere, anche se sparsi, i quattro gruppi orchestrali, i coristi e i solisti, i<br />

quali ultimi si spostano, ma il cui muoversi è colto dallo spettatore solo<br />

in alcuni istanti e non completamente) e oscillano tra gli dèi e gli uomini<br />

(come Prometeo), il sacro e il profano (la chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo e il<br />

liuto dell’architetto genovese), il silenzio e il non-silenzio (l’ogni<br />

suono, in ogni luogo, in ogni momento), l’antico e il nuovo (la trattatistica<br />

musicale cinquecentesca, ad es., e la ricerca <strong>di</strong> altre possibilità <strong>di</strong><br />

ascolto), oscillano su quel punto, su quell’attimo in cui avviene il dran,<br />

il fare nell’istante della decisione; gli ascoltatori vengono umanisticamente<br />

coinvolti nella esperienza vissuta da tutti i realizzatori dell’opus.<br />

Siamo <strong>di</strong> fronte al circolare, all’infinitamente chiuso, all’indefinitamente<br />

aperto, al creare privo <strong>di</strong> vizi e de<strong>di</strong>to all’Uomo, al suo essere sensibile<br />

in maniere ancora inesplorate. Il circolare è espresso fisicamente dalle<br />

possibilità che la tecnologia offre a Nono (l’Halaphon permette ad un<br />

suono <strong>di</strong> compiere un giro attraverso gli altoparlanti <strong>di</strong>sposti tutt’intorno<br />

agli ascoltatori). L’infinitamente chiuso è dato dal doppio contenitore<br />

che delimita il suono in quell’ambiente, perché suono <strong>di</strong> quell’ambiente.<br />

L’indefinitamente aperto, ovvero le possibili mo<strong>di</strong>fiche che si possono<br />

apportare ad un opus in base all’esperienza (ricerca, stu<strong>di</strong>o, altro/i).<br />

Comporre con la dovuta serenità (in<strong>di</strong>pendenza, tempo, materiali, attrezzature,<br />

amicizia), perché comporre è fatica e trage<strong>di</strong>a. Ancora, il<br />

circolare teoricamente visto come infiniti punti – uno <strong>di</strong> seguito all’altro<br />

– tutti equi<strong>di</strong>stanti da Uno. L’infinitamente chiuso nella sua epoca<br />

e nel suo multiverso. L’indefinitamente aperto a un or<strong>di</strong>ne del possibile.<br />

Comporre in un clima in cui non si debba pensare che all’Uomo,<br />

all’Uomo in rapporto al mondo dei suoni, all’Uomo costretto a decidere<br />

nuovamente negli istanti della sua vita, se ascoltare – in senso lato –<br />

o non farlo.<br />

«Mi sto allontanando dal centro che Prometeo vuole focalizzare... Se è<br />

così, allora esco dalla chiesa, passeggio tra calli e canali, attraverso<br />

campi e fondamenta, e ascolto il suono, che nato con esso, precipita in


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 347<br />

quest’altro universo spaziale... Ma forse sbaglio; rimango, in realtà,<br />

ancora in San Lorenzo, nel ventre del grande liuto <strong>di</strong> Piano, ad ascoltare<br />

Prometeo; o forse ancora sono già a letto ad ascoltarmi; o forse sono<br />

contemporaneamente qui e lì, comunque ad ascoltare».<br />

Spostandosi ogni volta l’interesse dei compositori dell’avanguar<strong>di</strong>a<br />

dalla ricerca e/o da posizioni e atteggiamenti tipici <strong>di</strong> correnti nuove<br />

verso il loro specifico ambito <strong>di</strong> lavoro (serialismo integrale, puntillismo,<br />

alea, collage, musica concreta, mus. elettronica, ecc.) il pretesto<br />

letterario verrà inglobato nel processo <strong>di</strong> manipolazione fonica strutturalmente<br />

calcolata ed estremamente <strong>di</strong>fferenziata, ma decisa a <strong>di</strong>ssociarsi<br />

da ogni memoria o automatismo espressivo pregresso: in sé e solo<br />

per sé determinata.<br />

Esponente <strong>di</strong> questa tendenza è Luciano Berio. Fin dai primi esperimenti<br />

elettronici Berio in<strong>di</strong>vidua nella deformazione <strong>di</strong> un evento sonoro,<br />

me<strong>di</strong>ante la rotazione <strong>di</strong> molteplici prospettive, il modus operan<strong>di</strong><br />

fondamentale.<br />

Nell’articolo Poesia e musica 159 Berio, illustrando il suo lavoro<br />

Thema: Omaggio a Joyce (1958), così descrive il proce<strong>di</strong>mento usato:<br />

«Ho condotto l’esperimento tentando un graduale sviluppo dei soli<br />

elementi verbali proposti da una voce femminile che legge un testo<br />

poetico. Coi mezzi della musica elettronica è evidentemente possibile<br />

spingere assai lontano l’integrazione e la continuità tra <strong>di</strong>verse strutture<br />

sonore ed è possibile risalire tanto da un fenomeno all’ipotesi e alla<br />

conferma <strong>di</strong> una idea – cioè <strong>di</strong> una forma – quanto al suo contrario».<br />

Nel caso particolare <strong>di</strong> questa esperienza Berio affronta il problema<br />

<strong>di</strong> un passaggio dal parlato, dalla lettura <strong>di</strong> un testo letterario (un extra)<br />

alla sua strutturazione musicale non tra<strong>di</strong>zionale (in quanto parola enfatizzata<br />

nelle componenti sonore). Da cui l’esigenza <strong>di</strong> mescolare spunti,<br />

materiali, stimoli <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa origine, con vivezza creativa. Dunque «il<br />

159 LUCIANO BERIO, Poesia e Musica, in «Incontri Musicali», 3(1959), pp. 98-111. Cfr. HENRI<br />

POUSSEUR, La musica elettronica. Testi scelti e commentati, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 124-135.


348 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

linguaggio musicale non deve limitarsi a definire un ambito univoco<br />

chiuso in se stesso, ma può essere inteso anche come un intreccio <strong>di</strong><br />

co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>versi che si integrano oppure entrano in conflitto: un co<strong>di</strong>ce dei<br />

co<strong>di</strong>ci» 160 . In Thema il ‘fenomeno’ è la lettura registrata (in inglese,<br />

italiano e francese) dell’inizio dell’un<strong>di</strong>cesimo capitolo dell’Ulysses <strong>di</strong><br />

James Joyce, il capitolo delle sirene. Il musicista fa subire al brano letto<br />

ogni sorta <strong>di</strong> sovrapposizione e <strong>di</strong> manipolazione elettronica. Il risultato<br />

finale vorrebbe raggiungere una esposizione pratica della propria poetica,<br />

anche se in realtà ogni significato fonematico progressivamente si<br />

<strong>di</strong>sperde. Tuttavia questo è un caso interessante perché verifica sperimentalmente<br />

il passaggio progressivo dal linguaggio letterario, cui viene<br />

tolto ogni significato in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una pura funzione sonora, alla musica.<br />

