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EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale

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AGENDA COSCIONI - <strong>EDIZIONE</strong> <strong>STRAORDINARIA</strong><br />

CAPITOLO 4<br />

Giustizia all’italiana: uno<br />

Stato “delinquente abituale”<br />

Dal Codice Rocco alle leggi speciali, dal processo 7 aprile al caso Tortora, dalle riforme<br />

negate all’impunità sistematica, le cause della più grande emergenza del Paese che è<br />

anche una grande questione sociale e ci attira il record di condanne dalla Corte europea<br />

per i diritti umani.<br />

Codici fascisti, rinvio<br />

delle riforme e<br />

lentocrazia giudiziaria<br />

In qualsiasi democrazia la Giustizia è il momento<br />

nevralgico di uno Stato di diritto. Il mantenimento<br />

in vita dei Codici fascisti, la lentezza nella entrata<br />

in funzione di importanti istituti costituzionali,<br />

la mancanza e il continuo rinvio di qualsiasi riforma<br />

da parte del Parlamento ne ha da subito inficiato<br />

il carattere democratico. Il parziale e lento<br />

adeguamento di alcune norme del Codice Rocco<br />

alla Costituzione da parte della Corte costituzionale<br />

non ne modifica l’impostazione di fondo, alla<br />

quale si sommano strutturali inadeguatezze organizzative.<br />

Fino all’inizio degli anni ’70 ci si può illudere che<br />

si tratti delle conseguenze di una troppo lenta transizione<br />

dal regime fascista al sistema democratico e<br />

costituzionale, dovuta anche alle inevitabili resistenze<br />

conservatrici dei corpi dello Stato. Durante<br />

gli anni 70 la crisi della giustizia italiana acquisisce<br />

invece progressivamente una connotazione che ne<br />

aggrava strutturalmente le caratteristiche illiberali.<br />

In nome della necessità di una efficace lotta al<br />

terrorismo politico e alla grande criminalità organizzata,<br />

anziché rafforzare le strutture ordinarie<br />

della giustizia, riformare i codici e l’ordinamento,<br />

le maggioranze parlamentari di unità nazionale<br />

procedono di volta in volta con leggi d’emergenza<br />

concentrando poteri speciali intorno alla figura del<br />

Pubblico ministero e ad alcuni strumenti straordinari<br />

di coordinamento dell’azione penale.<br />

Nel 1978, ad esempio, il processo di Torino ai capi<br />

storici delle Brigate Rosse può ancora svolgersi<br />

in un contesto di amministrazione ordinaria, malgrado<br />

la contemporaneità con i drammatici giorni<br />

del sequestro e assassinio di Aldo Moro. Dopo il<br />

rifiuto di quasi cento cittadini chiamati a far parte<br />

della giuria, è sorteggiata come giurato popolare il<br />

segretario del Partito radicale, Adelaide Aglietta.<br />

Nonostante le minacce di morte, con la sua accettazione<br />

Aglietta consente la formazione della giuria<br />

e la successiva tenuta di un processo equo e regolare.<br />

Enzo Tortora,<br />

arrestato,<br />

processato e<br />

condannato a dieci<br />

anni in primo grado<br />

in base alle<br />

dichiarazioni, prive<br />

di qualsiasi<br />

riscontro, di alcuni<br />

pentiti viene assolto<br />

in appello e poi in<br />

Cassazione dopo<br />

una dura lotta<br />

giudiziaria e politica,<br />

di cui è<br />

protagonista il<br />

Partito <strong>Radicale</strong>.<br />

Dal 7 aprile al caso<br />

Tortora la politica<br />

dell’emergenza e delle<br />

leggi speciali<br />

Viceversa, il processo 7 aprile e il processo Tortora<br />

sono emblematici della logica emergenziale.<br />

Con il primo, nel pieno dell’azione terroristica<br />

delle Brigate Rosse, un pubblico ministero di Padova<br />

criminalizza (7 aprile 1979) l’intero gruppo<br />

dirigente di un movimento extraparlamentare,<br />

Autonomia Operaia, con l’imputazione di insurrezione<br />

