EDIZIONE STRAORDINARIA - Radio Radicale
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“LA PESTE ITALIANA” 21<br />
L’articolo 81 della<br />
Costituzione, che<br />
Luigi Einaudi<br />
definisce un<br />
“baluardo rigoroso<br />
ed efficace voluto<br />
dal legislatore<br />
costituente, allo<br />
scopo di impedire<br />
che si facciano<br />
maggiori spese alla<br />
leggera, senza<br />
avere prima<br />
provveduto alle<br />
relative entrate”,<br />
viene subito<br />
attaccato e<br />
superato dal<br />
“monopartitismo”<br />
del debito e della<br />
spesa pubblica (e<br />
del finanziamento<br />
pubblico).<br />
discrezionalità. Il risultato è una spesa completamente<br />
fuori controllo: solo nel periodo 1977-<br />
2002 lo Stato destina alla Cassa, al netto dei contributi<br />
da aziende e dipendenti, 250mila miliardi<br />
di vecchie lire, senza che un solo posto di lavoro<br />
sia salvato. Negli anni Duemila l’istituto registra<br />
un consistente attivo, ma alla distorsione<br />
“storica” se ne aggiunge una non meno grave: la<br />
Cassa integrazione delle grandi imprese decotte,<br />
sempre regolarmente accontentate dai governi,<br />
viene pagata in gran parte dalle altre imprese,<br />
quelle più piccole e competitive, che pur contribuendo<br />
in modo decisivo a finanziare l’istituto<br />
raramente ottengono di accedervi. In questo<br />
modo, si ha una distrazione grave di risorse dalla<br />
parte sana del sistema produttivo a quella malata,<br />
e un sistema di tutela contro la disoccupazione<br />
involontaria, basato sul massimo di favore<br />
per le grandi imprese e sul completo disinteresse<br />
per le imprese più piccole e per i loro dipendenti:<br />
un vero e proprio mercato politico delle tutele,<br />
secondo l’impietosa definizione di Massimo<br />
D’Antona.<br />
Per porre fine al sistema della cassa integrazione<br />
straordinaria e creare i presupposti per una riforma<br />
degli ammortizzatori sociali equa, di tipo<br />
universalistico, i Radicali promuovono nel 1994<br />
un referendum popolare. La raccolta delle firme<br />
si conclude con successo, ma la Corte costituzionale<br />
l’anno dopo boccia il referendum per “la<br />
lunghezza e l'estrema complessità del quesito”.<br />
L’ennesima sentenza adottata in base a criteri ulteriori,<br />
rispetto a quelli previsti dall’art. 75 della<br />
Costituzione. I cittadini italiani, “incapaci” di<br />
capire, vanno messi sotto tutela. Tutelato è, invece,<br />
il potere dei partiti, dei sindacati e delle<br />
grandi imprese.<br />
La “sindacatocrazia”,<br />
l’altra faccia della<br />
partitocrazia<br />
L’articolo 39 della Costituzione stabilisce che “l’organizzazione<br />
sindacale è libera” e senza “altro obbligo<br />
se non la loro registrazione presso uffici locali<br />
o centrali”, ma a condizione che “gli statuti<br />
dei sindacati sanciscano un ordinamento interno<br />
a base democratica.” Ogni organizzazione democratica<br />
si basa sulla periodica e regolare verifica<br />
del consenso dei propri associati, che devono<br />
essere liberi di aderire o recedere in qualsiasi anno.<br />
La mancata attuazione dell’articolo 39 ha<br />
comportato anche la negazione di questo elementare<br />
principio. Per l’automaticità del rinnovo<br />
e macchinosità della disdetta, in molti o non<br />
riescono a disdire o nemmeno ricordano di essersi<br />
iscritti al sindacato, magari da molti anni.<br />
Negli anni ‘90 il movimento radicale tenta la via<br />
del referendum abrogativo. Il voto del ‘95 registra<br />
il raggiungimento del quorum (57,1%) e la<br />
vittoria dei “sì” (56,2%) che cancella la norma<br />
dello Statuto dei lavoratori che prevede l’obbligatorietà<br />
delle trattenute per l’iscrizione al sindacato.<br />
La volontà popolare viene però truffata dalle<br />
“parti sociali”, che si accordano per riprodurre<br />
nella contrattazione collettiva le norme abrogate:<br />
il sistema resta sostanzialmente immutato,<br />
e il referendum è come se non si fosse tenuto.<br />
Nel voto della primavera del 2000, questa volta<br />
per cancellare le trattenute per i pensionati, il referendum<br />
non raggiunge il quorum (32,2% di<br />
votanti, 61,8% di “sì”), perché centro-sinistra,<br />
centro-destra e sindacati si associano in una martellante<br />
campagna mediatica a favore dell’astensione,<br />
alla quale non viene data un’effettiva possibilità<br />
di replica. Il sistema delle trattenute automatiche<br />
resta in piedi e continua a fruttare alle<br />