L’equilibrio raggiunto rappresenta il punto me<strong>di</strong>o fra gli estremi<br />

del recitativo semplice da una parte e del bel canto dall’altra.<br />

In definitiva la parola, espressa con lo strumento della voce, anche se<br />

intervenendo la musica <strong>di</strong>venta incomprensibile, resta sempre il supporto<br />

della musica vocale 161 . In questa nuova concezione del rapporto fra<br />

parola e musica, accanto alla capacità del compositore <strong>di</strong> combinare ed<br />

elaborare i suoni, entrano in gioco manipolazioni sulla percezione e sul<br />

modo <strong>di</strong> ascolto, sulla struttura linguistica e verbale, sull’integrazione<br />

fra i parametri sonori, secondo modelli analogici costantemente variati.<br />

Lungo questa strada Berio procederà con eclettismo, cercando l’incontro<br />

con la letteratura non tanto nella appropriazione dei singoli testi, quanto<br />

nella collaborazione <strong>di</strong> forze intellettuali capaci <strong>di</strong> inserirsi creativamente<br />

nel suo progetto compositivo e <strong>di</strong> arricchirlo cammin facendo.<br />

Intorno al 1956 si va formando la neoavanguar<strong>di</strong>a come reazione<br />

alla ricostruzione della società letteraria <strong>di</strong> tipo tra<strong>di</strong>zionale, cioè a quella<br />

parte della nostra cultura che, sulla base della crisi neorealistica, aveva<br />

pazientemente ricomposto le sue file inghiottendo e integrando i ribelli<br />

160 ARMANDO GENTILUCCI, cit., pp. 60-61.<br />

161 NICOLAS RUWET, Linguaggio, musica e poesia, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1983.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 349<br />

e ritornando a una letteratura <strong>di</strong> memorie tranquille, <strong>di</strong> buoni costumi, <strong>di</strong><br />

forme eleganti, lontana dalla società, abituata alla reticenza, all’ermetismo,<br />

al travestimento poetico degli avvenimenti drammatici. Era raro<br />

trovare in essa una traccia delle passioni civili, dei rovesciamenti politici,<br />

della guerra fredda e atomica, delle trasformazioni sociali, della corsa al<br />

benessere, delle speranze giovannee o kenne<strong>di</strong>ane. La molteplicità degli<br />

autori portò una <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> esperienze ed esigenze <strong>di</strong>verse, ma tutte con<br />

alcune caratteristiche comuni, quali la preminenza della ricerca linguistica,<br />

l’alleanza con la scienza e con le altre arti, specialmente pittura e<br />

musica, la priorità della poesia rispetto alla narrativa, un certo pessimismo<br />

apocalittico <strong>di</strong> fondo 162 . Fra questi stretti collaboratori si troveranno<br />

non a caso nomi <strong>di</strong> punta della nostra letteratura, dapprima protagonisti<br />

<strong>di</strong> esperienze come quella del Gruppo 1963 163 , nel quale Berio è coinvolto<br />

attivamente, quin<strong>di</strong> massimamente con Italo Calvino.<br />

Nel 1961-62 Berio ha pronto un nuovo lavoro che segna il suo<br />

momentaneo incontro con la tematica dell’impegno civile: Passaggio,<br />

su testo <strong>di</strong> Edoardo Sanguineti 164 , pensato come opera aperta anche nel<br />

senso brechtiano della integrazione critica e morale del pubblico 165 . Assenti<br />

gli schemi rettilinei dello svolgimento operistico classico, l’aspetto<br />

162 CARLO SALINARI – CARLO RICCI, Storia e antologia della letteratura italiana, Bari, ed. Laterza,<br />

1999, p. 217.<br />

163 II Gruppo ’63 nacque durante un convegno a Palermo (1963) nel tentativo <strong>di</strong> dare omogeneità<br />

all’avanguar<strong>di</strong>a letteraria Tra i presenti Umberto Eco, Angelo Maria Ripellino, Luciano Berio,<br />

ecc. Ma là stesso si delinearono due orientamenti: a) l’uno favorevole ad una letteratura atemporale<br />

e a-ideologica, capace <strong>di</strong> recuperare il reale così com’è, senza me<strong>di</strong>azioni interpretative; quin<strong>di</strong><br />

sottraendolo alla storia [Guglielmi]; b) l’altro favorevole ad una letteratura calata nel reale storico,<br />

con la consapevolezza che ogni operazione ideologica e culturale è imme<strong>di</strong>atamente e contemporaneamente<br />

verificabile nel linguaggio che ne esprime i contenuti [Sanguineti].<br />

164 Edoardo Sanguineti (Genova, 1930) con la sua sperimentazione vuole esprimere la coscienza<br />

del rapporto esistente fra intellettuale e società borghese e, al tempo stesso, la coscienza del<br />

rapporto tra ideologia e linguaggio. In Laborintus I (EDOARDO SANGUINETI, Laborintus, Varese,<br />

Magenta, 1956) i risultati più autentici sono dati dal fascino del caos, dall’inconscio, dallo sfacelo<br />

in<strong>di</strong>viduale e sociale, dalla matrice sessuale, dall’impossibilità <strong>di</strong> redenzione, piuttosto che dalla<br />

volontà ricostruttrice e or<strong>di</strong>natrice (CARLO SALINARI- CARLO RICCI, cit., p. 219).<br />

165 L’opera venne data alla Scala <strong>di</strong> Milano nel 1963; Sanguineti collaborò nello stesso anno<br />

con Berio per il balletto Exposition, eseguito alla Fenice <strong>di</strong> Venezia.


350 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

accattivante <strong>di</strong> questa opera è proprio il far nascere lungo l’iter teatrale<br />

della partitura immagini significative che si ripercuotono nell’atteggiamento<br />

dello spettatore, sfruttando la forza stessa dei materiali che spaziano<br />

dal sublime al banale, dallo strutturale all’aleatorio, dalla ricerca<br />

fonica originale alla citazione <strong>di</strong> musiche note che possono essere mutate<br />

ad ogni rappresentazione in relazione all’ambiente e al luogo ove<br />

avviene lo spettacolo. Parlato, cantato, mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> nuova emissione vocale,<br />

<strong>di</strong>versa <strong>di</strong>slocazione degli esecutori nei riguar<strong>di</strong> del pubblico, consentono<br />

<strong>di</strong> seguire la via crucis della protagonista, simbolo-vittima della<br />

violenza e della mercificazione, in un coinvolgimento totale.<br />

Nel 1965 Sanguineti compose Laborintus II per la musica <strong>di</strong> Luciano<br />

Berio, come omaggio a Dante nel settimo centenario della sua nascita.<br />

L’opera è scritta per due soprano, un contralto, una voce recitante (il<br />

poeta stesso) e orchestra, <strong>di</strong>retta nella prima esecuzione dallo stesso Berio<br />

166 . Il testo risulta essere in gran parte un collage <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong><br />

Dante, <strong>di</strong> opere italiane e latine, ed è facile riconoscervi testi estratti da<br />

Isidoro <strong>di</strong> Siviglia, da Benvenuto da Imola, da Ezra Pound, da Thomas<br />

Stearns Eliot, e brani del Laborintus I. Il titolo è tratto dall’omonima arte<br />

poetica <strong>di</strong> Everardus Alemannus (sec. XIII) e dalla sua epigrafe: «Quasi<br />

laborem habens intus». Il verso usato dall’autore in tutte le sue poesie<br />

è un recitativo drammatico il cui svolgimento poggia su un fondo <strong>di</strong><br />

armonicità naturale. A motivo del rifiuto della forma ritmica con<strong>di</strong>zionante,<br />

il ritmo viene assorbito dalla sintassi e dagli choc semantici.<br />

Sicché la struttura metrica risulta rigorosamente atonale e gestuale 167 .<br />

Tanto musicale Sanguineti, quanto avulso dalla stessa esperienza<br />

Calvino. Dice Berio:<br />

Calvino «non è molto musicale, va raramente ai concerti, è stonato e la<br />

musica suscita in lui un po’ <strong>di</strong> interesse solo quando ci sono parole da ca-<br />

166 Cfr. ROSSANA DALMONTE – NIVA LORENZINI, Funzioni strutturanti nel rapporto musica–poesia,<br />

in «Il gesto della forma: Musica e poesia teatrale nell’opera <strong>di</strong> Luciano Berio», Supplemento n° 1 a<br />

«Ricerche musicali», n° 5, marzo 1981, Milano, Arca<strong>di</strong>a ed., pp. 1-44.<br />

167 ALFRADO GIULIANI (a cura <strong>di</strong>), I Novissimi. Poesie per gli anni Sessanta, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1972 2 .