armata e l’accusa di essere la vera “direzione<br />

strategica” delle Brigate Rosse. Lo scopo che<br />

quel procuratore si propone è quello di impedire<br />

ogni possibile collegamento fra la base studentesca<br />

e operaia di quel movimento con l’organizzazione<br />

militare e clandestina delle Br. Quelle incriminazioni<br />

non hanno tuttavia, come i fatti<br />

successivi dimostrano, alcun fondamento probatorio.<br />

Quei dirigenti e quei militanti di Autonomia<br />

Operaia sono probabilmente responsabili in<br />

proprio di violenze e di reati anche gravi, ma non<br />

facevano parte delle Brigate Rosse e tanto meno<br />

ne sono la direzione strategica. E’ un episodio di<br />

giustizia sommaria. Non ha alcuna importanza<br />

(e neppure si voleva) arrivare al processo e alla<br />

condanna. La lunga carcerazione preventiva (cinque<br />

anni), consentita dalla legislazione di emergenza,<br />

deve assicurare una sorta di condanna senza<br />

processo.<br />

Solo lo scandalo dell’elezione del leader del movimento<br />

Toni Negri alla Camera dei deputati nella<br />

liste radicali costringe i giudici di Padova a cimentarsi<br />

con il processo. Nonostante la fuga di<br />

Toni Negri in Francia, il processo nei confronti<br />

dei suoi compagni si conclude in primo grado<br />

con sentenze che non giustificano la lunga detenzione<br />

preventiva e che sono successivamente ridotte<br />

e in molti casi del tutto annullate in appello<br />

e in Cassazione. Uno degli imputati, Emilio<br />

Vesce, che diviene in seguito militante e parlamentare<br />

radicale, è condannato in primo grado<br />

a cinque anni e mezzo e assolto nei gradi successivi:<br />

ne aveva scontati cinque di carcerazione preventiva.<br />

Quelle incriminazioni e quegli arresti,<br />

senza prove e senza processo, fanno tuttavia da<br />

battistrada alla legge sui pentiti della cosiddetta<br />

lotta armata a cui si ispira poco dopo la successiva<br />

legge sui pentiti di mafia e camorra.<br />

Enzo Tortora è la principale vittima di queste leggi<br />

e di queste prassi in un processo alla camorra<br />

(1983-1986) per il quale viene usata la definizione<br />

di “macelleria giudiziaria” (infatti i mandati di<br />

cattura del maxi-blitz anticamorra del 17 giugno<br />

1983 sono 856; di questi circa un centinaio i casi<br />

di omonimia successivamente accertati). Arrestato,<br />

processato e condannato a dieci anni in primo<br />

grado in base alle dichiarazioni, prive di qualsiasi<br />

riscontro, di alcuni pentiti che lo hanno chiamato<br />

in causa come affiliato a un clan camorristico,<br />

viene assolto in appello e poi in Cassazione<br />

dopo una dura lotta giudiziaria e politica, di cui è<br />

protagonista il Partito <strong>Radicale</strong>. Non in nome di<br />

un astratto garantismo ma per combattere i concreti<br />

stravolgimenti che leggi e prassi hanno inferto<br />

ai diritti e alle garanzie dei cittadini, così come<br />

alla giustizia e all’ordinamento giudiziario.<br />

Anche in questo caso tuttavia è necessario lo scandalo<br />

dell’elezione nelle liste radicali di Enzo Tortora<br />

al Parlamento europeo nel 1984 per interrompere<br />

l’omertà del mondo politico e giornalistico<br />

nei confronti di quel processo e dell’uso che<br />

in esso era fatto della legge sui pentiti. A differenza<br />

di Negri, Tortora - che ha avuto a Bruxelles la<br />

copertura dell’immunità parlamentare - si dimette<br />

dal P.E. per affrontare il processo e vedere riconosciuta<br />

la sua innocenza.<br />

Il confronto e la lotta giudiziaria e politica intorno<br />

al “caso 7 Aprile” e sul “caso Tortora” consentono<br />

nell’immediato di limitare i guasti più gravi<br />

nella applicazione delle leggi di emergenza, ri-

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