confederazioni sindacali – tra lavoratori attivi e<br />
pensionati – oltre un miliardo di euro ogni anno.<br />
I Radicali cercano di intervenire anche sui Patronati<br />
sindacali con referendum abrogativi, i cui<br />
esiti sono gli stessi registrati in occasione delle<br />
trattenute automatiche. I Patronati portano alle<br />
casse del sindacato circa 350 milioni di euro ogni<br />
anno e, sommando i 225 milioni di euro che affluiscono<br />
dai Centri di assistenza fiscale, si arriva<br />
ad oltre due miliardi di euro ogni anno. A questi<br />
dati vanno aggiunte le immense proprietà immobiliari<br />
dei sindacati, il cui valore reale è impossibile<br />
quantificare, non avendo il sindacato<br />
un bilancio consolidato. Si tratta comunque di<br />
centinaia di migliaia di metri quadrati di immobili,<br />
ricevuti in regalo dallo Stato nel 1977 e per<br />
di più, dal 1992, esentati dal pagamento dell’Ici.<br />
Pensioni, cartina di<br />
tornasole della<br />
determinazione<br />
dell’Italia a non risanare<br />
i conti pubblici<br />
Nella storia della Repubblica, nessun Governo<br />
si dimostra in grado di affrontare il problema<br />
delle pensioni che ha costi enormi per lo Stato e<br />
contribuisce fortemente all’aggravamento del<br />
debito. Almeno fino al ‘92, quando Giuliano<br />
Amato vara, con il sostegno della Lista Pannella,<br />
le prime riforme in un quadro di assoluta<br />
emergenza finanziaria. Da quel momento si susseguono<br />
gli interventi in materia (Dini 1995,<br />
Maroni 2004, Prodi 2007) connotati tutti da un<br />
denominatore comune: scaricare il peso degli interventi<br />
sulle legislature successive e sulle generazioni<br />
più giovani, per salvaguardare gli interessi<br />
corporativi e i privilegi difesi innanzitutto dai<br />
sindacati.<br />
Già nel gennaio 1983, Marco Pannella intraprende<br />
uno sciopero della fame e della sete con<br />
l’obiettivo di assicurare immediatamente un sostanziale<br />
incremento delle pensioni minime, a<br />
cominciare dalle pensioni sociali, che la proposta<br />
radicale mira a elevare da 165.550 lire mensili ad<br />
almeno 300.000. Nell’agosto 1983, all’inizio<br />
della nuova legislatura, gli eletti radicali presentano<br />
- subito dopo il discorso programmatico del<br />
Presidente del consiglio Bettino Craxi - una vera<br />
e propria mozione di fiducia alternativa, che<br />
vede la questione delle pensioni tra i punti centrali:<br />
il sistema partitocratico muove per le pensioni<br />
integrate al minimo (in modo indiscriminato,<br />
con interventi a carattere puramente assistenziale)<br />
20.000 miliardi ogni anno per interessi<br />
elettorali e clientelari, mentre l’intervento proposto<br />
– destinato solo a chi ne ha veramente bisogno<br />
– richiederebbe circa 1.500 miliardi. Lo<br />
scandalo provocato dai dati forniti dai Radicali<br />
porta, nel giro di due anni, al raddoppio delle<br />
pensioni minime.<br />
Nel ‘99, allo scopo di superare le gravi carenze<br />
della riforma Dini, i Radicali promuovono un<br />
referendum sulle pensioni di anzianità, che nel<br />
gennaio 2000 la Corte costituzionale dichiara<br />
inammissibile.<br />
Nel 2006 i parlamentari radicali presentano una<br />
proposta di legge (aggiornata e di nuovo depositata<br />
nel 2008) per innalzare gradualmente l’età<br />
pensionabile per tutti, uomini e donne, a 65 anni.<br />
Secondo i calcoli dell’Inps, la riforma radicale<br />
porterebbe a risparmiare, a regime, oltre 7 miliardi<br />
di euro all’anno, quanto basta per riformare<br />
il sistema degli ammortizzatori sociali e per<br />
adottare politiche di “welfare to work”. La proposta<br />
viene completamente censurata dai media<br />
e ignorata da partiti e sindacati. Intanto la spesa<br />
pensionistica continua ad assorbire i due terzi<br />
della spesa sociale e il 15% del prodotto interno<br />
lordo. Inoltre, con Emma Bonino ministro per<br />
le Politiche europee, i Radicali denunciano la discriminazione<br />
nei confronti delle donne, la cui<br />
età pensionabile (60 anni) è più bassa di quella<br />
degli uomini (65). L’appello resta inascoltato e<br />
due anni dopo, con la sentenza del novembre<br />
2008, la Corte di giustizia delle Comunità europee<br />
condanna l’Italia, per aver mantenuto in vigore<br />
una normativa in base alla quale i dipendenti<br />
pubblici hanno diritto a percepire la pensione<br />
di vecchiaia a età diverse, a seconda che siano<br />
uomini o donne.