352 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

lirico debba in qualche modo proporsi una nuova maniera <strong>di</strong> raccontare<br />

per immagini. Pensano che un racconto per immagini possa essere possibile<br />

solo se le immagini sono libere <strong>di</strong> svolgersi in una <strong>di</strong>mensione svincolata<br />

da ogni impaccio tecnico. Sognano un nuovo e<strong>di</strong>ficio teatrale. Il<br />

linguaggio musicale <strong>di</strong> Maderna alterna antiche sapienze tecniche ad<br />

esperienze azzardatissime. Come materiale c’è <strong>di</strong> tutto: nastri elettronici,<br />

concerto per flauto, una grande lirica <strong>di</strong> Hölderlin, svolta quasi in forma<br />

<strong>di</strong> lied. Come pretesto per un possibile racconto, coefficiente unitario,<br />

viene scelta la pièce Io Majakovskij <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>mir Vla<strong>di</strong>mirovic Majakovskij.<br />

Ma essa viene frantumata a tal punto che in definitiva si riconosce a<br />

malapena. Severino Gazzelloni è il protagonista dell’opera. Egli agisce<br />

sulla scena come un normale solista da concerto, ma che è costretto a<br />

reagire alle continue imposizioni della macchina scenica. Il risultato è<br />

un’opera in cui un solista <strong>di</strong> flauto entra quasi per caso in un teatro e non<br />

a caso ogni sua immagine sonora viene bloccata da una entità tecnicoteatrale.<br />

Ecco, l’esigenza <strong>di</strong> un suono e <strong>di</strong> un canto puro è il nucleo poetico<br />

<strong>di</strong> Hyperion. Il loro contrario è la gran macchina che viene a proporre in<br />

scena le sue non comunicanti convenzioni. Hyperion pone in rilievo il<br />

peso e le conseguenze innovative sul terreno delle tecniche <strong>di</strong> composizione<br />

che può avere nell’opera la regia. Né soltanto in quella <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a.<br />

In Don Perlimplin (1961) Maderna non fa cantare mai i personaggi,<br />

bensì li identifica negli strumenti. Opera buffa, al <strong>di</strong>re del Mila 172 ,<br />

è Satirycon (1973) che Maderna compose per <strong>di</strong>mostrare che la musica<br />

nuova espressionista non poteva e non doveva mostrare superbia verso<br />

l’opera lirica. È una breve opera tratta da Petronio nel racconto della Cena<br />

<strong>di</strong> Trimalcione. La partitura è formata da fascicoli e fogli separati 173 ,<br />

perché gli episo<strong>di</strong> e i materiali su nastro si possono combinare in <strong>di</strong>verse<br />

successioni. Comprende, in lingue <strong>di</strong>verse, tratti vocali cabarettistici,<br />

lirici e folk, in una vera e propria girandola <strong>di</strong> possibilità stilistiche, il tut-<br />

172 GIANFRANCO VINAY, cit., p. 107.<br />

173 Come d’altronde in compen<strong>di</strong> ed estratti è giunta a noi Satyricon, l’opera attribuita a Petronio<br />

Arbitro.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 353<br />

to sorprendentemente funzionale all’antico spirito romano della satura 174 .<br />

Lo stile frammentario del testo <strong>di</strong> Petronio, che rifugge l’inserimento in<br />

una totalità organica, dà a Maderna l’estro per un pastiche burlesco in<br />

cui si assiste a continui ribaltamenti tra le forme storiche recuperate dal<br />

compositore e i contenuti espressivi a cui quelle erano funzionali. L’opera<br />

giunge alla sua acme con la scena <strong>di</strong> Trimalcione e il monumento,<br />

nell’accumulazione in<strong>di</strong>fferenziata <strong>di</strong> gesti musicali e scenici, dallo stile<br />

pomposo, dagli andamenti responsoriali ecclesiastici tra solista e coro, e<br />

dove le riflessioni e i propositi mortuari <strong>di</strong> Trimalcione scorrono in una<br />

sintassi musicale raffinata in Darmstadt 175 .<br />

Giacomo Manzoni fin dall’inizio non si lascia <strong>di</strong>strarre da trovate<br />

marginali esteriori, ma punta alla concretezza delle immagini sonore<br />

e conseguentemente comunicative, a definire le quali gioca un ruolo<br />

decisivo la <strong>di</strong>mensione corale dell’impianto. Ne’ La Sentenza (1960),<br />

su testi <strong>di</strong> Emilio Jona, permangono sì echi e riferimenti espressionisti<br />

(Schönberg, Berg), ma il compositore si lascia provocare da un teatro<br />

orientato in senso progressista (la vicenda è ambientata nella Cina dopo<br />

la rivoluzione, con le sue contrad<strong>di</strong>zioni e insieme le sue straor<strong>di</strong>narie<br />

aperture). Permangono ancora convenzioni <strong>di</strong> teatro musicale tra<strong>di</strong>zionale,<br />

ma la tendenza alla attualizzazione promette intrinseci sviluppi.<br />

È comunque notevole il profilarsi <strong>di</strong> situazioni musicali nuove calzanti<br />

alle situazioni drammatiche e ai caratteri dei personaggi 176 .<br />

Atomtod (1965) è un’opera nata dalla strettissima collaborazione<br />

tra Emilio Jona e Giacomo Manzoni. Il concetto <strong>di</strong> morte svolge nella<br />

storia musicale e letteraria una secolare funzione d’ispirazione. Qui, già<br />

il titolo, in tedesco invece che in italiano, rinvia subito alla Germania<br />

dove poco mancò che i nazisti fabbricassero la bomba atomica 177 . Il<br />

174 CARMELO <strong>LABATE</strong>, La Parola, il gesto, il sentimento, La Loggia (TO), Scomegna, 1989, pp. 61-62.<br />

175 DIEGO BERTOCCHI, Dialogo con Maderna, in «Programma <strong>di</strong> sala», Milano, Piccola Scala, 1989.<br />

176 ARMANDO GENTILUCCI, Oltre l’avanguar<strong>di</strong>a, cit., p. 119.<br />

177 Atomtod (Morte atomica), racconta in modo emblematico e paradossale una possibile storia<br />

della presenza della bomba e della prospettiva <strong>di</strong> una totale <strong>di</strong>struzione dell’umanità. I due gruppi contra-


354 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

testo <strong>di</strong> Jona è interpolato con brani tratti da Henry Miller, dai libri profetici<br />

del Primo Testamento, dal decalogo che l’esercito italiano conosce<br />

per la <strong>di</strong>fesa atomica, batteriologica, chimica. Lunghi tratti del testo<br />

<strong>di</strong> Jona sono stati sollecitati in una simbiosi con la concezione musicale<br />

e drammatica che arriva fino a tener conto delle luci, delle presenze fisiche,<br />

del numero degli strumenti impiegati 178 . Tecniche <strong>di</strong> montaggio e<br />

aleatorie si fondono con altre prese a prestito dal jazz, dalla pop art<br />

musicale, dagli ideali <strong>di</strong> piacere estetico-gastronomico del Settecento.<br />

La musica elettronica e i mezzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione sono usati in funzione alienante.<br />

Melopee <strong>di</strong> tipo liturgico e gesticolazioni falsamente erotiche<br />

formano il mistilinguismo che Manzoni adopera per assolvere a funzioni<br />

rappresentative entro una ipotesi teatrale che non intende ancora<br />

rompere i ponti con il processo rettilineo degli avvenimenti scenici. Nel<br />

1970-71 Manzoni trasferisce la poetica beckettiana 179 alla funzione musicale<br />

con Parole da Beckett, lavoro nel quale «sono proprio le parole<br />

che, nel marasma fonico generale, precipitano fino a ridursi a semplice<br />

materiale acustico in<strong>di</strong>stinto e risultano quasi inu<strong>di</strong>bili. Vanno qui segnalate<br />

come apparizioni sonore probanti, come equivalenti acustici<br />

dello sconvolto paesaggio beckettiano, il baluginare <strong>di</strong> frammenti, echi<br />

<strong>di</strong> un mondo musicale passato rievocati dal clavicembalo, dall’organo,<br />

dal coro; poi la voce <strong>di</strong> bambino crudamente deformata dalla <strong>di</strong>storsione<br />

elettroacustica, la canzoncina infantile risuonante in un contesto<br />

stanti su cui s’incentra il dramma – e che hanno per destino, fondato sull’economia <strong>di</strong> mercato, <strong>di</strong> sopravvivere<br />

o <strong>di</strong> perire – portano in sé due opposte malattie, gli uni quella <strong>di</strong> vivere nella reificazione e nella<br />

cecità fino al limite <strong>di</strong> una macabra felicità della suprema ignoranza, gli altri quella <strong>di</strong> essere fermi alla<br />

protesta e al lamento dopo <strong>di</strong> che non resta che la nobile morte catartica. L’opera, però, sollecita un terzo<br />

atteggiamento, la condanna inequivocabile per chiunque fabbrichi e voglia usare la bomba atomica.<br />

178 Ad esempio il grande arco della seconda scena del primo tempo procede per somma <strong>di</strong> voce<br />

sola, voce sola e luce; voce sola, percussione, luce più intensa; due voci, due gruppi strumentali,<br />

luce più intensa; e così via crescendo fino al totale vocale, strumentale, <strong>di</strong>namico, visivo, luminoso<br />

del finale del tempo primo.<br />

179 Lo scrittore Samuel Beckett sosteneva che le parole, ormai prive <strong>di</strong> senso, illeggibili,<br />

impraticabili, non comunicano che luoghi comuni, rappresentano un chiacchiericcio inane, non<br />

contengono nulla da scoprire, hanno una falsa razionalità in quanto si tratta <strong>di</strong> strumenti che noi<br />

abbiamo passivamente ricevuto come i contenuti precostituiti che esprimono.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 355<br />

straniato; e ancora bisbigli, vocii, mormorii, riporti sonoro-musicali<br />

dell’esistenza, ripescati dalla vita psichica, dalla memoria, citazioni <strong>di</strong><br />

esperienze musicali storiche, dati naturalistici che si susseguono, si<br />

intrecciano, si esaltano e insieme si annullano» 180 .<br />

Altra significativa opera <strong>di</strong> Giacomo Manzoni è Per Massimiliano<br />

Robespierre (1975) nata con la collaborazione <strong>di</strong> Luigi Pestalozza e <strong>di</strong><br />

Virginio Puecher. Il lavoro si tiene lontano da schemi rettilinei e narrativi,<br />

mentre prevalgono associazioni simboliche e un montaggio <strong>di</strong> materiali<br />

informativi e astrattivi <strong>di</strong>versi. I testi usati sono estrapolati da Büchner,<br />

Rolland, Jean Anouilh, Anatole France, Federico Zar<strong>di</strong>, Heine, scrittori<br />

che hanno posto il grande rivoluzionario Robespierre all’interno delle<br />

loro opere. Le citazioni <strong>di</strong>rette <strong>di</strong> Robespierre, montate in vario modo,<br />

hanno la prevalenza. I percorsi visivi e sonori toccano i momenti chiave<br />

del pensiero <strong>di</strong> Robespierre, senza tuttavia raccontare una storia (o trama)<br />

biografica. Tant’è che la sua persona, quando è evocata necessariamente<br />

sulla scena viene smaterializzata da una voce <strong>di</strong> soprano che interagisce<br />

con un quartetto d’archi o da un quartetto vocale. Lo sperimentalismo<br />

sonoro viene commisurato alla complessità del personaggio e alla problematica<br />

ideale. Un teatro, dunque, volutamente non emotivo, un teatro<br />

<strong>di</strong> idee che spinge, attraverso tutte le componenti visive testuali e sonore,<br />

ad una ipotesi <strong>di</strong> elaborazione e riflessione collettiva 181 .<br />

Nel 1989 Giacomo Manzoni dà al teatro lirico l’opera Doktor Faustus,<br />

un lavoro che entra nei meandri del romanzo omonimo <strong>di</strong> Thomas<br />

Mann e ne coglie le numerose in<strong>di</strong>cazioni musicali. Il Doktor Faustus<br />

<strong>di</strong> Mann, scritto fra il 1943 e il 1947, narra la vicenda <strong>di</strong> Adrian<br />

Leverkühn, un musicista che stringe un patto col demonio per acuire la<br />

propria sensibilità, le proprie capacità creative. Ma nel momento in cui<br />

presenta la sua Lamentatio Doctoris Fausti, un’opera che rompe con<br />

tutta la tra<strong>di</strong>zione musicale e anticipa il futuro, Leverkühn impazzisce,<br />

180 ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 66.<br />

181 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 139-141.


356 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

pagando così il suo debito. La musica è per Leverkühn, come per Mann,<br />

espressione profondamente tedesca, ma ha da fare i conti con la pericolosa<br />

mistura <strong>di</strong> cui sono impastati i tedeschi (descritti da Mann), capaci<br />

<strong>di</strong> profon<strong>di</strong> sentimenti artistici e <strong>di</strong> sublimi speculazioni in ogni campo,<br />

ma anche <strong>di</strong> una nascosta e inquietante ferocia in grado <strong>di</strong> scatenare<br />

un’altra guerra mon<strong>di</strong>ale. In Leverkühn si fondono le personalità artistiche<br />

dei compositori che maggiormente hanno contribuito al rinnovamento<br />

della musica nel Novecento, Schönberg, Webern, Berg, ed elementi<br />

biografici <strong>di</strong> Nietzsche.<br />

Dice Giacomo Manzoni: «Molti suggerimenti mi sono venuti dalla<br />

struttura stessa e dal contenuto del romanzo; persino le cinque note dal<br />

nome <strong>di</strong> Esmeralda su cui Adrian lavora sono state da me usate proprio<br />

come elemento <strong>di</strong> base per la costruzione <strong>di</strong> intere parti dell’opera. Con<br />

il romanzo sempre presente ho tratto da esso spunti che ho fatto rivivere<br />

in modo autonomo e personale. Tra l’altro ho ripreso dei testi <strong>di</strong> John<br />

Keats, <strong>di</strong> Shakespeare, che Mann in<strong>di</strong>ca come musicati da Adrian. Un<br />

brano, tratto dal Volkbuch Doktor Faust del 1500 (una decina <strong>di</strong> versi in<br />

tutto), e dal quale Adrian aveva tratto una cantata, mi ha dato l’idea <strong>di</strong><br />

un interlu<strong>di</strong>o per coro e orchestra tra il secondo e il terzo atto» 182 .<br />

Salvatore Sciarrino dà per scontato che, ormai, nel teatro musicale si<br />

debba procedere su moduli inter<strong>di</strong>sciplinari e su interco<strong>di</strong>ci, invece che<br />

continuare ad affinare il linguaggio puramente musicale. Allora, solo<br />

per provocazione, ricostituisce le forme chiuse dell’opera tra<strong>di</strong>zionale:<br />

introduzione, monologo, duetto, terzetto, quartetto e così via, ma le<br />

riempie della sua particolare struttura molecolare timbrica scaturente<br />

dalla <strong>di</strong>namica strutturazione dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> attacco. Così il tessuto musicale<br />

si rivela un continuo, non conosce soluzioni e cesure e i singoli episo<strong>di</strong><br />

si compenetrano fino all’inestricabile. In Amore e Psiche (1972),<br />

libretto <strong>di</strong> Aurelio Pes, bisogna infatti cogliere la qualità simbolica del<br />

lavoro, nel quale predomina l’affermazione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione musicale<br />

pura, atemporale (un reale posto nel passato e insieme nel futuro),<br />

182 Intervista a G. Manzoni, in «Fiati», 1998, n. 4, p. 42ss.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 357<br />

a-ideologica, simbolica appunto. Per questo nel formarsi la sua musica<br />

reagisce con la sublimazione a contenuti troppo espliciti e a compiaciuti<br />

richiami neoclassici continuamente affioranti nel libretto 183 .<br />

Il teatro <strong>di</strong> Aspern (Firenze, 1978), Singspiel <strong>di</strong> Giorgio Marini e<br />

Salvatore Sciarrino, su testi tratti da The Aspern papers <strong>di</strong> Henry James<br />

con interpolazioni <strong>di</strong> frammenti <strong>di</strong> Lorenzo Da Ponte, è <strong>di</strong>verso dal teatro<br />

<strong>di</strong> Amore e Psiche e che apparirà in Macbeth. Anzitutto un taglio stilizzato<br />

e ironico al limite del paradossale: Singspiel è una immaginazione<br />

deformata per <strong>di</strong>re che da tempo esso è morto e sepolto. C’è un continuo<br />

compenetrarsi <strong>di</strong> aspetti inconsueti e desueti con altri <strong>di</strong> nuova<br />

concezione. Insolito è che una situazione mortuaria possa crescere e<br />

svilupparsi ai confini del riso. L’unico personaggio cantante non abita<br />

la scena. I testi musicati sono altro da ciò che si sarebbe definito il<br />

libretto vero e proprio: essi, che pur garbatamente si attagliano allo<br />

svolgersi dell’azione, la mettono in realtà quasi in <strong>di</strong>scussione offrendosi<br />

come commento (morale settecentesca). La musica tende a esistere<br />

come «presenza» al pari <strong>di</strong> ogni attore (ve<strong>di</strong> la scena della stanza<br />

vuota...). Nel rapporto musica-testo-azione la funzione drammaturgica<br />

della musica è della massima varietà: illustrazione, parallelismo, contrasto,<br />

in<strong>di</strong>fferenza (come nel caso <strong>di</strong> una stessa musica per due scene<br />

successive drammaticamente opposte). Aspern è la metafora dell’irrisolto,<br />

dei riman<strong>di</strong>, delle ripetizioni circolari: uno scrittore – James – che<br />

scrive <strong>di</strong> uno scrittore – Aspern – sulle tracce <strong>di</strong> un altro scrittore scomparso;<br />

una esemplificazione dello stesso atto del comporre.<br />

Nel Löengrin (1982) da Jules Laforgue e nel Machbeth da Shakespeare<br />

Sciarrino sottolinea il meccanismo del potere con i giochi <strong>di</strong> pugnali e<br />

streghe, <strong>di</strong> personaggi-emblemi né buoni né cattivi, prigionieri <strong>di</strong> una logica<br />

che li rende innocenti, pronti a medùsei mimetismi, come protagonisti<br />

<strong>di</strong> una favola crudele. La intercambiabilità dei ruoli è assoluta. Perciò la<br />

musica non interviene in <strong>di</strong>rezione contenutistica, prendendo partito, ma<br />

183 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 129.


358 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

lascia che il gioco nervoso delle cellule sonore – ricche <strong>di</strong> contrasti macrostrutturali<br />

– si <strong>di</strong>pani come secrezione autonoma della fantasia e<br />

dell’assurdo. In un contesto formale <strong>di</strong> inequivocabile chiarezza Sciarrino,<br />

utilizzando tecniche specifiche quali l’uso degli armonici o la<br />

velocità richiesta all’esecutore riduce il suono quasi a fantasma, a pulviscolo<br />

luminoso esplorato nella regione che confina col silenzio 184 .<br />

Pur nella varietà delle manifestazioni al fondo <strong>di</strong> tutte c’è l’intenzione<br />

<strong>di</strong> riproporre l’idea <strong>di</strong> un progetto totalizzante che accomuni musica<br />

e letteratura, spettacolo e immagine, gesto e pensiero. Ma rinasce anche,<br />

quasi per estremo contrasto, una pre<strong>di</strong>lezione per la nuda essenzialità<br />

della voce umana che determina le scelte stilistiche e le stratifica sulla<br />

base <strong>di</strong> stimoli dati dalla frequentazione letteraria.<br />

Per Sylvano Bussotti (Firenze, 1931) la pagina musicale che travalica<br />

nel grafismo acquisisce funzione <strong>di</strong> stimolo associativo e suggerisce<br />

possibili atti musicali. Le sue abilissime costruzioni grafiche straniano<br />

il segno della linearità della forma chiusa e liberano all’estremo l’immaginazione<br />

dell’interprete fino a sollecitarlo a <strong>di</strong>venire coautore del<br />

compositore: ve<strong>di</strong> Sette fogli (1959). In Semi <strong>di</strong> Gramsci il quartetto<br />

d’archi – solistico – è soffocato dalla compagine orchestrale, dalla<br />

quale riesce a fatica talvolta a svincolarsi.<br />

Nella Passion selon Sade (1965) e nel Lorenzaccio (1972) la storia<br />

narrabile funge da esile sostegno <strong>di</strong> un cerimoniale lussureggiante, voluttuoso<br />

e funereo. Nella Passion (mistero da camera) neppure una<br />

parola 185 , mentre in compenso tutti gli strumenti <strong>di</strong> tortura del marchese<br />

Sade (fruste, staffili, materiali per l’impiccaggione, ecc.) appaiono sulla<br />

scena assieme ad elementi scenici propri del repertorio operistico ottocentesco:<br />

il <strong>di</strong>vano della Traviata, l’inginocchiatoio <strong>di</strong> Don Carlos, ecc.<br />

La più vistosa novità è rappresentata dall’assoluta ambivalenza <strong>di</strong> attori<br />

ed esecutori musicali secondo un seguito <strong>di</strong> azioni «trapassanti» <strong>di</strong><br />

184 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 130.<br />

185 Unico testo <strong>di</strong> riferimento è un sonetto <strong>di</strong> una poetessa francese del Cinquecento. (Cfr. AN-<br />

DREA LANZA, cit., pp. 174-175).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 359<br />

continuo dalla finzione scenica <strong>di</strong> costume alla tecnica <strong>di</strong> esecuzione<br />

strumentale fìno all’happening. È prescritto che non si possa eseguire<br />

senza la <strong>di</strong>retta presenza dell’autore!<br />

Il Lorenzaccio è un melodramma romantico danzato in omaggio al<br />

dramma omonimo <strong>di</strong> Alfred de Musset. L’idea <strong>di</strong> «opera totale in <strong>di</strong>venire»<br />

permette all’autore <strong>di</strong> recuperare lavori precedenti e <strong>di</strong> contestualizzarli<br />

nel nuovo (come anche nel Rara Requiem 186 ). Si tratta <strong>di</strong> un<br />

lavoro (articolato in cinque atti, ventitré scene e due fuori programma)<br />

che sviluppa una gemmazione verso il mutevole, verso l’intreccio <strong>di</strong><br />

gesto, danza, suono, rappresentazione, musica pura da concerto e <strong>di</strong><br />

scena. L’opera chiusa, narrativa, non avrebbe sopportato questa congerie<br />

<strong>di</strong> materiali. Infatti non si racconta qui una storia che non sia la storia<br />

stessa dell’autore, del suo partecipe e sensuale rapporto con gli stimoli<br />

più vari e <strong>di</strong>versi. Opera coreografica e insieme opera cantata, recitata,<br />

mimata. Rilevante la continua iterazione tra dato gestuale e sonoro.<br />

Ammantata da un involucro, istrionico quanto accattivante, la serialità<br />

punta al teatro totale, aperto alla danza, alla pantomima, al cinema.<br />

Con Nottetempo 187 (1975-76), opera teatrale, Bussotti assume il palcoscenico<br />

tra<strong>di</strong>zionale come formante strutturale. La trama 188 suggerisce<br />

all’autore una esasperata pluralità <strong>di</strong> stili, una contaminazione sistematica<br />

dei materiali compositivi. Le citazioni, ottimamente legate e contestualizzate,<br />

rifiutano la <strong>di</strong>mensione critica e <strong>di</strong>ssacrante e si livellano in<br />

un gioco fittizio, sod<strong>di</strong>sfatto solo per la riuscita dell’operazione stessa 189 .<br />

Bussotti nel progetto universale e «aperto» del Bussottioperaballet<br />

(1976) riversa seduzioni culturali e passioni poetiche d’ogni provenienza,<br />

archetipi letterari e privatissime autocitazioni, ar<strong>di</strong>te sperimentazioni<br />

186 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 110.<br />

187 Cfr. ARMANDO GENTILUCCI, cit., p. 134.<br />

188 Michelangelo, trasportato in sogno nel mondo ellenico e nel Filottete <strong>di</strong> Sofocle (l’arciere<br />

al quale Ulisse vuole sottrarre le armi), teme che papa Giulio II – il suo Ulisse – voglia sottrargli gli<br />

arnesi del mestiere per impe<strong>di</strong>rgli <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere la Sistina.<br />

189 Sono <strong>di</strong> Bussotti: Le rarità (1979), Potente (1979), Le Racine (1981); L’ispirazione (1995),<br />

melodramma in tre atti.


360 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

sonore e preziosi simbolismi grafici, deliri decadenti e folgoranti abbandoni<br />

all’espressione più elementare e imme<strong>di</strong>ata. Di questo grande<br />

teatro totale, allegorico, responsabile unico è l’autore, insieme musicista,<br />

poeta, regista, coreografo, scenografo, costumista e interprete:<br />

fusione moderna, e non certo <strong>di</strong>ssimulata, dell’uomo totale del Rinascimento<br />

e del superuomo nietzscheiano.<br />

Il teatro musicale <strong>di</strong> Azio Corghi (Ciriè <strong>di</strong> Torino, 1937) nasce da un<br />

complesso rapporto tra gesto, musica e voce, e dalla ricerca <strong>di</strong> una autentica<br />

convergenza fra innovazione e tra<strong>di</strong>zione 190 . Dopo i molti pezzi<br />

strumentali composti dal 1962 tenendo presente gli in<strong>di</strong>rizzi della «nuova<br />

musica», Corghi andò sempre più accostandosi all’opera. Nel 1984 <strong>di</strong>ede<br />

l’opera Gargantua, nella traduzione che Angelo Frassineti fece dall’originale<br />

romanzo cinquecentesco Gargantua et Pantagruel <strong>di</strong> François<br />

Rabelais. La decisione <strong>di</strong> porre in musica questo capolavoro, oltre che<br />

dalla intelligente recitazione del Frassineti stesso che ne faceva cogliere<br />

tutte le sfumature semantiche e sonore, è scaturita anche dalla lettura <strong>di</strong><br />

Michail Bachtin 191 , il quale <strong>di</strong>mostra come Rabelais recupera il linguaggio<br />

e l’immaginario popolare, quelli soprattutto che il popolo esprime<br />

nella transitoria occasione dei giochi carnascialeschi. Così Corghi riprende<br />

in mano parole e vicende e comincia una ine<strong>di</strong>ta avventura musicale.<br />

Significativo l’episo<strong>di</strong>o che troviamo nel Prologo dopo la Sinfonia,<br />

quello del <strong>di</strong>sgelarsi delle parole: «A me sembra <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re voci nell’aria».<br />

Con «queste parole che si sciolgono e vengono all’orecchio Corghi<br />

accenna al proprio travaglio, alla faticosa riconquista della parola significante<br />

riscoperta nella ricchezza della cultura popolare» 192 .<br />

Dopo il confronto con il testo libertario e <strong>di</strong>ssacrante del Gargantua<br />

Corghi scopre la scrittura lucida e <strong>di</strong>sincantata <strong>di</strong> Josè Saramago 193<br />

190 GIANLUIGI MATTIETTI, Funzioni simboliche e drammaturgiche in Divara, in «Libretto <strong>di</strong><br />

Sala» per la rappresentazione <strong>di</strong> Divara al Teatro Bellini <strong>di</strong> Catania, 1997, pp. 19-29.<br />

191 MICHAIL BACHTIN, L’opera <strong>di</strong> Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1979.<br />

192 GRAZIELLA SEMINARA, Il teatro, in Omaggio a Azio Corghi, Roma, Ricor<strong>di</strong>, 1979, p. 3.<br />

193 Premio nobel per la letteratura (1998).


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 361<br />

(1922) e il suo inquieto rapporto con la storicità. Così con Blimunda<br />

(1990) Corghi attinge al romanzo Memorial do Convento (1982), che<br />

narra i terrori dell’inquisizione nel Portogallo del 1700, ma vi cala<br />

dentro la vicenda dell’amore <strong>di</strong> un soldato per una giovane donna condannata<br />

per stregoneria.<br />

«Il racconto <strong>di</strong> Saramago, realizzato in una prosa inquieta e mobilissima,<br />

densa <strong>di</strong> potenzialità musicali e frastagliata da continui spostamenti<br />

dei piani narrativi, viene sceneggiata da Corghi (con la collaborazione<br />

dello scrittore), in funzione <strong>di</strong> una resa drammatico-musicale del testo<br />

letterario». «Passando dalla parola romanzata alla parola scenica, Corghi<br />

si preoccupa soprattutto <strong>di</strong> preservare dal romanzo il <strong>di</strong>lagare delle<br />

soggettività sulla <strong>di</strong>staccata obiettività del racconto, l’emergere sui fatti<br />

dei dolenti destini in<strong>di</strong>viduali». Corghi «concepisce lo scorrimento del<br />

libretto in tre fasce parallele». «Nello spazio reale (o scenico tra<strong>di</strong>zionale)<br />

si svolgono gli eventi da rappresentare; lo spazio acustico e quello<br />

immaginario accolgono i sentimenti e i pensieri, i fantasmi e i sogni che<br />

si agitano nei personaggi e attraverso i quali Saramago può rileggere la<br />

Storia al <strong>di</strong> là delle sue versioni istituzionali co<strong>di</strong>ficate» 194 . «Grazie ad<br />

Azio Corghi, scrive Saramago, l’or<strong>di</strong>to <strong>di</strong> parole che ho creato è <strong>di</strong>venuto<br />

musica, è <strong>di</strong>venuto canto» 195 .<br />

Dopo Blimunda il confronto artistico dei due autori prosegue con<br />

Divara (1993). Nel ricavare (sempre in collaborazione con lo scrittore)<br />

il dramma musicale <strong>di</strong> Divara da quello poetico Em nome de Deus,<br />

Corghi approda ad una originale sintesi tra opera su libretto e literaturoper<br />

e mantiene la protagonista femminile come baricentro poetico e<br />

lirico della propria interpretazione musicale. Note singole, intervalli,<br />

campi armonici vanno a designare significati <strong>di</strong>chiarati o suggeriti dal<br />

testo letterario. Interessante la testimonianza del compositore sullo stile<br />

della collaborazione.<br />

194 GRAZIELLA SEMINARA, Il teatro, cit., p. 7. ID., Il canto e la parola, in «Libretto <strong>di</strong> Sala» per<br />

la rappresentazione <strong>di</strong> Divara, cit., pp. 5-17. La traduzione italiana del testo <strong>di</strong> Saramago è curata da<br />

Rita Desti e Carmen M. Radulet.<br />

195 Ivi, p. 11.


362 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

«In Divara abbiamo lavorato come si faceva una volta: Saramago scriveva<br />

il suo dramma teatrale In nomine Dei, io gli <strong>di</strong>cevo che cosa andava<br />

bene e che cosa andava mo<strong>di</strong>ficato. Lui cercava una spiegazione <strong>di</strong><br />

carattere storico-ideologico, confrontando una visione protestante, una<br />

anabattista ed una cattolica della storia: io invece cercavo il personaggio,<br />

cercavo Divara. Le mie opere devono avere una protagonista femminile<br />

[attraverso cui <strong>di</strong>re <strong>di</strong> idee e <strong>di</strong> persone], perché da compositore<br />

io penso al teatro come a un luogo nel quale si possano fare spettacoli<br />

che non narrino solamente una storia» 196 .<br />

Le voci umane, i suoni degli strumenti musicali, l’esile voce d’attore<br />

recitante, che si alternano ai raffinati rispecchiamenti delle note del<br />

Nabucco ver<strong>di</strong>ano, sono gli elementi fondamentali dell’opera-cantata<br />

La cetra appesa 197 <strong>di</strong> Corghi. Il tema musicale del Nabucco è giocato<br />

con eleganza e forte carica emotiva, fra due cori, l’orchestra e la banda:<br />

coro e orchestra da una parte e l’altro coro e banda in posizione<br />

<strong>di</strong>ametralmente opposta. Corghi, sensibile alla cultura della pace e<br />

attento ai temi civili ed artistici insieme, riba<strong>di</strong>ti in quest’opera, non<br />

rinuncia ad una ricerca musicale <strong>di</strong> notevole livello. I riman<strong>di</strong> ad una<br />

varia serie <strong>di</strong> stili si alternano e si sovrappongono passando dal cantus<br />

planus, attraverso la fioritura polifonica, sfiorando il madrigale drammatico<br />

montever<strong>di</strong>ano fino alla coralità ver<strong>di</strong>ana e alla più recente<br />

esperienza <strong>di</strong> Goffredo Petrassi. Ma altrettanto interessante è la scelta<br />

dei testi recitati e cantati; testi scelti dal Libro dei Salmi, da Temistocle<br />

Solera e dalle più vicine espressioni liriche <strong>di</strong> Salvatore Quasimodo<br />

e <strong>di</strong> Attilio Bertolucci. Dalle liriche <strong>di</strong> Quasimodo Corghi estrae<br />

l’immagine della «cetra appesa»: «E come potevamo noi cantare / alle<br />

196 NICOLA CAPOGRANDE, Azio Corghi prova a raccontarsi, in «Libretto <strong>di</strong> Sala» per la rappresentazione<br />

<strong>di</strong> Divara, cit., p. 31.<br />

197 La prima esecuzione si è tenuta nella cattedrale S. Petronio <strong>di</strong> Bologna il 25 aprile 1995. La<br />

committenza (Regione Emilia-Romagna e Fondazione Toscanini) aveva espressamente in<strong>di</strong>cato<br />

che la composizione dovesse celebrare la cinquantennale ricorrenza del 25 aprile «messa a confronto<br />

con la componente politico-risorgimentale ver<strong>di</strong>ana». L’idea compositiva dell’autore si è dunque<br />

rivolta a Nabucco, opera nella quale il poeta-autore, privato della libertà, appende la sua cetra alle<br />

fronde dei salici, ammutolendo.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 363<br />

fronde dei salici al triste vento». E ancora il coro esplode nel Salmo<br />

136 che ricorda la schiavitù degli ebrei a Babilonia: «Sospendemmo<br />

ai rami dei nostri salici le nostre cetre...». Il soprano intona «Milano,<br />

agosto 1943» con esile voce, quasi soffocata dai «brandelli della città<br />

morta»; è drammatico il duello tra la voce umana e la soverchiante<br />

voce orchestrale: il coro introduce il Miserere mei Deus (Sal. 51).<br />

La platea è totalmente rapita dal canto popolare (corale e banda) e<br />

qui vale la pena citare «Arpa d’or...perché muta al salice pen<strong>di</strong> Le memorie<br />

nel petto riaccen<strong>di</strong>...». Ed ecco che l’arpa, con dolcissime note,<br />

riprende voce.<br />

Nel ricchissimo panorama degli incontri musicali non va <strong>di</strong>menticato<br />

Adriano Guarnieri (Sustinente <strong>di</strong> Mantova, 1947), che si rivolge<br />

a La religione del mio tempo <strong>di</strong> Pasolini per Trionfo della notte. «In un<br />

incontro con gli studenti del DAMS all’Università <strong>di</strong> Bologna Guarnieri<br />

affermò tra l’altro: «Il mio è un teatro <strong>di</strong> situazioni interiori. L’unica<br />

forma <strong>di</strong> dramma è: cantanti in scena, cantanti fuori scena». Una scelta<br />

non narrativa, dunque, un teatro che nasce dal rapporto del musicista<br />

con Pier Paolo Pasolini, anzi con alcuni brevi frammenti della sua<br />

poesia: nel costruirsi il testo che gli serviva (e nell’appropriarsene prendendo<br />

solo ciò in cui poteva identificarsi) Guarnieri trasse dai poemetti<br />

della Religione del mio tempo frammenti anche minimi (spesso ricomposti<br />

in frasi sensibilmente <strong>di</strong>verse da quelle originali), ma sempre<br />

scelti in modo da suggerire l’aura poetica pasoliniana. Scompare la<br />

concretezza <strong>di</strong> molte immagini, è <strong>di</strong>strutta la metrica, si cancellano<br />

molti elementi <strong>di</strong> autobiografia poetica; Guarnieri si concentra sul lirismo<br />

più tenero e struggente, e dà spazio all’indugiare su accenti <strong>di</strong><br />

mesta dolcezza: le immagini, le parole, i brandelli che restano della<br />

poesia <strong>di</strong> Pasolini servono al compositore per la loro forza <strong>di</strong> suggestione,<br />

per il loro potere <strong>di</strong> evocazione. Perciò molto nel testo deve restare<br />

indeterminato e quasi tutti gli elementi più <strong>di</strong>retti, descrittivi, concreti<br />

o personali, vengono eliminati. Coerentemente con le premesse della<br />

sua poetica, Guarnieri resta fedele ad una visione <strong>di</strong> carattere lirico,<br />

sospeso, legata all’evocazione <strong>di</strong> suggestioni e immagini, nella piena


364 CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

consapevolezza della problematicità, oggi, <strong>di</strong> un teatro musicale «narrativo»<br />

in senso tra<strong>di</strong>zionale» 198 .<br />

Lorenzo Ferrero (Torino, 1951) con Marilyn (Roma, 1980) accentua<br />

il <strong>di</strong>stacco del suo linguaggio musicale da quello dell’avanguar<strong>di</strong>a a<br />

favore <strong>di</strong> una maggiore semplicità e naturalezza della scrittura. Utilizza<br />

il ritmo in funzione drammatica e la musica dei me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> oggi (canzonetta,<br />

pop, rock, ecc.) al fine <strong>di</strong> stabilire un rapporto <strong>di</strong>rettamente comunicativo<br />

con un pubblico più ampio possibile. Marilyn, Scene degli anni<br />

cinquanta, è un’opera in due atti su testo scritto in collaborazione con<br />

Floriana Bossi. Seguono Mare nostro (Alessandria, 1985), opera buffa<br />

in due atti su testo <strong>di</strong> Marco Ravasini; Salvatore Giuliano (Roma,<br />

1986), un atto su testo <strong>di</strong> Giuseppe Di Leva; Charlotte Corday (Roma,<br />

1989), tre atti su testo dello stesso Di Leva.<br />

Paolo Arcà (Roma, 1953) è autore <strong>di</strong> Angelica e la luna (1985), opera<br />

teatrale su testo <strong>di</strong> Giovanni Carlo Ballola. Scrive l’autore: «In essa<br />

ho seguito la strada della libera trasposizione <strong>di</strong> una favola lasciandomi<br />

incantare dai versi visionari e decadenti <strong>di</strong> Alfred Tennyson». Il desiderio<br />

<strong>di</strong> evocare mon<strong>di</strong> misteriosi è la cifra dell’opera in un atto Il carillon del<br />

gesuita (1989), pure su testo <strong>di</strong> Ballola. Il punto <strong>di</strong> partenza è un preciso<br />

riferimento storico: la scomparsa dalla prigione del figlio <strong>di</strong> Luigi XVI<br />

e <strong>di</strong> Maria Antonietta. L’opera si svolge in una sola notte con tre personaggi,<br />

un piccolo coro e un’orchestra <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni cameristiche. Una<br />

grande pagina corale con un effetto <strong>di</strong> sospensione irreale accompagna<br />

le ombre dell’Ancien Régime (venute a prendersi il Delfino), evocate<br />

da un leggiadro minuetto.<br />

Giungiamo ai nostri giorni trattando dell’ultimo più recente ingresso<br />

<strong>di</strong> Pirandello nel teatro musicale. Si tratta dell’opera <strong>di</strong> Sandro Gorli,<br />

Le Mal de lune, rappresentata a Colmar nel marzo del 1995, un’operazione<br />

tradotta in trama drammaturgica, che trasferisce la novella pirandelliana<br />

dall’originario contesto per proiettarne i contenuti su un piano<br />

198 PAOLO PETAZZI, Dal materismo alla cantabilità materica: appunti su A. Guarnieri, in<br />

«Sonus», II, 2, maggio 1990, p. 24.


RINTRACCIARE IL NOVECENTO. IL TESTO LETTERARIO NEL TEATRO MUSICALE 365<br />

simbolico. Nell’opera il drammaturgo compie una vera e propria astrazione<br />

rispetto alla mistura <strong>di</strong> umori che lo scrittore concentra nella sua<br />

novella «dove la vecchia stregoneria dei lupi mannari <strong>di</strong>venta farsa<br />

del sesso e delle corna, allegra e feroce satira paesana» 199 . Nasce così<br />

un’opera in cui le situazioni in<strong>di</strong>viduali si riassumono in una <strong>di</strong>mensione<br />

collettiva, che riflette la credenza popolare e che Gorli identifica in<br />

un coro misto. È lo stesso coro che <strong>di</strong>venta tramite della voce dei due<br />

protagonisti ed insieme anche della comunità ad un tempo degli dei e<br />

della gente del paese siciliano 200 .<br />

L’importanza del libretto è assai mutata nell’opera del Novecento a<br />

causa della evoluzione del gusto e della cultura musicale che ha portato<br />

i nostri autori a un <strong>di</strong>sinteresse crescente nei riguar<strong>di</strong> della melo<strong>di</strong>a, con<br />

una corrispondente attrazione verso tutti i tipi <strong>di</strong> esperimenti compiuti<br />

in altri generi <strong>di</strong> spettacolo. La sostituzione progressiva del canto con<br />

il parlato dà alla librettistica un più <strong>di</strong>retto valore <strong>di</strong> testimonianza 201 .<br />

Eppure, per quanto all’insegna del frammentario e del <strong>di</strong>sarticolato, il<br />

testo letterario per un teatro musicale non solo resiste nel Novecento,<br />

ma anzi sollecita nuovi rapporti ed è stimolo alla ricerca <strong>di</strong> nuove forme<br />

che contengano il vario sbriciolarsi e proporsi del suono. È lo stringersi<br />

sempre più necessario delle esperienze e delle collaborazioni fra musicisti<br />

e letterati. Il <strong>di</strong>agramma della scelte musicali <strong>di</strong> quest’ultimo<br />

quarantennio risulta tanto ramificato quanto artificioso, con confluenze<br />

letterarie verso un nuovo esito drammaturgico e con conseguenti intrecci<br />

o rimbalzi allegorici e simbolici nel linguaggio musicale.<br />

199 RUGGERO JACOBBI, L’avventura del Novecento, Milano, Garzanti, 1984, p. 379.<br />

200 GIAN PAOLO MINARDI, cit., p. 35.<br />

201 Cfr. «Sipario», cit., p. 56.


INDICE<br />

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5<br />

BASILIO TIMPANARO<br />

Le origini del clavicembalo. Testimonianze iconografiche<br />

e nelle fonti scritte dei secoli XIV e XV . . . . . . . . . . . . . . » 9<br />

FRANCESCO SCARPELLINI-PANCRAZI<br />

E<strong>di</strong>zioni a confronto. Il Clavicembalo ben temperato <strong>di</strong> Johann<br />

Sebastian Bach. Parte prima: il primo volume (BWV 846-869). . . . . » 39<br />

ALESSANDRA VACCARONE<br />

La boîte à joujoux <strong>di</strong> Claude Debussy. Una proposta <strong>di</strong>dattica<br />

per la scuola elementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 195<br />

RICCARDO MOTTA<br />

L’attività <strong>di</strong>dattica ed artistica <strong>di</strong> Carlo Vidusso . . . . . . . . . . » 225<br />

CARMELO <strong>LABATE</strong><br />

Rintracciare il Novecento. Il testo letterario nel teatro musicale . . . . » 271

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